Istanza di trasferimento di persona condannata (ai sensi della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983)

Chiara Maria Paolucci

Inquadramento

Lo strumento di più ampia applicazione per l'esecuzione all'estero di pena detentiva è certamente la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983, maturata in ambito Coe, ma ratificata non solo da Paesi del Consiglio d'Europa, bensì anche da numerosi Paesi terzi; tale convenzione è stata tuttavia sostituita, nei rapporti tra i Paesi dell'U.E., dalla D.Q. 2008/909/GAI.

Formula

AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

ISTANZA DI TRASFERIMENTO ALL'ESTERO PER L'ESECUZIONE DELLA PENA AI SENSI DELLA CONVENZIONE SUL TRASFERIMENTO DELLE PERSONE CONDANNATE SOTTOSCRITTA A STRASBURGO IL 21 MARZO 1983 [1].

Il/la sottoscritto/a...., nato/a a.... il....,....,

PREMESSO

– Che in data.... il Tribunale di (o altra autorità giudiziaria) condannava il sottoscritto alla pena di....;

– che la predetta sentenza è divenuta irrevocabile in data....;

– che il sottoscritto è cittadino.... (indicare lo Stato di cittadinanza);

– che il reato per il quale è intervenuta condanna è previsto quale reato altresì nello Stato di.... (indicare lo Stato di esecuzione) e che sussiste pertanto il requisito della doppia incriminabilità;

– che la pena residua da espiare non è inferiore a sei mesi.

Per tutto quanto sinora esposto, ritenendosi sussistenti i presupposti previsti per l'applicabilità della Convenzione di Strasburgo sopra indicata,

CHIEDE

All'Illustrissimo Sig. Ministro della Giustizia di formulare richiesta di riconoscimento della sentenza al fine di eseguire la condanna sopra indicata nello Stato del.....

Luogo e data....

Firma....

(È autentica)

(Firma....)

[1]Il presente modello è elaborato in relazione allo strumento multilaterale di più ampia applicazione, la Convenzione di Strasburgo del 1983; va però sottolineato che numerosi sono gli strumenti bilaterali applicabili in subiecta materia, per la cui disamina si rinvia al sito del Ministero della Giustizia (sub atti internazionali); il presente modello potrà quindi adattarsi, mutatis mutandis, all'accordo internazionale di volta in volta posto a fondamento dell'istanza

Commento

La Convenzione sul trasferimento delle persone condannate sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983

Lo strumento di maggior rilievo in relazione al trasferimento di persone condannate è senz'altro la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983, la cui ratifica è stata autorizzata in Italia con l. n. 344/1988, ed è attualmente in vigore in un elevato numero di Paesi, anche non facenti parte del Consiglio d'Europa.

Il 18 dicembre 1997 è stato inoltre firmato a Strasburgo il Protocollo addizionale alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, successivamente modificato dal Protocollo di emendamento, fatto a Strasburgo il 22 novembre 2017 (la ratifica di entrambi è stata autorizzata in Italia con l. n. 49/2021). Il Protocollo addizionale del 1997, in vigore dal 2000, è attualmente applicabile anche per l'Italia, mentre per l'entrata in vigore del protocollo di emendamento sarà necessaria la ratifica da parte di tutti gli Stati parte del Protocollo. Tuttavia l'Italia ha depositato dichiarazione ai sensi dell'art. 5, in virtù della quale si è impegnata all'applicazione anticipata delle relative previsioni nei confronti degli Stati parte che abbiano fatto analoga dichiarazione (per verificare stato delle ratifiche e dichiarazioni consultare il sito coe sub full list treaties).

In considerazione del diverso regime operante tra gli Stati Parte della sola Convenzione madre, gli Stati Parte altresì del Protocollo addizionale, ed infine gli Stati parte del Protocollo di emendamento che, avendo ratificato, come l'Italia, tutti e tre gli strumenti sovranazionali, hanno altresì depositato una dichiarazione di applicazione anticipata ex art. 5, si riportano di seguito in maniera differenziata le norme applicabili, essendo sempre necessario verificare di volta in volta le ratifiche e dichiarazioni effettuate dal Paese coinvolto nel trasferimento.

