Richiesta di nomina dell'interprete (artt. 143 e 143-bis)

Costantino De Robbio
Alessandro Leopizzi

Inquadramento

Inquadramento. L'ordinamento rimuove le barriere linguistiche che ostacolano il diritto di difesa degli indagati alloglotti: costoro, al fine di poter comprendere l'accusa formulata contro di loro e di seguire il compimento degli atti, hanno diritto, indipendentemente dall'esito del procedimento, all'assistenza gratuita di un interprete e alla traduzione scritta degli atti rilevanti. Tutele analoghe sono riservate alla persona offesa.

Formula

TRIBUNALE PENALE DI.... UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI (OVVERO) UFFICIO DEL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE (OVVERO) TRIBUNALE DI.... SEZIONE PENALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA (DOTT.....) IN COMPOSIZIONE COLLEGIALE

ISTANZA DI NOMINA DELL'INTERPRETE (OVVERO DEL TRADUTTORE) [1]

***

Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., difensore di fiducia/ufficio di........

1....., nato a.... il....;

2....., nata a.... il....;

indagato/imputato nel procedimento penale n..... /.... R.G.N.R.,

per il reato previsto e punito dall'art. (dagli artt.)....,

per i reati previsti e puniti dagli artt.

a).... c.p.

b)...., l..... /....

c)...., d.P.R.....

d)...., d.lgs.....

PREMESSO

che l'indagato (ovvero l'imputato) (ovvero la persona offesa), cittadino straniero, non ha alcuna conoscenza della lingua italiana ovvero comunque non ne ha conoscenza adeguata;

che egli è madrelingua.... ed ha una sufficiente conoscenza anche della lingua....;

(OVVERO)

che l'indagato (ovvero l'imputato) (ovvero la persona offesa), cittadino italiano, non ha alcuna conoscenza della lingua italiana e comunque non ne ha conoscenza adeguata e si esprime soltanto nel dialetto....;

(OVVERO)

che l'indagato (ovvero l'imputato) (ovvero la persona offesa) è sordomuto (ovvero sordo o muto) e non è in grado di leggere e scrivere;

che è dunque necessaria l'assistenza di un interprete di lingua.... per lo svolgimento della prossima udienza [2] ;

(OVVERO)

che occorre dunque procedere alla traduzione scritta dei seguenti atti....;

CHIEDE

che sia nominato un interprete (ovvero un traduttore) in lingua.....

Si allegano i seguenti documenti.

1)....;

2).....

Luogo e data....

Firma....

[1]La dichiarazione può essere anche presentata oralmente in udienza, restandone comunque traccia a verbale.

[2]Ovvero di ogni altra attività investigativa (ad esempio, interrogatorio) o altro incombente processuale a cui debba o possa presenziare l'indagato/imputato.

Commento

Principi generali

Con un livello di dettaglio inconsueto per una Carta fondamentale (in parte mutuato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo), l'art. 111 Cost. individua una lunga serie di diritti e garanzie per la persona sottoposta a procedimento penale, nella fase delle indagini e nella successiva, eventuale fase del processo.

La persona accusata di un reato

– deve essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, nel più breve tempo possibile (e non “immediatamente”, dovendosi contemperare questo diritto con la esigenza di pari dignità di garantire alle indagini il riserbo necessario per una loro concreta efficacia);

– deve disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa;

– deve essere assistita da un interprete, se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Anche per l'Unione europea, sempre più attenta alla problematica dei diritti procedurali di indagati o imputati, è obbligatoria per gli Stati membri l'emanazione di specifici atti normativi in materia di traduzione e interpretazione (risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009, 2009/C 295/01). L'indagato, cioè, deve poter capire quanto accade e farsi capire: se non parla o non capisce la lingua in cui si svolge il procedimento, ha diritto a un interprete e a una traduzione degli atti essenziali. La Convenzione dei diritti dell'uomo, analogamente, riconosce il diritto dell'accusato all'assistenza gratuita di un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza (art. 6.3). La formale limitazione all'udienza è ampiamente superata dalla consolidata opinione che riconosce all'imputato alloglotta il diritto alla traduzione, orale o scritta, di tutti gli atti del procedimento, anche durante la fase delle indagini, di cui abbia bisogno per una consapevole difesa (Corte EDU, 5 gennaio 2010, Diallo c. Svezia).

