Ricorso per cassazione per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett. e))InquadramentoIl ricorso per cassazione costituisce lo strumento di impugnazione che, ai sensi dell'art. 111 Cost., può essere sempre proposto avverso le sentenze ed i provvedimenti in materia di libertà personale. Il ricorso per cassazione può essere considerato un mezzo di impugnazione a motivi vincolati, in quanto le doglianze che possono essere rappresentate sono solo quelle riconducibili ad uno dei cinque casi di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p. e la Corte di Cassazione ha una cognizione del procedimento limitata ai motivi proposti. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., infatti, il ricorso è inammissibile (oltre che nel caso in cui sia proposto per motivi manifestamente inammissibili o per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello) quando i motivi addotti siano diversi da quelli consentiti dalla legge. Con la violazione della lett. e) dell'art. 606 c.p.p. (al pari di quella di cui alla lett. d) la Corte esercita un controllo del giudizio di fatto compiuto dal Giudice di merito. Quando, infatti, specifiche disposizioni prevedono che il ricorso possa essere presentato solo per violazioni di legge (ad es. art. 324 c.p.p.) i motivi di cui alle lett. d) ed e) non possono essere articolati (cfr. Cass. V, n. 39406/2002 secondo la quale il ricorso per cassazione proponibile solo per il caso di violazione di legge comporta che non possono censurarsi la mancata assunzione di una prova decisiva o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione secondo il disposto delle lett. d) ed e) del comma 1 dell'art. 606 c.p.p.; nello stesso senso, Cass. V, n. 2879/1988 che ha precisato che nel concetto di violazione di legge, quale si desume dagli artt. 111 Cost. e 606 lett. b) e c) c.p.p., non possono ricomprendersi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, che sono separatamente previste ex art. 606, lett. e) come motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. b)) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c)). In forza di quanto prevede l'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. può essere dedotta con il ricorso per cassazione la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, a condizione, tuttavia, che il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Attraverso tale motivo si tende a mettere in discussione la congruità del ragionamento sviluppato dal Giudice con la motivazione. Ai sensi dell'art. 111 Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ed il ricorso per cassazione è appunto finalizzato a verificare che il Giudice di merito abbia fatto buon governo, attraverso una motivazione sufficiente, congrua e comprensibile, dell'obbligo imposto dalla Costituzione. FormulaCORTE DI CASSAZIONE SEZIONI PENALI RICORSO PER CASSAZIONE *** Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., difensore di fiducia di 1....., nata a.... il....; imputato nel procedimento penale n..... /...., propone ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in data.... dalla Corte di Appello/Tribunale [1] di....; impugnando specificamente i punti relativi.... riferiti ai capi.... per il seguente motivo [2] : – violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) per aver la sentenza impugnata omesso di motivare o comunque per aver illogicamente e contraddittoriamente motivato con vizio risultante dal testo della motivazione ovvero dai seguenti atti.... [3]. Chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Luogo e data.... Firma.... Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. [1]In questa parte dell'atto occorre ottemperare a quanto prescrive l'art. 581 c.p.p. a mente del quale l'atto di impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo ed il Giudice che lo ha emesso. Le sentenze pronunciate in sede di appello dal tribunale sono quelle emesse sull'impugnazione delle sentenze del Giudice di pace. [2]Ai sensi dell'art. 581 c.p.p. l'impugnazione deve contenere la specifica indicazione, a pena di inammissibilità, dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione. Nel caso in cui si denunzi un difetto di motivazione, il vizio potrebbe riguardare uno specifico capo o uno specifico punto. [3]In forza del principio della cosiddetta autosufficienza del ricorso, la giurisprudenza richiede che siano puntualmente illustrate ed allegate le risultanze processuali ritenute rilevanti, pena altrimenti l'impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere all'esame diretto degli atti. CommentoPrincipi generali. Il controllo sulla motivazione Con il ricorso per cassazione, essendo un atto a struttura vincolata, possono essere dedotti solo motivi rientranti tra quelli di cui all'art. 606 c.p.p. In forza di quanto prevede l'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. può essere dedotta con il ricorso per cassazione la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, a condizione, tuttavia, che il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Si deve sottolineare che secondo la giurisprudenza, il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., ha l'onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica (Cass. II, n. 19712/2015). Attraverso tale motivo si tende a mettere in discussione la congruità del ragionamento sviluppato dal Giudice con la motivazione. Ai sensi dell'art. 111 Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e il ricorso per cassazione è appunto finalizzato a verificare che il Giudice di merito abbia fatto buon governo, attraverso una motivazione sufficiente, congrua e comprensibile, dell'obbligo imposto dalla Costituzione. L'omessa motivazione Il primo vizio che può essere fatto valere con il ricorso per cassazione impostato sulla base