L'obiettivo principale della Convenzione è quello di favorire il reinserimento del condannato. Tale finalità potrebbe essere invero compromessa nelle ipotesi di esecuzione della pena in territorio straniero, a causa delle numerosissime difficoltà che il condannato si trova a dover affrontare a causa della lingua, della lontananza dei familiari e di altri fattori, ivi compresa la maggiore difficoltà per gli stranieri di accedere alle misure alternative alla detenzione, fattori tutti che operano negativamente in un percorso finalizzato al reinserimento sociale.

Proprio per far fronte a queste difficoltà la Convenzione prevede la possibilità che una persona condannata nel territorio di una Parte sia trasferita nel territorio di un'altra Parte, per scontarvi la pena inflittale. A tal fine essa può manifestare, presso lo Stato di condanna o presso lo Stato di esecuzione, il desiderio di essere trasferita in applicazione della Convenzione del 21 marzo 1983.

Il trasferimento può essere richiesto sia dallo Stato di condanna sia dallo Stato di esecuzione (art. 2).

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. VI, n. 21955/2006), la Convenzione può trovare applicazione anche se la persona non è fisicamente presente nello Stato di condanna, sempre che l'esecuzione abbia avuto inizio (fattispecie nella quale la Corte ha valutato legittimo il provvedimento della Corte di appello che aveva ritenuto sussistenti le condizioni di cui all'art. 10 della Convenzione nei confronti di un cittadino italiano che, dopo essere stato arrestato in Italia a fini estradizionali per l'esecuzione di una condanna in Spagna, aveva chiesto di poterne effettuare l'espiazione nello Stato).

La Convenzione è applicabile in relazione a qualsiasi pena o misura privativa della libertà, di durata limitata o illimitata, inflitta da un giudice a seguito della commissione di un reato (art. 1).

Deve trattarsi di:

a) una sentenza definitiva, quindi non più soggetta a mezzi ordinari di impugnazione;

b) cittadino dello Stato di esecuzione, ma per alcuni Paesi è sufficiente che si tratti di persona residente o domiciliata stabilmente nel territorio dello Stato;

c) fattispecie prevista quale reato da entrambi gli Stati interessati (c.d. doppia incriminabilità);

d) pena di durata non inferiore ai sei mesi.

Dall'art. 3 § 1 c) si ricava che il dies a quo di tale termine è quello della ricezione della richiesta da parte dello Stato di esecuzione.

La ratio di detto limite temporale è da ravvisarsi da un lato nella fisiologica lunghezza della procedura di trasferimento (che in Italia richiede anche il riconoscimento della sentenza penale da eseguire), ma anche e soprattutto nell'obiettivo di garantire l'effettività del reinserimento: ed invero ogni programma di reinserimento richiede, perché possa esplicare i suoi effetti, che si dispieghi per un periodo di tempo apprezzabile.

È tuttavia espressamente contemplata, dall'art. 3, § 2, la possibilità che gli Stati si accordino per il trasferimento anche nel caso di una pena di durata inferiore ai sei mesi.

È altresì necessario il consenso dell'interessato, seppure non sufficiente; ed invero non viene riconosciuto alla persona condannata alcun diritto al trasferimento, essendo lo stesso sempre rimesso al consenso di entrambi gli Stati ex art. 3, § 1, lett. f).

Ogni persona condannata alla quale può essere applicata la Convenzione deve essere informata dallo Stato di condanna del contenuto della stessa e quindi delle possibilità di scontare la pena nel Paese di cittadinanza o di residenza abituale.

Il consenso, che deve essere volontario, e reso nella consapevolezza delle conseguenze giuridiche che ne derivano (art. 7).

Per l'Italia l'art. 5 l. n. 257/1989 prevede che il condannato presti il proprio consenso al trasferimento dinanzi al magistrato di sorveglianza del luogo ove è detenuto, ovvero dinanzi alla Corte che procede.

Spetta quindi a tali soggetti, all'atto dell'acquisizione del consenso, rendere edotto il condannato delle conseguenze giuridiche che ne derivano; sotto tale profilo va in particolare rilevato che, a differenza di quanto accade nelle procedure estradizionali, non opera il principio di specialità e quindi il condannato trasferito potrà essere sottoposto ad ulteriori procedimenti penali nei suoi confronti senza che sia necessario alcun consenso dello Stato di consegna.

Il trasferimento avviene sulla base di un accordo tra le rispettive autorità Centrali (di regola Ministero della giustizia) degli Stati interessati.

