Richiesta del soggetto proposto, detenuto, di partecipare all'udienza (art. 7, d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte
Andrea Manca

Inquadramento

L'art. 7, d.lgs. n. 159/2011 non prevede la partecipazione all'udienza del soggetto nei cui confronti è stata avanzata proposta di applicazione di misure di prevenzione, a differenza di ciò che accade per il suo difensore e per la parte pubblica; egli, se libero, ha la facoltà di essere sentito in udienza qualora vi compaia, mentre - prima della novella del 2017 - allorché fosse detenuto o internato in un circondario diverso rispetto a quello ove si trova l'A.G. procedente e ne avesse fatto tempestiva richiesta, aveva il diritto di essere sentito prima dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo ove era ristretto.

Sul punto si era affermato che qualora l'udienza di prevenzione venisse rinviata, era onere dell'interessato di rinnovare l'istanza, non essendo sufficiente quella già formulata in precedenza in ordine alla prima udienza; si era anche sostenuto in giurisprudenza che l'avviso di fissazione dell'udienza non doveva contenere l'avvertimento della facoltà di essere sentito, trattandosi di un diritto discendente direttamente dalla legge.

Da tale ultima conclusione derivava la conseguenza che non costituivano motivo di nullità la mancata audizione dell'interessato in camera di consiglio e la sua mancata traduzione, se detenuto fuori circondario.

Peraltro, la citata istanza doveva provenire dal proposto personalmente e ve ne doveva essere traccia in atti, non potendosi considerare la stessa implicita nella richiesta di rinvio dell'udienza avanzata dal difensore; in sostanza, si era sostenuto che la richiesta di presenziare è atto formale, che deve provenire dall'interessato e non può, quindi, ritenersi implicita in un'istanza del difensore.

Ove fossero disponibili strumenti tecnici idonei, il presidente del collegio poteva disporre che l'interessato fosse sentito mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell'art. 146-bis, commi 3, 4, 5, 6 e 7, disp. att. c.p.p.

Ci si era chiesti se tale strumento potesse essere attivato solo in caso di proposto legittimato a partecipare all'udienza (perché detenuto all'interno del circondario ove ha sede il Giudice procedente), ovvero se potesse estendersi anche a coloro che fossero detenuti fuori circondario, sostituendo così l'audizione innanzi al Magistrato di sorveglianza: in dottrina v'era chi riteneva possibile addivenire a questa soluzione interpretativa, che appariva senza dubbio più garantista in considerazione del maggior contatto tra tribunale e proposto.

Al contrario in giurisprudenza (trattasi, però, di orientamento antecedente rispetto al Codice del 2011) si tendeva a negare una simile interpretazione, garantendo il collegamento solo nell'ipotesi in cui il proposto avesse diritto alla traduzione in udienza.

La menzionata l. n. 161/2017 ha invece stabilito, modificando in parte qua il rito camerale proprio della prevenzione e avvicinandolo sempre più al giudizio penale dibattimentale, che qualora il proposto sia detenuto o internato fuori della circoscrizione del Giudice, e ne abbia fatto tempestiva richiesta, partecipa a distanza all'udienza mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell'art. 146-bis delle norme di attuazione al codice di procedura penale (c.d. videocollegamento o videoconferenza).

Ciò sempre che il collegio non ritenga, invece, necessaria la sua presenza fisica in udienza, caso nel quale il presidente ne ordina la traduzione; la traduzione del proposto detenuto o internato sarà disposta, inoltre, qualora non siano disponibili mezzi tecnici idonei ai sensi del citato art. 146-bis.

Formula

AL SIG. PRESIDENTE DELLA SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE DEL TRIBUNALE DI ...

