Richiesta di revisione del processo (art. 633)

Alessandro Diddi

Inquadramento

La revisione è un istituto diretto nella sua previsione codicistica alla eliminazione di una sentenza di condanna ingiusta ed è finalizzato a “prosciogliere” il soggetto condannato. Pertanto, non può ritenersi ammissibile rispetto ad una sentenza di proscioglimento quale quella in forza della quale è stata dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, sia pure accompagnata da una statuizione di condanna a carico dell'imputato ai soli fini civilistici, in quanto ciò contrasterebbe con il principio di tassatività di cui all'art. 568, comma 1, c.p.p., non essendo possibile una applicazione in termini analogici alla ipotesi della (sola) condanna civile (Cass. II, n. 2656/2016).

È invece ammissibile la richiesta di revisione proposta ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. avverso la sentenza del Giudice dell'appello che abbia prosciolto l'imputato per l'intervenuta prescrizione del reato confermando contestualmente la condanna dello stesso al risarcimento del danno nei confronti della parte civile (Cass. V, n. 46707/2016).

Deve essere ritenuta inammissibile la richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, alla sola esclusione di una circostanza aggravante (Cass. I, n. 20470/2015).

Poiché con la richiesta di revisione il richiedente può ottenere anche una sentenza ai sensi dell'art. 531 c.p.p., è prova nuova anche quella attinente ad una causa di estinzione del reato dedotta durante il giudizio, se dotata di un contenuto idoneo ad inficiare il giudicato (così Cass. III, n. 45184/2013 in riferimento ad una istanza di revisione di condanna per reato edilizio, fondata sulla produzione di nuove certificazioni dimostranti la perfetta identità tra l'immobile abusivo e quello oggetto di un provvedimento di sanatoria che il Giudice del merito aveva invece ritenuto non provata, escludendo l'invocato effetto estintivo).

Allorquando la revisione (richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove) abbia ad oggetto una sentenza di patteggiamento, ai fini della sua ammissibilità occorre fare riferimento alla regola di giudizio dell'assenza delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sicché essa deve trovare fondamento in elementi tali da dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena deve essere prosciolto per la ricorrenza di una delle cause che danno luogo all'immediata declaratoria di non punibilità (Cass. IV, n. 26000/2013 che in applicazione di tale principio ha confermato la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di revisione proposta sulla base di una sentenza di assoluzione emessa dall'autorità giudiziaria straniera nei confronti dell'imputato). Per converso, è inammissibile la richiesta di revisione intesa a far valere l'estinzione per prescrizione del reato, maturata durante il giudizio ma non rilevata d'ufficio né dedotta dalla parte, non potendo dilatarsi il concetto di “prova nuova” fino a ricomprendervi una causa estintiva tempestivamente non dedotta né rilevata (Cass. III, n. 43421/2010; Cass. V, n. 37268/2010).

La revisione della sentenza di condanna è ammessa anche se l'esito del giudizio possa condurre al ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell'imputato a causa dell'insufficienza, dell'incertezza o della contraddittorietà delle prove d'accusa, in quanto l'art. 631 c.p.p. esplicitamente richiama tutte le formule assolutorie indicate nel precedente art. 530, comprese quelle ispirate al canone di garanzia in dubio pro reo (Cass. V, n. 14255/2013).

Formula

CORTE DI APPELLO DI.... [1] Sezione Penale

RICHIESTA DI REVISIONE

***

Il sottoscritto Avv..... [2], con studio in...., via...., difensore di fiducia munito di procura speciale rilasciata in calce al presente atto di

1....., nato a.... il....;

condannato nel procedimento penale n..... /.... [3],

PREMESSO

– che con sentenza pronunciata in data.... /.... /.... dal.... [4] il Sig..... è stato condannato alla pena di....;

– che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti dalla sentenza penale irrevocabile pronunciata in data.... /.... /.... [5];

– che la sentenza pronunciata da.... [6] che ha deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. 3 ovvero una delle questioni previste dall'art. 479 c.p.p. e sulla base della quale e stata emesse la sentenza/il decreto penale di condanna, è stata successivamente revocata con sentenza....;

– che dopo la condanna sono sopravvenute/sono state scoperte le seguenti nuove prove.... che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 631 c.p.p.;

– che la condanna è stata pronunciata in conseguenza del seguente falso in atti o in giudizio.... o in conseguenza del seguente fatto previsto dalla legge come reato.....

Chiede che la Corte di Appello voglia prosciogliere il Sig..... con la seguente formula.... [7].

Chiede che la Corte voglia disporre la sospensione dell'esecuzione della pena.

Si allegano i seguenti documenti.... [8].

Luogo e data....

Firma....

