Richiesta di emissione di ordine di protezione europeo (Direttiva 2011/99/UE)Inquadramentol'ordine di protezione europeo (O.P.E.) è uno strumento di mutuo riconoscimento che consente di estendere, negli altri Stati membri che lo abbiano implementato, l'applicazione delle misure di protezione adottate a tutela di una vittima o di suoi prossimi congiunti (quali quelle previste nell'ordinamento interno dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.), per garantire l'effettiva tutela della persona protetta che si trovi, anche temporaneamente, per ragioni di lavoro, salute, o altri motivi, in altro Stato membro dell'Unione europea. FormulaAL GIUDICE DEL.... [1] RICHIESTA DI EMISSIONE DI ORDINE DI PROTEZIONE EUROPEO (AI SENSI DELL'ART. 5 D.LGS. N. 9/2015) Il/la sottoscritto/a...., nato/a a.... il....,...., cittadino /a.... residente a...., rappresentato da...., tutore/rappresentante (ove si tratti di persona incapace o minore), cittadino.... nella sua qualità di persona offesa (o di tutore/rappresentante della persona offesa) dal reato (specificare il reato), PREMESSO CHE – In data.... presentava/sporgeva denuncia querela nei confronti di.... per il reato di.... – In data.... codesto Giudice emetteva ordinanza applicativa della misura prevista dall'art. 282-bis c.p.p. (o dall'art. 282-ter c.p.p.) [2] CONSIDERATO Che il/la sottoscritto/a – Risiede in.... (Indicare il luogo di eventuale residenza in altro Stato membro dell'U.E.); – Intende assumere la propria residenza in altro Stato Membro dell'Unione europea e precisamente in.... – Dovrà soggiornare per motivi di studio/vacanza/lavoro/salute in altro Stato membro dell'Unione europea e precisamente in.... per il seguente periodo..... (Specificare con la maggior precisione possibile i luoghi di residenza o dimora, i luoghi che la persona offesa frequenterà, nonché il periodo in cui si tratterrà in altro Stato membro o i periodi in cui vi si dovrà recare, se si tratta di impegni con precisa cadenza temporale) CHIEDE L'emissione di un ordine di protezione europeo. Luogo e data.... Firma.... autentica.... [1]L'individuazione della autorità giudiziaria competente deve essere effettuata a norma dell'art. 5 del d.lgs. n. 9/2015, secondo cui “l'ordine di protezione europeo è emesso dal giudice che dispone una delle misure cautelari previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.”. La locuzione utilizzata “che dispone” anziché “che ha disposto” induce a ritenere non solo possibile, ma anche opportuna, la formulazione dell'istanza dell'EPO (european prosecution order) anche prima dell'adozione delle predette misure cautelari, fornendo al giudice tutti gli elementi per determinare l'estensione dell'efficacia della misura adottanda al di fuori dei confini dello Stato, in modo da garantire la reale efficacia della misura di protezione. [2]Si consiglia di includere nell'istanza tutti gli elementi, ove noti, indicati nell'art. 5 come contenuto dell'ordinanza relativa all'ordine di protezione europeo; si consiglia inoltre di indicare tutti gli elementi utili all'autorità giudiziaria straniera per la valutazione, in sede di riconoscimento dell'O.P.E., dell'insussistenza di motivi di rifiuto (elementi che potranno quindi essere inseriti dal Giudice nella relativa ordinanza) CommentoL'ordine di protezione europeo Il d.lgs. n. 9/2015 ha attuato nell'ordinamento interno la direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ordine di protezione europeo, che ha introdotto un nuovo importante strumento finalizzato alla costruzione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia tra i Paesi dell'Unione Europea, fondato sul mutuo riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, così come previsto dall'art. 82 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La direttiva, che si inserisce in un percorso più ampio di tutela delle vittime (preceduta dalla decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 sulla posizione della vittima nel processo penale, e seguita dalla direttiva 2012/29/UE recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, che ha