di quanto prevede la lett. e) dell'art. 606 c.p.p. è l'omessa motivazione. L'omissione di cui si tratta è diversa da quella, prevista a pena di nullità dall'art. 125 c.p.p. (e che, a sua volta, potrebbe essere dedotta in cassazione attraverso la lett. c) dell'art. 606; cfr. Cass. III, n. 36388/2016 secondo la quale la nullità della sentenza prevista dall'art. 125 c.p.p. ricorre nel solo caso in cui essa sia del tutto priva di un apparato motivazionale, o nel caso in cui quest'ultimo sia meramente apparente; così in una fattispecie di sentenza di primo grado mancante di una pagina, nella quale la S.C. ha ritenuto che la lacuna non avesse inficiato l'apparato motivazionale, tanto da consentire la compiuta articolazione della impugnazione in grado d'appello). Mentre il vizio di omessa motivazione deducibile ai sensi della lett. c) è quello derivante dalla mancanza fisica della motivazione, quella riconducibile alla lett. e) è quella apprezzabile sul piano logico-funzionale (cfr. Cass. III, n. 42736/2016 secondo la quale si configura il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal Giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall'interessato con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività). La principale ragione di deduzione di omissione di motivazione è quella del c.d. vizio di preterizione che ricorre quando il Giudice di secondo grado non ha dato adeguata e completa risposta alle doglianze sviluppate attraverso l'atto di appello. A tale riguardo occorre puntualizzare che, con riferimento alla omessa motivazione, la Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. In particolare, per la validità della decisione non è necessario che il Giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del Giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass. II, n. 13901/2016; Cass. II, n. 1405/2013; Cass. II, n. 29434/2004). A seguito della riforma dell'art. 606, lett. e), c.p.p., gli unici vizi che rilevano in sede di legittimità sono quelli che ne evidenziano la mancanza, anche intesa come apparenza, nonché l'illogicità o contraddittorietà manifeste. Rimangono fuori dal sindacato, dunque, tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità (Cass. II, n. 24990/2021). Il vizio di omissione di motivazione è anche configurabile in presenza di motivazioni stereotipate o apparenti, perché del tutto generiche o eccentriche rispetto ai tempi rispetto ai quali la decisione avrebbe dovuto dare risposta. Si rammenta, a tale riguardo, che ai sensi dell'art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. la sentenza deve contenere la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il Giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell'art. 533, e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. La mancata esplicazione da parte Giudice delle ragioni giustificative su ciascuno di questi punti determina una omissione di motivazione. La motivazione contraddittoria Con il ricorso per cassazione, oltre al vizio di omissione di motivazione è possibile censurare anche i vizi concernenti l'apparato argomentativo. Va subito evidenziato che la correttezza o meno dei ragionamenti che possono essere verificati in sede di legittimità dipende principalmente dalla loro struttura logica, la quale è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono. In linea di massima, infatti, questi ultimi non possono mai essere messi in discussione in sede di legittimità, salvo che non si possa denunciare il travisamento della prova (v. infra). Va premesso che attraverso la prospettazione di tale vizio, con i motivi di ricorso non può essere riproposta una rivalutazione del materiale probatorio riassunto e commentato nei motivi stessi e tradursi in una ri-sottoposizione alla corte di legittimità di argomentazioni e questioni di fatto delle quali si è già congruamente occupata la sentenza impugnata. Ricorre il vizio della motivazione contraddittoria o perplessa allorquando in sentenza si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal Giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (Cass. II, n. 12329/2010) ovvero quando l'iter argomentativo presenti insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute (Cass. VI, n. 10951/2006). In particolare, non essendo possibile sollecitare la corte a svolgere un giudizio di merito, ad essa resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli utilizzati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Come rileva la giurisprudenza, tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo Giudice del fatto, mentre essa è – e resta – Giudice della sola motivazione. Del resto alla Corte di Cassazione non spetta stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente, con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (Cass. V, n. 1004/1999; Cass. II, n. 2436/1993). Con il ricorso per cassazione, attesa la sua intrinseca natura di giudizio di legittimità, non si possono prospettare censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie (Cass. III, n. 50629/2014). Si deve infatti rilevare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio (Cass. VI, n. 47204/2015), stante la preclusione per il Giudice di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Cass. VI, n. 25255/2012; Cass. II, n. 28843/2018). Del pari, al Giudice di legittimità, nell'ipotesi in cui venga proposto ricorso per cassazione, ex art. 606, lett. e), c.p.p., non è attribuito il potere di riesaminare in maniera critica le risultanze istruttorie sulle quali il Giudice di merito ha fondato la propria decisione (Cass. III, n. 16338/2015). Ai fini della valutazione circa la manifesta infondatezza dei motivi, il Giudice di legittimità deve valutare: - con riferimento ai motivi che deducano inosservanza o erronea applicazione di