Questione di legittimità costituzionale (art. 491)InquadramentoCon la presente istanza, redatta ai sensi dell'art. 23, l. n. 87/1953, si chiede al Giudice procedente di pronunciare un'ordinanza con cui sollevare, davanti alla Corte costituzionale, questione di legittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una regione, questione che non sia manifestamente infondata e che abbia un rapporto di pregiudizialità con l'oggetto del procedimento. FormulaALL'ECC.MO TRIBUNALE DI.... in composizione.... IN FUNZIONE DI GIUDICE DELL'ESECUZIONE [1] QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE (ART. 23, N. 87/1953) Il sottoscritto Avv..... [2], nella sua qualità di difensore del Sig....., nato a.... il...., condannato alla pena di.... con sentenza n..... /.... pronunciata da Codesto Ecc.mo Tribunale in data...., passata in giudicato in data...., destinatario dell'ordine di esecuzione della pena detentiva emessa dal Pubblico Ministero e interessato dal procedimento esecutivo n..... /.... S.I.E.P. Procura della Repubblica di.... – n..... /.... S.I.G.E., attivato a seguito di richiesta proveniente dallo scrivente legale diretta ad ottenere la sospensione dell'ordine di esecuzione; ECCEPISCE l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p. nella parte in cui non prevede che l'ordine di sospensione della pena debba essere emesso anche in caso di pena non superiore ai quattro anni, per contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. La disposizione in parola, infatti, impone la sospensione dell'ordine di esecuzione in modo da consentire al condannato di presentare istanza per ottenere una delle misure alternative alla detenzione previste dagli artt. 47,47-ter e 50, comma 1, l. n. 354/1975, e dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990. Come è noto, il legislatore, con il d.l. n. 149/2003, convertito nella l. n. 10/2014, introducendo il comma 3-bis all'art. 47, l. n. 354/1975, ha previsto una forma particolare di affidamento in prova che può essere concesso a chi deve espirare una pena residua non superiore ai quattro anni. L'art. 656 c.p.p., invece, non è stato modificato, e prevede che la sospensione dell'ordine di esecuzione, se la pena residua da eseguire non sia superiore ai tre anni, anche per i casi di cui all'art. 47, comma 3-bis, creando così un disallineamento sistematico con la nuova disciplina [3]. La disciplina che si è così creata rende l'art. 656, comma 5, c.p.p., nella parte in cui non prevede la sospensione per pene superiori ai tre anni ma non superiori ai quattro, illegittima per contrasto in primo luogo, con l'art. 3 Cost., perché discrimina ingiustificatamente i soggetti sottoposti a pena residua superiore ai tre anni e non superiore ai quattro anni, rispetto a quelli che devono scontare una pena residua non superiore ai tre anni, perché i secondi godono della sospensione automatica dell'ordine di esecuzione a differenza dei primi, nonostante entrambe le tipologie di condannati si trovino nella stessa posizione di ridotta pericolosità presunta e possano godere di due istituti che hanno lo stesso fondamento giuridico, diretto a soddisfare esigenze di deflazione carceraria. In secondo luogo, per contrasto con l'art. 27 perché pregiudicherebbero immotivatamente le finalità rieducative della pena provocando il contatto con il carcere, notoriamente luogo potenzialmente criminogeno, per chi invece può beneficiare dell'affidamento in prova [4]. La disposizione censurata non può essere diversamente interpretata, stante l'univoco tenore letterale della norma [5]. La questione non può neppure considerarsi manifestamente infondata, in quanto il decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione è strutturalmente concepito proprio come strumento per l'ottenimento dell'affidamento in prova e per questa ragione che è previsto il limite di pena non superiore a tre anni. Il mancato adeguamento della disposizione in parola, rispetto alla nuova ipotesi di affidamento, crea un difetto di coordinamento che si riflette sulla legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p. nella parte in cui non innalzata il limite a quattro anni [6]. La questione è rilevante in quanto il condannato non si trova in stato di custodia cautelare o agli arresti domiciliari, la pena residua da scontare è superiore ai tre anni, ma