La Convenzione non contempla alcun obbligo per lo Stato richiesto di addivenire ad un accordo con lo Stato richiedente, e non è contemplato alcun obbligo di motivazione di detto rifiuto; tuttavia il Consiglio d'Europa, con raccomandazione n. R (92) 13 ha invitato gli Stati aderenti a fornire una motivazione delle ragioni del diniego.

Altro problema ha riguardato la possibilità di eseguire pene diverse da quelle detentive. Mentre nulla quaestio per le misure che comportino una privazione della libertà, sia pure temporalmente limitata ad alcune ore della giornata, come nel caso della semidetenzione e della semilibertà, problemi possono sorgere per le misure che non siano privative della libertà, ma limitative della stessa e che quindi non implichino un'esecuzione, neppure parziale, in istituti di pena, quali la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale: seppure tali casi non siano esclusi a priori dall'ambito di operatività di applicazione della Convenzione, la stessa sarà a maggior ragione rimessa alla volontà dello Stato richiesto, in quanto spesso l'esecuzione potrà comportare problemi pratici che potrebbero indurre ad un rifiuto.

Per la natura e gli obiettivi della Convenzione appare opportuno limitarne l'applicazione alle ipotesi di effettiva esecuzione della pena, con esclusione, quindi, delle condanne in relazione alle quali sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p.

Il Protocollo addizionale del 1997 (come visto successivamente modificato dal Protocollo di emendamento; si riportano di seguito le modifiche rispettivamente apportate, in considerazione della diacronia nella vigenza con i diversi Stati Parte) mira a risolvere due casi particolari e a rendere conseguentemente applicabile la Convenzione madre anche ai casi di:

– condannato che “tenta di sottrarsi all'esecuzione o alla continuazione dell'esecuzione della condanna nello Stato di condanna, rifugiandosi nel territorio della prima Parte (Stato di cittadinanza, ndr.) prima di aver scontato la pena” (secondo la traduzione allegata alla legge di ratifica) (art. 2);

– quando una condanna pronunciata nei suoi confronti, o una decisione amministrativa presa in seguito a tale condanna, comportano una misura di espulsione o di riaccompagnamento alla frontiera o qualsiasi altra misura in applicazione della quale il condannato, dopo la sua scarcerazione, non potrà più soggiornare nel territorio dello Stato di condanna (art. 3).

La prima norma mira a fornire soluzione al caso di fuga verso lo Stato di cittadinanza, che di fatto determinava l'impossibilità di eseguire la condanna, essendo in molti Stati esclusa l'estradizione del cittadino; nel secondo caso a rendere effettivo il reinserimento del condannato, atteso che la previsione dell'espulsione al termine della condanna frustrerebbe tale obiettivo.

Per approfondimenti si rinvia al testo del Protocollo ed al rapporto esplicativo, rammentando che fanno fede i testi nelle lingue ufficiali del CoE e pertanto appare opportuno fare ad essi riferimento per l'esatta interpretazione delle norme, anche in considerazione della traduzione e della punteggiatura, non sempre totalmente fedeli al testo originario, dei testi presenti in allegato alle leggi di autorizzazione alla ratifica.

Per effetto del Protocollo addizionale potranno quindi accedere al meccanismo di trasferimento anche coloro che non si trovino detenuti nello Stato di condanna al momento della richiesta, ma che abbiano invece già fatto rientro nel proprio Stato di origine, ovvero nel paese in cui intendono chiedere di scontare la pena.

Uno dei principali elementi di distinzione di tali tipologie di trasferimento rispetto a quelle previste dalla Convenzione di Strasburgo è che nei casi previsti dal Protocollo addizionale si prescinde dal consenso del condannato.

La mancanza del consenso, requisito essenziale della Convenzione madre, ha indotto all'introduzione di riferimenti al principio di specialità. Tuttavia l'operatività di detto principio è stata esclusa nel caso previsto dall'art. 2, ovvero di allontanamento volontario dallo Stato di esecuzione verso lo Stato di cittadinanza, in quanto si è ritenuto sussistente in tal caso un consenso implicito del condannato a permanervi (cfr. rapporto esplicativo), mentre è stata prevista in relazione ai casi di trasferimento di cui all'art. 3.

