Istanza di trasferimento del procedimento penale (artt. 746-bis e ss.)

Chiara Maria Paolucci

Inquadramento

L'estensione della giurisdizione oltre i confini territoriali determina potenziali situazioni di litispendenza e di bis in idem; al fine di evitare duplicazioni di procedimenti e conflitti di giurisdizione diverse convenzioni internazionali prevedono meccanismi volti al trasferimento dei procedimenti, previa individuazione dello Stato meiux placé nell'interesse della corretta amministrazione della giustizia.

Formula

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI....

ISTANZA DI TRASFERIMENTO DI PROCEDIMENTO PENALE

AI SENSI DEGLI ARTT. 746-BIS e quater c.p.p.

(OVVERO AI SENSI DELLA D.Q. 2009/948/GAI)

Il/la sottoscritto/a...., nato/a a.... il....,....,

residente a....,

nella sua qualità di indagato in relazione ai/ persona offesa dei reati previsti e puniti dagli artt....., nell'ambito del procedimento penale N.

PREMESSO CHE

(Esporre la vicenda storica)

(Esporre ogni utile considerazione in diritto)

Rilevato che appaiono sussistere i presupposti di cui all'art. 746-bis c.p.p., per il trasferimento del procedimento all'Autorità giudiziaria del (Indicare lo Stato estero verso il quale si ritiene opportuno trasferire il procedimento penale), che risulta presentare più stretti legami con il fatto e/o con le fonti di prova, in considerazione dei seguenti elementi:

a) luogo in cui è avvenuta la maggior parte dell'azione, dell'omissione o dell'evento;

b) luogo in cui si è verificata la maggior parte delle conseguenze dannose;

c) luogo in cui si trovano il maggior numero di persone offese, di testimoni o delle fonti di prova;

d) impossibilità di procedere ad estradizione dell'indagato che ha trovato rifugio nello Stato richiesto;

e) luogo in cui risiede, dimora, è domiciliato ovvero si trova l'indagato [1].

Per tutto quanto sinora esposto,

1. visti gli artt. 746-quater c.p.p. e

– l'art. 21 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, Strasburgo 20 aprile 1959, come integrata:

a) dall'art. 6 della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000;

b) dall'artt. XXIV e seguenti dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998;

c) dall'articolo XII dell'Accordo bilaterale Italia-Austria aggiuntivo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 ed inteso a facilitarne l'applicazione, Vienna 20 febbraio 1973;

d) dall'articolo XII dell'Accordo bilaterale Repubblica italiana- Repubblica Federale di Germania;

e) articolo 4 dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 ed alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, ed inteso a facilitarne l'applicazione, fatto a Tirana il 3 dicembre 2007;

– l'art. 21 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata sottoscritta a Palermo nel 12-15 dicembre 2000;

– l'art. 47 della Convenzione O.N.U. sulla corruzione, del 31 ottobre 2003, aperta alla firma a Merida, il 9-11 dicembre 2003;

ovvero, in alternativa

2. vista la D.Q. 2009/948/GAI ed il d.lgs. n. 29/2016[2],

il sottoscritto formula

ISTANZA

di trasferimento del procedimento penale alle Autorità giudiziarie del.... (Indicare lo Stato verso il quale si richiede il trasferimento).

Si richiede pertanto a codesto Procuratore della Repubblica di attivare la relativa procedura ai sensi degli articoli:

(Indicare in alternativa):

– artt. 746-bis e 746-quater c.p.p. (nel caso in cui la richiesta sia formulata sulla base degli strumenti internazionali bilaterali o multilaterali, nel qual caso sarà applicabile la disciplina codicistica, ove non diversamente stabilito dalla convenzione o dalla specifica legge di autorizzazione alla ratifica),

– Artt. 1 e seguenti della D.Q. 2009/948/GAI (Nel caso in cui la richiesta sia formulata in base alla D.Q. sui conflitti di giurisdizione in ambito U.E.).

Luogo e data....

Firma....

[1]Nel caso la richiesta di trasferimento del procedimento sia fatta in base alla D.Q. 2009/948/GAI, dovrà essere richiamato l'art. 8 del d.lgs. n. 29/2016, che contiene criteri analoghi a quelli previsti dall'art. 746-bis c.p.p.