non ai quattro, e l'eventuale accoglimento della medesima porterebbe all'applicazione dell'art. 656, con conseguente sospensione dell'ordine di esecuzione della pena, per consentire così la presentazione dell'istanza di affidamento ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, l. n. 354/1975 senza passaggio all'interno del carcere [7]. PQM Il sottoscritto Avv....., nella sua qualità di difensore del Sig....., SOLLEVA ai sensi dell'art. 23, l. n. 87/1953 questione di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 6, c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. CHIEDE a Codesto Ecc.mo Tribunale di ritenere la questione non manifestamente infondata, di pronunciare ordinanza con la quale disporre la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con gli adempimenti previsti dall'art. 23, l. n. 87/1953. Luogo e data.... Firma.... [1]La questione può essere posta, ai sensi dell'art. 23, nel corso di un giudizio di fronte a una autorità giurisdizionale. Nella formula è stato ipotizzato che il difensore del condannato (per questo il numero SIEP SIGE) sollevi davanti al Tribunale in qualità di Giudice dell'esecuzione (nell'ambito dell'incidente di esecuzione ai sensi artt. 666,670 c.p.p.) questione di legittimità costituzionale dell'art. 656 che è stato recentemente dichiarato illegittimo da Corte cost., n. 41/2018 a seguito di ordinanza sollevata dal G.I.P. di Lecce. [2]L'istanza può essere proposta dal difensore delle parti private, ma anche dal Pubblico Ministero. [3]Indicare le disposizioni di legge che si ritiene siano viziate da incostituzionalità, individuando correttamente la disposizione censurata, ricostruendo nel dettaglio il contesto normativo di riferimento, tenendo conto anche di quali sono gli orientamenti giurisprudenziali (il c.d. diritto vivente) e, qualora si invochi la violazione del principio di uguaglianza, si evidenzi la disciplina che svolgerebbe il ruolo di tertium comparationis. [4]In questa parte occorre indicare le norme della Costituzione o di legge costituzionale che si ritiene siano violate. [5]La Corte costituzionale, infatti, richiede come condizione di ammissibilità della questione che il Giudice che pronuncia ordinanza verifichi (e motivi sul punto) se vi è possibilità di poter adeguare in via interpretativa la disposizione sospettata di incostituzionalità e procedere a sollevare la questione solo se la risposta è negativa. [6]Come spiegato nel commento, la Corte costituzionale chiede che il Giudice a quo motivi sulla non manifesta infondatezza della questione. [7]In questa parte inserire gli argomenti che portano a ritenere rilevante la questione nel giudizio nell'ambito del quale è sollevato. CommentoLa questione di legittimità costituzionale Come è noto il nostro ordinamento prevede che qualora una legge o atto avente forza di legge, dello Stato o di una regione, si ponga in contrasto con la Costituzione, il Giudice non possa disapplicare la norma incompatibile con la Carta fondamentale, ma investa della questione la Corte costituzionale che, ai sensi dell'art. 134 Cost., è chiamata a risolverla (si parla in questo caso di giudizio di costituzionalità in via incidentale). La questione può essere sollevata di ufficio dal Giudice con apposita ordinanza. Le parti di un procedimento (sia esso penale, civile o amministrativo) non hanno la possibilità di adire direttamente il Giudice delle leggi, ma possono sollecitare il Giudice procedente a farlo. La questione può essere proposta oralmente, ma, vista la complessità, si ritiene più opportuno veicolarla tramite memoria. Occorre ricordare che nel momento in cui entrerà a pieno regime la disciplina introdotta con il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia) il deposito degli atti scritti dovrà avvenire esclusivamente con modalità telematiche nel rispetto della normativa che verrà dettata con decreti del Ministero della Giustizia. Il deposito del documento analogico rappresenterà l'eccezione. Attualmente, in attesa della piena entrata in vigore della Riforma, che richiede decreti attuativi del Ministero (il nuovo regime entrerà in vigore trascorsi 15 giorni dall'emanazione di detti decreti), il deposito cartaceo da parte degli avvocati è ancora consentito per atti diversi da quelli che devono essere depositati con il PDP (come si ricava dal persistere