In particolare in relazione a tali ipotesi, pur non essendo previsto il consenso del condannato, è richiesto un suo parere in ordine al trasferimento, che deve essere tenuto in conto nelle decisioni di trasferimento. È prevista inoltre l'operatività del principio di specialità, per cui la persona trasferita non potrà essere processata o detenuta per fatti commessi anteriormente al trasferimento salvo i casi di ‘purgazione' previsti dall'art. 3 § 4.

Ulteriore estensione dell'area di applicabilità della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate è stata prevista dal Protocollo di emendamento al Protocollo addizionale (la cui ratifica è stata autorizzata con la stessa l. n. 49/2021).

Le principali modifiche introdotte con tale Protocollo di emendamento sono consistite nell'applicabilità dell'art. 2 anche ai casi in cui la persona non è fuggita ma si è comunque allontanata volontariamente verso il proprio Paese di origine, nella consapevolezza del procedimento a suo carico nello Stato di condanna, ed altresì dell'art. 3 ai casi in cui l'ordine di espulsione non fosse strettamente correlato alla condanna.

In particolare, pertanto, potrà disporsi il trasferimento, senza il consenso della persona interessata:

– “quando il soggetto è fuggito, o ha in altro modo fatto ritorno, presso lo Stato di sua nazionalità pur essendo consapevole del procedimento penale pendente a suo carico presso lo Stato di condanna; o

– quando il soggetto è fuggito, o ha in altro modo fatto ritorno presso lo Stato di sua nazionalità pur essendo consapevole dell'emissione di una sentenza nei suoi confronti” (art. 2 Prot. come modificato dall'art. 1 del Prot. di emendamento, secondo la traduzione allegata alla legge di ratifica);

– Laddove la sentenza o la decisione amministrativa includa un ordine di espulsione nei confronti della persona condannata o ogni altra misura in conseguenza della quale la suddetta persona non possa permanere all'interno del territorio dello Stato di condanna una volta lasciato il carcere (art. 3 come modificato dall'art. 2, cfr. testo allegato alla L. di ratifica, al netto di imprecisioni della traduzione e della punteggiatura).

Per le ulteriori modifiche, di minore rilevanza, si rinvia al testo dei due Protocolli ed ai relativi rapporti esplicativi.

Procedimento per l'esecuzione in Italia di sentenza straniera ed effetti del trasferimento del condannato

Il trasferimento del condannato e la presa in carico dello stesso da parte dello Stato di esecuzione determina, ai sensi dell'art. 8 della Convenzione, la sospensione dell'esecuzione della pena nello Stato richiedente, sino al momento in cui lo Stato di esecuzione comunichi l'avvenuta esecuzione della stessa, nel qual caso si provvederà all'archiviazione del procedimento di esecuzione per espiazione della pena.

Per quanto attiene alle modalità di esecuzione, la Convenzione prevede due possibilità: il proseguimento dell'esecuzione (art. 10) ovvero la conversione della condanna (art. 11 Convenzione).

Ciascuno Stato aderente, all'atto della ratifica, è tenuto a dichiarare, ai sensi dell'art. 3, § 3, quale delle due procedure intende applicare nell'esecuzione della pena.

In ogni caso l'esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione, unico competente a prendere ogni decisione al riguardo (art. 9, § 3).

Lo Stato italiano ha dichiarato di escludere nei rapporti che lo riguardano la procedura della conversione ed ha quindi optato per l'opposto meccanismo del proseguimento dell'esecuzione.

Nel sistema italiano l'art. 1 l. n. 257/1989 e l'art. 731 c.p.p. prevedono che ai fini dell'esecuzione della pena in Italia nei casi di applicazione della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, il Ministro della giustizia richiede il riconoscimento della sentenza penale straniera; a tale scopo trasmette al Procuratore generale presso la Corte d'Appello del distretto in cui ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona interessata o, se questo è sconosciuto, presso la Corte d'Appello di Roma, una copia della sentenza, con la relativa traduzione in lingua italiana, unitamente agli atti che vi sono allegati, alla documentazione e alle informazioni disponibili, nonché l'eventuale domanda di esecuzione nello Stato da parte dello Stato estero ovvero l'atto con cui questo Stato acconsente alla esecuzione.

Il Procuratore generale promuove il riconoscimento con richiesta alla Corte d'Appello.

