Richiesta d'impugnazione formulata al P.M. della parte civile o della persona offesa (art. 572)

Alessandro Diddi

Inquadramento

La richiesta di impugnazione della persona offesa e della parte civile al Pubblico Ministero non esige formalità particolari.

Essendo essa una sollecitazione di poteri che appartengono ex lege al soggetto legittimato, l'art. 572 c.p.p. non prevede requisiti a pena di inammissibilità.

Cionondimeno, proprio perché costituisce la sollecitazione all'esercizio di un potere che appartiene al Pubblico Ministero, l'atto deve ricalcare le forme dell'atto di impugnazione che si vuole sollecitare.

La richiesta in questione può essere diretta a ottenere sia un appello che un ricorso per cassazione e dovrà indicare i capi ed i punti che si ritiene che il Pubblico Ministero debba impugnare nonché le motivazioni per le quali si ritiene di non condividere la decisione.

Posto che a seguito della sollecitazione de qua il Pubblico Ministero deve, a sua volta, proporre impugnazione rispettando i termini di cui all'art. 585 c.p.p., non basta che la richiesta sia presentata entro il termine contemplato dal citato articolo, in quanto occorre dare al magistrato il tempo necessario a predisporre l'atto di impugnazione.

Si rammenta, infatti, che secondo la giurisprudenza è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l'atto di appello proposto dal Pubblico Ministero a richiesta della parte civile, ai sensi dell'art. 572 c.p.p., nel quale il P.M. si limiti ad esprimere condivisione per le censure contenute nella predetta richiesta, senza indicare le ragioni del proprio dissenso dalla sentenza impugnata (Cass. V, n. 41782/2016 che, in motivazione, ha anche precisato che il requisito di specificità può dirsi rispettato qualora nell'atto di appello siano trascritte, testualmente e per esteso, le doglianze contenute nell'istanza della parte civile, ma non nell'ipotesi di un rinvio per relationem a queste ultime; nello stesso senso, Cass. IV, n. 14014/2015 che, invece, ha ritenuto ammissibile l'appello del Pubblico Ministero, il quale trascriva nel proprio atto d'appello, testualmente e per esteso, le censure proposte dalle parti civili nella richiesta allo stesso presentata ai sensi dell'art. 572 c.p.p., risultando così rispettato il requisito di specificità dei motivi (in motivazione la S.C. ha sottolineato la differenza dell'ipotesi in esame con quella in cui l'appello del Pubblico Ministero si limiti a rinviare per relationem alle censure mosse dalla parte civile nella propria impugnazione, senza indicare le ragioni del dissenso sulla sentenza appellata).

Formula

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI....

RICHIESTA D'IMPUGNAZIONE FORMULATA AL P.M. DELLA PARTE CIVILE O DELLA PERSONA OFFESA

***

Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., difensore e procuratore speciale di.... costituita parte civile/persona offesa/ente associazione intervenuta ai sensi degli artt. 93 e 94 c.p.p., nel proc. n..... /.... a carico di.....

PREMESSO

– Che in data veniva pronunciata sentenza con la quale.... [1] ;

– Che tale sentenza non tutela gli interessi della parte civile/persona offesa/ente e/o associazione costituita,

chiede che sia proposta impugnazione ad ogni effetto penale avverso la sentenza sopra richiamata ed in particolare i punti relativi.... riferiti ai capi.... per i seguenti motivi [2] :

Luogo e data....

Firma....

[1]Occorre indicare il dispositivo.

[2]Sebbene l'art. 572 c.p.p. non richieda che la richiesta debba essere redatta seguendo le forme dell'art. 581 c.p.p., sembra opportuno predisporre l'atto seguendo lo schema generale previsto per l'impugnazione.

Commento

Nel processo penale possono trovare ingresso anche interessi diversi da quelli strettamente collegati alla pretesa punitiva. Ai sensi dell'art. 185 c.p., infatti, ogni reato obbliga l'imputato alle restituzioni nonché al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale secondo le norme civili. Sempre ai sensi dell'art. 185 c.p. dei danni possono essere chiamati a rispondere anche persone terze che, a norma delle leggi civili debbono rispondere per il fatto dell'imputato.

Ai sensi dell'art. 74 c.p.p. il soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero i suoi successori universali, possono esercitare nel processo penale l'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento nei confronti dell'imputato e del responsabile civile.

La parte civile, poi, una volta costituita può chiedere ed ottenere la citazione del responsabile civile per il fatto dell'imputato.