sostituito la predetta decisione quadro e che è stata attuata in Italia con d.lgs. n. 212/2015), mira a proteggere una persona da atti penalmente rilevanti che possano metterne in pericolo la vita o l'integrità fisica, psichica e sessuale. La direttiva mira a tutelare tutte le vittime e non solo le vittime di violenze di genere -seppure appia probabile che il settore di maggior applicazione dello strumento sarà proprio tale ultimo ambito- nonché le persone fisiche tutelate dalle misure cautelari adottate (ma non altri soggetti processuali, ad esempio testimoni). L'ambito di applicazione dello strumento è quello delle misure di protezione adottate in materia penale, con esclusione di quelle adottate in materia civile (si rammenta, ad esempio, il regolamento UE n. 606/2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, che istituisce un meccanismo che consente il riconoscimento diretto di ordini di protezione quali strumenti di diritto civile tra Stati membri). Pertanto, la persona nei cui confronti è stato emesso un ordine di protezione di diritto civile rilasciato dal suo Stato membro di residenza, può invocarlo direttamente negli altri Stati membri ottenendo un certificato e presentandolo alle autorità competenti al fine di avere anche in altri SM il riconoscimento dei suoi diritti), ed è espressamente esclusa ogni interferenza di tale direttiva con l'applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001, del regolamento (CE) n. 2201/2003, della convenzione dell'Aia del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione, in materia di potestà genitoriale e di misure di protezione dei minori, della convenzione dell'Aia del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ed inoltre con l'applicazione della decisione quadro 2008/947/GAI e della decisione quadro 2009/829/GAI. In particolare, la finalità dell'EPO (European Protection Order) è quella di assicurare il reciproco riconoscimento degli effetti di misure di protezione adottate, in materia penale, da autorità giurisdizionali degli Stati membri (considerando n. 7 dir. 2011/99/UE e art. 1d.lgs. n. 9/2015). Si tratta, sostanzialmente, di una decisione con la quale l'autorità di un Paese dell'Unione dispone che gli effetti di una misura di protezione — disposta a tutela di una persona vittima di un reato — si estendano al territorio di un altro Paese membro nel quale la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risiedere o soggiornare (artt. 1 e 2, n. 1), direttiva 2011/99/UE e art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 9/2015). Secondo quanto previsto dalla normativa interna di attuazione, per “misura di protezione” deve intendersi una decisione adottata in materia penale da un organo giurisdizionale o da altra diversa autorità competente, che si caratterizzi per autonomia, imparzialità e indipendenza, di uno Stato membro dell'Unione europea con la quale vengono applicati divieti o restrizioni finalizzati a tutelare la vita, l'integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l'integrità sessuale della persona protetta contro atti di rilevanza penale (art. 2 lett. b). Per “Ordine di protezione europeo” si intende una decisione adottata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro con la quale, al fine di continuare a tutelare la persona protetta, viene disposto che gli effetti della misura di protezione si estendano al territorio di altro Stato membro in cui la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risiedere o soggiornare (art. 2 lett. c). Come si è accennato la persona destinataria della protezione è non solo la persona offesa dal reato, bensì la ‘persona protetta' in senso lato, ovvero la persona fisica oggetto della tutela predisposta dalle misure cautelari adottate; vi possono pertanto essere ricompresi i ‘prossimi congiunti' della persona offesa dal reato e, nel caso di divieto di avvicinamento, anche le ‘persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva' (282-ter, comma 2 c.p.p.). Il procedimento attivo ed il procedimento passivo Il procedimento attivo La prima parte della normativa interna