[2]Nel caso di richiesta di trasferimento basata sulla D.Q. 2009/948/GAI appare opportuno evidenziare nell'istanza la sussistenza degli elementi richiesti per l'applicazione della stessa, e precisamente l'esistenza di un procedimento penale per gli stessi fatti e nei confronti delle medesime persone, pendente dinanzi all'Autorità giudiziaria verso la quale si richiede il trasferimento del procedimento.

Commento

Il trasferimento dei procedimenti penali. Introduzione

Il diritto internazionale non prevede regole di carattere generale alle quali gli Stati devono attenersi nella determinazione della propria sfera di giurisdizione - di fatto consentendone la più ampia estensione – né detta norme idonee a prevenire o risolvere eventuali conflitti di giurisdizione o ad evitare possibili contrasti di giudicato.

L'ordinamento italiano ha adottato il criterio dell'ubiquità o cd. ‘criterio misto', combinando i diversi principi fondativi della giurisdizione. Gli artt. 6 e seguenti del codice penale contemplano diverse ipotesi in cui può riconoscersi la giurisdizione italiana anche in relazione a fatti consumati in tutto o in parte all'estero, così evidentemente favorendo l'insorgere di situazioni di simultaneus processus (o double jeopardy).

Tale problema non è espressamente affrontato dal nostro ordinamento, che anzi si fonda non solo sulla possibilità di litispendenza internazionale, ma anche di bis in idem.

Ed invero l'art. 11 c.p. prevede che nel caso di cui all'art. 6, “il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero. Nei casi indicati negli artt. 7, 8, 9, e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro di (Grazia e) Giustizia ne faccia richiesta”, introducendo quindi una perseguibilità incondizionata (non essendo necessaria ad esempio la presenza del cittadino e dello straniero nel territorio dello Stato, o l'istanza o querela della persona offesa).

La possibilità di celebrazione contemporanea di giudizi per fatti identici in diversi Stati, tuttavia, comporta evidenti potenzialità lesive dei diritti fondamentali.

Ed invero il soggetto sottoposto a procedimenti penali in diversi Stati, per il medesimo fatto, incontra oggettive difficoltà correlate alla difesa, sia sotto il profilo linguistico, sia sotto quello delle problematiche collegate all'effettiva partecipazione al processo, nonché ai costi ad essa connessi – che porterebbe ad irragionevoli discriminazioni tra imputati abbienti e imputati meno abbienti – in aperta antitesi con i principi fondamentali della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ed in particolare con l'art. 6, nonché con l'art. 111 Cost.; analoghi disagi si riverbererebbero d'altro canto anche sui testimoni e sulle persone offese.

Pertanto una pluralità di processi per i medesimi fatti in diversi Stati non corrisponde certamente all'interesse della corretta amministrazione della giustizia.

Proprio la consapevolezza delle problematiche sin qui evidenziate ha portato alla ricerca di soluzioni attraverso l'adozione di convenzioni sovranazionali che consentano il trasferimento di procedimenti penali verso lo Stato meiux placé.

Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, Strasburgo 20 aprile 1959, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 215/1961

La disposizione convenzionale di maggior estensione attualmente operante per l'Italia è certamente l'art. 21 della Convenzione sull'assistenza giudiziaria in materia penale sottoscritta a Strasburgo il 20 aprile 1959, secondo cui:

“1. Qualsiasi denuncia trasmessa da una Parte contraente in vista di perseguimenti davanti ai Tribunali di un'altra Parte farà oggetto di comunicazioni fra i Ministeri di Giustizia. Tuttavia, le Parti contraenti potranno usare della facoltà prevista dal paragrafo 6 dell'art. 15.

2. La Parte richiesta potrà conoscere il seguito dato alla denuncia e, ove occorra, trasmetterà una copia della decisione penale.

3. Le disposizioni dell'articolo 16 saranno applicabili alle denunce previste nel paragrafo 1 del presente articolo”.

Secondo quanto ricavabile dal rapporto esplicativo della Convenzione, tale disposizione era stata introdotta in primo luogo al fine di consentire il trasferimento dei procedimenti nelle ipotesi di rifiuto dell'estradizione (in relazione ai quali l'accordo applicabile non contenga espressamente una clausola di aut dedere aut iudicare); tuttavia la prassi invalsa tra gli Stati è stata quella di ricorrere a tale strumento ogni qualvolta il trasferimento apparisse rispondente ad una più corretta amministrazione della giustizia.

