Opposizione al decreto di liquidazione/diniego di liquidazione

Andrea Manca

Inquadramento

La disciplina che attiene all'opposizione del decreto di liquidazione è disciplinata seguito della riforma del 2011 di “semplificazione dei riti” in maniera non organica e lacunosa.

L'insufficiente o l'illegittima quantificazione di quanto corrisposto al difensore parrebbero essere le principali cause afferenti la proposizione dell'opposizione al decreto in oggetto.

Sovente, però, il Giudice adduce svariate motivazioni a sostegno del diniego di liquidazione a seguito della relativa istanza di liquidazione: contro tale provvedimento non è espressamente previsto alcun rimedio, ma la giurisprudenza lo ha individuato per analogia nello stesso strumento oppositivo previsto per la liquidazione, con alcune varianti soprattutto nella legittimazione passiva.

Formula

ECC.MO PRESIDENTE DEL....

RICORSO

(ARTT. 84 E 170, TESTO UNICO SPESE DI GIUSTIZIA E 15, D.LGS. N. 150/2011)

nel procedimento penale sub R.G..... promosso contro il Sig....., nato il.... a...., residente in.... alla via...., C.F....., ammesso al patrocinio a spese dello Stato con decreto G.I.P..... d.d..... (R.G..... /.... Grat. Patr.) rappresentato e difeso dall'Avv....., C.F....., PEC...., che in questa sede agisce in proprio a mente dell'art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato presso....;

AVVERSO

il decreto del.... n..... d.d..... di cui è stata data comunicazione in data...., con cui viene liquidato l'importo di Euro.... (Euro.... /....) [oppure rigettata l'istanza di liquidazione presentata in data....] [1]

CONTRO

il Ministero della Giustizia [2], in persona del ministro pro tempore, rappresentato ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato con sede in....;

NONCHÈ CONTRO

la Procura [3] della Repubblica presso....

***

IN FATTO

....

IN DIRITTO

....

***

Tutto ciò premesso, il sottoscritto Avv.....,

RICORRE

affinché l'adito Ecc.mo Presidente del.... voglia fissare l'udienza di comparizione delle parti ai sensi dell'art. 281-undecies, comma 2, c.p.c. assegnando al ricorrente termine per citare l'Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di.... in persona del Direttore pro tempore con sede in...., a comparire innanzi al Presidente del...., nella sua nota sede posta in...., all'udienza all'uopo fissata, invitando la stessa a costituirsi nel termine di 10 (dieci) giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., con avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini, implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e così, in sua rituale presenza, ovvero dichiarata contumacia, sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

vorrà l'Ill.mo Presidente del.... in riforma dell'impugnato decreto, liquidare l'importo di Euro.... (Euro.... /....) a titolo di compensi per l'assistenza prestata nel processo penale indicato in epigrafe, nonché condannare [4] il resistente.... alla rifusione delle spese anche del presente ricorso, da quantificare con separata nota di riservato deposito.

Il ricorrente.... invita il convenuto.... a costituirsi ai sensi, nelle forme e nel termine stabiliti dall'art. 281-undecies c.p.c., e a comparire dinanzi al Giudice designato all'udienza fissata ai sensi del medesimo art. 281-undecies c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre il termine previsto dall'art. 281-undecies c.p.c. implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 281-undecies c.p.c.

In via istruttoria si dimettono i seguenti documenti:

1) Decreto di liquidazione impugnato, completo di relazione di notifica.

Ai fini del versamento del contributo unificato d'iscrizione a ruolo, si dichiara che il presente procedimento ha valore indeterminabile, è di volontaria giurisdizione e ha natura di rito semplificato di cognizione di cui al d.P.R. n. 115/02, si dichiara che il valore della controversia è pari ad Euro.....

Le comunicazioni di cancelleria relative al presente procedimento potranno essere effettuate al n. fax.... ovvero alla casella PEC.....

Luogo e data....

Con osservanza.

Firma Avv.....

[1]Lo strumento del ricorso avverso il decreto di liquidazione può essere attivato anche contro il decreto di diniego di liquidazione.