di attuazione (Capo II, artt. 4-6) disciplina il procedimento di emissione e trasmissione all'estero dell'EPO, vale a dire il caso in cui sia un'autorità giudiziaria italiana a disporre una misura di protezione i cui effetti debbano poi essere estesi al territorio di un altro Stato membro. Al fine di portare la persona offesa a conoscenza della possibilità di emissione di un EPO l'art. 4 del d.lgs. n. 9/2015 ha introdotto una modifica all'art. 282-quater c.p.p., attraverso l'aggiunta del comma 1-bis “con la comunicazione prevista dal comma 1, la persona offesa è informata della facoltà di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo”. Ai sensi dell'art. 5, l'ordine di protezione europeo è emesso con ordinanza, su richiesta della persona protetta (o del suo legale rappresentante) dal giudice che dispone le misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.). Tale richiesta deve contenere, a pena di inammissibilità, il luogo in cui la persona protetta ha assunto o intende assumere la residenza, la durata e le ragioni del soggiorno (Nella relazione illustrativa del decreto legislativo di attuazione si legge che tali dati servirebbero a vagliare ‘il grado di necessità della protezione', valutazione relativa al controllo di proporzionalità nell'impiego dello strumento di cooperazione giudiziaria ex art. 5 T.U.E.; va comunque evidenziato che l'indicazione delle ragioni del trasferimento non erano contemplate dalla direttiva e pertanto nell'applicazione della disposizione interna ed in particolare dell'eventuale sanzione dell'inammissibilità, dovrà procedersi ad un'interpretazione conforme della disciplina interna alla luce della lettera della direttiva). L'OPE può certamente essere emesso sia al momento di adozione dell'ordinanza impositiva della misura cautelare di cui agli articoli 282-bis e 282-ter c.p.p., sia in un momento successivo. La lettera della norma, nel fare riferimento al ‘giudice che dispone le misure cautelari' sembrerebbe prevedere una competenza ultrattiva del Giudice che ha disposto la misura, anche ove il procedimento sia progredito in altre fasi; appare tuttavia più ragionevole ricorrere ad una soluzione analoga a quella adottata dalle S.U. della Corte di Cassazione in relazione al mandato di arresto europeo (Cass. S.U., n. 2850/2013), ritenendo quindi che la competenza all'emissione dell'OPE (ordine di protezione europeo) sia del giudice che procede al momento della richiesta, ai sensi degli artt. 279 c.p.p. e 91 att. c.p.p. L'ordinanza, redatta conformemente al modello allegato al d.lgs., contiene le indicazioni previste dall'art. 5 comma 3, ed in particolare: a) identità e cittadinanza della persona protetta, nonché identità e cittadinanza del tutore o del rappresentante, se la persona protetta è minore o legalmente incapace; b) data a decorrere dalla quale la persona protetta risieda o soggiorni ovvero intenda risiedere o soggiornare nello Stato di esecuzione e periodo o periodi di soggiorno, se noti; c) indirizzo, numeri di telefono e fax, nonché indirizzo di posta elettronica certificata dell'autorità che ha emesso il provvedimento; d) data di deposito del provvedimento contenente la misura di protezione in base alla quale è stato emesso l'ordine di protezione europeo; e) sintesi dei fatti e delle circostanze che hanno portato all'adozione della misura di protezione; f) divieti e restrizioni imposti dalla misura di protezione, ivi compreso l'eventuale utilizzo di dispositivo tecnologico di controllo in conformità alle previsioni di cui all'art. 275-bis del codice di procedura penale, e relativo periodo di applicazione; g) identità e cittadinanza della persona che determina il pericolo, nonché dati di contatto di tale persona; h) eventuale ammissione della persona protetta al patrocinio a carico dello Stato e indicazione della data di emissione del relativo provvedimento. Prima che sia emesso l'OPE, secondo quanto previsto dalla direttiva, deve essere garantita alla persona che determina il pericolo la possibilità di essere ascoltata e di contestare la misura, “se questi diritti non sono