Il diritto alla traduzione prescinde, al contrario del diritto al gratuito patrocinio, da qualsiasi requisito soggettivo di carattere economico: le spese relative non possono mai essere poste a carico dell'indagato/imputato (Corte EDU, 20 novembre 2008, Isyar c. Bulgaria). Al pari delle prestazioni dell'Avvocato di ufficio, quelle dell'interprete o del traduttore devono assicurare una soglia minima di adeguatezza e lo Stato deve verificare, anche dopo la nomina, la fondatezza di eventuali doglianze in merito all'effettivo contenuto delle prestazioni.

La direttiva 2010/64/UE introduce un'ulteriore disciplina di dettaglio in tema di diritto all'assistenza linguistica, riconosciuto “alle persone che siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se abbiano commesso il reato, inclusi, se del caso, l'irrogazione della pena e l'esaurimento delle istanze in corso”.

Questo diritto, invocabile sin dalla fase delle indagini, si articola in due distinte forme di garanzia:

– il diritto all'assistenza di un interprete, senza indugio, anche mediante utilizzo di dispositivi tecnologici (telefono, videoconferenza, etc.), qualora ciò non infici in concreto il diritto di difesa,

• nei rapporti con l'autorità procedente (inquirente, nei momenti di necessario confronto come in caso di interrogatorio, e giudicante, in tutte le udienze);

• nei rapporti con il difensore (nei limiti in cui risulti necessario per tutelare l'equità del procedimento);

– il diritto alla traduzione, in un tempo ragionevole, degli atti fondamentali per l'esercizio dei diritti di difesa e per garantire l'equità del processo e comunque di quattro atti fondamentali

• i provvedimenti che privano l'accusato della libertà personale;

• gli atti contenenti le imputazioni mosse all'accusato;

• le sentenze:

• il mandato d'arresto europeo.

Si fa salva, restando plausibili insuperabili difficoltà concrete in alcuni casi specifici ad ottemperare a quanto imposto dalla direttiva, la possibilità di pretermettere la traduzione integrale, limitandola ai soli passaggi rilevanti al fine di comprendere le accuse e di sostituire la traduzione scritta con una traduzione orale, anche per riassunto.

L'indagato/imputato può rinunciare al diritto alla traduzione, ma non all'assistenza di un interprete.

È onere dell'autorità procedente dimostrare che l'imputato parla e comprende la lingua usata dal Giudice e non dell'imputato dimostrare che non la parla (Corte EDU, 19 dicembre 1989, Brozicek c. Italia).

La direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano con il d.lgs. n. 32/2014.

La tutela dell'indagato alloglotta nell'ordinamento penale italiano

La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. Questa presunzione iuris tantum può pertanto essere superata dagli esiti di accertamenti mirati che devono essere compiuti, anche di ufficio, se del caso dietro sollecitazione della parte o del suo difensore, dall'autorità giudiziaria (art. 143, comma 4, c.p.p.).

La mancata conoscenza dell'italiano può derivare non solo dal fatto che l'indagato/imputato abbia un'altra lingua madre, ma anche quando, per quella che un tempo si definiva rusticitas, il suo patrimonio linguistico sia drasticamente limitato a sole forme dialettali, che lo rendano di fatto “alloglotto”. In simili frangenti, d'altra parte, occorre distinguere con estrema attenzione la presenza di una vera e propria barriera linguistica non superabile da altre forme di minorità culturale che impediscono al destinatario dell'atto, di solito connotato da un lessico a forte tecnicismo e da una sintassi inutilmente arcaizzante, di comprenderne appieno il concreto contenuto. Questi ostacoli al completo dispiegarsi del diritto di difesa, di natura del tutto diversa, devono essere superati unicamente attraverso la mediazione (tecnica e non linguistica) del difensore.

Invero, la risalente tradizione processualistica che aveva calibrato gli interventi di interpretazione e di traduzione sui casi del sordomuto e del dialettofono ha dovuto evolversi rapidamente sotto la spinta in primo luogo dei massicci mutamenti demografici e socio-culturali degli ultimi decenni. In un lasso di tempo sostanzialmente breve, si è dunque passati da un istituto in buona sostanza “di nicchia” a norme di quotidiana applicazione nelle aule giudiziarie (cfr. Curtotti, Il problema delle lingue nel processo penale, Milano, 2002).