[2]Sarà opportuno convenire in giudizio anche l'Agenzia delle Entrate ogni qualvolta il decreto di diniego di liquidazione sia stato emesso per ragioni attinenti le condizioni reddituali del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rilevate tardivamente o sopravvenute rispetto all'ammissione (nel qual caso il provvedimento impugnato si risolve in un provvedimento di revoca dell'ammissione nonostante abbia la veste formale di decreto di diniego di liquidazione).

[3]Si dovrà convenire la Procura Generale se il decreto impugnato è emesso dalla Corte d'Appello o dal Tribunale di Sorveglianza.

[4]Nel caso il decreto impugnato abbia forma di diniego di liquidazione ma sostanza di decreto di revoca dell'ammissione, il ricorrente potrà includere le spese di opposizione nella nota spese presentata per il processo penale, perché l'opposizione ex art. 170, T.U. Spese di Giustizia in questa ipotesi rientra nelle procedure derivate e accidentali (art. 75, T.U.S.G.) connesse al processo penale nel quale il cliente/assistito era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Commento

Il procedimento di opposizione

In tema di liquidazione l'art. 84, d.P.R. n. 115/2002 richiama l'applicazione dell'art. 170 dello stesso Testo Unico, in riferimento alle casistiche di cui all'opposizione al decreto di liquidazione o pagamento.

Con la riforma del 2011, però, l'art. 170 sopra richiamato effettua un rinvio all'art. 15, d.lgs. n. 150/2011, il quale a sua volta, novellato con la c.d. Riforma Cartabia, stabilisce che il procedimento dell'opposizione debba seguire le regole stabilite per il nuovo procedimento semplificato di cognizione (artt. 281-decies e ss. c.p.c.).

Infatti, l'art. 99, T.U. Spese di Giustizia prevede che “il processo è quello speciale previsto per gli onorari di Avvocato e l'ufficio giudiziario procede in composizione monocratica.” Rinviando così al d.lgs. n. 150/2011.

Nello specifico, va precisato come il d.lgs. n. 149/2022, ha modificato gli artt. 14 e 15-bis del d.lgs. n. 150/2011, sostituendo, in entrambi i casi, la parola “sommario” con la parola “semplificato”, così da rinviare al nuovo procedimento semplificato di cognizione.

In tal senso dunque, il nuovo c.d. il rito semplificato di cognizione, regolato dagli artt. 281-decies e ss. c.p.c., si applica nei procedimenti di opposizione come sopra richiamati.

È un procedimento nuovo introdotto, dunque, contestualmente all'eliminazione dal codice di rito del processo sommario di cognizione, di cui dovrebbe recuperare (come anche specificato nella relazione introduttiva alla riforma) le principali caratteristiche tipiche “di concentrazione e snellezza”.

Un tema centrale, però, che si ripercuote tutt'ora nell'interpretazione della normativa applicabile al caso di specie, attiene all'interpolazione di cui al testo dell'art. 170 cit., in quanto non venne originariamente previsto un termine (da sempre ritenuto decadenziale!) entro cui il ricorso andasse presentato il ricorso in opposizione.

Ebbene, sia l'interpretazione analogica, sia quella storico-evolutiva porterebbero a individuare in 20 giorni il termine entro cui ricorrere, come per l'opposizione al diniego di ammissione regolata dall'art. 99, T.U. Spese di Giustizia secondo le forme – anch'essa – del rito sommario di cognizione, e com'era espressamente previsto nel testo previgente dell'art. 170.

Tuttavia, in passato, sia la prassi (C.M. Giustizia n. 148412/2012) sia la giurisprudenza (Corte cost., n. 106/2016; Corte cost., n. 234/2016; Cass. II, n. 4423/2017; Cass. VI, n. 27418/2017) individuavano il termine in trenta giorni, in analogia ed in relazione con quanto previsto per il rito sommario di cognizione (ex art. 702-bis e ss.), quale rito applicabile al caso di specie, e con le altre impugnazioni da esso regolate introdotte col d.lgs. n. 150/2011.

