Richiesta di revoca di sentenza o decreto penale di condanna per abolizione del reato (art. 673)InquadramentoLa norma di cui all'art. 673 c.p.p. è espressione del principio dello ius superveniens più favorevole al reo. Rappresenta, inoltre, in chiave simbolica un importante grimaldello al principio contrapposto dell'intangibilità del giudicato. FormulaIL TRIBUNALE DI ... GIUDICE DELL'ESECUZIONE [1] *** Istanza di revoca di sentenza per abolizione del reato Proc. pen. N. ... Il sottoscritto Avv. ... del Foro di ... , con studio in ... , difensore di fiducia, come da nomina allegata, del Sig. ... , nato il ... , a ... , premesso - che, con sentenza del ... di ... , pronunciata in data ... , divenuta irrevocabile in data ... , il Sig. ... è stato condannato alla pena di ... per i reati di cui agli artt. ... ; - che in data ... è stata emanata la seguente legge di riforma ... entrata in vigore a partire dal ... , con cui il legislatore ha inteso espressamente (qui: riportare con precisione il riferimento normativo e l'indicazione espressa del legislatore se abrogazione espressa) decriminalizzare la condotta oggetto di condanna prevista e punita dal codice penale ai sensi dell'art. ... ; - che, pertanto, per effetto dell'art. ... della legge ... il reato oggetto della sentenza di condanna è da ritenersi abrogato, atteso che ... (qui: argomentare in ordine agli elementi costitutivi della richiesta). Tanto premesso, il sottoscritto difensore, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., chiede che la S.V., ai sensi dell'art. 673 c.p.p., revochi la sentenza di condanna con ogni effetto di legge. Allega: - la nomina difensiva; - ... (la documentazione utile a sostegno della richiesta, come, ad es., la sentenza di riferimento). Con la massima osservanza. Luogo e data ... Avv. ... 1. Volendo, far precedere la richiesta, dalla dovuta intestazione, indirizzando l'istanza al Giudice dell'esecuzione competente. Indicare con precisione l'organo giurisdizionale competente. CommentoLa ratio : ius superveniens più favorevole al reo La norma è espressione del principio dello ius superveniens più favorevole al reo. Rappresenta, inoltre, in chiave simbolica un importante grimaldello al principio contrapposto dell'intangibilità del giudicato. Principio, quest'ultimo, fortemente ridimensionato nelle logiche giurisprudenziali, atteso che: “La Costituzione della Repubblica e, successivamente, il nuovo codice di procedura penale hanno ridimensionato profondamente il significato totalizzante attribuito all'intangibilità del giudicato quale espressione della tradizionale concezione autoritaria dello Stato e ne hanno, per contro, rafforzato la valenza di garanzia individuale”. La conseguenza è la seguente: la forza della “cosa giudicata” in ambito penale, se “nasce dall'ovvia necessità di certezza e stabilità giuridica e della stessa funzione del giudizio”, “deriva soprattutto dall'esigenza di porre un limite all'intervento dello Stato nella sfera individuale e si esprime essenzialmente nel divieto di bis in idem, al fine di impedire la celebrazione di un nuovo processo per il medesimo fatto nei confronti della stessa persona” (così, v. Cass. S.U., n. 42858/2014). L'art. 673 c.p.p. trova applicazione nel caso in cui a fronte di provvedimenti normativi di decriminalizzazione della condotta ritenuta o di una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, intervenuti successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, il Giudice dell'esecuzione è chiamato a verificare – nel contraddittorio delle parti - se persista l'illeceità penale del fatto, così come accertato dal Giudice della cognizione (oppure è tenuto a verificare se lo ius superveniens abbia determinato un fenomeno di successione di leggi, rilevante solo ex art. 2, comma 2, c.p. ovvero se l'abrogatio abbia causato anche l'abolitio del reato già oggetto d'accertamento giudiziale). In altri termini, si ritiene che al Giudice dell'esecuzione venga attribuito un compito delimitato: accertare l'effettiva esistenza di una volontà abrogativa sopravvenuta in ordine al reato ritenuto in sentenza; in caso positivo, il Giudice dell'esecuzione non ha alternative, dovendo attivarsi nel senso imposto dall'art. 673 c.p.p., che implica esclusivamente l'accertamento dell'abrogazione della norma incriminatrice per cui è sentenza. La revoca di una sentenza di condanna per abolizione di una norma incriminatrice è attribuita, in via esclusiva, al Giudice dell'esecuzione; la revoca comporta l'eliminazione in radice del giudicato formatosi, ma non determina, però, la risoluzione dell'effetto preclusivo (ex art. 649 c.p.p.) o dell'efficacia extrapenale dell'accertamento (exartt. 