Qualora nel processo penale si inserisca anche l'azione civile, ai sensi dell'art. 538 c.p.p. il Giudice penale, quando pronuncia sentenza di condanna, decide anche sulle domande risarcitorie le quali danno luogo ad un autonomo capo e l'imputato, ai sensi del combinato degli artt. 573 e 574 c.p.p., può proporre impugnazione contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno oltre che contro quelli relativi alla refusione delle spese processuali a favore della parte civile stessa.

Va ricordato, sul punto, che in questi casi, l'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale.

Nel caso in cui la sentenza che conclude il primo grado sia di proscioglimento (per una qualunque delle ipotesi previste dagli artt. 529 e ss. c.p.p.), per effetto di quanto prescrive l'art. 538 c.p.p., il Giudice non può pronunciare sulla domanda proposta dalla parte civile nemmeno nell'ipotesi in cui il fatto, pur non potendo dare luogo a responsabilità penale, potrebbe tuttavia costituire fonte di responsabilità civile (si pensi alle ipotesi di condotte che, per integrare la fattispecie, richiedano il dolo e che il Giudice penale ritenga essere state poste in essere con colpa). In tali evenienze alla parte civile verrebbe preclusa la possibilità di ottenere in sede penale tutela dei propri diritti se non fossero previsti adeguati mezzi di impugnazione. L'art. 576 c.p.p., a tale riguardo, prevede che la parte civile possa proporre impugnazione sia contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (vale a dire nel caso in cui la sua domanda non abbia trovato pieno accoglimento) sia contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. In questi casi, l'art. 576 c.p.p. prevede che l'impugnazione produca effetti solo ai fini della responsabilità civile. Il vigente codice di rito, infatti, esclude che possa essere intaccato l'accertamento penale, in mancanza di impugnazione del P.M., ma non esclude che, in accoglimento dell'impugnazione della sola parte civile, si rinnovi l'accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per fatto illecito e di ottenere un diverso accertamento che rimuova quello preclusivo del successivo esercizio dell'azione civile o, comunque, pregiudizievole per i suoi interessi civili e ciò all'evidente fine di rendere effettivi i diritti della vittima del reato anche in fase di impugnazione.

Quel che deve essere tenuto ben presente, è costituito dal fatto che l'impugnazione, sebbene presupponga l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, quale logico presupposto della sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, non può condurre, ove accolta, ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in mancanza dell'impugnazione del P.M.

Come affermato anche di recente dalla Corte, si può, quindi, affermare che la normativa processuale vigente ha scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale: l'impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del Giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il Giudice dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato, e dunque sulla responsabilità dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto (Cass. II, n. 52195/2016).

L'unico caso in cui alla parte civile è data la possibilità di impugnare con effetti anche penali è quello previsto dall'art. 38, d.lgs. n. 274/2000 vale a dire quello del ricorrente ai sensi dell'art. 21 del medesimo decreto il quale è legittimato a proporre impugnazione anche agli effetti penali contro la sentenza di proscioglimento del Giudice penale negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del Pubblico Ministero.

È controverso se, in caso di accoglimento dell'impugnazione della parte civile avverso una sentenza di proscioglimento, la Corte possa condannare a fini civilistici l'imputato ovvero possa limitarsi a rimuovere gli effetti preclusivi e vincolanti ai sensi degli artt. 652 e ss. c.p.p.

Sul tema dei poteri di impugnazione della parte civile si registrano, infatti, plurimi interventi della Corte di Cassazione la quale sebbene abbia affermato il diritto della parte civile ad ottenere attraverso l'appello l'eliminazione di conseguenze giuridiche negative per la propria posizione pur nell'impossibilità di una statuizione di condanna, non ha definito esattamente cosa la stessa potrebbe ottenere attraverso l'impugnazione.

In base ad un primo indirizzo, si è affermato che non è inammissibile l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione (nella specie perché il fatto non sussiste) – non impugnata dal P.M. – anche se sia rilevata l'estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, in quanto la previsione di cui all'art. 576 c.p.p., che conferisce al Giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, introdurrebbe una deroga all'art. 538 c.p.p. legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al Giudice dell'impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Secondo tali orientamenti, non sussisterebbe un difetto di giurisdizione civile del Giudice penale dell'impugnazione perché, diversamente dall'art. 578 c.p.p. – che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno – l'art. 576 c.p.p. presupporrebbe una sentenza di proscioglimento (Cass. V, n. 3670/2010).

