Richiesta di declaratoria di non esecutività del titolo e di sospensione dell'esecuzione (art. 670) ed eventuale richiesta di restituzione in termini per impugnare (art. 175, comma 2)InquadramentoL'accertamento ex art. 670 c.p.p. è diretto a verificare la sussistenza dei requisiti di forma e di sostanza del titolo esecutivo, per cui due sono i vizi che assumono rilevanza in tale sede: la mancanza e la non esecutività del titolo esecutivo. Trattasi di ipotesi che – secondo la dottrina – danno origine ad un giudicato apparente. FormulaIL TRIBUNALE DI ... GIUDICE DELL'ESECUZIONE [1] *** richiesta di declaratoria di non esecutività del titolo e di sospensione dell'esecuzione e di restituzione in termini per impugnare Proc. N. ... Provvedimento N. ... Il sottoscritto Avv. ... del Foro di ... , con studio in ... , difensore di fiducia e procuratore speciale, come da nomina allegata, del Sig. ... , nato il ... , a ... , premesso - che, con sentenza del ... di ... , pronunciata in data ... , divenuta irrevocabile in data ... , il Sig. ... è stato condannato alla pena di ... per i reati di cui agli artt. ... ; - che il Sig. ... è stato raggiunto dall'ordine di carcerazione emesso dal Pubblico Ministero in data ... e notificatogli il ... ; - che, per l'effetto, il Sig. ... è attualmente recluso presso la Casa circondariale di ... a partire dal ... , con fine pena fissato il ... ; - che, tuttavia, si contesta l'esecutività del titolo esecutivo sopraindicato, dato che il Sig. ... (qui: specificare le ragioni a sostegno della richiesta); - che, pertanto, occorre provvedere alla sospensione dell'esecuzione in corso con conseguente scarcerazione del Sig. ... ; - che, inoltre, il Sig. ... dichiara sin da subito che intende proporre appello avverso la sentenza di condanna sopraindicata, dato che .... Tanto premesso, il sottoscritto difensore, ai sensi dell'art. 670 c.p.p. dichiara di proporre appello avverso alla sentenza di condanna n. ... emessa dal ... di ... , divenuta esecutiva il ... a carico del Sig. ... per i motivi di cui in narrativa (qui: specificare le ragioni per cui si intende proporre appello avverso alla sentenza). E, pertanto, chiede che la S.V. voglia dichiarare la non esecutività del titolo esecutivo di cui in epigrafe, sospendendo l'esecuzione della pena in corso e provvedendo alla scarcerazione immediata del Sig. ... , con la trasmissione degli atti al Giudice competente per il gravame. Allega: - la nomina difensiva e procura speciale; - ... (la documentazione utile a sostegno della richiesta). Con la massima osservanza. Luogo e data ... Avv. ... 1. Volendo, far precedere la richiesta, dalla dovuta intestazione, indirizzando l'istanza al Giudice dell'esecuzione competente. Indicare il Giudice dell'esecuzione competente a decidere; qui – in termini esemplificativi – si è indicato il Tribunale. CommentoPremessa. La disciplina in esame secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo Come è noto, in tema di rapporti tra giurisdizione interna e giurisdizione europea, si registrano dei casi pilota in ragione dei quali, da una parte, il legislatore è intervenuto a modifica della disciplina dei rimedi in materia di difetto di conoscenza del processo penale; dall'altra, la giurisprudenza è stata costretta a confrontarsi con questioni giuridiche nuove, in primis, l'eseguibilità del titolo esecutivo interno a fronte di una sentenza di condanna della Corte europea del diritti dell'uomo che censurava la conformità del titolo esecutivo (si parla, di “giudicato europeo”). La triade di cases law, lungo la quale si è snodata la discussione circa l'ammissibilità di rimedi interni in ordine alla declaratoria dell'ineseguibilità del titolo esecutivo e/o della revoca del giudicato, con conseguente riapertura del procedimento penale, è la seguente: (1) case law: nel caso Somogyi c. Italia, la Corte di Strasburgo ha riscontrato una violazione dell'art. 6 CEDU, nella misura in cui le autorità nazionali non hanno dato