Al fine di individuare il nuovo termine, parrebbe dunque opportuno doversi riferire alla sistemica di cui all'art. 281-decies, in sostituzione del vecchio rito sommario di cognizione, e che, parimenti all'indicazione di cui al vecchio 702-bis, che rinviava all'art. 702-quater in tema di termini di impugnazione così da individuarli nei trenta giorni, rinvia alla previsione di cui all'art. 281-terdecies il quale stabilisce che il Giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell'art. 281-sexies, rinviando ulteriormente ai termini ordinari di impugnazioni, così da lasciare impregiudicato il termine originariamente individuato dalla giurisprudenza in trenta giorni.

Inoltre, con recente sentenza, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che nelle controversie regolate dal rito sommario, il termine (di trenta giorni) per l'impugnazione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c. decorreva, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell'art. 281-sexies c.p.c.; in mancanza delle suddette formalità l'ordinanza, a norma dell'art. 327 c.p.c., può essere impugnata nel termine di sei mesi dalla pubblicazione (Cass. n. 28975/2022). In tal senso, mutatis mutandis, in subordine alla relativa applicazione del procedimento del rito semplificato di cognizione, parrebbe doversi far valere comunque tale principio.

Solitamente, sono due i principali motivi per cui si procede ad opposizione avverso il decreto di liquidazione: per la ritenuta esiguità del compenso liquidato o per la ritenuta illegittimità della decurtazione effettuata dal Giudice in relazione a quanto inizialmente richiesto dal difensore.

Ebbene, l'art. 12, d.m. n. 55/2014 dispone che ai fini della liquidazione del compenso spettante per l'attività penale si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della complessità del procedimento, della gravità e del numero delle imputazioni, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dei contrasti giurisprudenziali, dell'autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, della rilevanza patrimoniale, del numero dei documenti e degli atti da esaminare, della continuità dell'impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, nonchè dell'esito ottenuto avuto anche riguardo alle conseguenze civili e alle condizioni finanziarie del cliente. Appare inizialmente di difficile verifica comprendere come il Giudice abbia proceduto al computo delle somme da dover corrispondere in quanto l'art. 83, T.U. Spese di Giustizia non prevede al suo interno che il Giudice debba motivare tali importi riferibili alla liquidazione di cui al decreto in favore del difensore.

A tal proposito, in materia di spese di giustizia, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, ai sensi dell'art. 4, comma 5, lett. c) del d.m. n. 55/2014, rileva anche l'esame dei provvedimenti pronunciati nel corso ed in funzione dell'istruzione, compresi quelli da cui può desumersi la non necessità di procedere all'istruzione stessa, tra i quali, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, deve annoverarsi il medesimo decreto opposto. La fase di trattazione si ha in ogni caso nel corso del processo ordinario di cognizione, anche se non vi sia un'udienza specificamente dedicata alla trattazione o all'istruzione della causa, in quanto la disamina dei documenti e in ogni caso la stessa verifica della posizione processuale delle parti dà luogo ad attività definita di trattazione.

Differentemente, tale previsione è prevista dal T.U. Spese Giustizia per la liquidazione a favore dell'ausiliario del magistrato e del custode giudiziario di cui all'art. 168 del T.U. come sopra richiamato.

La mancanza di una previsione espressa della motivazione del decreto di liquidazione sembrerebbe a prima vista far venir meno la possibilità di eccepirne la nullità ex art. 125, comma 3, c.p.p. in caso di difetto assoluto di motivazione.

Invece, nel caso di decurtazione illegittima, la recente riforma del d.m. n. 55/2014 ad opera del d.m. n. 37/2018 – che ha introdotto un limite massimo alla decurtazione giudiziale dei compensi – comporta la possibilità di contestare in diritto liquidazioni che riducessero di oltre i 2/3 i valori standard: difatti, le nuove regole sui parametri di liquidazione dei compensi per la professione forense prevedono che in ogni caso detti compensi non possano essere decurtati oltre il 50%. A tale decurtazione va aggiunta quella specifica prevista per il patrocinio a spese dello Stato (di 1/3 nel penale a norma dell'art. 106-bis, T.U. Spese di Giustizia), sicché di diritto la liquidazione non potrà scendere mai al di sotto di 1/3 dei valori standard indicati nella Tabella 15 allegata al d.m. n. 55/2014.