651-654 c.p.p.). Ambiti applicati dell'art. 673 c.p.p.: le nuove frontiere a) Sopravvenienza legislativa: trattasi del caso espressamente tipizzato di abolitio criminis, ex art. 2, comma 2, c.p. e 673 c.p.p., che, come è noto, comporta la rimozione integrale del giudicato penale di condanna e di tutti gli effetti penali della condanna, fatta eccezione per le obbligazioni civili. b) Sopravvenienza comunitaria: trattasi del caso non espressamente tipizzato, ma assimilato ai fenomeni abolitivi di cui all'art. 673 c.p.p. di dichiarazione di incompatibilità della norma interna rispetto al diritto dell'Unione ad opera della Corte di Giustizia dell'Ue, che, come si è visto, comporta la rimozione integrale del giudicato penale di condanna e di tutti gli effetti penali della condanna (fatta eccezione per le obbligazioni civili), in ragione dell'efficacia diretta del diritto comunitario sull'ordinamento interno; il Giudice ordinario risulta quindi direttamente vincolato, senza che incomba su di esso alcun obbligo di investire la Corte costituzionale (caso Corte eur. dir. uomo, Eldridi c. Italia, ric.). c) Sopravvenienza costituzionale: sulla tipologia di sopravvenienza in esame, il fulcro della l'estensione dello schema applicativo artt. 30, comma 4 della l. n. 87/1953 e 673 c.p.p. anche alle ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma sanzionatoria e non incriminatrice (v. Corte cost., n. 32/2014). Si è assistita anche un'estensione dell'applicabilità del rimedio di cui all'art. 673 c.p.p. a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante (ex art. 61, n. 11-bis). A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della circostanza aggravante della “clandestinità”, di cui all'art. 61, n. 11-bis, c.p., è ammissibile adire il Giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 673 c.p.p., al fine di ottenere la dichiarazione di non eseguibilità del quantum di pena inflitto in applicazione dell'aggravante dichiarata illegittima (Corte cost., n. 249/2010; Trib. Milano 26 gennaio 2011). Nello stesso senso si è affermato che successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del Giudice dell'esecuzione (Cass. III, n. 31389/2015). Un significativo ampliamento dei poteri del Giudice dell'esecuzione si deve poi alla giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui tale organo giurisdizionale può revocare una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal Giudice della cognizione (Cass. S.U., n. 26259/2015); d) Sopravvenienza del mutamento giurisprudenziale: la questione concerne la possibile rilevanza “dell'iperretroattività di una lex mitior che scaturisce non già da una fonte legale, bensì origina da una fonte di matrice giurisprudenziale”. In altri termini, si tratta di stabilire se il “precedente” giudiziale delle Sezioni Unite possa assurgere a regola iuris da applicarsi anche nei procedimenti penali successivi, “in funzione dell'identità o analogia tra i fatti del primo caso e i fatti dei restanti casi”. Questione divenuta attuale, per effetto di una molteplicità di fattori, già in precedenza evidenziati: da una parte, infatti, si assiste ad un progressivo affinamento delle differenze culturali e giuridiche tra i Paesi, a tradizione di civil law, come quello italiano, a Paesi con tradizioni di common law, grazie dell'influenza sugli stessi della giurisprudenza sovranazionale in materia penale, e, in particolar modo, in relazione al principio di legalità. Pronuncia principe in tema, è rappresentata da Sezioni Unite Alecev, n. 16453/2011 (Cass. S.U., n. 16453/2011). Si è inoltre sostenuto che il Giudice dell'esecuzione che disponga la revoca di condanna per abolitio criminis può applicare ad altra condanna la sospensione condizionale della pena che sia stata impedita, nel giudizio di cognizione, dalla sentenza revocata, quando la concessione del beneficio sia giustificata dalla valutazione degli elementi acquisiti nel momento in cui egli stesso formula il giudizio prognostico (Cass. I, 20 giugno 2014; Cass. I, 25 settembre 2008. La Consulta (Corte cost., n. 96/1996) ha ribadito che l'art. 673 c.p.p. trova applicazione anche quando la condanna riguarda plurime imputazioni in ordine ad una o ad alcune soltanto delle quali sia intervenuta l'abrogazione. In tali casi, al provvedimento di revoca non osta il fatto che la sentenza passata in giudicato sia stata emanata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. Conseguentemente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che qualora il reato abrogato riguardi un solo capo di condanna il Giudice dell'esecuzione revoca la sentenza limitatamente a tale capo, atteso che nell'economia dell'art. 673 c.p.p. per “sentenza di condanna” deve intendersi la statuizione di condanna (o altra a essa equiparata) su ogni singolo capo della regiudicanda (Cass. VI, 29 marzo 2000). Così l'art. 673 c.p.p. opera in relazione alla sentenza di cui all'art. 444 c.p.p., anche quando sia già maturata l'estinzione ex art. 445, comma 2 (Cass. III, 15 gennaio 2002). Al Giudice dell'esecuzione, inoltre, compete il potere di concedere la sospensione condizionale della pena, in conseguenza della revoca di precedenti condanne per abolitio crimins, previa formulazione del giudizio prognostico ex art. 164, comma 1, c.p., effettuato in virtù degli elementi già acquisiti, nonché di quelli sopravvenuti (Cass. S.U., 20 dicembre 2005). Il quadro è andato ulteriormente modificandosi di recente: la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del Giudice dell'esecuzione. In tale compito, il Giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato, ma il provvedimento correttivo non è a contenuto predeterminato, nel senso che quel Giudice può avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando solo i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l'applicazione di norme di più favorevoli eventualmente medio tempore approvate dal legislatore (Cass. III, n. 31389/2015). Casistica In tema di disciplina della circolazione stradale, l'estinzione del reato a seguito del positivo espletamento della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285/1992, non può essere equiparata alla revoca della sentenza di condanna ex art. 673 c.p.p.; ne consegue che la sentenza di condanna a tale sanzione può essere legittimamente ritenuta causa ostativa al riconoscimento della sospensione condizionale della pena in relazione ad altro reato giudicato separatamente (Cass. I, n. 17414/2019). Sempre, in tema di esecuzione, il Giudice adito con istanza di revoca della sentenza definitiva di condanna a seguito della sopravvenuta dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42/2004, deve dichiarare l'estinzione per prescrizione del reato oggetto della predetta sentenza, riqualificato come contravvenzione, ai sensi del comma 1 della norma citata, qualora la prescrizione sia maturata in pendenza del procedimento di cognizione e fatti salvi i rapporti ormai esauriti (Cass. III, n. 55015/2018; Cass. III, n. 38691/2017; Cass. III, n. 52438/2017). Secondo la Cassazione, inoltre, rientra tra le competenze del Giudice dell'esecuzione la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., delle statuizioni civili contenute in una sentenza definitiva di assoluzione dell'imputato dal delitto ascrittogli per intervenuta abrogazione dello stesso e sua trasformazione in illecito civile ai sensi dell'art. 1, d.lgs. n. 7/2016, essendo tali statuizioni state adottate in totale assenza di potere giurisdizionale (Cass. I, n. 21102/2018). In materia tributaria, la nuova fattispecie di reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000, come modificata dall'art. 8, del d.lgs. n. 158/2015, che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l'abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell'abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma 2, c.p. e 673, comma 1, c.p.p. (Cass. III, n. 15172/2018; così, anche, Cass. III, n. 9378/2017). In tema di revoca della sentenza o del decreto penale di condanna irrevocabili per i reati depenalizzati dal d.lgs. n. 8/2016, avverso il provvedimento del Giudice dell'esecuzione è data solo la facoltà di proporre opposizione, anche nel caso in cui questi abbia irritualmente deciso nelle forme dell'udienza camerale ex art. 666 c.p.p. anziché "de plano" ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p., sicché come tale deve essere riqualificato l'eventuale ricorso per cassazione proposto avverso il suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis, con conseguente trasmissione degli atti al Giudice competente (Cass. I, n. 8294/2021). Secondo la Cassazione, con sentenza n. 2080/2021, la modifica ex art. 23 del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni nella l. n. 120/2020, che ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 c.p., non ha determinato l'abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione dell'art. 97 Cost. Alla luce delle sentenze n. 88/2019 e n. 68/2021 della Corte costituzionale, la Cassazione ha affermato che debba essere annullato con rinvio il provvedimento con il quale il Giudice dell'esecuzione in sede di richiesta ex art. 673 c.p.p. abbia ritenuto di non poter disporre la pena accessoria della sospensione della patente di guida, in sostituzione a quella della sua revoca, ai sensi dell'art. 222, comma 2, C.d.S., in caso di condanna o patteggiamento della pena per i reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime, allorchè non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti di cui all'art. 589-bis, comma 2, c.p. e art. 590-bis, comma 2, c.p.: Cass. I, n. 35457/2021. |