piena prova di aver adempiuto all'obbligo di assicurare l'effettiva conoscenza al ricorrente del procedimento penale a suo carico. a) Soluzione interna: la Corte di Cassazione ha fatto ricorso all'applicazione dell'istituto della rimessione in termini per impugnare di cui all'(precedente) art. 175, comma 2, c.p.p., nel frattempo introdotto dal d.l. n. 17/2005 (conv. con l. 60/2005), con l'espresso intento di adeguare l'ordinamento alla giurisprudenza della Corte EDU; (2) case law: nel caso Dorigo c. Italia, la Commissione europea ha affermata la sussistenza della lesione, da parte delle autorità giudiziarie italiane, dell'art. 6, §§ 1 e 3 CEDU, in ragione della sentenza di condanna emessa in violazione dei princìpi in materia di utilizzabilità della prova in sede dibattimentale. b) Soluzione interna: in tale occasione, il rimedio processuale utilizzato è stato l'incidente di esecuzione ex art. 670 c.p. a fronte dell'ineseguibilità del titolo esecutivo su cui si fondava l'esecuzione della pena detentiva. Tuttavia, la Corte di appello di Bologna, in qualità di Giudice dell'esecuzione ha sollevata una seconda questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede la rinnovazione del processo a seguito di pronuncia di condanna della Corte europea con la quale si sancisce la violazione dell'art. 6 CEDU in tema di giusto processo. Come è noto, a conclusione della pronuncia n. 113/2011, la Corte costituzionale ha deciso diversamente (rispetto alla precedente n. 129/2008): si è stabilito, infatti, che l'art. 630 c.p.p. è incostituzionale nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di consentire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte EDU ex art. 46, § 1 CEDU. Nelle ipotesi di violazioni dell'art. 6 CEDU, la Corte costituzionale ha dimostrato di condividere la posizione già espressa dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso Drassich, secondo la quale è la “riapertura del processo il meccanismo più consono ai fini della restitutio in integrum”, non ritenendo di avallare le altre precedenti soluzioni alternative: limitato è infatti il campo dell'applicazione del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto di cui all'art. 625-bis c.p.p., in quanto con esso si possono rimediare solo eventuali violazioni verificatesi in sede di Cassazione; inadeguato è, altresì, l'istituto della rimessione in termini per la proposizione dell'impugnazione ex art. 175, comma 2, c.p.p., attesa la sua limitata applicabilità per i soli vizi del processo contumaciale; insoddisfacente è, infine, la soluzione praticata nel caso Dorigo, in quanto l'incidente di esecuzione «“congela” il giudicato, impedendone l'esecuzione, ma non lo elimina, collocandolo a tempo indeterminato in una sorta di “limbo processuale”», non consentendo neppure l'auspicata restitutio in integrum cui spesso la Corte europea allude. Ricostruito, quindi, lo stato dell'arte in questi termini, la Corte costituzionale si fa carico di individuare essa stessa quale possa essere lo strumento che consenta di ottemperare agli obblighi discendenti dall'art. 46 CEDU, individuato nella revisione ex art. 629 c.p.p. ss., delineando, in sostanza, un istituto nuovo, una sorte di revisione “atipica”, che mal si concilia con la ratio della revisione tipica di cui all'art. 630 c.p.p. Trattandosi di una fattispecie nuova, i giudici costituzionali hanno infatti ritenuto opportuno identificare altresì i presupposti in base ai quali il Giudice ordinario è chiamato ad applicare tale istituto: si è chiarito, infatti, che la “necessità della riapertura andrà apprezzata [...] in rapporto alla natura oggettiva della violazione accertata”. Oltre alla “natura oggettiva della violazione accertata”, la Corte ha ricordato come vadano tenute in debito conto, ovviamente, anche le «indicazioni contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta, nonché nella sentenza “interpretativa” eventualmente richiesta alla Corte di Strasburgo dal Comitato