Al riguardo, va ricordato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia secondo quanto ripetutamente affermato dalla Cassazione (tra le altre, Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 29191/2017; Cass. n. 15255/2019), non ricorre il vizio di omessa pronuncia ove la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto, e che non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perché indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, decisa e rigettata dal Giudice (Cass. n. 35132/2022; Cass. n. 17580/2014).

La liquidazione delle spettanze del difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non deve superare il valore medio della tariffa senza alcun obbligo di applicare necessariamente i suddetti valori medi (Cass. VI, n. 30315/2022; Cass. n. 4759/2022; Cass. n. 31404/2019; Cass. n. 26643/2011).

Per altro verso, nel sistema del d.m. n. 55/2014, che il Giudice deve tener presente nella liquidazione del compenso, è venuta meno l'inderogabilità dei minimi tipica del sistema tariffario, potendosi riconoscere importi inferiori sulla base di adeguate ragioni giustificative, che con riguardo alla fase istruttorie, risultano individuate dal tribunale nello svolgimento solo parziale, da parte del ricorrente, delle attività istruttorie (Cass. VI, n. 30315/2022).

Sul compenso così determinato la successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al d.P.R. n. 115/2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: la norma costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell'imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell'interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell'Avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. n. 115/2002, art. 130 in tema di gratuito patrocinio (Cass. VI, n. 30315/2022; Cass. n. 9808/2013, Corte cost., n. 350/2005, Corte cost., nn. 201/2006 e 270/2012).

Anche in questo caso, infatti, si configura un contenuto sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall'art. 106-bis cit. non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né viene determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell'attività (Cass. VI, n. 30315/2022; Cass. n. 4759/2022).

Capita piuttosto di frequente che cause di revoca o di esclusione dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sopravvenute o rilevate soltanto alla fine del processo costituiscano motivo di decreto di diniego di liquidazione anziché di revoca dell'ammissione, come dovrebbe essere.

La circolare ministeriale 10 gennaio 2018, commentata al paragrafo 311, nell'assecondare quella prassi in base alla quale gli avvocati vengono onerati di provare la permanenza dell'assistito nella condizione di non abbienza al momento della liquidazione, rischia di far aumentare di molto provvedimenti di tal fatta.

In realtà, il decreto di diniego di liquidazione può essere adottato legittimamente in casi molto rari: si pensi al difetto di abilitazione del difensore, perché non iscritto all'elenco previsto dall'art. 81, T.U. Spese di Giustizia nel periodo di espletamento dell'attività defensionale (Cass. IV, n. 19648/2009; Cass. IV, n. 698/2003); o all'ipotesi di istanza di liquidazione presentata per ottenere il compenso per atti defensionali compiuti dopo la revoca del beneficio disposta ex art. 91, T.U. Spese di Giustizia a seguito di nomina di secondo difensore; o all'ipotesi della declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione (art. 106, T.U. Spese di Giustizia).

Allo stesso modo, anche nel caso in cui la liquidazione venga denegata, contro il relativo decreto emesso dal Giudice, potrà proporsi opposizione al pari delle altre casistiche come sopra richiamate (cfr. Cass. II, n. 23442/2012): parimenti, le regole di cui al ricorso dovranno seguire le indicazioni di cui all'art. 15, d.lgs. n. 150/2011, il quale, a sua volta, richiama l'applicazione, dopo l'intervento della Riforma Cartabia, delle regole del rito semplificato di cognizione (artt. 281-decies e ss. c.p.c.).

Con recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha stabilito che avverso il decreto di revoca del pagamento dei compensi al difensore di un soggetto ammesso al gratuito patrocinio non è proponibile il ricorso per cassazione bensì l'opposizione disciplinata dal d.P.R. n. 115/2002, agli artt. 84 e 170, e ha pertanto, previa riqualificazione del ricorso proposto dinanzi alla stessa come opposizione, disposto la trasmissione, ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 5, degli atti al Presidente della Corte d'Appello di Reggio Calabria per la decisione (Cass. IV, n. 8182/2020).

L'opponibilità va calibrata all'oggetto del giudizio, involgente l'an ed il quantum del compenso, e quindi al pregiudizio collegato all'erronea applicazione delle regole disciplinanti tali aspetti.