Richiesta di partecipazione a distanza

Il sottoscritto Avvocato ..., difensore di fiducia/di ufficio di ... nato a ...;

proposto per l'applicazione di misure di prevenzione personali/patrimoniali in forza nell'ambito del proc. n. ... RGMP;

rilevato che è stata fissata udienza per la trattazione della citata proposta e che l'avviso è stato comunicato all'istante in data ...;

rilevato che il prevenuto è attualmente detenuto presso la casa circondariale di ..., ubicata fuori della circoscrizione dove ha sede il Tribunale in intestazione;

rilevato che egli intende partecipare all'udienza e rendere dichiarazioni spontanee relative ai fatti per cui è processo;

letto l'art. 7, d.lgs. n. 159/2011;

CHIEDE

alla S.V. di disporre l'attivazione degli strumenti tecnici di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p. al fine di consentire al prevenuto di partecipare personalmente all'udienza indicata in epigrafe.

Con osservanza.

Luogo e data ...

Firma ...

Commento

La partecipazione del soggetto proposto all'udienza

L'art. 7, d.lgs. n. 159/2011 - Codice Antimafia non prevede come necessaria la partecipazione all'udienza del soggetto nei cui confronti è stata avanzata proposta di applicazione di misure di prevenzione, a differenza di ciò che accade per il suo difensore e per la parte pubblica; egli, se libero, ha la facoltà di essere sentito in udienza qualora vi compaia, mentre - prima della novella del 2017 - allorché fosse detenuto o internato in un circondario diverso rispetto a quello ove si trova l'A.G. procedente e ne avesse fatto tempestiva richiesta, aveva il diritto di essere sentito prima dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo ove era ristretto.

Sul punto si era affermato che qualora l'udienza di prevenzione venisse rinviata, era onere dell'interessato di rinnovare l'istanza, non essendo sufficiente quella già formulata in precedenza in ordine alla prima udienza (Cass. I, n. 12968/2004) e che l'avviso di fissazione dell'udienza non doveva contenere anche l'avvertimento della facoltà di essere sentito, trattandosi di diritto discendente direttamente dalla legge.

Da tale ultima affermazione discendeva la conseguenza che non costituivano motivo di nullità la mancata audizione dell'interessato in camera di consiglio e la sua mancata traduzione, se detenuto fuori circondario (Cass. I, n. 1070/1993).

La citata istanza doveva comunque provenire dal proposto personalmente e ve ne doveva essere traccia in atti, non potendosi considerare la stessa implicita nella richiesta di rinvio dell'udienza avanzata dal difensore (Cass. V, n. 20241/2003; Cass. n. 19535/2003); in sostanza, si è sostenuto che la richiesta di presenziare è atto formale, che deve provenire dall'interessato e non può, quindi, ritenersi implicita in un'istanza del difensore (così da ultimo Cass. I, n. 4896/2013).

Ove fossero disponibili strumenti tecnici idonei, il presidente del collegio poteva disporre che l'interessato fosse sentito mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell'art. 146-bis, commi 3, 4, 5, 6 e 7, disp. att. c.p.p.

Ci si era chiesti se il collegamento audiovisivo potesse essere attivato solo in caso di proposto detenuto legittimato a partecipare all'udienza (perché detenuto all'interno del circondario ove ha sede il Giudice procedente), ovvero se potesse estendersi anche a coloro che fossero detenuti fuori circondario, sostituendo così l'audizione innanzi al Magistrato di sorveglianza: in dottrina v'era chi riteneva possibile addivenire a questa soluzione interpretativa, che appare senza dubbio più garantista in considerazione del maggior contatto tra tribunale e proposto, in base alla collocazione sistematica della norma.

Al contrario in giurisprudenza (trattasi, però, di orientamento antecedente rispetto al Codice del 2011) si tendeva a negare una simile interpretazione, garantendo il collegamento solo nell'ipotesi in cui il proposto avesse diritto alla traduzione in udienza (Cass. I, 14 novembre 2001).

La menzionata l. n. 161/2017 ha invece stabilito, modificando in parte qua il rito camerale proprio della prevenzione e avvicinandolo sempre più al giudizio penale dibattimentale, che qualora il proposto sia detenuto o internato fuori della circoscrizione del Giudice, e ne abbia fatto tempestiva richiesta, partecipa a distanza all'udienza mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell'art. 146-bis delle norme di attuazione al codice di procedura penale (c.d. videocollegamento o videoconferenza).