leggi, se essi risultino affetti da evidenti errori di interpretazione della norma posta a fondamento del ricorso, come nei casi in cui si invochi una norma inesistente, si disconosca il significato univoco di una disposizione di legge o si riproponga una questione costantemente decisa dal Supremo collegio senza addurre motivi nuovi o diversi; – con riferimento ai motivi che deducano vizi di motivazione, se essi muovano sul fatto, sul processo o sulla sentenza impugnata, censure o critiche vuote di significato in quanto manifestamente in contrasto con gli atti processuali (Cass. II, n. 19411/2019). La motivazione illogica In via generale, una volta che ci si trovi in presenza di una motivazione della sentenza congrua perché fornisce una spiegazione dei vari punti affrontati per sostenere la decisione e non apparente o contraddittoria, l'altro ulteriore motivo per il quale è astrattamente possibile procedere ad un annullamento della stessa è quello della sua “manifesta” illogicità. Essa può essere desunta dal testo del provvedimento ovvero attraverso il confronto con atti processuali che devono essere specificamente indicati. Ora, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del Giudice deve essere inconfutabile ed ovvia, ma – e si tratta del punto più importante da mettere in luce – essa non può rappresentare soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (in tal senso Cass. II, n. 13901/2016 e, con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. I, n. 13528/1998). Il controllo della logicità della motivazione deve essere esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, allo scopo di stabilire se i giudici di merito abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione degli elementi a loro disposizione abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. III, n. 10974/2015). La motivazione di una sentenza può definirsi illogica solo se è ravvisabile una frattura logica evidente tra una premessa e le conseguenze che se ne traggono. Ne deriva che non ricorre alcun vizio logico allorché si è solo al cospetto di un'interpretazione dei dati fattuali meramente alternativi ad altre possibili (Cass. sez. fer., n. 36894/2015). Segue. La violazione dei criteri di valutazione della prova La giurisprudenza, è assolutamente costante nel ritenere che con i motivi il ricorrente non possa prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa. Si deve ricordare, a tale riguardo, che, ai sensi dell'art. 192 c.p.p. il Giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati e che, salvo il caso dell'applicazione di regole di valutazione del tutto implausibili (perché contrarie al senso comune), le valutazioni del Giudice sono per lo più insindacabili in sede di legittimità. È inammissibile, infatti, il ricorso per cassazione fondato esclusivamente su doglianze relative alla valutazione della prova da parte del Giudice di merito, quando quest'ultimo abbia motivato tale valutazione in modo congruo e non manifestamente illogico (Cass. V, n. 20133/2015). Come accennato, secondo la giurisprudenza, infatti, «sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal Giudice del merito» (cfr. Cass. VI, n. 47204/2015). In applicazione di tali principi, si è affermato che costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del Giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Cass. II, n. 50701/2016, fattispecie in cui la S.C. ha rigettato la contestazione relativa alla ritenuta attendibilità del contenuto delle captazioni, osservando che l'evidente impiego di particolari attenzioni e cautele nel parlare escludeva, logicamente, l'ipotesi difensiva di affermazioni rese volutamente false dai conversanti in quanto consapevoli di essere intercettati). Si deve ricordare che l'art. 192 c.p.p. contiene due regole di valutazione della prova, l'una concernente la prova indiziaria (per effetto della quale l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti) e, l'altra, riguardante, le dichiarazioni provenienti da persone imputate e/o indagate in procedimento connesso o collegato (per effetto della quale le dichiarazioni di cui si tratta sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità). Anche la violazione di tali disposizioni può essere denunciata in sede di legittimità, ma solo allorquando la motivazione non sia congrua o contenga argomentazioni illogiche nel senso sopra definito. Nei processi indiziari, uno degli aspetti che può venire in evidenza è costituito dalla congruità delle massime di esperienza. Esse sono generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi (Cass. II, n. 51818/2013). In questi casi, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulla non implausibilità delle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonché la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l'elemento indiziario, ma non certo il compito di procedere a un nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell'esperienza conoscitiva del Giudice di merito (Cass. II, n. 21998/2005). In applicazione di tali criteri, è stata considerata manifestamente illogica la motivazione della sentenza di merito che, nel condannare l'imputato per reato di guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, per dimostrare tale stato di alterazione ha valorizzato quale dato sintomatico lo stato di agitazione che il conducente aveva manifestato durante il controllo effettuato dai carabinieri (Cass. IV, n. 7899/2015). Si deve osservare che, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p, il sindacato di legittimità sulla correttezza del procedimento indiziario non può comunque consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al Giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, esercitata dall'esterno dal Giudice di legittimità, al fine di verificare