Legittimati alla proposizione dell'opposizione sono il beneficiario del decreto di liquidazione e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, sulla base della denunciata violazione delle norme disciplinanti il compenso all'ausiliario dalla quale consegue un pregiudizio all'interessato, in applicazione della regola sull'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (Cass. S.U., n. 8516/2012).

In materia di gratuito patrocinio, peraltro, la legittimazione del difensore in proprio è limitata soltanto alla controversia in tema di liquidazione di compensi ma non è configurabile anche con riferimento all'opposizione avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione o di revoca del gratuito patrocinio. In tali casi, infatti, detta legittimazione è riconoscibile al solo interessato, ovvero propriamente alla parte che si vuole avvalere del gratuito patrocinio o che vi è stata ammessa ma il cui beneficio sia stato poi revocato. Tanto si desume, sul piano dell'ermeneutica letterale e sistematica, dal raffronto tra il d.P.R. n. 115/2002, artt. 93 e 99 laddove, nel primo, la legittimazione della presentazione dell'istanza è attribuita all'interessato e al difensore, mentre, nel secondo, essa è conferita alla sola interessata e tale differenziazione trova rispondenza anche nel contenuto degli artt. 112 e 113 dello stesso d.P.R. proprio in materia di revoca del decreto di ammissione al gratuito patrocinio. Il difensore può agire esclusivamente ove il menzionato beneficio non sia venuto meno, per ottenere la liquidazione del compenso eventualmente ad esso spettante ma non può proporre opposizione, in via diretta ed esclusiva, avverso il decreto di revoca, essendo carente di legittimazione ad agire (Cass. II, n. 21438/2022).

Va precisato, inoltre, che nel caso di opposizione alla liquidazione del compenso in favore del difensore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, exartt. 84 e 170 del d.P.R. n. 115/2002, l'ufficio del P.M., benché – come nella specie – abbia attivato il relativo procedimento, non può comunque essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell'ipotesi di soccombenza, trattandosi di organo propulsore dell'attività giurisdizionale cui sono attribuiti poteri, diversi da quelli esercitati dalle parti, di natura meramente processuale, svolti per dovere d'ufficio e nell'interesse pubblico (Cass. VI, n. 35513/2021).

Più problematica la legittimazione passiva.

Le Sezioni Unite della corte hanno affermato che nei procedimenti di opposizione a liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell'erario, quest'ultimo, ai fini della legittimazione passiva, va identificato, non nel pubblico ministero (come invece fatto nella specie dal ricorrente), ma nel ministero della Giustizia (Cass. S.U., n. 8516/2012).

Infatti, il litisconsorzio necessario coll'Agenzia delle Entrate è espressamente previsto solo nelle opposizioni al diniego di ammissione, dove in effetti di solito si dibatte di condizioni di reddito. Infatti, nelle opposizioni al decreto di liquidazione, invece, posto che il procedimento di opposizione ex art. 170, d.P.R. n. 155/2002 presenta, anche se riferito a liquidazioni inerenti ad attività espletate ai fini di giudizio penale, carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale, parte necessaria dei procedimenti suddetti deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento; con la conseguenza, che nei procedimenti di opposizione a liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell'“erario”, anche quest'ultimo, identificato nel Ministero della giustizia, è parte necessaria.

Nelle opposizioni a decreto di diniego di liquidazione, invece, bisogna distinguere a seconda che le motivazioni del diniego attengano a questioni riguardanti il difensore (ad es. l'iscrizione agli elenchi di cui all'art. 81, T.U. Spese di Giustizia) o a questioni riguardanti il reddito della parte ammessa al beneficio, rilevate appena in sede di liquidazione e impropriamente non poste a base di decreto di revoca ma di diniego di liquidazione. Evidentemente solo nel secondo caso ha senso il litisconsorzio coll'Agenzia delle Entrate. In tali ipotesi, sarà quindi opportuno convenire in giudizio sia il Ministero della Giustizia, sia l'Agenzia delle Entrate.

Infine, tenuto conto che l'art. 170, T.U. Spese di Giustizia prevede espressamente la legittimazione attiva del Pubblico Ministero, appare prudente garantire a tale ufficio il contraddittorio anche dal lato passivo e convenire in giudizio anche la Procura della Repubblica competente.

Peraltro, il difensore ha diritto alla liquidazione anche dei compensi relativi all'attività svolta nel procedimento di opposizione al provvedimento di rigetto della domanda di ammissione al beneficio. Per un verso, infatti, il d.P.R. n. 115/2002, non fa decorrere gli effetti dell'ammissione al patrocinio dalla data del relativo provvedimento, bensì da quella in cui è stata presentata la domanda, per l'altro, il medesimo decreto espressamente estende gli effetti dell'ammissione a tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse al procedimento penale, tra le quali deve essere annoverata quella originata dal rigetto della domanda di ammissione (corsivo nostro). (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio, limitatamente alla liquidazione dei compensi per l'attività svolta dal difensore nel procedimento di opposizione, il provvedimento con cui il tribunale aveva accolto l'opposizione avverso il decreto di rigetto compensando tra le parti le spese di lite)” (Cass. III, n. 22757/2018 cc. dep. 22 maggio 2018).

La dicitura “rinuncia ai termini”, apposta in calce al decreto di liquidazione del compenso al custode (nella specie, nominato nell'ambito di un procedimento penale) e dallo stesso sottoscritta equivale a rinuncia all'opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115/2002; in quanto tale, non è atto di rinuncia all'impugnazione, bensì atto di rinuncia all'azione, che non richiede formule sacramentali, non necessita di accettazione della controparte e preclude qualsivoglia attività giurisdizionale diversa dal suo rilievo ufficioso, il cui riscontro, avente l'efficacia di un rigetto della domanda, si risolve in una valutazione in fatto rimessa al Giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità, ove logicamente e congruamente motivata (Cass. VI, n. 15712/2021).

Va segnalato come, secondo la Suprema Corte, l'art. 115 del d.P.R. n. 115/2002 prevede che la liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia, ai sensi dell'art. 13 del d.l. n. 8/1991, conv. dalla l. n. 82/1991, è regolata dalle norme che disciplinano il patrocinio a spese dello Stato, ma solo per quanto riguarda la misura e il procedimento di liquidazione e di opposizione, non per l'individuazione del ministero legittimato passivo nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione; ne consegue che, ove la parte assistita sia una persona ammessa al programma, ancorché provvisorio, di protezione dei collaboratori di giustizia, il Ministero gravato degli oneri economici conseguenti, ivi compresa l'assistenza legale innanzi alla magistratura di sorveglianza, è solo quello dell'Interno che, pertanto, è parte necessaria nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione, anche in punto di condanna al pagamento del compenso, almeno in via solidale con il Ministero della Giustizia (Cass. VI, n. 20611/2021).

Il Giudice competente

La legittimazione passiva del Ministero della Giustizia comporta il problema del Foro Erariale, che per l'Agenzia delle Entrate (che ha la facoltà ma non l'obbligo di farsi assistere dall'Avvocatura dello Stato: art. 72, d.lgs. n. 300/1999) non si pone.

Infatti, per l'opposizione al decreto di liquidazione l'art. 15, d.lgs. n. 150/2011 non deroga espressamente all'art. 6, r.d. n. 1611/1933 che obbliga a convenire le Pubbliche Amministrazioni rappresentate dall'Avvocatura Erariale presso il capoluogo di Distretto, creando così un'ipotesi di competenza funzionale, prevalendo in tal senso, la competenza del Giudice di prossimità (Cass. II, n. 26791/2011).

Il difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato che proponga opposizione avverso il decreto di pagamento dei compensi, contestando l'entità delle somme liquidate, agisce in forza di una propria autonoma legittimazione a tutela di un diritto soggettivo patrimoniale, trattandosi di un giudizio autonomo – avente ad oggetto la controversia relativa alla spettanza e alla liquidazione del compenso – e non consequenziale rispetto a quello svoltosi davanti al Giudice a quo.

Non sussiste quindi alcuna “connessione ontologica tra il contenzioso volto al recupero del compenso professionale e la controversia di base” (Corte cost., n. 96/2008), né può ostare a tale conclusione la previsione secondo cui il ricorso deve essere proposto al “capo dell'Ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento”, atteso che ciò non implica una necessaria coincidenza. In tal senso rileva che il d.lgs. n. 150/2011, art. 15 è certamente volto a valorizzare (così come il previgente d.P.R. n. 115/2002, art. 170) la prossimità organizzativa tra primo decidente e Giudice dell'opposizione, ma sul presupposto che entrambi detti giudici appartengano al medesimo plesso giurisdizionale. Si tratta, insomma, di una norma sulla competenza e non anche sulla giurisdizione, così che ove la giurisdizione sulla causa a quo appartenga ad un Giudice speciale, resta ferma la giurisdizione del Giudice ordinario sulla controversia oggetto dell'opposizione.

Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto: “Spetta al Giudice ordinario la cognizione dell'opposizione proposta, exd.lgs. n. 150/2011, art. 15, avverso il decreto di liquidazione del compenso in favore di un Avvocato per l'attività da lui prestata, nell'interesse di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ancorché la liquidazione debba essere effettuata dal Giudice tributario”. Ne deriva che la declaratoria di inammissibilità impugnata è erronea e che la relativa ordinanza deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Non ci sono problemi interpretativi, quindi, per i decreti di liquidazione (o diniego di liquidazione) emessi dal Tribunale monocratico o dal G.I.P./G.U.P., come pure del Giudice di Pace (per cui è espressamente prevista la competenza del Presidente del Tribunale). Per quelli emessi dalla Corte d'Appello, sarà competente il suo Presidente.

Quando ad emettere l'impugnando decreto è stata la Corte d'Assise, competente a decidere sull'opposizione è il Tribunale – e per essa il suo Presidente – e non già la Corte d'Assise stessa, che del primo costituisce mera articolazione interna (così, Cass. IV, n. 69/2007).

Per le opposizioni a liquidazione di competenze spettanti per l'eventuale fase del Riesame, sarà competente il capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il Giudice titolare della fase o del grado durante i quali il Tribunale del Riesame si è pronunciato (cfr. par. 311).

Un grave problema derivante dalla lacunosità della disciplina della materia è dato dall'individuazione della natura della causa introdotta con l'opposizione al decreto di liquidazione.

Alcune sentenze ritengono che le opposizioni vadano trattate dai giudici che trattano la stessa materia del processo principale nel quale la parte privata è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (penali nel penale, civili nel civile); altre che vadano trattate con rito civile anche da giudici penali; altre ancora che vadano trattate con rito civile da giudici civili anche se il provvedimento impugnato è stato emesso da un Giudice penale.

Come è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, posto che il procedimento di opposizione d.P.R. n. 115/2002, ex art. 170 presenta carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale, parte necessaria dei procedimenti suddetti deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento; con la conseguenza che in tale prospettiva finalistica va letta la previsione di cui al d.P.R. n. 115/2002, art. 170, e che, nei procedimenti di opposizione a liquidazioni inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico deliberano”, anche quest'ultimo, identificato nel Ministero della Giustizia (e non nell'Agenzia delle Entrate), è parte necessaria (Cass. S.U., n. 8516/2012).

La competenza a decidere sulle opposizioni nei confronti dei provvedimenti di liquidazione dell'onorario del difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, dei compensi agli ausiliari dei giudici e delle indennità ai custodi, anche quando emessi nel corso di un procedimento penale, spetta sempre al Giudice civile; con la conseguenza che l'eventuale ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide sull'opposizione va proposto dinanzi alle Sezioni Civili della Corte, nel rispetto dei termini e delle forme del codice di rito civile (Cass. S.U., n. 21555/2014; contra, per l'assegnazione a magistrati penali delle opposizioni a liquidazioni fatte in processi penali, Cass. S.U., n. 759/2006).

Va comunque evidenziato che l'eventuale erroneo incardinamento della causa di opposizione a magistrati addetti alla sezione penale anziché civile comporta mera violazione delle regole di assegnazione degli affari e non determina questione di competenza o di nullità, ma al più conseguenze di natura amministrativa o disciplinare (Cass. S.U., n. 19161/2009).