La mancata previsione, sino alla recente modifica del Libro XI del codice di procedura penale di cui al d.lgs. n. 149/2017, di una disciplina per i casi di trasferimento dei procedimenti verso l'estero, dovuta essenzialmente a dubbi di costituzionalità (in particolare in relazione agli artt. 25 e 112 Cost.), ha di fatto impedito l'effettiva operatività dello strumento previsto dall'art. 21 C.E.A.G., che pertanto ha sinora operato in concreto quasi esclusivamente in passivo.

La disciplina dettata dall'art. 21 CEAG è stata integrata da diversi accordi bilaterali, ed in particolare:

a) Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 367/2001, che contiene un'espressa disciplina degli effetti del trasferimento sul procedimento interno;

b) Accordo bilaterale Italia-Austria aggiuntivo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 ed inteso a facilitarne l'applicazione, Vienna 20 febbraio 1973, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 628/1977 nella quale, tuttavia, non sono state introdotte norme specifiche relative agli effetti sul procedimento interno;

c) Accordo bilaterale Repubblica italiana- Repubblica Federale di Germania, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 969/1984 con cui, tuttavia, analogamente all'accordo sub b), non sono state introdotte norme di dettaglio;

d) Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 ed alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, ed inteso a facilitarne l'applicazione, fatto a Tirana il 3 dicembre 2007, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 97/2011, che tuttavia si limita a prevedere la possibilità di trasmissione diretta;

nonché dai seguenti accordi multilaterali:

e) Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (cd. CAAS) che prevede, all'art. 53 § 5, che “le denunce ai fini dell'instaurazione di procedimenti per infrazioni alla legge relativa al tempo di guida e riposo, effettuate conformemente all'articolo 21 della Convenzione europea di mutua assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 o all'art. 42 del Trattato del Benelux di estradizione e mutua assistenza giudiziaria in materia penale del 27 giugno 1962, quale modificato dal protocollo dell'11 maggio 1974 possono essere inviate direttamente dalle autorità giudiziarie della Parte contraente richiedente alle autorità giudiziarie della Parte contraente richiesta”;

f) la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 149/2016 (sostitutiva della CAAS), che prevede la possibilità di un rapporto diretto tra le autorità giudiziarie nei casi di trasferimento del procedimento ex art. 21 C.E.A.G., ma non contiene alcuna regolamentazione di dettaglio (art. 6 §1 cpv. e § 2); non vengono quindi indicati i criteri per l'adozione delle relative decisioni, né la procedura applicabile. Nessuna specifica disciplina risulta essere stata introdotta neppure con il d.lgs. n. 52/2017, contenente “norme di attuazione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000”.

Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata sottoscritta a Palermo nel 12-15 dicembre 2000, la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 146/2006, il cui art. 21 prevede che:

Ciascuno Stato Parte valuta la possibilità di trasferire ad un altro i procedimenti relativi al perseguimento di reati compresi nella presente Convenzione nei casi in cui tale trasferimento è ritenuto nell'interesse della corretta amministrazione della giustizia, in particolare nei casi in cui sono coinvolte più giurisdizioni, al fine di concentrare l'esercizio dell'azione penale.

L'art. 7, comma 1 della l. n. 146/2006 contiene a sua volta una generica disposizione in materia di trasferimento dei procedimenti penali, stabilendo che “il trasferimento dei procedimenti penali previsto dall'articolo 21 della convenzione avviene esclusivamente nelle forme e nei limiti degli Accordi internazionali. Tali Accordi sono ratificati previa autorizzazione data con legge.

Con cadenza annuale il Ministro della giustizia informa le Camere sullo stato di attuazione delle previsioni dell'art. 21 della Convenzione, in merito al quadro complessivo degli Accordi di trasferimento raggiunti con gli altri Stati parte, al numero dei procedimenti penali effettivamente trasferiti e ad eventuali problemi applicativi”.

La norma, dunque, si limita a demandare alla successiva stipula di accordi internazionali, da ratificare con autorizzazione legislativa, la definizione dei limiti e delle forme di operatività di tale istituto della cooperazione, senza peraltro delineare un quadro normativo generale di riferimento in ordine ai presupposti, alle condizioni e agli effetti delle procedure di trasferimento, da rimodulare quindi caso per caso, sulla base di intese mirate e di accordi specifici con le autorità dello Stato Parte interessato.

La Convenzione O.N.U. sulla corruzione, del 31 ottobre 2003, aperta alla firma a Merida, il 9-11 dicembre 2003 (UNCAC), la cui ratifica è stata autorizzata con l. n. 116/2009 il cui art. 47 prevede che: “ciascuno Stato Parte valuta la possibilità di trasferire ad un altro i procedimenti relativi al perseguimento di reati previsti conformemente alla presente Convenzione nei casi in cui tale trasferimento è ritenuto nell'interesse della corretta amministrazione della giustizia, in particolare nei casi in cui sono coinvolte più giurisdizioni, al fine di concentrare l'esercizio dell'azione penale”.

La legge di autorizzazione alla ratifica non ha introdotto alcuna previsione specifica, volta a regolare gli effetti del trasferimento sul procedimento interno.

La Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento dei procedimenti, Strasburgo, 15 maggio 1972 (non ratificata dall'Italia)

È sicuramente lo strumento internazionale più rilevante in subiecta materia, ma non è attualmente in vigore per l'Italia che, pur figurando tra i Paesi firmatari, non ha ancora provveduto alla relativa ratifica.

Si tratta di una convenzione di ampio respiro, che si pone l'obiettivo non solo di trovare soluzione ai conflitti di giurisdizione, ma anche quello di consentire un trasferimento dei procedimenti a prescindere da ipotesi di conflitto, seppur solo potenziale, di giurisdizione.

Decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali

La decisione quadro 2009/948/GAI, attuata nell'ordinamento italiano con d.lgs. n. 29/2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2016 ed entrato in vigore il 22 marzo 2016), è stata adottata al fine di risolvere eventuali conflitti di giurisdizione in ambito UE. La stessa trova tuttavia applicazione solo nel caso di effettiva litispendenza di procedimenti paralleli, situazione che ricorre quando siano pendenti in diversi Stati membri più procedimenti penali, sia nella fase investigativa che in quella processuale, per gli stessi fatti e nei confronti della medesima persona (articolo 2 della normativa interna di attuazione, d.lgs. n. 29/2016 e art. 3 D.Q. 2009/948/GAI).

La disciplina interna. Il titolo IV- bis relativo al “Trasferimento dei procedimenti penali”, nel Libro XI del codice di procedura penale

In assenza di una specifica disciplina in relazione al trasferimento di procedimenti dall'estero ed alla conseguente assunzione del procedimento nell'ordinamento italiano, la prassi interpretativa era quella di ritenere applicabili gli artt. 6,7,8,9 e 10 del codice penale; quindi il Ministro provvedeva con richiesta ai sensi degli artt. 8,9, e 10 del codice penale, ove necessaria, ovvero alla diretta trasmissione del procedimento alla Procura competente ai sensi degli artt. 6 e 7 del codice penale e dell'art. 10 c.p.p..

Maggiori problemi si ravvisavano nel caso di trasferimento attivo (verso l'estero). In mancanza di disciplina specifica (fatta eccezione per i casi prima menzionati), per definire il procedimento interno doveva attendersi la decisione conclusiva del procedimento nello Stato richiesto, al fine di adottare una pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere per bis in idem ex art. 649 c.p.p. (laddove possibile, ad esempio in area Schengen, ai sensi dell'art. 54 C.A.A.S) ovvero una richiesta di archiviazione ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p., nei casi in cui gli elementi di prova avrebbero dovuto essere acquisiti con la collaborazione dello Stato richiesto ed il quadro probatorio risultasse inidoneo a sostenere l'accusa in dibattimento.

Il legislatore ha manifestato recentemente consapevolezza di tali problemi e della necessità di fornirvi idonea soluzione, inserendo, nella l. n. 149/2016, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000 e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive”, una specifica delega, all'art. 4 lett.g), relativa al trasferimento dei procedimenti.

In attuazione di tale delega, il legislatore, con d.lgs. n. 149/2017, ha introdotto il nuovo Titolo IV-bis del libro XI, “trasferimento dei procedimenti penali”, composto da tre norme, contenenti i principi di carattere generale (art. 746-bis c.p.p.), la disciplina del trasferimento cd. passivo (art. 746-ter c.p.p.) nonché quella del trasferimento cd. attivo dei procedimenti penali (art. 746-quater c.p.p.).

L'art. 746-bis c.p.p. individua i criteri in base ai quali adottare la decisione di trasferire ovvero assumere un procedimento penale, stabilendo in primo luogo che ciò è possibile solo ove tale possibilità sia espressamente contemplata da convenzioni internazionali e a favore di autorità giudiziaria che presenti più stretti legami territoriali con il fatto. Il comma 3 elenca i criteri (sub lettere a-e) da prendere in considerazione.

Analoghi criteri erano stati adottati dall'art. 8 del d.lgs. n. 29/2016, attuativo della Decisione quadro 2009/948/GAI.

a) il trasferimento dei procedimenti dall'estero (cd. passivo):

L'art. 746-ter c.p.p. mira a regolamentare gli effetti conseguenti all'assunzione del procedimento inoltrato dalle autorità straniere in base a convenzioni internazionali che prevedano tale possibilità.

La disciplina non presuppone la sussistenza di ipotesi di litispendenza (richiesta, come vedremo, per il trasferimento attivo) ed il ruolo del Ministro è assolutamente marginale.

La disposizione non introduce una disciplina speciale e pertanto ai fini dell'individuazione dell'autorità competente e della procedura da seguire si ricorrerà alle norme previste dagli artt. 6 e ss. c.p. e dall'art. 10 c.p.p.

Ed invero nella relazione illustrativa si legge “ferma restando, quindi, la possibilità di un trasferimento del procedimento dall'estero ai sensi dell'art. 6 c.p. (e pertanto non solo quando il reato è stato interamente commesso in Italia, ma anche quando quivi l'azione o l'omissione sia stata commessa ovvero si sia verificato l'evento che è conseguenza dell'azione o dell'omissione), nonché nei casi in cui sia espressamente prevista la giurisdizione italiana in relazione a fatti commessi all'estero (cfr., ad es. l'art. 604 c.p.), il trasferimento del procedimento sarà possibile, a fronte della richiesta dello Stato estero, mediante trasmissione al pubblico ministero competente. La trasmissione equivale evidentemente a richiesta del Ministro di procedere, ove la stessa sia richiesta nei casi previsti dagli artt. 8,9,10 e 11 del c.p.”.

Secondo il legislatore, quindi, in tali ipotesi non sarà necessario un provvedimento esplicito di ‘richiesta di perseguimento', che risulterà implicito nella trasmissione del procedimento all'autorità interna competente.

Nel caso in cui le convenzioni internazionali prevedano il rapporto diretto tra le autorità giudiziarie (come abbiamo visto ciò è attualmente possibile in applicazione del combinato disposto dell'art. 21 della C.E.A.G. e dell'art. 6 della Convenzione di Bruxelles del 2000), l'autorità ricevente deve comunicare al Ministro la decisione assunta a seguito della trasmissione del procedimento da parte dell'Autorità straniera.

Quanto agli effetti del trasferimento è stata prevista, quale regola generale, la conservazione dell'efficacia e la piena utilizzabilità degli atti compiuti all'estero, introducendo ovviamente la clausola del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano (“sempre che non contrastino con i principi fondamentali dell'ordinamento”) in conformità con la soluzione adottata dal citato d.lgs. n. 29/2016.

La norma introduce inoltre una disciplina specifica per le misure cautelari personali, estendendo alle ipotesi di trasferimento del procedimento dall'estero le disposizioni applicabili nel caso di trasferimento interno del procedimento per competenza territoriale. In particolare il comma 5 della disposizione in esame prevede che “nel caso di misure cautelari disposte nel procedimento assunto in Italia, si applica l'art. 27”.

Il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero sarà computato ai sensi e per gli effetti degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 c.p.p.. Per il computo dei termini di fase si è fatto rinvio al comma 2 dell'art. 303 c.p.p.. Tale soluzione appare conforme, come d'altro canto evidenziato nella relazione illustrativa, ai principi dettati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 299/2005, relativa al comma 2 dell'art. 303 c.p.p., nonché con sentenza n. 253/2004, relativa all'art. 722 c.p.p..