del vigore, nel regime transitorio, delle vecchie formulazioni degli artt. 110 e 116, comma 3-bis, c.p.p.: v. art. 87, comma 4, d.lgs. n. 150/2022 e del posticipo dell'entrata in vigore del nuovo art. 111-bis c.p.p. trascorsi 15 giorni dall'emanazione dei decreti del Ministero della Giustizia, nonché dall'art. 87, comma 5 che posticipa l'entrata in vigore degli artt. 111, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, 111-bis, 111-ter c.p.p., 122, comma 2-bis). La presente istanza può essere dunque depositata anche in modo analogico. In via transitoria, ai sensi dell'art. 87-bis, d.lgs. n. 150/2022, il deposito è possibile anche mediante invio di posta elettronica certificata all'indirizzo indicato dal Direttore generale per i sistemi informatici automatizzati, che ne specifica anche le modalità tecniche. L'art. 23, l. n. 87/1953, che detta le norme sulla costituzione e il funzionamento della Corte costituzionale, stabilisce, infatti, che nel corso di un giudizio davanti a un'autorità giurisdizionale, una delle parti private o il Pubblico Ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza, indicando: a) le disposizioni della legge o atto avente forza di legge viziate da illegittimità costituzionale; b) le disposizioni della Costituzione o delle leggi che si assumono violate. L'autorità giurisdizionale, qualora ritenga che il giudizio non possa essere definitivo indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, e non ritenga la questione manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale riferisce i termini e i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e pone in essere gli altri adempimenti previsti dall'art. 23, comma 4, l. n. 87/1953. Il processo viene sospeso e con esso il decorso della prescrizione ex art. 159 c.p., che riprenderà a decorrere dal momento in cui sono restituiti gli atti al Giudice remittente (Cass. V, n. 7553/2013). L'indicazione delle disposizioni che si assumono violate Analizzando la giurisprudenza della Corte costituzionale, in particolare le sentenze e le ordinanze che si sono pronunciate sull'inammissibilità delle questioni di legittimità, si possono cogliere spunti interessanti che consentano di comprendere quali siano i requisiti che l'ordinanza di rimessione deve possedere e, di riflesso, quali sono i contenuti utili che l'istanza sollevata dalle parti è bene che abbia. In primo luogo occorre individuare e indicare correttamente la disposizione di legge che si ritiene che contrasti con la Costituzione, quella che è conferente rispetto all'oggetto delle censure che vengono mosse (v. ad esempio Corte cost., n. 198/2007, altrimenti si verifica una particolare condizione di inammissibilità che la Corte chiama aberratio ictus), ricostruendo compiutamente il quadro normativo in cui detta disposizione si inserisce (cfr. Corte cost., n. 27/2015), evidenziando, qualora si invochi (come spesso accade nelle ordinanze di rimessione della questione alla Corte costituzionale) la violazione del principio di uguaglianza, la normativa che svolge il ruolo di tertium comparationis in modo tale da far comprendere l'iter logico a fondamento della sollevata censura (Corte cost., n. 49/2015). La Corte costituzionale è anche solita ravvisare una condizione di inammissibilità nella mancata verifica preliminare, da parte dei giudici rimettenti, nell'esercizio dei poteri ermeneutici loro riconosciuti dalla legge, della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati, e tale da determinare il possibile superamento di detti dubbi o da renderli comunque non rilevanti nei casi di specie (cfr. Corte cost., n. 192/2007; Corte cost., n. 34/2006), potendo la questione essere sollevata solamente nel caso in cui manchino argomenti di ordine testuale o sistematico che non consentono una diversa interpretazione della norma censurata in termini di compatibilità con la Costituzione (cfr. Corte cost., n. 281/2007), in quanto «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (Corte cost., n. 356/1966, espressione poi ripresa da altri numerosi provvedimenti). Lo spazio di manovra del Giudice, che ha l'onere di sperimentare se della disposizione censurata possa essere offerta, utilizzando i normali criteri ermeneutici, un'interpretazione adeguatrice trova un limite nella teoria – elaborata dalla giurisprudenza della Corte – del