Opposizione al diniego di autorizzazione all'esame da parte del consulente tecnico di quanto oggetto di sequestro o ispezione (art. 233, comma 1-bis)Inquadramentosi tratta dell'atto con cui il difensore si oppone al provvedimento di diniego all'autorizzazione ad esaminare, da parte del consulente tecnico, le cose oggetto di sequestro o ispezione pronunciato dal P.M. a seguito di richiesta del difensore stesso. FormulaALL'ECC.MO GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI PRESSO IL TRIBUNALE DI ... [1][2] Opposizione al diniego di autorizzazione all'esame da parte del consulente tecnico di quanto oggetto di sequestro o di ispezione (art. 233, comma 1-bis, c.p.p.) Il sottoscritto Avv. ..., nella sua qualità di difensore del Sig. ..., nato a ... il ..., indagato [3] nel procedimento n. ... / ... R.G.N.R. per la violazione degli articoli ..., premesso che - lo scrivente difensore, in data ... (inserire data), aveva chiesto al Pubblico Ministero di autorizzare il consulente tecnico dell'indagato, nominato con atto depositato in data ... (indicare la data), ad esaminare ... (indicare il bene di cui si tratta) oggetto di sequestro disposto dal P.M. (v. all. n. 1); - la richiesta di autorizzazione era stata giustificata dalla necessità di ... (indicare quali sono le finalità dell'esame in relazione alle esigenze difensive dell'indagato); - il Pubblico Ministero, in data ... (indicare la data), ha pronunciato decreto con cui ha rigettato la richiesta di autorizzazione, motivando la sua decisione (sintetizzare la motivazione del P.M.). considerato Il diniego dell'autorizzazione non può dirsi giustificato in quanto ... (indicare le ragioni per cui si ritiene non giustificato il diniego del Pubblico Ministero, sottolineando in particolare quali sono le esigenze difensive che si vuole soddisfare con l'esame, evidenziando al contempo come tale esame non pregiudica le esigenze che il sequestro vuole salvaguardare); ciò premesso e considerato Il sottoscritto Avv. ..., nella sua qualità di difensore del Sig. ..., propone opposizione al decreto pronunciato dal P.M. in data ... (indicare data) con cui ha rigettato la richiesta di autorizzazione chiede alla S. Ill.ma di voler dunque autorizzare il consulente tecnico dell'imputato ... (inserire titolo, ad es. Prof., Ing., e nominativo) nominato con atto depositato il giorno ... ad esaminare ... (indicare l'oggetto) che è stato oggetto di sequestro disposto con decreto del ... (indicare l'Autorità giudiziaria che lo ha disposto) emesso in data ... (indicare la data), attualmente custodito ... (indicare quale è il luogo di attuale custodia). Con ogni ossequio. Luogo e data ... Firma ... Si allega: 1. Decreto di rigetto del P.M. del ... (inserire la data); 2. Verbale di sequestro. 1. Sicuramente il Giudice al quale formulare l'opposizione è il G.I.P. che decide sul diniego pronunciato dal P.M. Si discute se una tale opposizione possa essere formulata anche a seguito del diniego del Giudice. La dottrina è divisa, mentre la Suprema Corte tende a negare che sia ricorribile il provvedimento di diniego emesso da soggetto diverso dal P.M. 2. Occorre ricordare che nel momento in cui entrerà a pieno regime la disciplina introdotta con il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia) il deposito degli atti scritti dovrà avvenire esclusivamente con modalità telematiche nel rispetto della normativa che verrà dettata con decreti del Ministero della Giustizia. Il deposito del documento analogico rappresenterà l'eccezione. Attualmente, in attesa della piena entrata in vigore della Riforma, che richiede decreti attuativi del Ministero (il nuovo regime entrerà in vigore trascorsi 15 giorni dall'emanazione di detti decreti), il deposito cartaceo da parte degli avvocati è ancora consentito per atti diversi da quelli che devono essere depositati con il P.D.P. (come si ricava dal persistere del vigore, nel regime transitorio, delle vecchie formulazioni degli artt. 110 e 116, comma 3-bis, c.p.p.: v. art. 87, comma 4, d.lgs. n. 150/2022 e del posticipo dell'entrata in vigore del nuovo art. 111-bis c.p.p. trascorsi 15 giorni dall'emanazione dei decreti del Ministero della Giustizia, nonché dall'art. 87, comma 5 che posticipa l'entrata in vigore degli artt. 111, commi 