Ordinanza di rinvio dell'esecuzione della pena (art. 684)

Veronica Manca

Inquadramento

L'art. 147 c.p. prevede che la pena può essere differita in tre ipotesi: 1) nel caso di pendenza della domanda di grazia; 2) nel caso di grave infermità fisica; 3) nel caso di madre di prole di età inferiore a tre anni. Lo strumento del differimento “facoltativo” dell'esecuzione della pena si differenza dall'istituto “gemello”, di cui all'art. 146 c.p., che, al contrario, non prevede alcuna discrezionalità in capo al Giudice in ordine alla concessione del beneficio, una volta che sia stata accertata la sussistenza dei presupposti di fatto che configurano le fattispecie legali ivi previste. Il rito procedurale è disciplinato dall'art. 684 c.p.p.

Formula

IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA

DI ... [1]

ordinanza di

rinvio dell'esecuzione della pena

***

Proc. N. ...

Ordinanza N. ...

Vista la richiesta presentata dal difensore Avv. ... del Foro di ... , nella qualità di difensore di fiducia del Sig. ... , nato il ... , a ... , attualmente detenuto presso la Casa circondariale di ... ,

Visti gli atti, viene emessa la seguente

ORDINANZA

1. Il Sig. ... è stato condannato alla pena complessiva di ... , con sentenza emessa da ... di ... e tale pronuncia è divenuta irrevocabile in data ... ;

2. Il Sig. ... è attualmente detenuto presso la Casa circondariale di ... dal ... , e che, pertanto, egli ha già scontato una buona parte della pena in stato di detenzione;

3. Il fine pena è ormai prossimo, avendo egli scontato in regime di detenzione, oltre metà della pena comminatagli;

4. Il Sig. ... è affetto da una infermità di tipo ... , come risulta dalla documentazione allegata alla richiesta di parte e che si è aggravata nel corso della detenzione, poiché ... ;

5. In data ... per il tramite del difensore di fiducia, il Sig. ... presentava richiesta di differimento facoltativo della pena ai sensi degli artt. 147, comma 1, n. 2), c.p. e 684 c.p.p., attestando la sua situazione di incompatibilità con la condizione detentiva, che si rileva in: i), ii), iii) ...

6. In ragione della documentazione prodotta e della situazione concreta, il Collegio osserva che risultano integrati i presupposti per la concessione del beneficio.

P.Q.M.

accoglie la richiesta di parte e concede al Sig. ... il differimento della pena detentiva in relazione alla sentenza di condanna di cui sopra per i motivi rappresentati in motivazione.

Luogo e data ...

Il Presidente ...

Il Magistrato estensore ...

1. Il tribunale di sorveglianza è organo di competenza esclusiva ai fini del differimento della esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata, ove ricorrano le situazioni indicate negli artt. 146 e 147 c.p.

Commento

I presupposti sostanziali della disciplina. L'art. 147, comma 1 , n. 2), c.p.

L'art. 147 c.p. prevede che la pena può essere differita in tre ipotesi: 1) nel caso di pendenza della domanda di grazia; 2) nel caso di grave infermità fisica; 3) nel caso di madre di prole di età inferiore a tre anni. Lo strumento del differimento “facoltativo” dell'esecuzione della pena si differenza dall'istituto “gemello”, di cui all'art. 146 c.p., che, al contrario, non prevede alcuna discrezionalità in capo al Giudice in ordine alla concessione del beneficio, una volta che sia stata accertata la sussistenza dei presupposti di fatto che configurano le fattispecie legali ivi previste.

L'ipotesi principale è quella prevista al punto n. 2), ovverosia “per grave infermità fisica”. L'art. 147, comma 1, n. 2), c.p. prevede, infatti, la possibilità del differimento di una “pena restrittiva della libertà personale” che debba essere eseguita nei confronti di chi si trovi in condizioni di “grave infermità fisica”. Per grave infermità fisica si intende una malattia non grave al punto di giustificare il differimento obbligatorio, ma comunque tale da ritenere non conforme al senso di umanità la prosecuzione della pena in stato di carcerazione.