stati concessi nel procedimento che ha portato all'adozione della misura stessa” (art. 6 § 4). Il nostro legislatore non ha previsto forme di contraddittorio specifiche in relazione all'emissione dell'OPE, essendosi ritenuta satisfattiva della previsione sopra richiamata la disciplina dell'interrogatorio ‘di garanzia' contenuta nelle disposizioni codicistiche in relazione alla misura cautelare posta a fondamento dell'OPE. Una volta emesso, l'ordine di protezione europeo deve essere inviato senza ritardo al Ministero della giustizia, che a sua volta provvede a trasmetterlo alle autorità competenti dello Stato in cui l'ordine verrà eseguito (art. 6 d.lgs. n. 9/2015). Avverso il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità dell'EPO è possibile esperire ricorso per cassazione; l'art. 5 comma 4 richiama a tal fine la disciplina contenuta nella normativa di attuazione del mandato di arresto europeo (art. 22, commi 1, 3, 4, 5 e 6 l. n. 69/2005). La decisione è pertanto ricorribile per cassazione anche per il merito. La Cassazione decide con rito camerale nel termine di 15 giorni dalla ricezione degli atti. Il procedimento passivo Il Capo III del d.lgs. n. 9/2015 (artt. 7-10) disciplina invece quello che è il procedimento finalizzato al riconoscimento, nell'ordinamento italiano, di un ordine di protezione europeo emesso all'estero (cd. passivo). Ai sensi dell'art. 7, l'autorità giudiziaria italiana competente a riconoscere un O.P.E. è la Corte di appello nel cui distretto la persona protetta ha dichiarato, in sede di richiesta di emissione dell'O.P.E., di soggiornare o di risiedere o di avere intenzione di soggiornare o di risiedere. In particolare, il presidente della Corte d'appello competente per territorio riceve l'ordine di protezione dal Ministero della giustizia e decide in merito entro dieci giorni senza formalità (art. 8). A tal fine può richiedere le necessarie integrazioni ove le informazioni siano incomplete, ed in tal caso il predetto termine resta sospeso dalla data della comunicazione sino alla ricezione delle informazioni mancanti. Una volta riconosciuto l'EPO, la Corte d'appello dispone con ordinanza l'applicazione di una delle misure cautelari previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. — in modo tale da assicurarne la corrispondenza con le prescrizioni contenute nella misura di protezione (art. 9, comma 1) — e informa il Ministero della giustizia affinché esso ne dia comunicazione alla persona protetta, a colui che determina il pericolo, alla polizia giudiziaria e ai servizi socio assistenziali del luogo presso il quale la persona protetta ha dichiarato di soggiornare (art. 10, comma 1). Qualora la persona che determina il pericolo violi le prescrizioni contenute nell'ordine di protezione europeo, la Corte d'appello — su richiesta del Procuratore Generale — applica una misura più grave (se ne sussistono i presupposti) per un termine non superiore a trenta giorni (art. 10, comma 2) e ne dà comunicazione all'autorità competente dello Stato di emissione dell'EPO (art. 10, comma 5). Spettano infatti sempre a quest'ultima le decisioni in merito alla proroga, al riesame, alla modifica, all'annullamento o alla sostituzione della misura di protezione da cui è scaturito l'ordine di protezione europeo, nonché l'applicazione di più gravi misure cautelari (art. 11, comma 1). L'articolo 9 della disciplina di attuazione prevede altresì le ipotesi di rifiuto di riconoscimento dell'ordine di protezione europeo, tra le quali va segnalata quella della doppia incriminazione; tale requisito non dovrebbe creare problemi in concreto, nonostante la fattispecie degli ‘atti persecutori' (cd. stalking) non trovi disciplina autonoma in tutti gli Stati membri. In proposito va comunque rammentato che la giurisprudenza si è pronunciata, in relazione all'analoga disposizione contenuta nella decisione quadro MAE e nella relativa disciplina interna di attuazione, chiarendo che al fine di considerare sussistente il requisito della doppia incriminazione è sufficiente che la concreta fattispecie che nello Stato di emissione