se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori e se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall'art. 192, comma 2, c.p.p.: criteri in forza dei quali gli indizi a carico devono essere prima vagliati singolarmente, verificandone il grado di interferenza derivante dalla loro gravità e precisione, per poi essere esaminati in una prospettiva globale, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in una medesima direzione dimostrativa (Cass. II, n. 8027/2004). Anche la violazione della regola concernente la valutazione delle dichiarazioni provenienti da imputato dello stesso o di reato connesso, può essere denunciato in sede di legittimità in quanto si traduca in una omessa, contraddittoria o illogica motivazione. È insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza di merito la quale, in sede di valutazione di una chiamata in correità, abbia dapprima riconosciuto a talune circostanze di fatto, oggetto di intervenuto accertamento, natura di elementi estrinseci idonei a confermare l'attendibilità della dichiarazione del correo, e in seguito, nel contesto della stessa parte motiva, abbia palesato, circa i medesimi elementi di fatto, perplessità e dubbi peraltro non sorretti da argomentazioni logiche contrarie di pari rilevanza (Cass. I, n. 12585/1994). Ancora, il requisito dell'autonoma valutazione, previsto a pena di nullità con riferimento all'ordinanza cautelare, in coerenza con la sua natura di provvedimento inaudita altera parte, non è contemplato dall'art. 546 c.p.p. per la sentenza, la cui pronunzia presuppone il previo contraddittorio tra le parti, sicché l'acritica adesione agli atti investigativi può integrare il vizio di motivazione nel solo caso in cui si risolva in una carente giustificazione delle ragioni della decisione (fattispecie relativa a sentenza redatta con la tecnica del “copia e incolla” dell'informativa riepilogativa della polizia giudiziaria) (Cass. II, n. 40149/2022). Travisamento della prova In seguito alle modificazioni apportate alla lett. e) dell'art. 606 ad opera della l. n. 46/2006, è sindacabile attraverso il ricorso per cassazione il c.d. vizio di travisamento della prova che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva. Il travisamento della prova deducibile in sede di legittimità è anzitutto quello della c.d. “contraddittorietà processuale”, consistente nella mancata corrispondenza tra il risultato probatorio utilizzato nella motivazione della sentenza e l'atto probatorio stesso. In tale evenienza, non opera il limite della rilevabilità testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo essere desunto anche da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, e a condizione che l'errore disarticoli l'intero ragionamento probatorio, rendendo, quindi, illogica la motivazione per l'evidente forza dimostrativa del dato probatorio travisato (Cass. IV, n. 6378/2017). A tale riguardo, si è avuto modo di specificare che il vizio di travisamento della prova per assumere rilievo in sede di legittimità deve, da un lato, emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il Giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il Giudice di merito (Cass. IV, n. 40036/2016). Secondo la giurisprudenza, poi, tale vizio può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, a meno che il Giudice d'appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, non abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (Cass. IV, n. 19710/2009; Cass. I, n. 24667/2007; Cass. II, n. 5223/2007). Il travisamento del fatto o della prova che, in virtù del disposto di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., nel testo novellato dalla l. n. 46/2006, è consentito dedurre in sede di legittimità, è rappresentato dalla contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, nonchè dall'errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio. Peraltro, il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. Quanto poi il travisamento venga dedotto con riguardo ad una prova dichiarativa, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal Giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima. In ogni caso, il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Cass. II, n. 18554/2020; Cass. I, n. 24667/2007). Sebbene ai sensi dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p. (inserito dall'art. 7, d.lgs. n. 11/2018) «nel caso di ricorso per cassazione, a cura della cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è inserita in separato fascicolo allegato al ricorso, qualora non già contenuta negli atti trasmessi, copia degli atti specificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), del codice» si deve sottolineare che secondo la giurisprudenza la possibilità di dedurre il vizio di motivazione con riferimento agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” comporta, in forza del principio della cosiddetta autosufficienza del ricorso, che siano ivi puntualmente illustrate le risultanze processuali ritenute rilevanti, pena l'impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere all'esame diretto degli atti (Cass. I, n. 16223/2006; nello stesso senso, Cass. sez. fer., n. 37638/2007 che ha espressamente affermato che dev'essere recepita ed applicata anche in sede penale la regola della cosiddetta “autosufficienza” del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al Giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso). Di recente è stato affermato che nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Cass. III, n. 45537/2022). Richieste La violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. determina necessariamente l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato (ed in tal senso devono essere articolare le richieste nell'atto di ricorso). |