Il giudizio sulla “gravità”

L'infermità fisica del condannato può definirsi “grave”, e, come tale, legittimare la sospensione dell'esecuzione della pena, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam, oppure, perché il soggetto possa giovarsi di cure e trattamenti indispensabili che non sia oggettivamente possibile praticare in stato di detenzione, neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura, ai sensi dell'art. 11, comma 2 della l. n. 354/1975, oppure ancora, laddove, a causa della gravità delle condizioni, l'espiazione della pena si ponga in contrasto con il senso della umanità richiamato dal disposto costituzionale, ai sensi del comma 2 dell'art. 27 Cost. (Cass. I, n. 4384/1991).

In assenza dell'indicazione di un parametro legislativo, la valutazione del Giudice dovrà basarsi su una valutazione soggettiva e personalizzata delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari (età, condizioni di salute, esistenza o non di garanzie di affidabilità, pericolosità sociale, compatibilità degli interventi terapeutici con il regime carcerario e così via), o sul piano della gravità e durata della pena da scontare (Cass. I, n. 5282/1996). Ai fini della concessione del differimento dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica, occorre, inoltre, che la patologia riscontrata rientri fra quelle che possono peggiorare nello stato di detenzione (Cass. I, n. 77/1989).

La valutazione della “compatibilità detentiva”

Ai fini del differimento della pena, è necessario verificare, altresì, l'impossibilità di garantire attraverso gli ordinari strumenti sanitari inframurari le cure e i trattamenti necessari ad eliminare o procrastinare le conseguenze dannose della malattia (la c.d. “compatibilità detentiva”). Il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena è ammesso tutte le volte in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria per la totale inadeguatezza delle terapie praticate, e, pur con ricorso alle strutture di cui all'art. 11 della l. n. 354/1975, sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita, o, comunque a condizioni inumane e come tali oggettivamente inaccettabili (in tal senso, Cass. I, n. 37337/2007). Risulta prevalente, in ogni caso, il requisito della “oggettiva” gravità dell'infermità fisica.

Ai fini del differimento dell'esecuzione della pena nei confronti di persona che versi in condizioni di grave infermità fisica, si deve, quindi, fare riferimento soltanto all'oggettiva gravità di questa per stabilire se essa sia tale da dar luogo, cumulata all'ordinaria afflittività della restrizione della libertà, a un trattamento contrario al senso di umanità e a una sostanziale elusione del diritto individuale costituzionalmente garantito alla tutela della salute da parte dell'ordinamento, a nulla rilevando l'eventuale incompatibilità dello stato patologico con la permanenza in carcere sotto il profilo della possibilità di apprestamento delle opportune terapie (Fattispecie relativa a grave patologia della vista, per glaucoma bilaterale congenito con scompenso corneale e intorbidimento della camera anteriore, associata ad altrettanto grave patologia psichiatrica, in ordine alla quale la Cassazione ha ritenuto illegittima l'omessa valutazione della gravità delle patologie accusate dal detenuto da parte del Giudice di merito, limitatosi a verificare che il condannato fruiva della necessaria assistenza sanitaria nello stato di detenzione; così Cass. I, n. 355/1999).

La detenzione contraria al senso di umanità

Sempre maggiore rilievo è attribuito poi alla verifica se, nel caso concreto, la gravità della malattia, cumulata all'ordinaria afflittività della restrizione della libertà, abbia comportato un trattamento contrario al senso di umanità e una sostanziale elusione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, della tutela della salute (ex art. 32 Cost.).

L'eventuale contrasto dell'esecuzione della pena con il senso di umanità rende illegale la pena stessa, secondo il principio costituzionale di legalità che incide anche sulla pena in esecuzione, ai sensi dell'art. 25 Cost. È principio consolidato, sulla base del combinato disposto degli artt. 27, commi 2 e 3, Cost. e 3CEDU, che la pena non possa mai risolversi in un trattamento inumano o degradante: si deve considerare come contrario al senso di umanità ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata (cioè una sofferenza e un'afflizione di tali intensità da eccedere il livello che deriva inevitabilmente da una pena legittima).