La norma convenzionale (art. 10) stabilisce un doppio limite al potere dello Stato dell'esecuzione: questo è, infatti, vincolato al rispetto della natura giuridica attribuita al fatto dalla sentenza di condanna ed alla durata della sanzione inflitta.

Tale principio generale può essere, tuttavia, derogato quando i vincoli imposti dalla sentenza di condanna, concernenti sia la natura giuridica del fatto, sia la durata della sanzione, risultino incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione.

In tal caso, quindi, l'esecuzione avviene attraverso una procedura di adattamento della sanzione inflitta alla pena o misura restrittiva prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reati, ovvero quando nello Stato di condanna è stata inflitta una pena superiore a quella massima rispetto a quella stabilita dalla legge di esecuzione per lo stesso reato.

Ai sensi dell'art. 12 della Convenzione, lo Stato della condanna rimane titolare, insieme allo Stato della esecuzione, del potere di accordare la grazia al condannato, ovvero pronunciare amnistia o la commutazione della condanna, conformemente al proprio ordinamento giuridico.

Problemi sono sorti in ordine all'applicabilità dell'indulto; mentre detto istituto deve ritenersi senza dubbio operante nello Stato di condanna, atteso che l'art. 14 della Convenzione prevede che lo Stato di esecuzione deve far cessare l'esecuzione della pena quando è informato dello Stato di condanna di qualsiasi decisione o misura sulla base della quale la pena cessa di essere eseguibile, dubbi sono sorti in merito all'applicabilità dell'indulto da parte dello Stato di esecuzione, trattandosi di ipotesi non espressamente prevista dalla disciplina convenzionale.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha affermato il principio di diritto secondo cui “è applicabile l'indulto (di cui, nella specie, alla l. n. 241/2006) alle persone condannate all'estero e trasferite in Italia per l'espiazione della pena con la procedura stabilita dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 334/1988 (Cass. S.U., n. 36527/2008).

La Suprema Corte si è altresì pronunciata recentemente, affermando l'applicabilità della liberazione anticipata, confermando il proprio orientamento assolutamente maggioritario (Cass. I, n. 21984/2020, secondo cui “in tema di esecuzione in Italia di sentenza straniera, il beneficio della liberazione anticipata può essere concesso anche con riferimento al periodo di detenzione espiato in uno Stato estero aderente alla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate per fatti giudicati in quel Paese, a condizione che vengano acquisiti elementi di giudizio idonei a rappresentare la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione, e che venga accertato che durante la detenzione all'estero il condannato abbia già fruito di una misura con effetto equivalente al beneficio richiesto, ovvero che l'applicazione di una tale misura non sia stata già respinta dalla competente autorità straniera”).

Procedimento per l'esecuzione all'estero di una pena detentiva

Nel caso di richiesta di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna emessa dall'autorità giudiziaria italiana, il Ministro formula la relativa domanda alla Corte di Appello del distretto in cui fu pronunciata la condanna. L'esecuzione di una sentenza italiana all'estero è subordinata ad una deliberazione favorevole della Corte d'Appello del distretto in cui fu pronunciata la sentenza di condanna (art. 743 c.p.p. e art. 5 l. n. 257/1989), all'esito del procedimento promosso dal Procuratore generale.

Il Ministro non potrà tuttavia procedere in nessun caso a domandare l'esecuzione all'estero di una sentenza di condanna se ha motivo di ritenere che il condannato potrebbe essere sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

La Corte delibera con sentenza, ricorribile per Cassazione dal Procuratore generale o dall'interessato, all'esito di un procedimento camerale ex art. 127 c.p.p. (art. 743 c.p.p.).

Qualora sia necessario il consenso del condannato, l'autorità giudiziaria provvede ad acquisirlo; ove il condannato si trovi all'estero, il consenso può essere prestato anche dinanzi all'autorità consolare italiana ovvero dinanzi all'autorità giudiziaria dello Stato estero.

Una volta ultimato il procedimento ed iniziata l'esecuzione all'estero della pena viene disposta la sospensione dell'esecuzione nello Stato, sino alla espiazione della stessa. Nel caso di integrale espiazione della pena all'estero, secondo le leggi dello Stato richiesto, la pena non può essere eseguita (art. 746 c.p.p. e art. 6 l. n. 257/1989).

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