Obbligo di dichiarazione o allegazione dell'elezione di domicilio dell'imputato

PROCURA SPECIALE

***

Il sottoscritto.... nato a.... il.... /.... /....;

PREMESSO

– che nei suoi confronti è stata emessa sentenza di condanna dal Tribunale/Corte di Appello.... [9] ;

– che dopo la pronuncia della sentenza sono emersi i seguenti elementi.... [10] che consentono la revisione del processo;

– che intende richiedere la revisione del processo,

nomina suo difensore l'Avv....., con studio in...., via...., al quale conferisce procura speciale perché nel suo interesse proponga revisione del processo. La presente procura si intende conferita per ogni grado del giudizio e comprende il potere di impugnare eventuali provvedimenti emessi nell'ambito del presente giudizio.

Luogo e data....

Firma....

Per autentica Avv..... [11]

Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022.

[1]La Corte di Appello va individuata ai sensi dell'art. 11 c.p.p.

[2]La richiesta di revisione può essere proposta anche personalmente dal condannato.

[3]La procura potrebbe essere rilasciata da uno degli altri soggetti legittimati a proporre la richiesta di revisione (un suo prossimo congiunto ovvero la persona che ha sul condannato l'autorità tutoria, gli eredi o i suoi prossimi congiunti ed il curatore del condannato defunto).

[4]Indicare l'autorità giudiziaria che ha emesso la sentenza.

[5]Deve trattarsi di un Giudice ordinario o di un Giudice speciale.

[6]Deve trattarsi di una sentenza pronunciata del Giudice civile o amministrativo ai sensi degli artt. 3 e 479 c.p.p.

[7]Deve trattarsi di una delle formule previste dagli artt. 529,530 o 531 c.p.p.

[8]Ai sensi dell'art. 633 c.p.p. alla richiesta di revisione devono essere allegati, a pena di inammissibilità, i documenti su cui essa si fonda.

[9]Anche in questo caso la procura potrebbe essere rilasciata per la proposizione di una richiesta di revisione concernente una sentenza pronunciata dalla corte di assise, dalla corte di assise di appello o dal Giudice di pace.

[10]Vanno indicati gli elementi riconducibili nell'ambito di una delle previsioni di cui all'art. 630 c.p.p.

[11]La sottoscrizione deve essere autenticata.

Commento

Principi generali

La revisione costituisce un rimedio di impugnazione straordinario nel senso che esso può essere proposto dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile.

Se il ricorso per cassazione è un'impugnazione a motivi vincolati, la revisione può essere considerata un rimedio a conclusioni vincolate perché essa può essere proposta avverso le sentenze di condanna (anche emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p.) e dei decreti penali di condanna divenuti irrevocabili per richiedere una sentenza di proscioglimento.

Ai sensi dell'art. 631 c.p.p., infatti, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529,530 o 531 c.p.p.

In forza dell'art. 630 c.p.p. la revisione è ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta.

Ai sensi dell'art. 632 c.p.p. la richiesta di revisione può essere richiesta anzitutto dal condannato ma poiché dall'eventuale accoglimento della stessa potrebbero derivare effetti (quantomeno sul piano morale e di immagine) anche nei confronti di persone legate da rapporti di parentela del condannato. In particolare, è previsto che essa possa essere presentata da un suo prossimo congiunto ovvero dalla persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è deceduto, perfino dagli eredi o dai suoi prossimi congiunti. La richiesta di revisione può essere altresì richiesta dal procuratore generale presso la Corte di Appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna. Il condannato (e le altre persone che unitamente all'imputato possono richiedere la revisione) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale.

In base all'art. 638 c.p.p. in caso di morte del condannato dopo la presentazione della richiesta di revisione, il presidente della Corte di Appello nomina un curatore, il quale esercita i diritti che nel processo di revisione sarebbero spettati al condannato.

La revisione può essere richiesta in presenza di uno dei quattro casi previsti dall'art. 630 c.p.p.:

a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del Giudice ordinario o di un Giudice speciale;

b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del Giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. 3 ovvero una delle questioni previste dall'art. 479 c.p.p.;

c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 631 c.p.p.;

d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.

Ai sensi dell'art. 633 c.p.p. la richiesta di revisione è proposta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Essa deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e, in deroga a quanto previsto in generale per le impugnazioni, essa deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di Appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p. (competenza per i procedimenti concernenti i magistrati). Secondo un precedente non recentissimo, tuttavia, è legittima la spedizione a mezzo posta dell'istanza di revisione, così come della domanda di sospensione dell'esecuzione della pena, eseguita personalmente dall'interessato, mediante la sottoscrizione dei relativi atti autenticata dal difensore (Cass. I, n. 3808/1994).

La presentazione di una richiesta di revisione presso una cancelleria della Corte di Appello incompetente è causa di inammissibilità (Cass. IV, n. 271/1999).