In merito alla condizione degli indagati/imputati non italofoni e non rientranti nelle minoranze linguistiche riconosciute, a prescindere dal loro status di cittadini, soccorrono quindi le regole generali fondate sulla base di elementari considerazioni in tema di diritto di difesa (riconosciuto a “tutti” dall'art. 24 Cost., laddove il successivo art. 111 riconosce poi il diritto all'interpretazione se l'imputato “non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”) e delle indicazioni provenienti dal diritto eurounitario.

A mente dell'art. 143 c.p.p. (come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 32/2014, che ha sostituito la previgente rubrica “Nomina dell'interprete” in una locuzione dall'assai evidente sapore programmatico: “Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali”), qualsiasi indagato/imputato che non conosca la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, a prescindere dall'esito del procedimento, al fine di poter comprendere l'accusa formulata contro di lui e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze a cui partecipa. Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore, prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

Negli stessi casi l'autorità procedente (pubblico ministero, G.I.P., G.U.P., Giudice del dibattimento) dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa,

– dell'informazione di garanzia,

– dell'informazione sul diritto di difesa,

– dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali (anche dell'ordinanza di aggravamento della misura cautelare: cfr. Cass. V, n. 51951/2017),

– dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari,

– dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio,

– delle sentenze e dei decreti penali di condanna.

Non necessitano di traduzione immediata all'indagato di lingua straniera gli atti indifferibili ed urgenti, poiché il reperimento di un interprete è incompatibile con la particolare celerità esecutiva dell'adempimento e la mancata comprensione dell'atto esplicherà i suoi effetti solo sul termine per l'impugnazione dell'eventuale conseguente sequestro (cfr. Cass. VI, n. 36746/2017, in tema di perquisizione personale da parte della polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 352 c.p.p.; Cass. V, n. 41961/2017 in tema di sequestro). Parimenti la Corte di Cassazione (Cass. VI, n. 1885/2020) ha specificato che il diritto alla assistenza linguistica non comporta l'obbligo di traduzione scritta, in favore dell'imputato alloglotta, delle deposizioni testimoniali assunte in dibattimento, non rientrando le stesse nel catalogo tassativo degli atti enumerati dall'art. 143 c.p.p. per i quali essa è prevista (In motivazione la Corte ha precisato che all'imputato alloglotta è garantita la piena comprensione degli atti istruttori mediante l'assistenza dell'interprete, non potendo dunque lo stesso ottenere anche la traduzione scritta delle deposizioni testimoniali).

La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal Giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza. L'obbligo di usare la lingua italiana si riferisce però ai soli atti da compiere nel procedimento davanti all'autorità giudiziaria che procede, mentre per quelli già formati, da acquisire nel processo, l'obbligatorietà della traduzione si pone solo qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti da provare, a condizione che la parte richiedente indichi le ragioni che rendono plausibilmente utile la traduzione dell'atto, nonché il pregiudizio concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa (Cass. II, n. 18957/2017).

L'interprete e il traduttore sono nominati anche quando il Giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (art. 143 c.p.p.).

In caso di misure cautelari, in particolare, sono previste poi comunicazioni scritte, redatte in forma chiara e precisa, in una lingua comprensibile all'indagato. Qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in questi termini, le informazioni possono essere fornite oralmente, salva la futura comunicazione scritta, senza ritardo. Nel verbale, deve essere fatta espressa menzione della consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale.

L'autorità procedente nomina altresì un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione (ad esempio un testimone) non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete.

Alla persona offesa che non conosce la lingua italiana ed abbia fatto richiesta di essere assistita dall'interprete, è assicurato il diritto all'assistenza linguistica, sia in forma orale, qualora intenda partecipare all'udienza, sia con traduzione gratuita di atti, o parti degli stessi, che contengono informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti, se del caso anche per riassunto e oralmente (art. 143-bis c.p.p.).

Conoscenza della lingua italiana

Non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa qualora, nel corso del procedimento, l'imputato alloglotta sia assistito dall'interprete della lingua che egli stesso dichiari di parlare e di comprendere, anche se non si tratti della lingua madre: la previsione di legge è infatti preordinata ad assicurargli soltanto la piena comprensione degli atti e degli snodi fondamentali del processo (Cass. VI, n. 2673/2016. È d'altronde facilmente intuibile non solo la difficoltà di reperire soggetti disponibili a conoscenza delle centinaia di lingue dei vari ceppi in uso presso le plurime etnie presenti, legalmente o illegalmente, in Italia, ma anche la possibilità di condotte maliziosamente defatiganti da parte degli indagati/imputati).