2-bis, 2-ter e 2-quter, 111-bis, 111-ter c.p.p., 122, comma 2-bis). In via transitoria, ai sensi dell'art. 87-bis, d.lgs. n. 150/2022, il deposito è possibile anche mediante invio di posta elettronica certificata all'indirizzo indicato dal Direttore generale per i sistemi informatici automatizzati, che ne specifica anche le modalità tecniche. Come è noto, lo scorso 4 luglio 2023 in attuazione dell'art. 87 comma 6-bis d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 è stato emanato dal Ministro della giustizia un decreto che ha allargato il catalogo degli atti che devono essere necessariamente depositati dai difensori attraverso il Portale di deposito telematico. Ciò vale per tutti gli Uffici giudiziari ad eccezione della Procura presso il Tribunale per i minorenni, il Tribunale per i minorenni, il Tribunale di sorveglianza e la Corte di Cassazione e le fasi della esecuzione penale e quella disciplinata dal libro XI del codice di rito (intitolato rapporti giurisdizionali con autorità straniere). Il deposito deve avvenire con le modalità dettate con il provvedimento del diretto generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero dell'11 luglio 2023 e non vale per il deposito in udienza che potrà dunque continuare con le modalità tradizionali. Le novità dovevano entrare in vigore il 20 luglio 2023, ma la medesima è stata posticipata a fine anno. L'atto in parola rientrava tra gli atti contemplati dal decreto ministeriale del 4 luglio 2023 (art. 1 n. 27 d.m. 4 luglio 2023). 3. L'opposizione può provenire dal difensore di una parte privata. Tale è sicuramente l'indagato/imputato. Ci si chiede se nelle indagini preliminari possa fare la richiesta, e dunque presentare anche l'opposizione, il difensore della persona offesa che, allo stato, è solo parte potenziale. CommentoLa figura del consulente tecnico e la sua nomina: modi e tempi Una figura fondamentale contemplata dal codice di rito per garantire il diritto di difesa su questioni che richiedono conoscenze specialistiche è quella del consulente tecnico che è stato definito, dalla Corte costituzionale, parte integrante dell'ufficio di difesa (v. Corte cost., n. 33/1999). A differenza di quanto previsto dalla giurisprudenza formatasi sotto il vigore del codice del 1930, che ammetteva l'intervento del consulente solamente nel caso in cui fosse disposta perizia, l'attuale ordinamento processualpenalistico consente la nomina sia nel caso in cui sia disposto il mezzo di prova di cui all'art. 220 c.p.p. (l'art. 225 prevede che ciascuna parte possa nominare un numero di consulenti non superiore al numero dei periti), sia nel caso in cui la perizia non sia stata disposta (v. art. 233 che prevede la nomina di massimo due consulenti tecnici per parte). Una tale facoltà spetta a tutte le parti processuali, sia pubbliche che private. Si ritiene che in ambito extra peritale titolare di detta facoltà sia anche la persona offesa, come si evincerebbe dall'art. 233, comma 1-bis in cui si ammette la nomina del consulente anche prima dell'esercizio dell'azione penale e quindi in un momento in cui qualunque soggetto processuale è solo parte potenziale (v. Focardi, Sempre più effettivo il diritto di difesa mediante esperti, in Filippi (a cura di), Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova, 2001). La nomina del consulente può dunque avvenire in qualunque momento, anche già nella fase delle indagini preliminari, e non richiede particolari formalità, tanto nel caso in cu sia disposta perizia o meno. Si ritiene che si applichi l'art. 96, comma 2, c.p.p. (Frigo, Il consulente tecnico della difesa nel processo penale, in Cass. pen., 1988) e quindi sia sufficiente una dichiarazione portata a conoscenza della autorità giudiziaria procedente, oralmente se formulata in presenza di quest'ultima, oppure per iscritto e depositata nella segreteria o cancelleria. La nomina può essere fatta personalmente dall'interessato (e in questo caso non dovrebbe essere necessaria l'autentica della sottoscrizione, come pacificamente ritenuto per la nomina del difensore: v. ex multisCass. V, n. 8205/2018) oppure dal difensore a cui competono le facoltà che la legge riconosce all'imputato, a meno che siano riservate personalmente a quest'ultimo (v. art. 99, comma 1, c.p.p.). Con riferimento alla nomina del difensore, si ritiene che le forme indicate dall'art. 96, comma 2, c.p.p. non siano tassative, ma che la designazione del legale possa essere desunta anche per facta concludentia (v. da ultimo Cass. VI, n. 54041/2017). La stessa regola non si vede perché non debba valere anche per il consulente, purché sia certa la volontà dell'interessato. Non sono previsti limiti temporali per la nomina. Nella prassi accade spesso che il difensore della parte privata, all'atto del conferimento dell'incarico al perito, si riservi la nomina del consulente e che il Giudice che procede, autorizzi la nomina fino all'inizio delle operazioni peritali, quando questo non sia contestuale con il conferimento. In realtà si tratta di una limitazione che non trova riscontro nel codice, come si desume dalla disposizione di cui all'art. 230, comma 3, c.p.p. secondo il quale se i consulenti vengono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, gli stessi possono essere autorizzati dal Giudice ad esaminare la persona, la cosa o il luogo oggetto di perizia. Se ne ricava che se la nomina interviene in corso di operazioni peritali ben può il consulente intervenire ai sensi dell'art. 230, comma 2, c.p.p. (v. anche Cass. I, 23 novembre 1993). Unico limite è che la nomina dei consulenti tecnici e il compimento delle loro attività non può in ogni caso ritardare l'esecuzione della perizia (v. art. 230, comma 4, c.p.p.). Conformemente a ciò, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che in tema di perizia disposta in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello, il diritto all'ammissione del consulente tecnico a prova contraria non deve essere esercitato entro un termine previsto a pena di decadenza e non è subordinato alla precedente nomina in sede di conferimento dell'incarico peritale ex art. 225, ma solo a condizione che la richiesta venga effettuata prima della chiusura dell'istruttoria oggetto di rinnovazione dibattimentale (così Cass. VI, n. 40750/2016). Occorre ricordare che non può essere nominato consulente chi si trovi in alcune delle situazioni di cui all'art. 222: a) minorenne, interdetto, affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio della professione; c) chi è sottoposto a misure di sicurezza o a misure di prevenzione; d) chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o interprete. Le attività del consulente in caso di perizia Nel caso in cui sia disposta la perizia, le attività che il consulente può porre in essere sono indicate dall'art. 226, comma 2 e 230 c.p.p., disposizioni che attribuiscono allo stesso un ruolo fin dalle fasi preliminari. La prima delle due norme, infatti, prevede che il Giudice formuli il quesito peritale dopo aver sentito, oltre ai difensori e al P.M., anche i consulenti tecnici, se presenti. La seconda, invece, consente ai consulenti nominati di assistere all'incarico del perito e presentare al Giudice richieste, osservazioni e riserve delle quali deve fatta menzione nel verbale. Secondo l'impostazione prevalente l'art. 230, comma, 1 c.p.p. specificherebbe lo specifico apporto dei consulenti in sede di formulazione dei quesiti (cfr. Cass. V, n. 35468/2003; Cass. I, n. 11867/1995). I consulenti hanno anche diritto di partecipare allo svolgimento delle operazioni peritali, compiendo sia attività deduttiva, formulando cioè “osservazioni” e “riserve”, che propulsiva, proponendo anche “specifiche indagini” (v. art. 230 comma 2 c.p.p.; la dottrina ritiene purché però nell'ambito dei limiti del quesito fissati dal Giudice: v. Riviello, La prova scientifica, Torino, 2014). A differenza del codice previgente, che prevedeva che le comunicazioni tra consulenti e periti si svolgessero attraverso il filtro del Giudice, il codice attuale ha invece voluto creare un dialogo continuo e diretto tra le due figure, nel cui ambito un soggetto, portatore di un interesse di parte, esprime il proprio parere nei confronti di colui che ha un ruolo imparziale, nella convinzione che una tale impostazione, basata sul valore euristico del confronto, sia preferibile rispetto a quella propria dei modelli legislativi volti a imporre invece un approccio unilaterale alla prova scientifica, limitata all'esclusivo apporto del perito (Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993). Qualora, invece, la nomina dei consulenti avvenga ad operazioni peritali concluse, questi hanno la possibilità di esaminare la relazione del perito e di essere autorizzati dal Giudice a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia (art. 230, comma 3, c.p.p.) Occorre sottolineare come in alcuni casi la Corte di Cassazione abbia avuto un approccio riduttivo nell'interpretare tali disposizioni, come quando ha spiegato che, in sede di accertamento peritale sulle condizioni psicopatologiche dell'imputato, non sussiste nullità nel caso in cui non sia consentito ai consulenti di parte di esaminare direttamente la persona, facoltà che viene riconosciuta solo se la nomina del consulente avviene dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, essendo invece sufficiente che il consulente stesso sia messo in condizioni di poter formulare osservazioni e riserve (Cass. I, n. 35187/2002 in cui non sono stati ravvisate violazione dell'art. 230 posto che i consulenti potevano partecipare all'esame mediante un videocitofono che consentiva di ascoltare domande e risposte e di formulare le osservazioni; si veda anche Cass. III, n. 42984/2007 che ha ritenuto non sussistesse alcuna nullità nella circostanza che il perito abbia preteso di esaminare un minore persona offesa di un delitto di violenza sessuale, in assenza dei consulenti di parte). I consulenti tecnici non possono procedere, direttamente, al controesame del perito (Cass. II, n. 6381/2005), possono però assistere il difensore nell'esame dei testimoni e del perito (non valendo per gli stessi il divieto che l'art. 149 disp. att. pone per il testimone). L'eventuale provvedimento del Giudice diretto a negare al difensore l'autorizzazione a farsi assistere dal proprio consulente, dà luogo a una nullità a regime intermedio che deve essere immediatamente dedotta (Cass. III, n. 35702/2009; Cass. III, n. 25592/2009). L'attività del consulente nel caso in cui non sia stata disposta perizia Quando non è disposta perizia, le parti possono nominare consulenti in misura non superiore a due. Il numero massimo va riferito ai singoli temi di indagine tecnico-scientifica o, quanto meno, ai singoli campi di esperienza specialistica (Focardi, Sempre più effettivo il diritto di difesa mediante esperti, cit.). Il consulente tecnico, dice l'art. 233, comma 1, c.p.p., può esporre al Giudice il proprio parere, anche presentando memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p. A fronte di un indirizzo, più risalente e attualmente da considerarsi minoritario, questa disposizione riconoscerebbe al consulente una funzione prevalentemente sollecitatoria, al fine di convincere il Giudice a disporre la perizia (Bielli, Periti e consulenti tecnici nel nuovo processo penale, in Giust. pen., 1991). Per un secondo indirizzo, invece, avallato anche da un'importante sentenza della Corte costituzionale (Corte cost., n. 33/1999 cit.), la consulenza sarebbe uno strumento alternativo alla perizia, al quale ciascuna parte può ricorrere in attuazione di un suo potere dispositivo, al fine di veicolare all'interno del procedimento il proprio contributo tecnico-scientifico (così Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, cit.; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2017). La Consulta aderisce a questo indirizzo quando spiega come la consulenza tecnica extraperitale sia suscettibile di assumere un valore probatorio pieno, ben potendo il Giudice, anche in assenza dello strumento di cui all'art. 220 c.p.p., desumere dalla consulenza stessa elementi di prova, non essendo vincolato a nominare un perito quando le conclusioni dell'esperto di parte gli appaiono oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti (così in motivazione Corte cost., n. 33/1999 cit.; si vedano anche Cass. VI, n. 48379/2008; Cass. III, n. 8377/2008). Le scarse indicazioni fornite dal legislatore in ordine alla attività del consulente nominato in assenza di una perizia vengono lette da una parte importante della dottrina come una precisa volontà di non porre particolari vincoli, lasciando che il legame tra la parte e il consulente sia regolato dai rapporti interni intercorrenti tra tali soggetti, consentendo così alla parte di avvalersi dell'esperto tutte le volte in cui all'interno del procedimento emergono circostanze che richiedono competenze specialistiche (Riviello, La prova scientifica, cit.). L'autorizzazione a esaminare le cose sequestrare e a intervenire alle ispezioni Un'importante novità è stata introdotta con la l. n. 397/2000 che all'art. 233 ha aggiunto il comma 1-bis, secondo il quale «Il Giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano, ad intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto». Nel corso delle indagini preliminari, l'autorizzazione viene concessa dal P.M. Con riferimento alla possibilità di “esaminare” le cose sequestrate o che sono state oggetto di ispezione (evidentemente non sequestrate, altrimenti la previsione sarebbe superflua), in dottrina si ritiene che l'espressione debba essere intesa non in senso eccessivamente restrittivo, nel senso che consenta al consulente di parte esclusivamente di osservare, ma si sottolinea come la norma autorizzi anche a compiere ulteriori attività che possono anche consistere nella manipolazione del bene, purché però non si pongano in essere delle alterazioni irreversibili, altrimenti si dovrebbe ricorrere allo strumento di cui all'art. 391-decies c.p.p. (Focardi, La consulenza tecnica, cit.). L'art. 233, comma 1-ter, c.p.p., a tal proposito, prevede che l'autorità giudiziaria impartisca le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato e dei luoghi e il rispetto delle persone. La casistica offerta dalla prassi ha portato la giurisprudenza di merito a spiegare che l'art. 233, comma 1-bis consente al consulente anche il prelievo di campioni per farli esaminare, sempre che ciò non comporti l'irripetibilità dell'operazione (Trib. La Spezia 26 maggio 2004). Riguardo alla facoltà di intervenire alle ispezioni, si ritiene che l'accezione debba essere intesa in modo molto ampio come possibilità di partecipare a tutte le indagini aventi contenuto tecnico-specialistico (Focardi, La consulenza tecnica, cit.). Con riferimento al procedimento autorizzativo, occorre evidenziare come il legislatore abbia utilizzato l'espressione “può autorizzare” ammettendo come il relativo potere sia discrezionale. In dottrina si ritiene che, in linea di massima, l'autorizzazione possa essere negata con una motivazione che individui in modo specifico il pericolo di abuso del potere (alterazione irreversibile di luoghi o cose, attività che ledono la dignità della persona), escludendo che si possa sindacare la qualificazione e la capacità tecnica degli esperti nominati dalle parti private (Liani Giarda, Sub art. 233 B), in Giarda-Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, I, Milano, 2017 la quale ammette però che il Giudice possa negare l'autorizzazione, se ritiene che l'attività richiesta non necessiti di competenze specialistiche). I rimedi contro il diniego di autorizzazione ad esaminare le cose sequestrate e a intervenire alle ispezioni: l'opposizione al decreto del P.M. L'ultimo periodo dell'art. 233, comma 1-bis prevede che contro il decreto che nega l'autorizzazione si possa proporre opposizione al Giudice che provvede nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p. Nessun problema nel caso in cui il diniego provenga dal P.M., essendo il G.I.P. il Giudice chiamato a decidere sull'opposizione con provvedimento, eventualmente, ricorribile in cassazione (cfr. per la ricorribilità in cassazione Cass. S.U., n. 9857/2008). Ciò sui cui si discute è quale forma di rimedio spetti al difensore della parte privata che si veda respinta la richiesta di autorizzazione presentata dopo l'esercizio dell'azione penale da parte del Giudice che procede. A fronte di divisioni in dottrina, la giurisprudenza si è pronunciata nel senso della inoppugnabilità del provvedimento con cui il Giudice rigetti la richiesta del difensore dell'imputato di autorizzare il proprio consulente tecnico ad esaminare il corpo del reato, (v. Cass. V, n. 17349/2012 rispetto alla quale occorre però evidenziare come il caso fosse particolare, trattandosi di richiesta avanzata dopo la pronuncia della sentenza di appello e l'accertamento, secondo il contenuto del provvedimento di diniego, avrebbe potuto creare una alterazione irreversibile del bene sequestrato). |