Inoltre, secondo Cass. VI, n. 11818/2012 Competente a decidere sull'opposizione al provvedimento emesso dal tribunale di sorveglianza, in materia di liquidazione del compenso al difensore che abbia svolto il patrocinio a spese dello Stato, non è il presidente del tribunale di sorveglianza, ma quello del tribunale ordinario della stessa sede, essendo questo l'unico ufficio giudiziario munito di giurisdizione civile, invece, secondo Cass. S.U., n. 6816/2007 la competenza appartiene al Presidente del Tribunale di Sorveglianza.

Di recente, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: “Spetta al Giudice ordinario la cognizione dell'opposizione proposta, exd.lgs. n. 150/2011, art. 15, avverso il decreto di liquidazione del compenso in favore di un Avvocato per l'attività da lui prestata, nell'interesse di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ancorché la liquidazione debba essere effettuata dal Giudice tributario” (Cass. II, n. 3027/2023).

Il regime delle spese di lite

Il regime delle spese di lite dell'opposizione alla reiezione dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – opposizione che, come si è appena osservato sopra, ha natura civile – è più favorevole di quello ordinario del processo civile, basato sul principio di soccombenza.

L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse. La disciplina del patrocinio si applica, in quanto compatibile, anche nella fase dell'esecuzione, nel processo di revisione, nei processi di revocazione e opposizione di terzo, nonché nei processi relativi all'applicazione di misure di sicurezza, di prevenzione e nei processi di competenza del tribunale di sorveglianza, sempre che l'interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico. Tale previsione, comporta in maniera diretta l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato permettendo all'Avvocato del ricorrente di chiedere compensi e rimborso spese a carico dello Stato anche relative alla fase di opposizione al diniego che dovranno essere corrisposte dal Ministero della Giustizia e non dall'Agenzia delle Entrate seppure quale litisconsorte necessario. (in tal senso, Cass. S.U., n. 19161/2009).

In ogni caso, il Giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione.

Appare assorbente, dunque, ritenere come il difensore potrà indicare nella nota spese nei confronti del Giudice del processo penale ai fini della liquidazione ex art. 83, T.U. Spese di Giustizia anche i compensi e le spese (si pensi ad es. al contributo unificato, e ai diritti di copia conforme e di notifica) riferibili al procedimento di opposizione di cui all'art. 99, T.U. Spese di Giustizia.

Invero, tanto la cognizione dei giudici penali sull'opposizione, quanto l'accessorietà della medesima al procedimento penale nel quale era stato emesso il decreto reiettivo impugnato, consentono di ritenere più corretta l'applicazione della decurtazione dei compensi nel limite di 1/3 previsto in materia penale dall'art. 106-bis, T.U. Spese di Giustizia.

Va precisato, peraltro, che in caso di accoglimento del ricorso di opposizione di cui all'art. 99, T.U. Spese di Giustizia, a norma dell'art. 109, T.U. Spese di Giustizia, gli effetti decorrono dalla data in cui l'istanza è stata presentata o è pervenuta all'ufficio del magistrato o dal primo atto in cui interviene il difensore, se l'interessato fa riserva di presentare l'istanza e questa è presentata entro i venti giorni successivi.

Quanto sopra richiamato comporta l'effetto della retroattività degli effetti che permetterà quindi all'Avvocato di chiedere il rimborso delle spese che – nelle more del procedimento di opposizione – avesse dovuto anticipare nel procedimento penale nel quale il beneficio era stato rifiutato (ad es. diritti di copia).

Invece, qualora una prima istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata rigettata o dichiarata inammissibile per un fatto imputabile al richiedente (come nel caso di specie, essendo il diniego dipeso, dapprima, dalla mancata allegazione del documento d'identità e, poi, dalla carenza della documentazione fiscale attestante la situazione reddituale del ricorrente), l'accoglimento della successiva istanza, in difetto di impugnativa del diniego, non può retroagire alla precedente (Cass. VI, n. 35028/2022).

Sarebbe invece corretto fare applicazione della regola dettata dall'art. 75 cit. – e quindi considerare comunque dovute a carico dello Stato le spese di opposizione – ogniqualvolta il diniego di liquidazione sia stato adottato impropriamente, in casi in cui si sarebbe dovuto piuttosto emettere un decreto di revoca dell'ammissione, per motivi attinenti il soggetto ammesso e rilevati tardivamente o sopravvenuti.

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