L'accertamento circa la conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato/imputato esige, a seguito della novella, che ad effettuarlo sia l'autorità giudiziaria (art. 143, comma 4, c.p.p.). La giurisprudenza di legittimità ha però interpretato questa nuova disposizione nel senso che essa non esige che a portare avanti la verifica sia direttamente il Giudice o il pubblico ministero, né che vi partecipi il difensore, trattandosi di un semplice controllo di qualità e circostanze e non di un atto a valenza difensiva (Cass. II, n. 7913/2017). La Suprema Corte ha recentemente precisato (Cass. II, n. 11137/2021) che, in tema di diritto alla traduzione degli atti, l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana costituisce una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se motivata in termini corretti ed esaustivi.

L'obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete o del traduttore postula il presupposto indefettibile della accertata non conoscenza o della difficoltà di comprensione della lingua italiana da parte dell'imputato e resta pertanto escluso, qualora quest'ultimo mostri di rendersi conto del significato degli atti processuali compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati.

È stata ritenuta, ad esempio, adeguatamente dimostrata la comprensione della lingua italiana sulla base della nomina del difensore di fiducia da parte dell'imputato, dell'attestazione della sua conoscenza della lingua italiana nel verbale di interrogatorio, della sottoscrizione dei verbali di perquisizione e sequestro, nonché del ricorso per cassazione, presentato personalmente (Cass. II, n. 8094/2016). La traduzione degli atti processuali nella lingua madre dell'imputato o in un'altra da lui conosciuta è dovuta solo nel caso di comprovato e dichiarato difetto di conoscenza della lingua italiana, senza che possa venire in rilievo una situazione di dubbio, anche legittimo (Cass. V, n. 1136/2016). Neppure costituisce una prova automatica della ignoranza della lingua italiana, o comunque un precedente vincolante quanto a un simile accertamento, la pregressa nomina dell'interprete ovvero l'eseguita traduzione di alcuni atti del procedimento: il Giudice è sempre libero di accertare, in ogni momento o fase del giudizio, la conoscenza effettiva della lingua sulla base di circostanze univoche di segno diverso (Cass. III, n. 37364/2015).

La necessità di traduzione degli atti processuali in favore dell'indagato/imputato alloglotta che non comprende la lingua italiana, cade qualora costui si sia reso, per causa a lui imputabile, irreperibile o latitante, con conseguente notificazione degli atti che lo riguardano al difensore (Cass. II, n. 12101/2015). Incerta invece la questione in caso di domiciliazione volontaria presso il difensore: una parte della giurisprudenza reputa che la mancata traduzione non comporti alcuna concreta lesione ai diritti di difesa (Cass. II, n. 31643/2017; Cass. II, n. 32057/2017 precisa che spetta in via esclusiva all'imputato alloglotta e non al suo difensore la legittimazione a rilevare la violazione dell'obbligo di traduzione), altro orientamento sottolinea invece come l'elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalità di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell'indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua (Cass. I, n. 23347/2017).

La violazione di questa disciplina procedimentale comporta la nullità dell'atto. Secondo Cass. VI, n. 10444/2017, anche dopo l'attuazione della direttiva 2010/64/UE ad opera del d.lgs. n. 32/2014, la mancata nomina di un interprete all'imputato che non conosce la lingua italiana dà luogo ad una nullità a regime intermedio, la quale deve essere eccepita prima del compimento dell'atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata, né dedotta, dopo la richiesta di definizione del giudizio nelle forme dell'abbreviato, poiché la scelta del rito alternativo compiuta dall'imputato dimostra la carenza di interesse a far valere la nullità verificatasi nella precedente fase del procedimento.

Analoga la precedente Cass. II, n. 6575/2016 in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti quale causa di preclusione per l'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, della possibilità di eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento.

Del pari, la proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall'indagato alloglotta, sempre che l'impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Cass. III, n. 7056/2015).

Interprete in favore del sordomuto

Ai sensi dell'art. 119, comma 2, c.p.p., peraltro, l'opera dell'interprete è necessaria anche in favore del sordo, del muto e del sordomuto che non sappiano leggere e scrivere (nel qual caso, al contrario, ogni interlocuzione – domande, risposte, avvertimenti, dichiarazioni, etc. – avviene per iscritto). In deroga alla ordinaria causa di incapacità, tenuto conto delle peculiarità di questa tipologia di mediazione comunicativa, l'autorità procedente sceglie l'interprete di preferenza “tra le persone abituate a trattare con lui”.

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