Secondo altro e più recente indirizzo, invece, poiché ai sensi dell'inequivocabile disposto dell'art. 538, comma 1, c.p.p. solo «quando pronuncia sentenza di condanna, il Giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno», alcuna pronuncia di condanna al risarcimento dei danni può essere adottata dal Giudice (di primo come di secondo grado), ove la pronuncia conclusiva del giudizio sia di assoluzione ovvero declaratoria di non doversi procedere per estinzione del reato causata da intervenuta prescrizione. La inderogabile tassatività delle formule del dispositivo è disciplina contenuta negli artt. 529-530 e 531 c.p.p. che individuano tutte le formule di proscioglimento e dall'art. 533 c.p.p. che per converso individua la sentenza di condanna dell'imputato; ne deriva ritenere che avendo l'art. 538 cit. fatto riferimento esplicito alla sentenza di condanna quale presupposto inderogabile per l'emissione di statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, la sentenza di assoluzione ovvero di estinzione del reato per prescrizione non può contenere alcuna statuizione analoga.

Solo nel caso in cui nei confronti dell'imputato sia stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e nelle more del giudizio di impugnazione sia sopravvenuta una causa di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, ai sensi dell'art. 578 c.p.p. (ed in deroga a quanto prevede l'art. 538 c.p.p.), il Giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel riformare la sentenza possono decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Al di fuori di questo caso, come osservato dalla Corte, poiché l'art. 538 c.p.p., comma 1, impedisce al Giudice di primo grado di deliberare sulla domanda civile al di fuori dei casi di condanna, del tutto asistematica sarebbe la previsione che un tal potere di deliberazione fosse invece riconosciuto al Giudice dell'impugnazione. In altri termini, sarebbe del tutto irrazionale e asistematica una soluzione interpretativa secondo cui la parte civile può ottenere dal Giudice dell'impugnazione una statuizione di condanna al risarcimento dei danni sulla propria domanda che la legge vieta al Giudice di primo grado (Cass. II, n. 52195/2016).

In pratica, dunque, la ricostruzione sistematica delle norme in materia e, in particolare, il combinato disposto degli artt. 538,576 e 652 c.p.p. sorregge la conclusione per la quale l'appello proposto dalle parti civili avverso una pronuncia di proscioglimento possa essere finalizzato all'eventuale accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilità civile con esclusione della possibilità di una diretta condanna al risarcimento danni.

Proprio al fine di rendere possibile alla parte civile di ottenere in sede penale la piena ed effettiva tutela dei propri interessi, è necessario che la stessa solleciti, attraverso il rimedio di cui all'art. 572 c.p.p., il Pubblico Ministero ad impugnare, con i mezzi offerti dall'ordinamento, le sentenze di proscioglimento.

Secondo la giurisprudenza, infatti, il Giudice di appello che, a seguito dell'impugnazione del solo Pubblico Ministero, condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria (Cass. III, n. 15902/2016).

Solo in tal modo, infatti, poiché il Giudice penale potrebbe riformare in pejus la sentenza di proscioglimento, potrebbe trovare applicazione il principio di accessorietà di cui all'art. 538 c.p.p. e la parte civile potrebbe vedere accolta la domanda risarcitoria.

A ragioni diverse, invece, risponde la prevista possibilità di esperire il rimedio di cui si tratta da parte della persona offesa che vi può ricorrere ancorché non si sia costituita parte civile e degli enti e delle associazioni intervenuti a norma degli artt. 93 e 94 c.p.p.

Si deve premettere che, secondo l'orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza, il ricorso per cassazione presentato dalla persona offesa che non sia costituita parte civile è inammissibile perché proposto da non avente diritto, non essendovi alcuna previsione normativa che legittimi tale impugnazione (Cass. V, n. 17802/2017; Cass. VII, n. 48896/2012, in una fattispecie di omessa o irrituale citazione della persona offesa per il giudizio abbreviato).

È del tutto evidente che, in questi casi, l'interesse che muove l'iniziativa non è tanto quello risarcitorio (che nel caso in cui non vi sia stata la costituzione di parte civile non sarà certamente esistente), quanto piuttosto quello di vedere l'applicazione della sanzione penale quale unico rimedio, in un'ottica retributiva della pena, per ripristinare l'ordine che si assume violato con la condotta contestata all'imputato.

La richiesta proposta al Pubblico Ministero non è vincolante. In ogni caso, quando non ritenga di proporre l'impugnazione alla quale è stato sollecitato, provvede con decreto motivato da notificare, ai sensi dell'art. 572 c.p.p., al richiedente.

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