dei ministri, ai sensi dell'art. 46, § 3, della CEDU» (v. Corte cost., n. 113/2011). Non solo: secondo la Corte, inoltre, si è specificato che non possono applicarsi le disposizioni tradizionalmente preordinate al proscioglimento del condannato, come gli artt. 631 e 637, commi 2 e 3, c.p.p. (3) case law: nel caso Drassich c. Italia, la quaestio iuris ha avuto ad oggetto la diversa qualificazione del reato di cui in imputazione in un'ipotesi più grave in sede di legittimità: tale circostanza veniva interpretata dalla Corte europea quale violazione dell'art. 6, §§ 1 e 3 CEDU. c) Soluzione interna: la Suprema Corte, investita della questione in qualità di Giudice dell'esecuzione, ha individuato quale soluzione applicativa, secondo un'interpretazione analogica della disciplina delle impugnazioni straordinarie, il ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625-bis c.p.p., quale rimedio più appropriato alla riparazione della violazione accertata. La norma Il Giudice dell'esecuzione che accerti “che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo” ha l'obbligo di emettere la relativa declaratoria e di sospenderne l'esecuzione, e, solo qualora si sia già data attuazione al titolo esecutivo, ha il dovere di disporre anche la liberazione dell'interessato. Inoltre, come anticipato sopra nell'introduzione in forza della “carrellata” di pronunce che hanno interessato la Corte di Strasburgo, il Giudice dell'esecuzione deve dichiarare ineseguibile la sentenza passata in giudicato qualora, una pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia riconosciuto l'iniquità del processo per violazione delle prescrizioni poste dall'art. 6 CEDU (Cass. S.U., n. 34472/2012). L'incidente di esecuzione di cui all'art. 670 c.p.p. rappresenta quindi la sede elettiva per far valere determinate questioni concernenti il titolo esecutivo che assumono natura pregiudiziale rispetto a tutte le altre questioni. Il condannato che lamenti la mancanza o l'ineseguibilità del titolo esecutivo, si deve attivare per l'accertamento concernente la validità del titolo stesso (si preferisce, infatti, sostenere che l'intervento del Giudice dell'esecuzione debba avvenire su impulso delle parti, in base al principio ne procedat iudex ex officio). Tale attività è di competenza del Giudice dell'esecuzione, al quale, una volta che il procedimento abbia raggiunto la fase esecutiva, può essere chiesto di verificare la validità o l'esistenza stessa del titolo esecutivo. Le tipologie di vizi che possono riguardare il titolo esecutivo possono essere individuate intorno ai seguenti concetti: esecutività, che rappresenta il presupposto fondamentale del titolo esecutivo; esecutorietà, che ne rappresenta il contenuto; esecuzione che ne costituisce l'attuazione. La sentenza di condanna irrevocabile ed esecutiva rappresenta, quindi, il titolo esecutivo penale. Con l'espressione “titolo esecutivo” – formula tipicamente processualcivilistica, mutuata dalla nozione di cui all'art. 474 c.p.c. – si intende il comando, ovverosia in pratica il dispositivo, contenuto nel provvedimento di condanna definitivo. Termine introdotto per la prima volta nel codice del 1988, all'interno dell'art. 670 c.p.p. sulle “Questioni sul titolo esecutivo”, esso esprime la “forza esecutiva” del precetto sanzionatorio che segue alla necessaria irrevocabilità della sentenza di condanna. Dall'esecutività in astratto non sempre segue l'eseguibilità concreta della sentenza di condanna: il binomio esecutività ed eseguibilità (o esecutorietà) può essere, infatti, interrotto (e, quindi, la sentenza di condanna astrattamente idonea a fungere da titolo esecutivo per l'esecuzione penale non verrà concretamente eseguita) nella misura in cui meccanismi sospensivi, quali, l'art. 656, comma 5, c.p.p. ovvero altre disposizioni, lato sensu sospensive dell'esecuzione, come, in primis, il differimento dell'esecuzione delle pene detentive, exartt. 