Ciò sempre che il collegio non ritenga, invece, necessaria la sua presenza fisica in udienza, caso nel quale il presidente ne ordina la traduzione; la traduzione del proposto detenuto o internato è disposta, inoltre, qualora non siano disponibili mezzi tecnici idonei ai sensi del citato art. 146-bis.

Prima dell'entrata in vigore del Codice, ci si chiedeva se fosse ancora vigente l'art. 4, comma 7, l. n. 1423/1956, il quale testualmente disponeva che “ove l'interessato non intervenga ed occorre la sua presenza per essere interrogato, il Presidente del tribunale lo invita a comparire e, se egli non ottempera all'invito, può ordinare l'accompagnamento a mezzo della forza pubblica”: la dottrina prevalente si era espressa, infatti, nel senso di una abrogazione implicita a favore dell'art. 127, comma 3, c.p.p., in cui la presenza dell'interessato nel rito camerale è contemplata solo se costui compaia e ne faccia richiesta.

Il legislatore del 2011 si era limitato a riprodurre la ricordata disposizione, senza prendere posizione in ordine alle questioni sollevate sul punto dalla dottrina se non per ribadire la voluntas legis di mantenere le citate norme nel sistema; si trattava, peraltro, di una norma discutibile perché stabiliva una sorta di obbligo del proposto di partecipare all'udienza, con l'accompagnamento coattivo, se la sua presenza fosse stata ritenuta indispensabile dai giudici per ascoltarlo.

La citata disposizione è comunque venuta meno in seguito all'approvazione della riforma del Codice Antimafia del novembre 2017: la l. n. 161/2017, infatti, ha modificato l'art. 7, comma 6, eliminando ogni riferimento all'accompagnamento coattivo dell'interessato e disponendo che, qualora la sua presenza sia necessaria perché costui debba essere sentito e non intervenga, il presidente “lo invita a comparire, avvisandolo che avrà la facoltà di non rispondere”.

Come si vede, il legislatore prosegue nella sua opera di giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, espungendo dal suo tessuto originario gli istituti potenzialmente confliggenti con i principi fondamentali della Costituzione e della CEDU.

L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'interessato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il Giudice: si osserva, riguardo a tale disposizione, che la legge ha recepito il dictum della sentenza della Corte cost. n. 76/1970 che equiparò - sotto il profilo della tutela del contraddittorio - il proposto all'imputato del processo penale, con la conseguente estensione della regola dell'obbligatorietà della difesa tecnica.

Viene senza dubbio ritenuto possibile lo svolgimento della procedura di prevenzione anche previa emissione del decreto di irreperibilità del proposto e dunque sulla base di una mera “conoscenza legale” dell'atto introduttivo; peraltro, in dottrina ciò è stato ritenuto contrastante con i “diritti informativi” di cui all'art. 6, comma 3, lett. a) della l. n. 848/1955 (ratifica ed esecuzione della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) richiamati (pur se nella parte dedicata al processo penale) dall'art. 111, comma 3, Cost.

Si è sostenuto, infatti, che nella parte in cui si accertano le circostanze di fatto poste a base dell'inquadramento soggettivo, il giudizio di prevenzione ha una sua autonoma componente ricostruttiva (che può, come è noto, pervenire anche a risultati diversi rispetto a quelli raggiunti nel processo penale, data la totale assenza di pregiudizialità) e ciò avviene davanti a un Giudice e può di sicuro comportare conseguenze pregiudizievoli per il cittadino proposto.

Dunque l'assenza dell'interessato è da ritenersi debba essere “assenza informata” e derivante da una scelta ben precisa di non/esercizio dei diritti partecipativi, non già un'assenza correlata a meccanismi di mera conoscenza legale del procedimento.

Tra l'altro, va detto che il dato dell'irreperibilità (salvo che non derivi da una scelta di volontaria sottrazione alla esecuzione di misure cautelari disposte nel procedimento penale, con qualifica, in quella sede, di latitanza) si pone in evidente contrasto con la stessa finalità tipica della misura di prevenzione personale, che resta quella di esercitare un controllo sui futuri comportamenti del soggetto, nel luogo ove si sono verificate le pregresse manifestazioni di pericolosità.

Il punto, dunque, permane problematico e dovrebbe essere oggetto di un adeguato intervento normativo teso ad introdurre ipotesi di sospensione o di improcedibilità sino al momento dell'effettivo reperimento del soggetto in questione, ovvero quanto meno una disciplina procedimentale analoga a quella dell'assenza dell'imputato nel processo penale.

Invero, anche nella recentissima l. n. 161/2017 non è stata considerata la questione del legittimo impedimento del proposto non detenuto che presenta, come visto, notevoli problemi interpretativi.

Per altro verso, va chiarito che nel procedimento di prevenzione - come, del resto, in quello di sorveglianza e a differenza di quanto accade nel processo di cognizione dibattimentale - la mancata partecipazione dell'interessato all'udienza per un legittimo impedimento in tanto può assumere rilievo, in quanto questi abbia chiesto di essere sentito personalmente; ne consegue che, in mancanza di tale richiesta, ritualmente verrà celebrato il giudizio di prevenzione a prescindere dalla sussistenza o meno di un legittimo impedimento.

Al contrario, integra nullità alla stregua del richiamato art. 7, comma 7, la mancata traduzione del proposto che abbia tempestivamente chiesto di essere sentito.

Tale interpretazione è stata, tuttavia, criticata dalla più autorevole dottrina che vi oppone il fatto che la norma di cui all'art. 4, comma 5, della l. n. 1423/1956 (oggi l'art. 7 del Codice Antimafia), prevede espressamente che il procedimento si svolga “in camera di consiglio ... con l'intervento del Pubblico Ministero e dell'interessato, osservando in quanto applicabili le norme” del procedimento di sorveglianza e che, evidentemente, la previsione della partecipazione dell'interessato, contenuta nella norma richiamata, esclude di per sé l'applicabilità sul punto della diversa disciplina di cui all'art. 666 c.p.p.

Secondo parte della giurisprudenza (cfr. Cass. I, n. 489/1995) deve escludersi che trovi applicazione nel procedimento di prevenzione il disposto di cui all'art. 571, comma 3, c.p.p., secondo cui il difensore dell'imputato può proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale solo se munito di specifico mandato; e ciò in quanto detto disposto presuppone una dichiarazione di contumacia, non configurabile nel procedimento in questione al quale, avuto anche riguardo al testuale tenore dell'art. 4, ultimo comma, l. n. 1423/1956, non sono applicabili tutte le norme del c.p.p. in materia di impugnazioni, ma solo quelle che presentino con esso delle affinità strutturali.

D'altro canto, il procedimento camerale si differenzia da quello ordinario non solo perché non prevede una dichiarazione di contumacia, ma anche per la diversa disciplina di partecipazione delle parti.

Per tale giudizio si utilizza il modello del procedimento in camera di consiglio disegnato dall'art. 127 c.p.p. e il rinvio operato dall'art. 4, comma 5, l. n. 1423/1956 (oggi dall'art. 7 del Codice Antimafia) agli artt. 636 e 637 del codice di rito abrogato, deve intendersi riferibile all'art. 678 c.p.p., norma che a sua volta rinvia all'art. 666 c.p.p. Tale ultima disposizione stabilisce le formalità del procedimento di esuzione che, prevedendo la presenza dell'interessato solo su sua richiesta, è strutturalmente incompatibile con il giudizio contumaciale.

Nel giudizio di prevenzione, perciò, non potrà darsi né luogo alla dichiarazione di contumacia (oggi, di assenza) né richiedersi, come detto innanzi, lo specifico mandato per la dichiarazione di impugnazione presentata dal difensore del contumace.

Il tema della irreperibilità del proposto è, invece, stato affrontato di recente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 6218/2020) sotto il diverso profilo del termine di durata della misura applicata: si è invero precisato che detto termine, relativo a misura sospesa - o addirittura, come nel caso di specie, mai eseguita per irreperibilità del proposto - non decorre in quanto la cessazione della misura non può derivare dal semplice decorso del tempo a prescindere dalla sua effettiva esecuzione (cfr. anche Cass. V, n. 22337/2006).