ha giustificato la misura sia punibile penalmente dalla nostra legge a qualunque titolo, a nulla rilevando il nomen iuris, né gli elementi richiesti per la configurazione del reato, eventualmente diversi nelle due legislazioni (cfr. Cass. VI, n. 11598/2007), né la diversità del trattamento sanzionatorio (Cass. VI, n. 27483/2017). Tra i motivi di rifiuto non è stata espressamente inclusa l'ipotesi di contrarietà ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, ipotesi ritenuta comunque ricavabile dalla gerarchia delle fonti nonché dalla norma generale contenuta nell'articolo 1 del decreto legislativo. Avverso la decisione della Corte di appello può essere proposto ricorso per cassazione; anche in tal caso si rinvia alle disposizioni dettate in sede di attuazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo ed in particolare all'art. 22 della l. n. 69/2005. In caso di rifiuto di riconoscimento dell'OPE l'autorità giudiziaria ne dà comunicazione al Ministero, affinché ne dia senza indugio comunicazione all'autorità competente dello Stato di emissione. Decisioni sulla validità e sull'efficacia del titolo e cessazione degli effetti Il capo IV del decreto legislativo disciplina la validità ed efficacia dell'OPE e la cessazione degli effetti del provvedimento. Il principio di carattere generale è che spetta all'autorità dello Stato di emissione la decisione sulla proroga, il riesame, la modifica, l'annullamento o la sostituzione della misura di protezione posta alla base dell'ordine di protezione europeo, così come ogni decisione sull'eventuale applicazione di misure cautelari più gravi (art. 11, comma 1). È tuttavia prevista la possibilità di applicare una misura più grave, in caso di violazione delle prescrizioni; ed invero ai sensi dell'art. 10, comma 2, quando la persona che determina il pericolo viola le prescrizioni dell'ordine di protezione, la polizia giudiziaria ne informa il procuratore generale e il presidente della corte di appello; se sussistono le condizioni di applicabilità di una misura più grave, la Corte di appello, su richiesta del procuratore generale, provvede tenendo conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione e determinandone la data di scadenza entro un termine non superiore ai 30 giorni. La misura perde efficacia una volta trascorso tale termine, ovvero anche prima, quando lo Stato di emissione provveda a norma dell'art. 11. In ogni caso viene data all'autorità di emissione comunicazione di ogni violazione delle prescrizioni, utilizzando il modello di cui all'allegato B al decreto legislativo di attuazione (corrispondente al modello allegato alla direttiva). Ricevuta la comunicazione di intervenuta modifica delle misure di protezione poste a base dell'ordine di protezione europeo riconosciuto ai sensi dell'art. 8 e dell'art. 9, comma 1, la Corte di appello provvede alla revoca o alla sostituzione delle misure adottate. Analogamente, procede alla declaratoria di inefficacia del riconoscimento dell'ordine di protezione europeo nei casi previsti dal comma 2 dell'art. 12. Anche avverso tali decisioni è previsto il ricorso per cassazione, ed è operato un rinvio alla procedura dettata dall'art. 22 della l. n. 69/2005. L'attuazione pratica dello strumento In ambito U.E. sono stati condotti diversi studi sullo strumento dell'EPO. Uno studio condotto dall'E.P.R.S. (European Parliamentary Research Service) ha rilevato che l'ordine di protezione europeo ha trovato un'applicazione estremamente limitata (a fronte di oltre 100.000 misure adottate a livello interno nei Paesi Membri, solo in 7 casi si è provveduto all'applicazione di ordini di protezione europei), probabilmente dovuta ad una scarsa conoscenza dello strumento da parte delle vittime, ma anche da parte degli operatori del diritto, oltre che alla diversità delle legislazioni in materia negli Stati membri (seppure non si sia registrato ancora alcun caso di rifiuto di riconoscimento di un EPO). Si auspica pertanto un maggior utilizzo di tale strumento, che evidentemente consente una più ampia ed effettiva tutela delle vittime da reato. |