È stato tuttavia previsto un termine più ampio di quello ordinario per l'adozione dell'ordinanza di cui all'art. 27 (“ma il termine per l'adozione dei relativi provvedimenti è di trenta giorni dalla ricezione degli atti”), in considerazione della maggiore complessità della valutazione degli atti provenienti dall'autorità straniera, dovuta anche alla necessità di traduzione degli stessi, oltre che al diverso regime giuridico di acquisizione.

Non è stata invece introdotta una disciplina particolare in relazione alle misure reali, per le quali comunque il controllo dell'autorità giudiziaria può essere agevolmente attivato ricorrendo alla disciplina dettata in via generale dal codice di procedura penale.

Analogamente a quanto previsto da alcuni accordi bilaterali, per i reati procedibili a querela è stato previsto un dies a quo diverso da quello ordinario (correlato alla data in cui la domanda è pervenuta all'autorità giudiziaria competente per il procedimento penale) per i casi in cui la querela sia prevista solo dall'ordinamento dello Stato richiesto nonché la conservazione di efficacia della querela presentata all'estero per i casi in cui la querela sia richiesta da entrambi gli Stati.

b) il trasferimento di procedimenti penali all'estero (cd. attivo).

La disciplina del trasferimento ‘attivo' implica evidentemente maggiori problemi – anche di ordine costituzionale – e ciò ha portato all'adozione di una disciplina più “stringente rispetto alla procedura passiva, comportando una sostanziale rinuncia all'esercizio del potere punitivo dello Stato, soluzione che è apparsa, d'altro canto, coerente con le indicazioni ricavabili dalla legge delega” (cfr. relazione illustrativa).

Anche per tale motivo i presupposti richiesti sono più stringenti; ed invero si richiede il requisito della litispendenza concreta, ed altresì che si tratti degli stessi fatti.

Non è stato tuttavia introdotto il requisito della medesimezza soggettiva e quindi l'ambito di applicazione che ne deriva appare certamente più ampio di quello previsto in relazione alla decisione quadro 2009/948/GAI.

La decisione sul trasferimento del procedimento all'estero (che deve essere assunta, oltre che sulla base dei criteri indicati nell'art. 746-bis c.p.p., previa verifica dei criteri indicati dal comma 4 della disposizione in esame, secondo cui “non può disporsi il trasferimento del procedimento se vi è motivo di ritenere che lo Stato estero non assicuri, nel procedimento, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento, ovvero se vi è motivo di ritenere che l'indagato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità', di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona”), è comunicata al Ministro della giustizia che, nel termine di trenta giorni dalla ricezione degli atti, può vietarne l'esecuzione quando sono compromessi la sicurezza, la sovranità o altri interessi essenziali dello Stato, nonché nei casi previsti dal comma 4.

Quando gli accordi internazionali prevedono la trasmissione tramite Autorità centrali, il pubblico ministero inoltra al Ministro della giustizia richiesta motivata di trasferimento del procedimento. Entro il termine di trenta giorni dalla ricezione degli atti, il Ministro può disporre il trasferimento, sempre che non ricorrano le condizioni di cui ai commi 2 e 4 della medesima disposizione normativa, dandone tempestiva comunicazione all'autorità straniera e al pubblico ministero che procede.

Quanto agli effetti, il legislatore ha previsto un'ipotesi di sospensione del procedimento (Il procedimento penale è sospeso dal momento della trasmissione al Ministro della giustizia della decisione prevista dal comma 2 o della richiesta motivata prevista al comma 3 e sino alla comunicazione della decisione del Ministro) prevedendo in ogni caso la possibilità di compiere gli atti urgenti o irripetibili. Una volta ricevuta conferma della trasmissione del procedimento all'estero (nei casi di trasmissione tramite autorità centrali) ovvero decorso il termine previsto dal comma 2 della disposizione in esame (nei casi di trasmissione diretta) senza che il Ministro abbia esercitato il potere di diniego, il giudice emette decreto di archiviazione.

Il riferimento al solo provvedimento di archiviazione limita evidentemente la possibilità di un trasferimento attivo del procedimento alle sole ipotesi in cui lo stesso penda ancora nella fase delle indagini preliminari, limite d'altro canto ricavabile chiaramente anche dall'art. 746-bis c.p.p. che prevede, al comma 2, che “il trasferimento del procedimento penale o la sua assunzione sono disposti fino a quando non sia esercitata l'azione penale”.

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