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte europea dei diritti dell'uomo, si ritiene che ogni lamentato “trattamento degradante”, per ricadere nell'applicazione dell'art. 3 CEDU, deve rientrare in quella soglia minima di “gravità” relativa, variabile in base alle condizioni individuali, al sesso, all'età, alla durata del trattamento e ai suoi effetti (così: “mantenere in detenzione una persona tetraplegica o in ogni caso gravemente handicappata, in condizioni inadatte al suo stato di salute, costituisce trattamento degradante”, ai sensi dell'art. 3 CEDU, per tutte, Corte eur. dir. uomo, 11 febbraio 2014, Contrada contro Italia, ric. n. 7509/2008).

Art. 47- ter , comma 1, lett. c ) della l. n. 354/1975 (O.P.) e i suoi rapporti con l'art. 147, comma 1 , n. 2), c.p.

In tema di esecuzione della pena, mentre la detenzione domiciliare, alla pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2), c.p., mira ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute ed il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ai sensi dell'art. 11 O.P., operando un bilanciamento tra l'interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (Cass. I, n. 39525/2017).

Procedimento di cui all'art. 684 c.p.p.

Il procedimento può essere attivato su istanza di parte o di ufficio.

L'art. 108 del reg esec. (d.P.R. n. 230/2000) prevede infatti che il Pubblico Ministero competente per l'esecuzione, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, il direttore dell'istituto penitenziario e il direttore dell'UEPE, quando abbiano notizia di talune delle circostanze che, ai sensi degli artt. 146 e 147, comma 1, nn. 2) e 3), c.p., consentono il rinvio dell'esecuzione della pena, ne informano «senza ritardo» il tribunale di sorveglianza competente e il magistrato di sorveglianza.

Nel caso di istanza di parte, incombe sull'interessato l'onere di allegazione degli elementi posti alla base della domanda (v. Cass. I, n. 533/1998).

Il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza segue le regole della procedura camerale c.d. “partecipata” (artt. 677 e 678 c.p.p.) e, con riguardo alla eventuale assunzione di prove, gli artt. 666, c.p.p., e 185 disp. att., c.p.p. Non è consentito imporre al condannato, nei cui confronti sia disposto il differimento dell'esecuzione della pena, obblighi o prescrizioni di alcun genere.

Il differimento è soggetto ad un termine finale, al compiersi del quale l'esecuzione riprende il suo corso ordinario, salvo il caso che la pena si estingua, ovvero sia concesso dal Giudice di sorveglianza un nuovo differimento. In alcune ipotesi, il detto termine è stabilito dalla legge (es. art. 147, n. 1, c.p.); in altre è legato a specifiche contingenze (art. 147, n. 3, c.p.).

Analogamente, un termine finale è previsto dall'art. 47-ter, comma 1-ter, l. n. 354/1975 (O.P.), nel caso di detenzione domiciliare “surrogatoria” (sul punto, v. Corte cost., n. 99/2019 nella parte in cui ha dichiarato l'Illegittimità della previsione dell'art. 47-ter, comma 1-ter O.P., nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter O.P.).

Un indirizzo ha affermato il principio che, pur essendo legittima in astratto l'apposizione di un termine finale al differimento dell'esecuzione, in relazione alla quale resta comunque il dovere di verificarne la legittimità rispetto alla persistenza della situazione di fatto che ne costituisce il presupposto, la sua apposizione va esclusa quando si sia accertata la gravità e l'irreversibilità delle condizioni cliniche del condannato (v. Cass. I, n. 25928/2001; così: Cass. I, n. 27352/2019; Cass. I, n. 1033/2019; Cass. I, n. 37062/2018).

L'eventuale partecipazione del magistrato di sorveglianza, che ha respinto l'istanza formulata ai sensi dell'art. 684 c.p.p., al Collegio che ha emesso l'ordinanza impugnata non integra ipotesi di nullità del provvedimento adottato dal Giudice che versi in tale situazione, ma questione da risolvere con gli strumenti dell'astensione o della ricusazione, che deve essere fatta valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p. (così, v., Cass. S.U., n. 5/1996).

La concessione di un precedente differimento della pena non osta all'applicazione della sospensione dell'esecuzione della pena da parte del Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p., in relazione alla medesima esecuzione non operando, in questi casi, il divieto di cui all'art. 656, comma 7, c.p.p. (Cass. I, n. 32747/2003; Cass. I, n. 55049/2017).

Non è consentito sospendere o revocare anticipatamente, in via cautelare, il differimento dell'esecuzione della pena, neppure in caso di comportamenti penalmente rilevanti da parte del soggetto destinatario del beneficio (v. Cass. I, n. 1504/1994; Cass. I, n. 43586/2017; Cass. I, n. 19677/2017; Cass. I, n. 27766/2017; Cass. I, n. 39525/2017).

L'art. 51-ter O.P., non prevede, infatti, la sospensione del differimento, né la revoca del medesimo è contemplata dalle norme del codice penale che lo disciplinano. Uniche eccezioni, testualmente previste e non suscettibili di estensione interpretativa in malam partem, sono costituite dal venir meno del presupposto oggettivo nel caso di donna incinta o puerpera (morte del feto o della prole, abbandono o affido ad altri dell'infante) ovvero nei casi di cui all'art. 147, ultimo comma, c.p.

È comunque configurabile un potere/dovere del tribunale di sorveglianza di procedere eventualmente anche su segnalazione del magistrato di sorveglianza alla revoca del differimento concesso a chi si trova in stato di grave infermità fisica, anche se non espressamente prevista dal legislatore (a differenza di quanto si verifica, invece, con riguardo al caso previsto dal n. 3 del citato art. 147, c.p.), qualora si accerti che siano cessate, per guarigione, quelle condizioni di grave infermità che erano state alla base della concessione (v. Cass. I, n. 982/1995).

In tema di differimento facoltativo dell'esecuzione della pena, sussiste l'interesse del condannato ad impugnare il provvedimento con cui, riconosciuta la situazione di cui all'art. 147, comma 1, n. 2, c.p., venga applicata, in luogo del richiesto differimento, la misura alternativa della detenzione domiciliare, di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, O.P., attesa la diversità di effetti, tanto sotto il profilo dello stato di esecuzione della sanzione quanto sotto il corrispondente profilo dello "status libertatis" del condannato, tra il rinvio dell'esecuzione e la prosecuzione di quest'ultima nella forma della detenzione domestica (Cass. I, n. 15848/2020).

Inoltre, In tema di differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena, sussiste l'interesse concreto ed attuale del condannato ad impugnare il provvedimento con cui, riconosciuta la situazione di cui all'art. 146, comma 1, n. 1, c.p., venga applicata, in luogo del più favorevole differimento, la misura alternativa della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, O.P. (Fattispecie relativa a richiesta di differimento dell'esecuzione della pena da parte di condannata in stato di accertata gravidanza a rischio) (Cass. I, n. 451/2021).

Provvedimenti del magistrato di sorveglianza

Il comma 2 dell'art. 684 c.p.p. contempla, quando vi è fondato motivo per ritenere che sussistano i presupposti perché il tribunale di sorveglianza decida in senso a lui favorevole, la possibilità di un intervento “cautelare” del magistrato di sorveglianza che, anche di ufficio, può disporre il differimento dell'esecuzione o, se questa è in corso, la liberazione del detenuto, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza con provvedimento adottato de plano.

Il provvedimento motivato del magistrato di sorveglianza, emesso ai sensi dell'art. 684, conserva efficacia fino alla decisione finale del tribunale di sorveglianza e non è impugnabile, neppure in sede di legittimità, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e in considerazione della sua natura provvisoria volta a soddisfare esigenze urgenti in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza (Cass. I, n. 32470/2015).

Secondo recente giurisprudenza di legittimità, una volta richiesti dal condannato il differimento dell'esecuzione della pena o la detenzione domiciliare per motivi di salute, la ritenuta insussistenza delle condizioni per la concessione del rinvio dell'esecuzione non obbliga il Giudice a motivare anche sul diniego della misura richiesta in via subordinata, stante l'identità dei presupposti che legittimano l'applicazione dell'una o dell'altra misura (così: Cass. I, n. 47868/2019).

Si chiarisce inoltre che la competenza a decidere, in caso di collaboratore di giustizia che accede al programma di protezione speciale di cui all'art. 16-novies, comma 8, d.l. n. 8/1991, convertito dalla l. n. 82/1991, è il tribunale di sorveglianza di Roma (Cass. I, n. 36061/2019).

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