146-147 c.p., la sospensione dell'esecuzione a favore dei condannati tossicodipendenti che abbiano in corso o abbiano portato a termine un programma terapeutico ex art. 90 t.u. stup., sospendono o rinviano l'inizio dell'esecuzione fino al venir meno del presupposto preclusivo ovvero a seguito della decisione del tribunale di sorveglianza sull'istanza di misura alternativa avanzata dall'interessato nelle more della sospensione dell'ordine di esecuzione. In tale ultimo caso, il più significativo, può dirsi che l'esecuzione penale inizi solamente per effetto dell'ordinanza di diniego (con la ripresa dell'iter esecutivo della pena detentiva) o di concessione della misura alternativa: nell'ipotesi di concessione di misura alternativa, l'intervento della magistratura di sorveglianza, ancor prima dell'eseguibilità del provvedimento, determina qualitativamente la pena definitiva da eseguire. L'accertamento ex art. 670 c.p.p. è diretto a verificare la sussistenza dei requisiti di forma e di sostanza del titolo esecutivo, per cui due sono i vizi che assumono rilevanza in tale sede: la mancanza e la non esecutività del titolo esecutivo. Trattasi di ipotesi che – secondo la dottrina – danno origine ad un giudicato apparente. Per quel che attiene ai casi di mancanza del titolo, oltre alle ipotesi (di scuola) dell'inesistenza giuridica, si affiancano anche quelle di inesistenza materiale. In ordine alla non esecutività del titolo esecutivo, si ritiene possa configurarsi tutte le volte che, ferma restando la sua validità, non sia stata realizzata la conoscenza legale che permette all'imputato di impugnarlo: ad es., la non esecutività della sentenza potrebbe derivare da un vizio di notifica (omessa o invalida notifica dell'avviso di deposito della sentenza, quando il Giudice non abbia rispettato il termine per il deposito della motivazione previsto per legge o indicato nel dispositivo) o da un'erronea dichiarazione di irreperibilità del condannato. Giudice dell'esecuzione e declaratoria di non esecutività del provvedimento Ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 670 c.p.p., si assegna sia al Giudice dell'esecuzione sia al Giudice dell'impugnazione la competenza a decidere in tema di declaratoria di non esecutività del provvedimento. Risulta quindi possibile: 1) presentare l'istanza contestualmente dinnanzi al Giudice dell'esecuzione e a quello dell'impugnazione; 2) rivolgersi dapprima al Giudice dell'esecuzione per poi attivare il meccanismo dell'impugnazione; 3) rivolgersi esclusivamente al Giudice dell'impugnazione. Nell'ipotesi sub 1), è fatto obbligo al Giudice dell'esecuzione, dopo aver provveduto sulla richiesta dell'interessato, di trasmettere gli atti al Giudice della cognizione competente; nel caso sub 2), il rigetto dell'istanza dell'interessato, non preclude la nuova proposizione della stessa dinnanzi al Giudice dell'impugnazione, dato che “se ritiene ammissibile il gravame” e, di conseguenza, solo apparentemente tardiva l'impugnazione o l'opposizione, “sospende con ordinanza l'esecuzione che non sia già stata sospesa”; nell'ipotesi sub 3), infine, si esclude in dottrina che il Giudice dell'esecuzione possa pronunciarsi successivamente ed, in particolare, che possa essere contestata in quella sede la esecutività del titolo dopo che sia stata dichiarata inammissibile l'impugnazione. Fortemente discussa la questione sull'ammissibilità della proposizione di una richiesta di restituzione in termini unitamente all'impugnazione tardiva o all'incidente di esecuzione. Secondo la norma, però, tale contrasto trova una sua lineare soluzione dal momento che, se è vero che la parte “nel proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisce che comunque sussistono i presupposti e le condizioni per la restituzione nel termine”, vuol dire che il legislatore ha inteso ovviare alla discrasia, concependo l'istanza ex art. 175 c.p.p. come un quid logicamente subordinato all'accertamento della validità del titolo esecutivo, nel senso che può esservi decisione sulla