c.d. diretto vivente. Qualora il Giudice si trovi di fronte a un'interpretazione giurisprudenziale univoca che costituisce diritto vivente, allora potrà porre a fondamento dell'incidente di costituzionalità detto diritto vivente, della cui esistenza dovrà però dettagliatamente dare conto (cfr. Corte cost., n. 194/2012; Corte cost., n. 117/2012). La rilevanza delle questioni di legittimità In secondo luogo, la questione di legittimità costituzionale richiede che esista un rapporto di pregiudizialità con l'oggetto del procedimento, in quanto il Giudice è tenuta a sollevarla (di ufficio o su istanza di parte) «qualora il giudizio – così recita l'art. 23, l. n. 87/1953 – non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale». Sulla rilevanza si è sviluppata una copiosa giurisprudenza costituzionale (v. Il requisito della rilevanza delle questioni incidentali di legittimità costituzionale, 2016, ma anche Le pronunce di inammissibilità della Corte, 2016, entrambi i documenti scaricabili sul sito Cortecostituzionale.it) che evidenzia l'esigenza minima, ma inderogabile, che la questione abbia ad oggetto leggi o disposizioni di legge delle quali il Giudice debba, in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, fare applicazione nel processo che si svolge dinanzi ad esso (Corte cost., n. 216/1993; Corte cost., n. 142/1968). Nell'ampio panorama delle decisioni del Giudice delle leggi, si registrano orientamenti più rigorosi che pretendono che le disposizioni censurate debbano essere certamente applicate (Corte cost., n. 103/1977) non bastando la generica possibilità che la norma stessa venga applicata nel corso del giudizio, ove si verifichino le condizioni necessarie per la sua applicazione (Corte cost., n. 10/1979) a cui si contrappongono indirizzi che invece ampliano il requisito in parola ravvisandola nell'astratta possibilità di applicazione delle disposizioni contestate al caso oggetto del giudizio a quo (Corte cost., n. 292/1987). Corollario della rilevanza è anche la necessità della persistente vigenza della disposizione di cui si denuncia l'incostituzionalità, secondo la quale la rilevanza della questione deve essere valutata in base a quella che è la situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui interviene la pronuncia, e non invece al momento in cui la questione è sollevata, con la conseguenza che deve considerarsi inammissibile per difetto (sopravvenuto) di rilevanza la questione che riguarda una disposizione espunta dall'ordinamento o comunque non più applicabile al caso oggetto del procedimento (cfr. da ultimo Corte cost., n. 115/2017). Con specifico riferimento al settore penale, l'ammissibilità della questione dipende anche dal petitum (che in generale deve essere comunque chiaramente indicato: v. Corte cost., n. 247/2015), non potendo essere sollevata, normalmente, una questione la cui soluzione provocherebbe effetti in malam partem che si scontrerebbero con il principio di legalità di cui all'art. 25 Cost. che consente solamente al legislatore di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità (ex plurimis, Corte cost., n. 285/2012; in realtà c'è un precedente in cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme penale di favori v. Corte cost., n. 394/2006 in cui si spiega l'eccezionalità di tali conclusioni e i presupposti e i limiti in cui può avvenire la declatoria di norme favorevoli nel settore penale). La motivazione sulla non manifesta fondatezza La Corte costituzionale pretende infine che il Giudice a quo debba rendere espliciti i motivi della ritenuta non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, dovendo l'ordinanza contenere una adeguata illustrazione delle ragioni per la quale la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato e l'illustrazione dei passaggi interpretativi operati (Corte cost., n. 114/2015), non potendo limitarsi a evocare le disposizioni della Carta fondamentale senza argomentare in modo sufficiente in ordine alla loro violazione (Corte cost., n. 70/2015). L'illustrazione deve essere autonoma, non potendo in particolare consistere in un mero richiamo per relationem dei contenuti delle istanze presentati dalle parti nel corso del processo principale ovvero anche di altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi (così da ultimo Corte cost., n. 64/2018). |