Richiesta di acquisizione di dati informatici (art. 234-bis)

Riccardo Lottini

Inquadramento

Inquadramento. con il presente atto si chiede l'amissione di prove documentali e informatiche conservate all'estero ai sensi dell'art. 234-bis c.p.p., che siano ammissibili in quanto non vietate dalla legge e neppure manifestamente superflue o irrilevanti, e il loro inserimento nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 515 c.p., in modo da andare a formare il patrimonio conoscitivo utilizzato dal Giudice per la propria decisione. Dati o documenti che devono essere disponibili al pubblico o, in caso non sia disponibili al pubblico, per il loro utilizzo ci sia il consenso del titolare.

Formula

ECC.MO TRIBUNALE DI ...

in composizione ... [1]

Richiesta di acquisizione di dati

(art. 234-bis c.p.p.)

Il sottoscritto Avv. ... [2], nella sua qualità di difensore di fiducia/ufficio del Sig. ..., nato a ... il ..., imputato nel procedimento n. ... / ... R.G.N.R. – n. ... / ... R.G. per la violazione degli articoli ...,

chiede

l'ammissione dei seguenti documenti e/o dati informatici detenuti all'estero:

1) ...;

2) ...;

3) ...;

4) ... .

(indicare la descrizione sintetica del documento che si vuole produrre, se si tratta di documenti o dati disponibili al pubblico. In caso negativo specificare l'esistenza del consenso del legittimo titolare) [3].

(alla richiesta di acquisizione vanno allegati i documenti e i dati informatici che si intende produrre, in originale oppure, se ciò non appare possibile o opportuno, anche in copia; qualora si tratti di documenti o dati non disponibili al pubblico occorre allegare il consenso del legittimo titolare, da veicolare, se possibile, nelle forme di cui agli artt. 391-bis, comma 2 e 391-ter c.p.p.).

Luogo e data ...

Firma ...

1. Una tale richiesta viene formulata qualora si svolga il dibattimento, il Giudice di primo grado sarà dunque il tribunale in composizione monocratica o collegiale, ma anche la Corte di assise o il Giudice di pace o il Giudice di appello (in questo caso qualora sia stata disposta la rinnovazione dibattimentale).

2. La richiesta può provenire dal difensore dell'imputato (come nella formula), ma anche dal Pubblico Ministero o dal difensore delle altre parti processuali (parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato pena pecuniaria).

3. Potrebbe essere auspicabile anche svolgere, con riferimento ad ogni singolo documento, considerazioni che consentano al Giudice di cogliere la non manifesta superfluità e/o irrilevanza dei documento che sono criteri di ammissibilità delle prove ai sensi di quanto disposto dall'art. 190 c.p.p. Nella prassi non sono comunque frequenti le questioni sulla ammissibilità dei documenti o quanto meno i giudici, anche se ci sono questioni, tendono alla loro ammissione, salva ogni questione sulla rilevanza specifica ai successivi approfondimenti. Molto più frequenti questioni in ordine alla natura di documento dell'atto.

Commento

La prova documental e

La definizione di documento viene offerta dall'art. 234 c.p.p. secondo il quale «È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo».

La nozione è molto ampia ricomprendendo, dunque, qualunque supporto materiale dotato di capacità rappresentativa.

Un limite, per così dire interno, viene dato dalla necessità di distinguere il “documento”, da un lato, riconducibile nell'ambito applicativo di cui all'art. 234 c.p.p., dalla “documentazione di un atto del procedimento”, atto del procedimento che, se formato in sede di indagine, invece, in virtù del principio di separazione delle fasi proprio del sistema processuale accusatorio, non può trovare ingresso nel fascicolo del dibattimento, se non nei limiti di cui agli artt. 511,511-bis, 512,512-bis, 513 e 514 c.p.p.

Non sono dunque documenti quegli atti che non si siano formati al di fuori (non necessariamente prima, ma al di fuori) del procedimento e con i quali un soggetto del procedimento, dotato di specifici poteri investigativi, vuole trasmettere conoscenza a un altro soggetto del procedimento, affinché quest'ultimo compia un ulteriore atto del procedimento (così testualmente Corbo, Trattato di procedura penale. Prove e misure cautelari, 2, tomo I, a cura di Scalfati, Milano, 2009; si veda in motivazione Cass. S.U., n. 26795/2006).