Ed invero, l'irreperibilità del destinatario del provvedimento applicativo della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno - ovvero la sua assenza dal territorio italiano che parimenti impedisce l'esecuzione della misura, cfr. Cass. V, n. 50847/2016 - impedisce il decorso del periodo di durata della misura perché non rende possibile che il destinatario sconti la misura con la conseguenza che, cessata l'irreperibilità, la misura va eseguita per il periodo previsto nel provvedimento applicativo, salvo che venga revocata per sopravvenuta cessazione dello stato di pericolosità (Cass. II, n. 10762/2010).

A norma dell'art. 7 è, al contrario, necessaria la partecipazione del difensore all'udienza camerale e al difensore va comunicato l'avviso di fissazione dell'udienza, con la precisazione che qualora il proposto ne sia privo gliene verrà nominato uno di ufficio, cui competerà il predetto avviso.

Da ultimo, La quinta Sezione penale della Cassazione, nel decidere sull'eccezione di nullità dell'udienza di riesame in un procedimento per delitti di criminalità organizzata, celebratasi senza aver dato avviso al difensore della partecipazione del proprio assistito a distanza, ha affermato che occorre verificare in fatto se vi siano state effettive e concrete lesioni o compressioni del diritto di rappresentanza, di intervento o di assistenza dell'imputato, tenuto conto che l'udienza in videocollegamento, in generale, assicura e garantisce il diritto di difesa, e che, nei processi per reati di mafia, la partecipazione a distanza è attualmente la regola, per cui, in caso di eccezione di nullità sollevata dalla difesa sul punto, va dedotto, in modo specifico, il concreto pregiudizio alle prerogative difensive subito, pena la carenza di interesse (Cass. V, n. 25838/2020).

Il rapporto con la CEDU.

Si è posto il problema della compatibilità del sistema prima delineato con i principi basilari della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

La tesi prevalente , quanto al profilo della partecipazione del proposto detenuto fuori circondario e non tradotto (in assenza di una specifica richiesta) ovvero ristretto all'estero e non estradato, è nel senso che dall'art. 6 della CEDU non può desumersi un principio tanto stringente sul punto come quello relativo alla pubblicità dell'udienza: in effetti, la norma non sembra cristallizzare l'indispensabilità della presenza personale dell'interessato, considerato che si fa riferimento esplicitamente anche alla possibilità, alternativa, di una sua difesa tecnica.

L'art. 6, par. 3 della CEDU, infatti, prevede che ogni accusato “ha diritto a difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta... interrogare o far interrogare i testimoni a suo carico ed ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico”.

La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza europea nel senso che, per un verso, la facoltà per l'accusato di prendere parte all'udienza — per quanto non menzionata in termini espressi — si desume dall'oggetto e dallo scopo dell'articolo e che, per altro verso, un processo svoltosi in assenza dell'interessato non è incompatibile con l'art. 6 della Convenzione, in quanto essa lascia agli Stati grande libertà nella scelta dei mezzi che consentono di soddisfare le esigenze dell'art. 6; è invece compito della Corte verificare se il risultato voluto dall'ordinamento comunitario sia stato raggiunto, e, cioè, valutare l'idoneità degli strumenti processuali offerti dal diritto e dalla pratica interna a raggiungere gli standards richiesti dalla Convenzione.

Solo nella diversa ipotesi di condanna penale in contumacia/assenza, in cui non si fosse consentita la riapertura del giudizio a fronte della volontà dell'imputato (che non aveva rinunciato a comparire e non avesse avuto intenzione di sottrarsi alla giustizia) la Corte ha ritenuto, quindi, configurabile “un flagrante diniego di giustizia” corrispondente alla nozione di procedura “manifestamente contraria alle disposizione dell'art. 6 e ai principi ivi contenuti” (cfr. Corte Edu 1 marzo 2006, ricorso n. 56581/2000; Corte Edu, 21 dicembre 2006, ricorso n. 14405/2005);

né sembrerebbe potersi estendere automaticamente il richiamo, contenuto nella norma comunitaria, alla possibilità che l'interessato interroghi personalmente i testi, evenienza questa esclusa nel nostro ordinamento alla stregua dell'art. 498 c.p.p.

