Appello avverso la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27, d.P.R. n. 448/1988)

Francesca Tribisonna

Inquadramento

Avverso la sentenza di non luogo a procedere con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni proscioglie l'imputato per irrilevanza del fatto è possibile proporre appello teso ad ottenere una pronuncia più favorevole per il minore.

Formula

N. ... R.N.R.

ALLA CORTE D'APPELLO DI ...

SEZIONE PER I MINORENNI

Il sottoscritto Avv. ..., del Foro di ..., con Studio in ..., via ..., difensore (di fiducia/d'ufficio) di ..., nato a ..., il ..., residente in ..., via ..., persona sottoposta alle indagini preliminari nel procedimento penale n. ... R.N.R. per il/i reato/i di cui all'art./agli artt. ..., propone

APPELLO

avverso tutti i capi e i punti della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto n. ..., del ..., pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di ... nei confronti del proprio Assistito e depositata in data ... .

L'appello si propone per i seguenti motivi:

(illustrare dettagliatamente i motivi, di legittimità o di merito, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto sui quali si fonda l'impugnazione, ad esempio:)

- il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;

- mancanza di una condizione di procedibilità;

- incapacità di intendere o di volere.

Alla luce di quanto sopra esposto, il sottoscritto difensore, nell'interesse del minore ...,

CHIEDE

che l'Ill.ma Corte d'Appello adita voglia:

- annullare l'impugnata sentenza e, per l'effetto, disporre la restituzione degli atti al Pubblico Ministero ex art. 27, comma 3, d.P.R. n. 448/1988.

Con osservanza.

Luogo e data ...

Firma Avvocato ...

Commento

L'istituto dell'irrilevanza del fatto. Principi generali

L'istituto dell'irrilevanza del fatto costituisce, in uno con il perdono giudiziale e la sospensione del processo e messa alla prova, una delle modalità alternative di definizione del procedimento minorile. In ossequio al principio di minima offensività del processo, tale istituto favorisce la rapida fuoriuscita del minore dal circuito giudiziario, nel convincimento che, al ricorrere di determinate condizioni, le esigenze strettamente processuali ben possano soccombere dinanzi alla immediata presa in carico del minore, con la correlata attivazione di strategie alternative di recupero, risocializzazione e supporto e con il connesso riassorbimento spontaneo del fatto deviante. Questo è il motivo per il quale l'istituto in questione viene ricompreso tra le c.d. tecniche di "diversion", che è un termine di origine anglosassone con il quale si indicano gli istituti che consentono la gestione del caso al di fuori delle dinamiche giudiziarie e con strumenti differenti da quelli a disposizione del processo.

In particolare, nel caso dell'irrilevanza del fatto si assiste ad una rinuncia dello Stato alla pronuncia di una condanna e alla relativa applicazione della pena, in considerazione della lieve entità del fatto di reato e delle conseguenze prodotte. Infatti, data la natura tenue ed occasionale della condotta, da considerarsi alla stregua di un "incidente di percorso" in una personalità ancora in formazione, appare preferibile chiudere anticipatamente l'iter del procedimento onde favorire le ragioni di economia processuale e il principio di destigmatizzazione, volto ad evitare che la vicenda venga percepita in maniera amplificata con il correlato pericolo che il minore possa strutturarsi su valori negativi a seguito del pericoloso quanto deprecabile "etichettamento" quale soggetto deviante. Questo è, peraltro, uno dei motivi per i quali la citata pronuncia - a differenza di quanto accade con la sentenza di perdono giudiziale - non viene iscritta nel casellario giudiziale del minore.

Si tratta di un istituto peculiare del procedimento a carico dell'imputato minorenne, la cui normativa ha natura di “legge penale speciale”; motivo per il quale nel rito minorile non è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis c.p. (Cass. VI, n. 14791/2020; Cass. II, n. 49494/2019).