Qualora il giudizio di revisione della condanna concerna sentenza emessa nei confronti di un imputato che era minorenne al momento della commissione del reato, permane la competenza funzionale della sezione per i minorenni della Corte di Appello a trattare la richiesta (Cass. I, n. 1403/2010).

Qualora la richiesta di revisione sia motivata:

a) perché i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del Giudice ordinario o di un Giudice speciale;

b) perché la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del Giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. 3 ovvero una delle questioni previste dall'art. 479 c.p.p.;

c) perché si assume che la condanna sia stata pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato, alla richiesta devono essere unite le copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali di condanna ivi indicati.

A seguito della presentazione della richiesta di revisione, viene svolta dalla Corte di Appello una prima fase destinata a verificare l'ammissibilità della richiesta.

In particolare, ai sensi dell'art. 634 c.p.p., la corte territoriale dichiara d'ufficio con ordinanza (avverso la quale è possibile proporre ricorso per cassazione) l'inammissibilità della richiesta quando la stessa è stata proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 c.p.p. o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631,632,633,641 c.p.p., quando la stessa risulti manifestamente infondata. Ciò non preclude l'adozione della declaratoria, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto (Cass. S.U., n. 28/2001; Cass. S.U., n. 624/2001).

Per manifesta infondatezza della richiesta di revisione che ne determina l'inammissibilità deve intendersi l'evidente inidoneità delle ragioni poste a suo fondamento a consentire una verifica circa l'esito del giudizio: requisito che è tutto intrinseco alla domanda in sé e per sé considerata, restando riservata alla fase del merito ogni valutazione sull'effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Cass. I, n. 40815/2010).

In tali casi, la Corte di Appello può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da Euro 258 ad Euro 2.065.

Di regola le valutazioni di inammissibilità della richiesta sono compiute de plano, spettando alla Corte di Appello l'apprezzamento discrezionale circa la necessità di adottare il rito camerale partecipato per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Cass. III, n. 34945/2015; da ultimo conf. v. Cass. V, n. 16218/2022).

È invalsa la prassi di richiedere il preventivo parere della procura generale sulla domanda di revisione. In tali casi, di esso deve essere data comunque comunicazione alla parte richiedente, in modo da consentirle di contraddire sul punto (Cass. S.U., n. 15189/2012).

L'ordinanza è notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta che entro quindici giorni possono proporre ricorso per cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di Cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra Corte di Appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p.

A tale proposito, il Giudice di legittimità ha stabilito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 633, comma 1, c.p.p. in relazione agli artt. 111 e 3 Cost. nella parte in cui non prevede l'applicazione dei criteri di cui all'art. 11 c.p.p. anche per l'individuazione del Giudice competente per la revisione nel processo penale militare, atteso che la previsione di una unica Corte di Appello militare con competenza nazionale garantisce l'accesso al mezzo di impugnazione straordinaria e l'imparzialità dell'organo giudicante (Cass. I, n. 41787/2021).

In pendenza del giudizio di revisione, la Corte di Appello può in qualunque momento disporre, ai sensi dell'art. 635 c.p.p., con ordinanza (eventualmente ricorribile per cassazione), la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli artt. 281,282,283 e 284 c.p.p. In ogni caso di inosservanza della misura, la Corte di Appello revoca l'ordinanza e dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Se la richiesta di revisione è ammissibile, il presidente della Corte di Appello emette il decreto di citazione a norma dell'art. 601 c.p.p.

In forza di quanto statuisce l'art. 636, comma 2, c.p.p., al giudizio di revisione si osserva, in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione, la disciplina degli atti preliminari al dibattimento e quella del dibattimento.

In particolare, sette giorni prima della data dell'udienza deve essere presentata lista contenente le prove di cui si chiede l'acquisizione.

L'udienza si svolge in pubblica udienza e vede la partecipazione del condannato (o delle persone che hanno introdotto la domanda di revisione: prossimi congiunti; eredi; tutore; curatore del defunto); del procuratore generale presso la Corte di Appello e delle eventuali parti accessorie che avevano partecipato al giudizio conclusosi con la sentenza sottoposta a giudizio di revisione (parte civile; responsabile civile; civilmente obbligato per la pena pecuniaria).

La sentenza, secondo quanto prevede l'art. 637 c.p.p., è deliberata secondo le disposizioni degli artt. 525,526,527 e 528 c.p.p. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il Giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo. Il Giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio. In caso di rigetto della richiesta, il Giudice condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali e, se è stata disposta la sospensione, dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Quando la Corte di Appello, pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione, anche nel caso di richiesta di revisione a favore del condannato, ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione. Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, a eccezione di quelle previste nell'art. 240, comma 2, n. 2, c.p.

La sentenza di accoglimento, a richiesta dell'interessato, è affissa per estratto, a cura della cancelleria, nel comune in cui la sentenza di condanna era stata pronunciata e in quello dell'ultima residenza del condannato. L'ufficiale giudiziario deposita in cancelleria il certificato delle eseguite affissioni. Su richiesta dell'interessato, inoltre, il presidente della Corte di Appello dispone con ordinanza che l'estratto della sentenza sia pubblicato a cura della cancelleria in un giornale, indicato nella richiesta, con spese a carico della cassa delle ammende.

La sentenza che rigetta la richiesta di revisione (come anche l'ordinanza che la dichiara inammissibile) non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi.

La sentenza pronunciata all'esito del giudizio di revisione è soggetta a ricorso per cassazione.

In caso di accoglimento della richiesta di revisione può essere richiesta una riparazione per l'errore giudiziario subito.

Ai sensi dell'art. 643 c.p.p. chi è stato prosciolto in sede di revisione, se non ha dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario, ha diritto a una riparazione commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna. La riparazione si attua mediante pagamento di una somma di denaro ovvero, tenuto conto delle condizioni dell'avente diritto e della natura del danno, mediante la costituzione di una rendita vitalizia. L'avente diritto, su sua domanda, può essere accolto in un istituto, a spese dello Stato.

Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'art. 657, comma 2, c.p.p.

In forza di quanto prevede l'art. 644 c.p.p., se il condannato muore, anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta purché non si trovino in una situazione di indegnità ai sensi dell'art. 464 c.c. A tali persone non può in ogni caso essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona.

La domanda di riparazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione ed è presentata per iscritto, unitamente ai documenti ritenuti utili, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, nella cancelleria della Corte di Appello che ha pronunciato la sentenza.

Le persone che, ai sensi dell'art. 644 c.p.p. possono presentare la domanda in caso di morte del condannato, possono presentare la domanda di riparazione sempre nello stesso termine di due anni, anche per mezzo del curatore nominato in caso di morte del richiedente dal presidente della Corte di Appello ai sensi dell'art. 638 c.p.p., ovvero giovarsi della domanda già proposta da altri. Se la domanda è presentata soltanto da alcuna delle predette persone, questa deve fornire l'indicazione degli altri aventi diritto.

Sulla domanda di riparazione decide sempre la Corte di Appello osservando le forme del procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 127 c.p.p.

A cura della cancelleria, la domanda, con il provvedimento che fissa l'udienza, viene comunicata al Pubblico Ministero ed è notificata al ministro del tesoro presso l'avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della Corte e a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda.

L'ordinanza che decide sulla domanda di riparazione è comunicata al Pubblico Ministero e notificata a tutti gli interessati, i quali possono ricorrere per cassazione.

Gli interessati che, dopo aver ricevuto la notificazione, non formulano le proprie richieste nei termini di cinque giorni prima della data dell'udienza di cui all'art. 127, comma 2, c.p.p. decadono dal diritto di presentare la domanda di riparazione successivamente alla chiusura del procedimento stesso.

Il Giudice, qualora ne ricorrano le condizioni, assegna all'interessato una provvisionale a titolo di alimenti.

Nel caso di condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato, lo Stato, se ha corrisposto la riparazione, si surroga, fino alla concorrenza della somma pagata, nel diritto al risarcimento dei danni contro il responsabile.

Forme

La domanda di revisione può essere presentata in ogni tempo purché ricorrano le condizioni di cui all'art. 630 c.p.p.

Può essere presentata anche dopo che una precedente richiesta di revisione sia stata rigettata purché fondata su elementi nuovi.

Può essere presentata dal condannato e dal procuratore generale presso la Corte di Appello, ma anche da un prossimo congiunto del condannato ovvero dalla persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è deceduto, perfino dagli eredi o dai suoi prossimi congiunti.

In deroga a quanto previsto in generale per le impugnazioni, la richiesta di revisione deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di Appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p.

Ai sensi dell'art. 633 c.p.p. la richiesta di revisione deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano.

A tale riguardo, poiché la richiesta di revisione deve fondarsi su elementi che devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529,530 o 531 c.p.p., ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all'accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Cass. V, n. 24070/2016).

Nel caso di sentenza di condanna per una pluralità di reati è ammissibile una richiesta di revisione “parziale” (Cass. VI, n. 40685/2006) a condizione, però che l'istanza investa in modo esaustivo almeno una delle condanne riportate, tanto cioè da comportare rispetto al relativo capo di proscioglimento; ne consegue che deve escludersi che la revisione “parziale” possa riguardare elementi o circostanze comportanti un'attenuazione del reato per il quale sia stata riportata condanna (Cass. VII, n. 2626/1994 in una fattispecie nella quale vi era stata condanna per il delitto continuato di peculato, e la Suprema Corte ha affermato che l'eventuale riduzione dell'entità delle somme prelevate relativamente a due degli episodi in contestazione, ovvero il mutamento del titolo addotto per l'illecita appropriazione – missione e non lavoro straordinario – non fossero utili, ove provate mediante le “nuove” prove dedotte, ad integrare le ipotesi di revisione di cui all'art. 630, lett. c), c.p.p., non coinvolgendo l'illiceità del fatto-reato oggetto della condanna).

La principale formalità che deve essere osservata, oltre a quella della specificità dei motivi, è quella dell'onere di allegazione, richiesto, a pena di inammissibilità, dall'art. 633 c.p.p., dei documenti su cui si fonda la domanda di revisione. In tal senso si è affermato che incombe al ricorrente l'onere di produrre la sentenza di cui assume l'inconciliabilità con la condanna riportata, in quanto la richiesta di revisione deve essere corredata, a pena di inammissibilità, dagli eventuali atti e documenti idonei a sorreggerla e dalle copie autentiche delle sentenze e dei decreti penali di condanna, così come prescrive l'art. 633, comma 2, c.p.p. (Cass. VI, n. 25794/2008).

Secondo la costante giurisprudenza, è inammissibile la richiesta di revisione che, senza allegare elementi probatori nuovi e specificatamente indicati, si sostanzi nella domanda di procedere all'esame delle persone imputate in procedimenti connessi ovvero di testimoni sulla base della ipotetica possibilità che gli stessi, se escussi nel giudizio di revisione, possano rendere dichiarazioni favorevoli al condannato (così Cass. I, n. 6897/2014 che, in motivazione, ha evidenziato che le dichiarazioni poste a base dell'istanza di revisione devono preesistere alla sua presentazione per consentire al Giudice adito la valutazione preliminare di ammissibilità prevista dall'art. 634 c.p.p., in relazione ad una fattispecie relativa ad omessa allegazione di una relazione di perizia Cass. V, n. 32765/2014). Analogamente è stata ritenuta inammissibile una richiesta di revisione che, senza allegare elementi probatori nuovi e specificatamente indicati, si sostanzi nella domanda di procedere all'esame delle persone imputate in procedimenti connessi ovvero di testimoni sulla base della ipotetica possibilità che gli stessi, se escussi nel giudizio di revisione, possano rendere dichiarazioni favorevoli al condannato (cfr. Cass. I, n. 6897/2014 che, in motivazione, ha evidenziato che le dichiarazioni poste a base dell'istanza di revisione devono preesistere alla sua presentazione per consentire al Giudice adito la valutazione preliminare di ammissibilità prevista dall'art. 634 c.p.p., in relazione all'art. 633, comma 1, del medesimo codice).

Non è invece richiesto che il proponente alleghi la sentenza cui si riferisce l'istanza, dovendo il Giudice competente, individuato ai sensi dell'art. 11 c.p.p., attivarsi per richiedere il provvedimento (Cass. I, n. 13622/2012).

Presupposti: il conflitto teorico di giudicati

La revisione, come visto, può essere proposta anzitutto nel caso di conflitto teorico di giudicati, ipotesi che ricorre quando i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del Giudice ordinario o di un Giudice speciale.

In linea generale va precisato che il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revocabilità di un provvedimento definitivo non ricorre nell'ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici (Cass. VI, n. 15796/2014; conf. Cass. VI, n. 12030/2014, Cass. VI, n. 16458/2014): il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., infatti, non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (Cass. VI, n. 20029/2014).

Vi è contrasto in merito alla applicabilità del conflitto teorico di giudicati rispetto alle sentenze di patteggiamento. Secondo un recente indirizzo è suscettibile di revisione, a norma dell'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., la sentenza irrevocabile di applicazione della pena emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei confronti del privato corruttore, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto a carico del pubblico ufficiale imputato del delitto di corruzione, posta l'inconciliabilità delle due pronunce per l'impossibilità di ipotizzare il predetto reato in assenza dell'attività coordinata del corruttore e del corrotto (Cass. VI, n. 23682/2015). Secondo altro indirizzo, non è invocabile la revisione, ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., della sentenza di applicazione della pena sul solo presupposto dell'intervenuta successiva sentenza di assoluzione all'esito di giudizio ordinario nei confronti del coimputato non patteggiante, diverso essendo il criterio di valutazione proprio dei due riti, di per sé tale da condurre fisiologicamente ad esiti opposti (Cass. III, n. 13032/2013).

Non è invocabile la revisione, ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. sul presupposto della contraddittorietà dei fatti giudicati in una sentenza di applicazione di pena rispetto a quelli oggetto di altra sentenza di patteggiamento, posto che tale tipologia di provvedimento non rientra nel genus “altra sentenza penale irrevocabile” di cui alla norma in questione (cfr. Cass. V, n. 34443/2015 che in motivazione ha precisato che le risultanze acquisite nel procedimento definito con sentenza di patteggiamento possono essere valutate quali “nuove prove” ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p.).

Analogamente si è ritenuto che nella nozione di “altra sentenza penale irrevocabile” di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., non rientrano la sentenza di non luogo a procedere emessa all'esito dell'udienza preliminare, né il provvedimento di archiviazione, trattandosi di atti per loro natura inidonei a rappresentare, in termini di stabilità e definitività, situazioni di fatto utilizzabili come parametri per un giudizio di revisione (Cass. III, n. 39191/2014; così, con riferimento ad un'ipotesi di sentenza di non luogo a procedere, Cass. VI, n. 29275/2010).

Deve essere osservato che allorquando la richiesta di revisione si fondi sulla asserita inconciliabilità con l'accertamento compiuto in altro giudizio svolto nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente occorre che l'inconciliabilità si riferisca ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non già alla loro valutazione (Cass. V, n. 10405/2015).

In merito a tale aspetto, sempre la Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile il contrasto di giudicati, rilevante ai fini dell'ammissibilità del giudizio di revisione ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. tra la sentenza di assoluzione del pubblico ufficiale, pronunciata per difetto dell'elemento psicologico, e quella di condanna del privato beneficiario per il medesimo delitto di abuso d'ufficio, atteso che nella nozione di “fatti stabiliti a fondamento della sentenza” rientrano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ivi compreso il dolo intenzionale del pubblico ufficiale (Cass. IV, n. 44790/2014).

Ancora, il fatto dell'esistenza dell'associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei confronti di un associato, non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, “perché il fatto non sussiste”, tutti gli altri imputati della stessa associazione (Cass. I, n. 43516/2014, che, in motivazione, ha evidenziato che l'esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all'associazione richiesto dalla legge implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione).

Di recente, la Suprema Corte ha statuito che In tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull'inconciliabilità tra giudicati ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., il controllo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell'inammissibilità dell'istanza per manifesta infondatezza deve avere ad oggetto la verifica dell'irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio (Cass. III, n. 6172/2020).

Di recente, la Corte regolatrice, non discostandosi dal proprio consolidato indirizzo interpretativo, ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non comprende la sentenza favorevole all'estradizione tra i provvedimenti suscettibili di revisione, affermando che la funzione dello istituto della revisione è quella di sanare una contraddizione tra la verità formale contenuta nel giudicato e la successiva verità reale emersa da situazioni che non hanno potuto essere valutate nella sentenza di condanna; la procedura costituisce, pertanto, un rimedio eccezionale per porre fine ad una ingiustizia sostanziale che l'ordinamento non può tollerare. Del tutto diversa è la ratio nella procedura di estradizione la cui sentenza non ha la finalità di riconoscere una responsabilità penale e di applicare una sanzione, ma di verificare se la richiesta dello Stato estero, che ha inoltrato la domanda, sia conforme alle previsioni degli accordi internazionali. Gli eventuali errori della sentenza che concede l'estradizione sono emendabili con ricorso per Cassazione, anche nel merito, a sensi dell'art. 706 c.p.p. Per tale decisione non è prevista la possibilità della revisione per il fondamentale motivo che non vi è un condannato ed errore giudiziario da riparare (Cass. VI, n. 29687/2022, ord.).

Segue. La revoca della sentenza sulla questione pregiudiziale

Ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. b), c.p.p. la revisione può essere proposta se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del Giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni di cui all'art. 3 o dell'art. 479 c.p.p.

La giurisprudenza, sulla base del presupposto che la dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo del reato di bancarotta, ha ritenuto che poiché la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento determina il venir meno di siffatto indispensabile presupposto e, dunque, della fattispecie delittuosa sopra menzionata, a fronte di espressa richiesta di revisione della sentenza di condanna penale, l'istante deve essere assolto dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto, previa revoca della sentenza di condanna, ricorrendo l'ipotesi prevista dall'art. 630, comma 1, lett. b), c.p.p. (App. L'Aquila 23 maggio 2013).

Va rammentato, a tale riguardo, che in tema di reati di bancarotta, il Giudice penale può disporre la sospensione del dibattimento a norma dell'art. 479 c.p.p. qualora sia in corso il procedimento civile per l'accertamento dello status di fallito, ferma restando, una volta che sia intervenuta sentenza definitiva di condanna, la facoltà del condannato di chiederne la revisione ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. b), c.p.p. (Cass. S.U., n. 19601/2008).

Segue. La prova nuova

Si tratta certamente del caso più frequente di richiesta di revisione. È, perciò, anzitutto importante definire cosa si intende per prova nuova a mente dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p.

Va anzitutto premesso che, ai fini della revisione della sentenza di condanna, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o una inedita disamina del deducibile, bensì l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo, con la conseguenza che non può costituire “prova nuova” un elemento già esistente negli atti processuali, ancorché non conosciuto o valutato dal Giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri di ufficio (così Cass. III, n. 28358/2016 in relazione ad una fattispecie nella quale la S.C. ha escluso che l'esistenza o la mancanza di una condizione di procedibilità assumesse rilievo ai fini della revisione, non concernendo una valutazione di fatto, bensì un apprezzamento di diritto la cui erroneità è denunciabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione). In tema di revisione, l'ipotesi prevista dall'art. 630, lett. c), c.p.p., può trovare applicazione solo qualora la prova dedotta, oltre a sostenere un'ipotesi di accusa alternativa, sia di per sé idonea ad inficiare quella posta a base della sentenza definitiva di condanna (Cass. VI, n. 16152/2014).

Secondo la giurisprudenza, ai fini della revisione del processo penale le “prove nuove” devono intendersi non solo quelle “sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal Giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato” (Cass. S.U., n. 28/2002; Cass. S.U., n. 624/2001).

È altresì ammissibile la richiesta di revisione fondata su prove preesistenti, già ammesse nel giudizio, e non acquisite per successiva rinuncia della parte, atteso che, a norma dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., per “prove nuove” debbono intendersi non solo quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite ovvero acquisite ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal Giudice (Cass. V, n. 26478/2015).

Secondo la Corte di Cassazione, poiché la dichiarazione liberatoria di un coimputato, o comunque di un soggetto che va esaminato ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p., deve essere valutata, ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p., “unitamente agli altri elementi che ne confermano l'attendibilità”, e non costituisce, pertanto, da sola, “prova nuova” agli effetti della richiesta di revisione, bensì mero elemento probatorio integrativo di quelli confermativi (Cass. II, n. 4150/2015).

Sempre in tema di prova nuova, anche le dichiarazioni della persona offesa che ritratti le precedenti accuse rivolte nei confronti del condannato, non sono ritenute sufficienti, di per sé, a costituire prove nuove idonee a sostenere un'istanza di revisione ai sensi dell'art. 630, lett. c), c.p.p., giacché le stesse soggiacciono alle regole della valutazione probatoria previste dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 192 c.p.p., le quali attribuiscono alle medesime la natura di semplici elementi di prova non dotate ex se di autonoma valenza probatoria, dovendo dette dichiarazioni essere prese in considerazione solo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità (Cass. III, n. 3417/2014). Analogamente, si è ritenuto che non integri “nuova prova”, ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. la semplice ritrattazione delle precedenti dichiarazioni testimoniali in assenza di specifici elementi di prova che avvalorino la falsità di queste, poiché l'ordinamento, per evidenti ragioni di coerenza, non può consentire che l'efficacia del giudicato possa essere automaticamente rimessa in gioco per effetto di dichiarazioni sospette (Cass. III, n. 5122/2013).

Del pari, sempre in tema di prova dichiarativa, si è ritenuto che non possa costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (Cass. III, n. 19598/2011).

Nella valutazione della richiesta di revisione spetta al Giudice stabilire se il nuovo metodo scientifico posto a base della richiesta, scoperto e sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, sia in concreto produttivo di effetti diversi rispetto a quelli già ottenuti e se i risultati così conseguiti, da soli o insieme con le prove già valutate, possano determinare una diversa decisione rispetto a quella, già intervenuta, di condanna (Cass. IV, n. 3446/2014; conf. Cass. VI, n. 34531/2013 che, in applicazione del medesimo principio ha annullato la decisione della Corte di Appello che aveva escluso potesse considerarsi prova nuova una perizia sugli esiti di uno stub da effettuarsi sulla base della metodica, nuova e successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, dello “spettro di microanalisi”; Cass. V, n. 14255/2013 che ha censurato la sentenza della Corte di Appello che aveva escluso a priori potesse considerarsi prova nuova una perizia fondata sulla metodologia IAT e TARA, volta a scandagliare la capacità mnemonica di un teste, metodologia illustrata in sede di richiesta di revisione da una consulenza tecnica effettuata come test nei confronti dell'imputato; Cass. S.U., 6 ottobre 1998, Bompressi, che ha ritenuto ammissibile una richiesta di revisione motivata su una diversa valutazione tecnico scientifica di elementi fattuali già noti ai periti e al Giudice quando risulti fondata su nuove metodologie, dal momento che la novità di queste ultime e, correlativamente, dei principi tecnico scientifici applicati, può in effetti condurre alla conoscenza non solo di valutazioni diverse, ma anche di veri e propri fatti nuovi).

In tema di revisione, non costituisce prova “nuova” una diversa valutazione tecnica o scientifica di dati già valutati, in quanto quest'ultima si traduce in un apprezzamento critico di emergenze già conosciute e delibate nel procedimento, sostanziandosi in una mera “rilettura” di un medesimo dato di fatto già processualmente accertato in via definitiva, mentre la prova può definirsi “nuova” a norma dell'art. 630 c.p.p. quando mira ad introdurre elementi di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio (Cass. VI, n. 53428/2014).

Di recente, la Corte di Cassazione ha ribadito come ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve portare all'effettivo accertamento di un fatto, la cui dimostrazione deve poi evidenziare come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Cass. VI, n. 8598/2021).

Segue. Il fatto illecito

Quanto alla revisione fondata su fatto illecito, essa può essere fondata sul presupposto della natura calunniosa delle precedenti dichiarazioni rese nel processo definito con sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, qualora la richiesta di revisione sia formulata a norma dell'art. 630, comma 1, lett. d), c.p.p., non spetta al Giudice della revisione accertare incidentalmente la calunnia, quando questa può essere ancora oggetto di verifica pleno iure in esito ad autonomo processo (Cass. III, n. 5122/2013).

Luogo di presentazione della richiesta

Per effetto di quanto stabilisce l'art. 633 c.p.p. (ed in deroga a quanto dispongono in via generale gli artt. 582 c.p.p.) la richiesta di revisione deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di Appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p. La specialità di tale previsione non rende possibile l'accesso all'alternativa forma di presentazione nella cancelleria del tribunale dove la parte privata si trova, prevista dall'art. 582, comma 2, c.p.p.; infatti, quest'ultima disposizione, espressione del principio del favor impugnationis, attribuisce pur sempre una facoltà eccezionale, concessa alle parti private solo nei casi tassativamente previsti, quale non è quello relativo alla presentazione della richiesta di revisione, in quanto nella disposizione di cui all'art. 633 c.p.p., che disciplina la forma della richiesta, manca un espresso richiamo dell'art. 582, comma 2, c.p.p. (Cass. VII, n. 25017/2003).

L'istanza di revisione del processo, presentata al direttore della casa circondariale presso cui il condannato si trova recluso, deve ritenersi come se fosse efficacemente ricevuta dalla competente autorità giudiziaria e quindi pienamente ammissibile, a norma dell'art. 123 c.p.p. (Cass. IV, n. 3239/1998).

L'art. 36, d.lgs. n. 150/2022 ha inserito nel tessuto codicistico, con il Titolo III-bis aggiunto al Libro IX, il nuovo istituto di cui all'art. 628-bis, “Richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali”, inserendolo tra il giudizio di cassazione e quello di revisione. Il rimedio di nuovo conio è destinato a sostituire la cd. revisione europea qui commentata – che, come è noto, era stata introdotta con la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113/2011 – assegnando al giudice di legittimità la riapertura del processo definito con sentenza o decreto penale irrevocabili adottati in violazione di diritti riconosciuti dalla Convenzione EDU. Per un approfondimento del nuovo istituto, si rinvia alla rispettiva formula subart. 628-bis c.p.p.

Occorre anzitutto premettere che, seppur con riferimento alla revisione euroepa disciplinata dall'art. 630 c.p.p., dunque, ante art. 628-bis c.p.p. si è affermato che non può costituire motivo di revisione della sentenza di condanna l'asserita violazione di diritti fondamentali previsti dalla Convenzione EDU (per la quale alle condizioni previste dalla legge è stato introdotto il mezzo regolato all'art. 628-bis c.p.p.) in quanto la nuova ipotesi di revisione introdotta -allora- dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva n. 113/2011 presuppone che la decisione della corte EDU, cui sia necessario conformarsi, sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure abbia natura di “sentenza pilota” riguardante una situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all'interno del medesimo ordinamento giuridico (Cass. VI, n. 29167/2016; Cass. VI, n. 31441/2015; conf. Cass. VI, n. 46067/2014; Cass. III, n. 8358/2014).

A tale riguardo, peraltro, prima dell'inserimento del peculiare meccanismo regolato all'art. 628-bis c.p.p. si è affermato che la mera pendenza di un ricorso individuale presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per asserita violazione dei principi in tema di giusto processo non legittima il Giudice dell'esecuzione a disporre la sospensione dell'esecuzione della pena, essendo tale possibilità subordinata all'accoglimento del ricorso in sede sovranazionale ed alla successiva attivazione, da parte del condannato, della procedura di revisione introdotta a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113/2011 (Cass. I, n. 41307/2015).

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