restituzione solo nel caso di rigetto della questione sulla non esecutività del titolo (Cass. S.U., n. 34472/2012). Al comma 3 dell'art. 670 c.p.p., si stabilisce che la decisione sulla richiesta restitutoria adottata da uno dei due giudici funzionalmente competenti preclude la riproposizione della medesima istanza dinnanzi al Giudice che non è stato investito della questione, la mera presentazione della richiesta di specie al Giudice dell'impugnazione esclude, per ciò solo, che il Giudice dell'esecuzione vi si possa pronunciare (Cass. V, n. 2729/1996; Cass. V, n. 2966/1996; Cass. I, n. 4989/1995; Cass. VI, n. 843/1995). In tema di restituzione in termini competente a decidere, in via principale, è il Giudice dell'impugnazione; qualora l'istanza relativa ad ottenere l'accertamento della non esecutività della sentenza venga rigettata, il Giudice dell'esecuzione legittimamente si spoglia della competenza a provvedere sulla richiesta di rimessione nei termini (Cass. I, n. 17886/2003; Cass. VI, n. 9088/2003; Cass. VI, n. 30758/2002). Tuttavia, occorre rilevare come in tema di opposizione a decreto penale di condanna competente a decidere sulla relativa richiesta di restituzione nel termine sia il Giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto opposto (Cass. S.U., n. 34472/2012). Va detto, poi, che la restituzione nei termini per impugnare avanzata in esecuzione, soggiace integralmente alla disciplina prevista dall'art. 175 c.p.p. (Cass. V, n. 2729/1996; Cass. V, n. 2966/1996; Cass. I, n. 4989/1995; Cass. VI, n. 843/1995), nè può ritenersi implicitamente presentata con la richiesta di incidente d'esecuzione (Cass. VI, n. 30758/2002; Cass. III, n. 38344/2001; Cass. I, n. 5003/1999). Si è altresì precisato che determina la nullità della decisione di incompetenza la violazione della regola di competenza funzionale, di cui all'art. 670, comma 3, c.p.p., che impone al Giudice dell'esecuzione, se non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento, di decidere sulla richiesta di restituzione nel termine, contestualmente proposta dal condannato. Secondo la Corte Costituzionale è legittima la norma che preclude al Giudice dell'esecuzione di rilevare la nullità della sentenza di merito derivante da violazione della competenza funzionale del tribunale per i minorenni. Infatti, sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 670 c.p.p., sollevate in riferimento agli artt. 3,10,13,25, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 5, § 1, lett. a), e 4, CEDU, nella parte in cui non consente al Giudice dell'esecuzione di rilevare la nullità della sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del tribunale per i minorenni. Inoltre, Vanno dichiarate non fondate le q.l.c. dell'art. 670 c.p.p. nella parte in cui non consente al Giudice dell'esecuzione di rilevare la nullità della sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni il rimedio - auspicato dal Giudice a quo - della dichiarazione di nullità della sentenza nel quadro di un incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 670 c.p.p. non è costituzionalmente imposto; anzi, l'introduzione di tale rimedio risulterebbe foriero di gravi squilibri nel sistema della rilevazione delle nullità, così come disegnato dal codice di procedura penale. Tale sistema è imperniato attorno al principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.): un principio che è, esso stesso, il frutto di un delicato bilanciamento che coinvolge, tra l'altro, la necessità di tutelare in maniera effettiva i diritti processuali dell'imputato e l'esigenza di assicurare la capacità del processo medesimo di pervenire, entro un termine ragionevole, ad accertamenti in linea di principio definitivi, anche relativamente alla sussistenza di eventuali errores in procedendo nelle fasi e gradi precedenti. La pronuncia additiva auspicata dal rimettente introdurrebbe nel sistema un'ipotesi del tutto anomala di nullità, resistente alla formazione del giudicato, e derogatoria rispetto alla regola implicita di chiusura del sistema di cui si è detto (Corte cost., n. 2/2022). Le Sezioni Unite, con recente pronuncia, hanno formulato il principio secondo cui, il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall'omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il Giudice dell'esecuzione per richiedere ai sensi dell'art. 670 c.p.p. in relazione ai detti vizi, la declaratoria dell'illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività. Può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., allegando l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità (Cass. S.U., n. 15498/2020). Casistica Integra un'ipotesi di non esecutività della sentenza, deducibile ai sensi dell'art. 670 c.p.p., l'omessa notificazione dell'avviso di deposito con l'estratto della sentenza di condanna emessa nei confronti di un imputato erroneamente dichiarato assente, anziché contumace, in un processo in cui, ai sensi dell'art. 15-bis, comma 2, della l. n. 67/2014, continuano a trovare applicazione le disposizioni anteriori all'entrata in vigore di tale legge, atteso che, anche nel caso in cui il difensore non abbia eccepito dinanzi al Giudice della cognizione la violazione dell'indicata disciplina transitoria, la situazione sostanziale di contumacia dell'imputato impone comunque la notificazione dei predetti atti, a norma dell'art. 548, comma 3, c.p.p., "ratione temporis" vigente (Cass. I, n. 1552/2018). Sulla competenza del Giudice dell'esecuzione, vedi la Cass. n. 25538/2018, per cui: “Il Giudice dell'esecuzione non può annullare l'ordine di esecuzione emesso dal Pubblico Ministero senza il contestuale provvedimento di sospensione per pene detentive brevi, ma deve esclusivamente dichiararlo temporaneamente inefficace per consentire al condannato di presentare, nel termine di trenta giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione”. Da segnalare la presa di posizione della Cassazione sul caso Contrada c. Italia (sent. Corte EDU del 14 aprile 2015), per cui: «La decisione della Corte EDU del 14 aprile 2015 nel procedimento Contrada contro Italia non può essere estesa a casi diversi da quello che ne forma direttamente oggetto, in relazione al quale soltanto vigono gli obblighi di conformazione imposti dall'art. 46 CEDU, in quanto l'assunto per il quale il concorso esterno in associazione di tipo mafioso costituirebbe reato di "creazione giurisprudenziale" non corrisponde alla realtà dell'ordinamento penale nazionale che si ispira al modello della legalità formale». In senso analogo, vedi il caso Dasgupta, per cui: «In tema di esecuzione, non può essere addotta a fondamento di una richiesta di ineseguibilità del giudicato ai sensi dell'art. 670 c.p.p. la violazione dei principi espressi dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 27620/2016, Dasgupta, in tema di necessaria rinnovazione in appello della prova dichiarativa nel caso di riforma di sentenza assolutoria, rappresentando essi l'esito di un percorso interpretativo che, pur traendo spunto dalla giurisprudenza della Corte EDU, ha ad oggetto il sistema processuale interno ed è destinato ad uniformare solo per il futuro l'orientamento giurisprudenziale, in ragione del suo valore nomofilattico, senza possibilità di incidere retroattivamente "ab extrinseco" nei casi in cui già si sia formato il giudicato» (così Cass. I, n. 53389/2018). Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, sono deducibili con incidente di esecuzione solo le nullità attinenti al titolo esecutivo per il riconoscimento di sentenza penale straniera: Cass. I, n. 46923/2022. Le nullità assolute ed insanabili derivanti, in giudizio celebrato in assenza, dell'omessa citazione dell'imputato e/o del suo difensore non sono deducibili mediante incidente di esecuzione: Cass. I, n. 40538/2022. Non può essere fatta valere come ipotesi di revisione la inutilizzabilità sopravvenuta delle intercettazioni: Cass. VI, n. 19429/2022. |