I presupposti richiesti sono tre: i primi due oggettivi, ossia la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento e il terzo soggettivo, vale a dire il pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento potrebbe arrecare alle esigenze educative del minore e devono ricorrere tutti congiuntamente, dovendo il Giudice verificarne la sussistenza secondo l'ordine logico e cronologico prescelto dal legislatore. In particolare, secondo la Cassazione: "il giudizio di tenuità richiede che il fatto sia valutato globalmente, considerando una serie di parametri, quali la natura del reato e la pena edittale, l'allarme sociale provocato, la capacità a delinquere, le ragioni che hanno spinto il minore a compiere il reato e le modalità con le quali esso è stato eseguito; l'occasionalità indica, invece, la mancanza di reiterazione di condotte penalmente rilevanti, con la precisazione secondo cui perché la condotta possa ritenersi occasionale è necessario che non sia premeditata o indicativa di un sostrato criminale, che sia ricollegabile alla mutevolezza tipica della minore età e che sia causata da speciali circostanze prevedibilmente non ripetibili, sicché non può attribuirsi alcuna rilevanza all'incensuratezza (Cass. V, n. 9507/2022). Infine, il pregiudizio per le esigenze educative del minore comporta una prognosi negativa in ordine alla prosecuzione del processo, improntato, più che alla repressione, al recupero della devianza del minore" (Cass. VI, n. 44773/2015). Per quel che riguarda, in particolare, il requisito del pregiudizio per le esigenze educative del minore, si è ritenuto che tale precisazione abbia una valenza esplicativa della norma, volta a sottolineare la strumentalità di tale forma di definizione anticipata del procedimento e mirante proprio alla salvaguardia delle esigenze educative del minore (Colamussi, La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: punti controversi della disciplina e prospettive di riforma, in Cass. pen. 1996, 1675).

Si tratta di una pronuncia che, di fatto, presuppone la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato ascrittogli in quanto laddove si possa affermare che un fatto sia tenue e il comportamento di chi lo abbia posto in essere occasionale, implicitamente si deve riconoscere che il fatto sussista e l'imputato lo abbia commesso. Questo è il motivo per il quale, benché tale istituto porti all'applicazione di una sentenza di favore per il minore con il suo proscioglimento, in realtà essa presuppone la sua colpevolezza, venendo perciò definita "cripto condanna", ossia una decisione formalmente proscioglitiva, ma sostanzialmente contenente un'ascrizione di responsabilità penale (Cesari, Le strategie di diversion, in B argis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 207).

La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Tempi

Nella fase delle indagini preliminari il Pubblico Ministero può sollecitare il Giudice per le indagini preliminari alla pronuncia della sentenza in discorso, avente natura spiccatamente processuale, e ciò può fare se, ai sensi dell'art. 27, comma 1, d.P.R., risulti la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento, nonché quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne. Si tratta della sede privilegiata per l'adozione della citata pronuncia, essendo una fase ancora embrionale del procedimento, con cui perseguire l'obiettivo deflattivo dell'immediata estromissione del minore dal circuito giudiziario in casi che non meritino alcuna ulteriore trattazione in sede processuale. In questi casi il G.I.P. decide in camera di consiglio sentite le parti, ossia il minore, l'esercente la responsabilità genitoriale e la persona offesa dal reato.

Il rigetto della richiesta formulata deve essere disposto a mezzo di ordinanza motivata, con cui si dispone la trasmissione degli atti alla Procura minorile per la prosecuzione delle indagini o la formulazione di distinte richieste. L'eventuale rigetto non preclude comunque la possibilità per il Pubblico Ministero di avanzare nuovamente la predetta istanza in sede di udienza preliminare. È invece, stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 409, comma 5 e 27, commi 1 e 2, d.P.R. n. 448/1988 in relazione agli artt. 3 e 31, comma 2, Cost. avanzata in considerazione del fatto che si avrebbe un'irragionevole disparità di trattamento in spregio delle finalità di tutela dei minori nella previsione che preclude al P.M. minorile di chiedere al G.I.P. sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto nel caso in cui sia stata precedentemente avanzata una richiesta di archiviazione, non accolta. Secondo la Corte costituzionale l'interesse del minorenne alla rapida fuoriuscita dal processo sarebbe, infatti, comunque assicurata celermente dalla possibilità che si pronunci, anche d'ufficio, sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto in udienza preliminare. La disciplina censurata rientra nella sfera delle scelte discrezionali del legislatore in materia di distribuzione delle competenze tra G.I.P. e G.U.P., insindacabili se non esercitate arbitrariamente (Corte cost., n. 48/2002).

Come espressamente disciplinato nel comma 4 dell'art. 27 d.P.R., nella fase dell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e in quello immediato il Giudice pronuncia d'ufficio sentenza di non luogo a procedere laddove ricorrano le condizioni previste dalla norma. Tuttavia, tale previsione è stata fatta oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale, che l'ha tacciata come illegittima nella parte in cui limitava i casi in cui potesse essere pronunciata tale sentenza. Infatti, secondo il Giudice delle leggi "il principio secondo cui deve comunque essere adottato, a tutela dell'imputato minorenne, la formula di proscioglimento più favorevole, rende irragionevole limitare l'istituto in questione - originariamente introdotto con l'obiettivo di una rapida fuoriuscita del minorenne dal circuito processuale - alle fasi iniziali del procedimento e non consentirne l'operatività anche nel dibattimento, qualora gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento emergano solo in quella fase, ovvero l'imputato non abbia potuto essere prosciolto per irrilevanza del fatto nell'udienza preliminare" (Corte cost., n. 149/2003). Da ciò discende il sicuro riconoscimento della facoltà per il Giudice di addivenire al medesimo pronunciamento, anche d'ufficio, sia in sede di giudizio abbreviato che di dibattimento, poiché, come si è osservato in dottrina, "agire diversamente significherebbe concepire gli strumenti processuali specificamente previsti per la tutela del minore come elementi destinati ad operare in sostituzione delle normali garanzie difensive stabilite dal codice di rito e non - in armonia con l'art. 31, comma 2, Cost. e con la stessa intentio legis del d.P.R. n. 448/1988 - in aggiunta ad esse" (Pulvirenti, La declaratoria dell'irrilevanza del fatto nel dibattimento del processo penale minorile, in Giur. cost., 2003, 1255).

Del pari, quanto ai successivi gradi di giudizio, sembra ammessa la declaratoria di irrilevanza del fatto anche in sede di appello entro i limiti dettati dall'art. 597 c.p.p., ma non in cassazione, data la sua natura di giudizio di merito.

Tuttavia, mentre in fase di indagini preliminari la legge nulla dice circa la necessità che il minore dia - personalmente o per il tramite di un procuratore speciale - il consenso alla definizione del procedimento con la suddetta pronuncia (consenso non richiesto secondo Cass. I, n. 39976/2003), diversamente accade in fase di udienza preliminare, dove il consenso sarà espressamente richiesto così come previsto ex art. 32 d.P.R. Ciò si impone come necessario - e, in verità, sarebbe opportuno sin dalla fase investigativa - al fine di superare i possibili problemi di compatibilità con l'art. 111, comma 4, Cost., poiché la pronuncia si basa su elementi di prova non formati in contraddittorio e, dunque, inidonei ad essere posti a fondamento di una condanna, seppur da ritenersi solo quale presupposto logico per procedere al citato proscioglimento.

Appello avverso la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto

Il minorenne, il difensore e anche l'esercente la responsabilità genitoriale ex art. 34, comma 1, d.P.R. - oltre al procuratore generale presso la Corte d'appello - possono proporre appello avverso la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27, comma 3, d.P.R. o ricorso immediato per cassazione. Anche avverso la sentenza d'appello è, poi, possibile esperire il ricorso per cassazione. Pare doveroso precisare che la persona offesa - che pure deve essere sentita dal G.I.P. prima di decidere sulla richiesta del P.M. ex art. 27, comma 2, d.P.R. - non è invece legittimata ad impugnare tale sentenza atteso che questa formula di proscioglimento implica comunque l'accertamento della responsabilità, con la conseguenza che, come chiarito in sede di legittimità, la persona offesa può far valere detto riconoscimento in sede civile (Cass. IV, n. 32738/2006).

L'atto d'appello si presenta in forma scritta e, come stabilito a norma dell'art. 581 c.p.p., deve contenere l'enunciazione specifica dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, nonché i motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta e gli altri requisiti indicati dalla norma.

Con l'atto d'appello si sollecita il controllo del Giudice in composizione collegiale sulla decisione di irrilevanza adottata in fase di indagini preliminari e, così facendo, si consente una rivalutazione degli elementi di cognizione attraverso un nuovo confronto dialettico, anche se eventuale. La Corte d'appello decide, infatti, in camera di consiglio con le forme previste dall'art. 127 c.p.p. e, nel caso in cui non ritenga di confermare la sentenza, dispone la restituzione degli atti al Pubblico Ministero (art. 27, comma 3, d.P.R.), affinché compia indagini e, all'esito, avanzi richieste in ordine all'an dell'azione (Eramo, Giudizio di appello e sentenza di irrilevanza del fatto, in Dir. fam., 1999, 70). In tal senso, si è ritenuto, infatti, che gli effetti dell'accoglimento di questo tipo di appello sono assimilabili a quelli della richiesta di archiviazione rigettata e la restituzione si configura come una sollecitazione a procedere per le vie ordinarie (Iasevoli, Diritto all'educazione e processo penale minorile, Ed. Scientifiche italiane, Napoli, 2012, 216).

L'unica previsione relativa al giudizio d'appello è quella contenuta nell'art. 35 d.P.R., a norma della quale nel procedimento di appello si osservano in quanto applicabili le disposizioni riguardanti il procedimento davanti al tribunale per i minorenni. Ciò con la conseguenza che, non essendo previste specifiche disposizioni relative ai termini per la proposizione dell'impugnazione e soccorrendo la previsione di cui all'art. 1, comma 1, d.P.R., occorre fare riferimento al codice di rito penale.

Per quanto concerne i motivi che possono giustificare un appello avverso la citata pronuncia, appaiono meritevoli di menzione tutti i casi in cui la difesa del minore ritenga di poter addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito più favorevole perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato o per altre cause contemplate nell'art. 129 c.p.p., quali la mancanza di una condizione di procedibilità. Del pari, un appello potrebbe presentarsi anche laddove sussistano gli elementi per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento per incapacità di intendere o di volere dell'imputato. L'irrilevanza del fatto, infatti, presuppone la capacità del minore di essere responsabile per le sue azioni. In difetto di tale requisito, l'immaturità dovrebbe essere considerata prevalente. Profili di problematicità sono invece insorti per quanto concerne i rapporti tra la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto rispetto a quelle relative all'estinzione del reato, come ad esempio, l'intervenuta prescrizione, esistendo un orientamento giurisprudenziale che ha considerato prevalente la formula di proscioglimento di cui all'art. 27 d.P.R. "alla stregua dell'ordine progressivo delle cause di non punibilità previsto dall'art. 129" (Cass. II, n. 5503/1999). Si badi che in giurisprudenza si è altresì riconosciuto l'interesse del Pubblico Ministero ad impugnare la sentenza che, anziché dichiarare ex art. 27 d.P.R., non doversi procedere per irrilevanza del fatto, aveva concesso il perdono giudiziale, posto che la pubblica accusa ha interesse a chiedere una formula di proscioglimento o assolutoria più favorevole avendo anche il compito di verificare l'adeguatezza degli strumenti alternativi alla pena alle esigenze educative del minore e alla sua reintegrazione nella società (Cass. V, n. 29360/2019).

Con riferimento alle pronunce adottabili dalla Corte d'appello, chiamata a decidere in camera di consiglio, l'art. 27, comma 3, d.P.R. sembra prevedere un'alternativa secca tra la conferma della sentenza o la restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Nemmeno su appello del procuratore generale, dunque, la Corte d'appello potrà pronunciare direttamente il rinvio a giudizio (in virtù della prevalenza della citata norma speciale, tipica del rito minorile, sull'art. 428, comma 3, c.p.p.) o concedere, ad esempio, il perdono giudiziale, che peraltro per l'imputato è una sentenza meno favorevole, in quanto concedibile una sola volta e soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale fino al ventunesimo anno d'età.

Dubbi sussistono invece circa la possibilità per il Giudice d'appello di procedere, anche su richiesta della difesa, alla pronuncia di una sentenza di proscioglimento con formula più favorevole per l'imputato. Secondo la Corte di cassazione, una tale possibilità è preclusa alla Corte d'appello (tantomeno con provvedimento "de plano"), "poiché l'art. 129 c.p.p. non attribuisce al Giudice un potere di giudizio autonomo ed avulso dalle specifiche norme che disciplinano i diversi segmenti processuali" (Cass. I, n. 11349/2006). Di diversa opinione è invece autorevole dottrina, secondo cui "si deve ritenere comunque che anche al Giudice d'appello si apra la possibilità di prosciogliere immediatamente il minore con formula più favorevole, applicando l'art. 129 c.p.p." (Cesari, Le strategie di diversion, in B argis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 227).

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