Ciò anche considerato che la legge e l'evoluzione giurisprudenziale in materia hanno contribuito, nel corso degli anni, a delineare un procedimento di prevenzione connotato da sempre più specifiche regole quanto alla presenza personale del proposto: non si dimentichi, infatti, che il testo originario dell'art. 4 della l. n. 1423/1956 non prevedeva nemmeno l'assistenza obbligatoria di un difensore, poi introdotta dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza additiva n. 76/1970.

La disciplina connessa all'emergenza sanitaria da C ovid- 19

La perdurante situazione di emergenza sanitaria da Covid-19 ha richiesto la necessità di adottare soluzioni specifiche per evitare il formarsi di assembramenti nelle aule giudiziarie. In particolare, l'art. 83, d.l. 18/2020 ha stabilito che: dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari - fossero rinviate d'ufficio a data successiva al 15 aprile 2020 all'11 maggio 2020; - dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 fosse sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali in uno con i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l'adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali.

Si è poi stabilito che ove il decorso del termine avesse avuto inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso fosse differito alla fine di detto periodo e che, quando il termine era computato a ritroso e ricadesse in tutto o in parte nel periodo di sospensione, fosse differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.

Il richiamato art. 83, d.l. n. 18/2020 (Nuove misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare) conv. con modificazioni in l. n. 27/2020 (in vigore dal 30 aprile 2020) ulteriormente modificato dal d.l. n. 28/2020 (in vigore dal 1 maggio 2020) ha poi statuito che le norme citate (con le relative sospensioni) non operassero in alcune circostanze: in particolare, quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori avessero espressamente chiesto che si procedesse (il riferimento ai soggetti proposti importa che nel novero di tali giudizi si ricomprendano anche quelli volti all'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali) anche (comma 3, lett. b) n. 3) nei procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione.

Rilevante anche l'art. 23 del d.l. 149/2020, vigente allo stato fino al 31 gennaio 2021, secondo il quale, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la Corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del Pubblico Ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il Pubblico Ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire.

La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal Pubblico Ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2; entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza.

Si segnala che tale norma, di rilevante importanza pratica nei giudizi di impugnazione, non è stata ritenuta applicabile dalla giurisprudenza di merito ai giudizi in materia di misure di prevenzione in quanto certamente restrittiva rispetto alle facoltà partecipative degli interessati e non passibile di un'interpretazione “allargata” anche in materia di prevenzione, atteso che l'articolo menziona espressamente le impugnazioni avverso “sentenze” mentre i provvedimenti decisori in subiecta materia assumono la veste di decreti.

(Aggiornamento dell'11 gennaio 2023) Di diverso avviso la Suprema Corte (Cass. VI, n. 11531/2022) a giudizio della quale, in tema di confisca di prevenzione, nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, la richiesta di trattazione orale del giudizio d'appello deve essere formulata dalle parti nel termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza, ai sensi del comma 4 dell'art. 23-bis del d.l. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 176/2020, essendo il più breve termine di cinque giorni previsto, in deroga, dal successivo comma 7 limitato ai soli appelli cautelari. (In motivazione la Corte ha precisato che alle impugnazioni in materia si applica il combinato disposto di cui agli artt. 10, comma 4, e 27, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, in riferimento agli artt. 601, comma 3, e 680 c.p.p.).

Infatti, il comma 7 dell'art. 23-bis della l. n. 176/2020 prevede che le disposizioni di detto articolo si applicano “in quanto compatibili, anche nei procedimenti di cui agli artt. 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. n. 159/2011”; la successiva regola (la richiesta di discussione orale deve essere formulata entro il termine perentorio di 5 giorni liberi prima dell'udienza) opera invece solo per le procedure di riesame avverso misure cautelari personali e reali e non anche per il giudizio di prevenzione.

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