Nella prassi, sulla base di queste premesse, nonostante l'opposizione delle difese o comunque di una parte processuale, sono stati ritenuti documenti, ai sensi dell'art. 234 c.p.p.: le videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro a opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale (Cass. II, n. 4367/2017), oppure da telecamere poste all'interno e all'esterno dell'ufficio postale (Cass. II, n. 28367/2017), le dichiarazioni rese dal fallito al curatore o al Giudice delegato, nonché la relazione del curatore fallimentare nel suo complesso (v. rispettivamente Cass. V, n. 12388/2017; Cass. V, n. 27898/2016; Cass. V, n. 24114/2012; ma per la natura di documento della relazione del curatore anche Corte cost., n. 136/1995), i messaggi whatsapp e gli SMS conservati nella memoria del telefono e già letti (v. Cass. V, n. 1822/2017 che ha ritenuto non rientrare gli stessi nella nozione di corrispondenza, essendo la corrispondenza solamente quella in itinere), la consulenza tecnica depositata nel processo civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato (Cass. III, n. 15431/2017), la registrazione di colloqui di iniziativa esclusiva della persona offesa (v. Cass. VI, n. 422/2017; v. anche art. 617-septies c.p.p. introdotto dal d.lgs. n. 216/2017; si discute se invece le registrazioni d'intesa con la p.g. siano anch'esse documenti: v. in senso negativo Cass. IV, n. 48084/2017; in senso positivo Cass. VI, n. 53375/2017).

Seppure se ne sia discusso, purché formati al di fuori del procedimento, rientrano nel concetto di documento anche quelli a contenuto dichiarativo (v. da ultimo Cass. III, n. 3397/2016).

Non possono essere acquisiti documenti che contengono voci correnti nel pubblico (v. art. 234, comma 3) e il documento anonimo (art. 240 c.p.p.), il quale non soltanto non costituisce elemento di prova, ma neppure integra notitia criminis, e pertanto del suo contenuto non può essere fatta alcuna utilizzazione in sede processuale, l'unico effetto può essere quello di stimolare l'attività di iniziativa del Pubblico Ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possono ricavarsi gli estremi utili per l'individuazione di una notitia criminis (così Cass. IV, n. 39028/2016).

I documenti possono essere prodotti in originale, ma anche in copia. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo, più di una volta, di precisare che non esiste alcuna norma processuale che richieda la certificazione ufficiale di conformità per l'efficacia probatoria delle copie fotostatiche, al contrario il principio di libertà non impedisce alla copia di avere piena efficacia probatoria quando è idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti presentati, anche al di fuori dei casi di cui all'art. 234, comma 2, c.p.p. (Cass. II, n. 18229/2018; Cass. V, n. 8736/2018).

L'acquisizione della prova documentale deve avvenire nel rispetto dei criteri di ammissibilità di cui all'art. 190 c.p.p. (manifesta superfluità e rilevanza). Si ritiene tuttavia che non incontri i limiti temporali delle prove dichiarative che devono essere, pena inammissibilità, inserita nelle liste di cui all'art. 468 c.p.p., da depositare sette giorni prima dell'apertura del dibattimento. I documenti, dunque, possono essere prodotti in qualunque momento (v. da ultimo Cass. II, n. 48861/2009).

L'art. 495, comma 3, c.p.p. prevede che, prima che il Giudice provveda sulla domanda, le altre parti abbiano facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione.

I documenti sono così inseriti nel fascicolo del dibattimento (art. 515 c.p.p.).

Acquisizione di documenti e di dati informatici

L'art. 234-bis c.p.p., introdotto dall'art. 2, l. n. 43/2015 (c.d. decreto antiterrorismo), prevede che è sempre consentita l'acquisizione di dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, dal legittimo titolare, senza ciò la necessità di dover far ricorso alle rogatorie internazionali.

La disposizione, che trova il suo fondamento di diritto internazionale nella Convenzione di Budapest del 2001, contempla i dati informatici disponibili al pubblico che sono quelli consultabili da parte o comunque messi a disposizione di una pluralità indistinta di persone, sia attraverso l'utilizzo di internet che con altre modalità, hardware o software. Vi rientrano, a titolo di esempio, i dati relativi ai profili pubblici dei social network, il contenuto di un sito web o un blog, le fotografie pubblicate su piattaforme di condivisione, i messaggi lasciati online nei gruppi di discussione pubblici.

I dati diversi da quelli pubblici invece possono essere utilizzati purché vi sia il consenso del titolare.

Si pone il problema, non ancora sufficientemente approfondito sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, di come veicolare il consenso dell'avente diritto all'interno del procedimento. La forma migliore dovrebbe essere quella attraverso una dichiarazione acquisita ai sensi degli artt. 391-bis, comma 2 e 391-ter c.p.p.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario