Istanza di ricusazione (art. 8, d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte

Inquadramento

Per quanto attiene all'operatività in sede di prevenzione dell'istituto della ricusazione, vi sono orientamenti non uniformi in giurisprudenza.

Mentre un primo indirizzo è nel senso favorevole, sostenendo che in tali casi la Corte d'appello deve valutare se nel provvedimento avente a oggetto l'irrogazione di detta misura il Giudice poi ricusato abbia o meno espresso già valutazioni in ordine all'esistenza del reato per il quale è in corso il processo penale, invece altra linea interpretativa esclude la possibilità di applicare le norme in esame al procedimento prevenzionale, ritenendo che le cause di incompatibilità che danno luogo alla ricusazione - stante il carattere eccezionale e tassativo delle relative disposizioni - non possono essere estese in via analogica al procedimento in analisi, posto che l'attività pregiudicata deve consistere nella pronuncia di una sentenza attinente alla responsabilità penale dell'imputato.

Tuttavia risulta oggi maggioritaria la prima tesi, che ritiene suscettibile di operare anche nel procedimento di prevenzione l'istituto della ricusazione (art. 34 c.p.p.), grazie al richiamo alle norme del processo penale, in quanto compatibili, contenuto nell'art. 7, comma 9, del Codice Antimafia.

Da ultimo si afferma che ciò avviene in forza della progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, che si è espressa nella estensione al procedimento di prevenzione di istituti tipici del processo penale, quali l'obbligo di rimessione degli atti a sezione della stessa Corte diversa da quella che ha emesso il decreto annullato ai sensi dall'art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c), l'applicazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia previsto dall'art. 521 c.p.p. e l'obbligo di preventiva contestazione dell'addebito nell'avviso di convocazione.

Quindi, la decisione sulla richiesta di ricusazione dei componenti di un collegio giudicante, proposta per avere gli stessi valutato i medesimi fatti, ascritti all'imputato in sede di applicazione della misura di prevenzione, deve vagliare se nel provvedimento in questione quei giudici avessero espresso già valutazioni in ordine all'esistenza del reato per il quale è in corso il giudizio penale successivo, non potendosi limitare ad affermare in modo apodittico che il procedimento di prevenzione e quello di merito hanno scopi diversi, tali da non comportare pregiudizi in sede dibattimentale.

Potrà essere, quindi, ricusato il Giudice della prevenzione che si sia già espresso sull'appartenenza del proposto a un dato contesto criminale, allorché venga chiamato a giudicare in sede penale lo stesso soggetto per il delitto di partecipazione al medesimo sodalizio delinquenziale.

Al contrario, nel rapporto tra due distinti procedimenti di prevenzione, la Cassazione ha precisato che il carattere eccezionale delle disposizioni in materia di incompatibilità e ricusazione impedisce di invocare in tali ipotesi la situazione di cui all'art. 37, comma 1, c.p.p., atteso che essa presuppone espressamente che l'attività pregiudicata si concluda con la pronuncia di una sentenza e, quindi, con un giudizio di merito sulla responsabilità di un soggetto in ordine a fatti sui quali il Giudice abbia in precedenza manifestato il proprio convincimento; il decreto che conclude detti procedimenti non è, sotto questo profilo, equiparabile a una sentenza e non è pertanto idoneo a determinare - ovvero a far apparire - un pregiudizio per l'imparzialità della decisione.

Formula

Al Sig. Presidente della CORTE DI APPELLO DI ...

ISTANZA DI RICUSAZIONE [1]

Il sottoscritto Avvocato ... del Foro di ... con studio in ... alla via ...,

difensore di fiducia di ... nato a ...,

nei cui confronti è stata avanzata richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza;

rilevato che detta proposta è stata avanzata in data ...;

rilevato che è stata fissata udienza per il giorno ... per la sua trattazione e che l'avviso è stato notificato al proposto in data ...;

PREMESSO

che tale procedura è stata assegnata alla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di ... ove presta servizio il Giudice Dott. ...;

che il predetto Giudice si trova nella condizione di incompatibilità di cui all'art. 34 c.p.p. in quanto ... (specificare i motivi di detta incompatibilità);

che vi è coincidenza tra i fatti posti a fondamento dell'irrogazione della sorveglianza speciale e l'oggetto del processo penale già svoltosi, in quanto l'episodio per il quale l'odierno proposto è stato giudicato dal collegio di cui faceva parte il Giudice Dott. ... è lo stesso sul quale il citato Giudice è chiamato adesso a esprimere valutazioni circa la sua pericolosità, derivate dalla ritenuta esistenza del fatto in questione;

DICHIARA

Di ricusare il Dott. ... componente del collegio in epigrafe indicato.

Si chiede, inoltre, che la Corte di appello voglia disporre la temporanea sospensione del procedimento (limitare l'attività del Tribunale al compimento dei soli atti urgenti) in attesa della decisione sulla dichiarazione di ricusazione.

Indica a testimoni i signori ....

Allega i seguenti documenti, a riprova di quanto rappresentato (es. il precedente provvedimento, verbali di udienza, etc.) ....

Con osservanza.

Luogo e data ...

Firma ...

1. Copia della dichiarazione deve essere depositata nella cancelleria dell'ufficio cui appartiene il Giudice ricusato, ex art. 38, comma 3, c.p.p.

Commento

Incompatibilità, astensione e ricusazione del Giudice nel procedimento di prevenzione

Come anticipato, è necessario soffermarsi sulla possibilità di una traslazione nel giudizio di prevenzione degli istituti dell'incompatibilità, dell'astensione, della rimessione e della ricusazione.

In ordine al primo, si è ritenuto applicabile l'art. 34 c.p.p. in maniera restrittiva al procedimento di prevenzione, escludendo che potesse dare luogo a incompatibilità (ed essere, pertanto, motivo di richiesta di astensione da parte del singolo Giudice) l'aver già in precedenza concorso a irrogare una misura di prevenzione, attraverso la valutazione incidentale e occasionale all'esistenza di un determinato sodalizio mafioso, a un soggetto indicato come appartenente alla stessa associazione criminale rispetto al nuovo proposto (Cass. I, n. 6280/2003).

Né l'aver fatto parte del collegio che ha irrogato la misura di prevenzione comporta incompatibilità del Giudice della procedura esecutiva, chiamato al riconoscimento di un periodo di fungibilità, poiché tale ultimo giudizio presuppone un duplice giudicato - in relazione al quale tutti i magistrati sono in posizione di terzietà - e implica unicamente l'accertamento circa l'anteriorità della sottoposizione rispetto all'assoluzione o alla carcerazione senza titolo patita (Cass. VI, n. 6957/2003).

Più controversa è, invece, l'applicabilità della rimessione (art. 45 c.p.p.) anche al giudizio de quo: mentre parte della giurisprudenza opina per la soluzione positiva, argomentando in base alla natura giurisdizionale del processo di prevenzione e alla tendenziale necessità di estendere anche ad esso i principi costituzionalizzati del c.d. giusto processo (Cass. I, n. 944/2000, Tiani), invece altro orientamento la esclude, circoscrivendone l'operatività solo ai procedimenti finalizzati all'accertamento di responsabilità penali (Cass. V, n. 3278/2009).

Si ritiene, infine, generalmente suscettibile di operare anche nel procedimento di prevenzione l'istituto della ricusazione (art. 34 c.p.p.), grazie al richiamo alle norme del processo penale, in quanto compatibili, contenuto nell'art. 7, comma 9 del Codice Antimafia.

Invero, è stato affermato anche il principio opposto, di non applicabilità alle misure di prevenzione delle cause di incompatibilità che possono dare luogo alla ricusazione (Cass. II, n. 2821/2009; Cass. VI, n. 22960/2008).

In conclusione, vi sono orientamenti non uniformi in giurisprudenza.

Mentre un primo indirizzo è nel senso favorevole, sostenendo che in tali casi la Corte d'appello deve valutare se nel provvedimento avente a oggetto l'irrogazione di detta misura il Giudice poi ricusato abbia o meno espresso già valutazioni in ordine all'esistenza del reato per il quale è in corso il processo penale (Cass. IV, n. 26670/2011), invece altra linea interpretativa esclude la possibilità di applicare le norme in esame al procedimento prevenzionale, ritenendo che le cause di incompatibilità che danno luogo alla ricusazione - stante il carattere eccezionale e tassativo delle relative disposizioni - non possono essere estese in via analogica al procedimento in analisi, posto che l'attività pregiudicata deve consistere nella pronuncia di una sentenza attinente alla responsabilità penale dell'imputato (in tal senso, Cass. I, n. 15834/2009).

L'orientamento secondo cui non è consentita l'applicabilità al procedimento di prevenzione dell'intera disciplina processuale delle cause di incompatibilità del Giudice, nonché del motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p., nel caso in cui il Giudice abbia espresso, in precedenza, valutazioni di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto, in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale, trae origine da una risalente pronunzia della Suprema Corte (Sez. VI, n. 22960/2008, Di Vincenzo, Rv. 240363-01) – in cui si affermò che, se è vero che l'effetto pregiudicante può derivare da un provvedimento diverso dalla sentenza e manifestarsi nell'ambito di un procedimento diverso dal giudizio penale, è altrettanto vero la funzione pregiudicata va individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, sicché le norme relative all'incompatibilità e alla ricusazione non sono invocabili con riferimento a distinte procedure in materia di prevenzione, in quanto, per il carattere eccezionale delle stesse, non può evocarsi, in tal caso, «la situazione d'incompatibilità di cui all'art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p.», che postula espressamente che l'attività pregiudicata si concluda con la pronunzia di una sentenza, ossia con un giudizio di merito sulla responsabilità dell'imputato in ordine a fatti sui quali il Giudice abbia in precedenza indebitamente manifestato il proprio convincimento.

Si inseriscono in tale filone giurisprudenziale, traendo spunto da vicende processuali non sovrapponibili, Sez. I, n. 15834/2009, Sanna, Rv. 243747-01, Sez. I, n. 43081/2016, Arena, Rv. 268665-01 (in cui la Suprema Corte ha sostenuto che la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 283/2000 è manifestamente unidirezionale e non biunivoca, potendo il giudizio di prevenzione essere fonte di pregiudizio in sede penale e non viceversa), Sez. V, n. 23629/2018, Torcasio, Rv. 273281-01 (pronunzia in cui si è sostenuto che un'interpretazione estensiva e, quindi, “bidirezionale” di quanto affermato dalla Consulta nella citata decisione non può farsi derivare dalla progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione), Sez. VI, n. 51793/2018, Moccia, Rv. 274576-01 e, in epoca più recente, Sez. II, n. 37060/2019, Paltrinieri, Rv. 277038-01 (pronunzia in cui, dopo essersi ribadita l'indubbia natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione, si è sostenuto che la sua conformazione normativa reca una connotazione sui generis, in quanto modellata non già sull'archetipo del giudizio penale cognitivo, ma su quello di esecuzione e, segnatamente, del procedimento destinato all'applicazione delle misure di sicurezza, secondo il riferimento contenuto nell'art. 4, comma 12, della l. n. 1423/1956 e con la precisazione operata dall'art. 7, comma 9, del d.lgs. n. 159/2011, che fa esplicito rinvio, per quanto non espressamente regolato, all'art. 666 c.p.p.).

Tuttavia risulta oggi maggioritaria la prima tesi, che ritiene suscettibile di operare anche nel procedimento di prevenzione l'istituto della ricusazione (art. 34 c.p.p.), grazie al richiamo alle norme del processo penale, in quanto compatibili, contenuto nell'art. 7, comma 9, del Codice Antimafia (così la prevalente giurisprudenza, ex multis: Cass. V, n. 3278/2008Cass. V, n. 16311/2014; Cass. I, n. 32492/2015).

Da ultimo si afferma che ciò avviene in forza della progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, che si è espressa nella estensione al procedimento di prevenzione di istituti tipici del processo penale, quali l'obbligo di rimessione degli atti a sezione della stessa Corte diversa da quella che ha emesso il decreto annullato ai sensi dall'art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c) (Cass. V, n. 11662/2006), l'applicazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia previsto dall'art. 521 c.p.p. (Cass. I, n. 32032/2013) e l'obbligo di preventiva contestazione dell'addebito nell'avviso di convocazione (Cass. I, n. 1722/1986, Maresca; Cass. I, n. 25701/2006).

L'orientamento che sostiene l'applicabilità al procedimento di prevenzione dell'intera disciplina processuale delle cause di incompatibilità del Giudice, nonché del motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p., nel caso in cui il Giudice abbia espresso, in precedenza, valutazioni di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto, in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale, trae origine dalla sentenza n. 3278/2008, dep. 23 gennaio 2009, Nicitra (Rv. 242942-01), ove si è affermato che la giurisprudenza di legittimità e talune pronunzie della Consulta hanno riconosciuto carattere di giurisdizionalità al procedimento di prevenzione, ritenendo ad esso applicabili le garanzie previste per il giudizio di cognizione a tutela dei diritti di difesa, le norme che garantiscono la partecipazione al procedimento della parte, quelle in tema di impedimento a comparire della stessa e del suo difensore, quelle in materia di competenza territoriale, il principio di immutabilità del Giudice sancito dall'art. 525, comma 2, c.p.p. e le norme in tema di rimessione del processo.

Si è, quindi, sostenuto che l'applicabilità dell'istituto della ricusazione al procedimento di prevenzione si fonda sul fatto che allo stesso, per la sua natura giurisdizionale, si applicano le norme del processo penale e, pertanto, anche quelle che tendono a garantire un Giudice terzo e imparziale, aggiungendo che, per effetto del rinvio che l'art. 4 della l. n. 1423/1956 ha, a suo tempo, fatto alle norme del procedimento penale, deve escludersi che ciò si traduca in un'interpretazione analogica o estensiva.

Si è, altresì, evidenziato che è del tutto irrilevante la circostanza che l'art. 37 c.p.p. indichi come provvedimento decisorio la sola sentenza e non anche il decreto, che, come è noto, definisce il procedimento di prevenzione, essendosi chiarito nella giurisprudenza di legittimità che la decisione che dispone le misure di prevenzione assume natura sostanziale di sentenza, in quanto pronunzia di merito che conclude una fase o un grado processuale, suscettibile di impugnazione e idonea ad acquisire autorità di giudicato.

Tanto chiarito, si è posto in rilievo che la Consulta, con sentenza n. 283/2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il Giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti dello stesso soggetto, sostenendo che gli effetti di tale pronunzia si producono anche nel procedimento di prevenzione, in quanto è stato in essa chiarito che l'effetto pregiudicante si può verificare anche quando il giudizio sia stato espresso in un procedimento diverso e, quindi, anche nel caso in cui i procedimenti abbiano oggetto e finalità diverse.

Successivamente, hanno sposato la medesima opzione interpretativa Sez. IV, n. 26670/2011, Torrisi, Rv. 250954-01, Sez. VI, n. 6757/2013, dep. 12 febbraio 2014, Alma, Rv. 258992-01 (pronunzia in cui si è affermato che non può genericamente sostenersi che il decreto applicativo della misura di prevenzione non contiene indebite manifestazioni di convincimento sui fatti oggetto d'imputazione in ragione della circostanza che il procedimento penale è caratterizzato dalla finalità di accertare la sussistenza di responsabilità in ordine a una data imputazione, mentre quello di prevenzione implica una valutazione afferente la pericolosità sociale del proposto), Sez. V, n. 32077/2014, Valente e altro, Rv. 261643-01 e Sez. V, n. 32492/2015, Lampada, Rv. 264621-01 (decisione in cui si è sostenuto che l'evoluzione giurisprudenziale favorevole all'attrazione del processo di prevenzione all'area dei procedimenti giurisdizionali legittima la conclusione che il principio di terzietà e imparzialità del Giudice, consacrato dall'art. 111, comma 2, Cost., deve trovare applicazione anche nell'ambito del rito che disciplina l'irrogazione delle misure di prevenzione e che, pertanto, risulta in esso applicabile anche la disposizione sulla ricusazione prevista dall'art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p., nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte costituzionale 283/2000).

Aderenti al filone interpretativo de quo risultano anche Sez. VI, n. 15979/2016, Lampada, Rv. 266533-01, Sez. I, n. 28651/2017, Staniscia (non massimata) e Sez. VI, n. 41975/2019, Inzitari, Rv. 277373-01 (decisione in cui si è affermato che la menzionata sentenza della Consulta n. 283/2000 impedisce di sostenere la tesi della c.d. unidirezionalità, posto che fa espresso richiamo a precedenti decisioni significative del fatto che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra procedimento penale e di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo, in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari, sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, per avere il Giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di stampo mafioso, già espresso, nell'ambito del procedimento di prevenzione, una valutazione sull'esistenza dell'associazione e sull'appartenenza a essa della persona imputata nel successivo processo penale).

Da ultimo, risulta in linea con l'orientamento giurisprudenziale in disamina Sez. I, n. 4330/2020, dep. 3 febbraio 2021, Lampada, Rv. 280753-01.

In tale pronunzia la Corte ha affermato che la giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione impone l'applicazione allo stesso delle regole del giusto processo secondo le linee prescritte dagli art. 111, comma 2, Cost. e 6CEDU, aggiungendo che il principio di necessaria terzietà del Giudice non può subire ridimensionamenti in materia di decisioni giurisdizionali incidenti su beni di rango costituzionale, personali (art. 113 Cost.) e patrimoniali (artt. 41 e 42 Cost.), in ragione delle peculiarità strutturali e di accertamento che caratterizzano il procedimento di prevenzione.

Ha sostenuto, inoltre, che non appare condivisibile la tesi secondo cui la sentenza della Corte costituzionale n. 283/2000 – dichiarativa dell'incostituzionalità dell'art. 37, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato il Giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione sullo stesso fatto nei confronti del medesimo ricorrente – sia riferibile al solo caso di decisione da emettere nel procedimento penale e non anche a quello in cui la precedente attività pregiudicante riguardi i fatti su cui dovrà fondarsi la decisione sulla misura di prevenzione, personale o patrimoniale, chiarendo che tale sentenza ha richiamato precedenti pronunzie della stessa Corte (segnatamente la sentenza n. 306/1997 e l'ordinanza n. 178/1999), in cui si era posto in rilievo che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del Giudice può essere determinante anche in rapporto alla decisione in sede di prevenzione e, dunque, anche per il Giudice chiamato ad adottarla e concludendo che, alla luce di una lettura coerente e organica delle direttive fissate dalla Corte costituzionale, non è possibile limitare il contenuto espansivo rappresentato dalla menzionata declaratoria d'illegittimità, si dà ritenere una direttrice pregiudicante di tipo unidirezionale, che lasci fuori dal presidio il procedimento giurisdizionalizzato di prevenzione.

Quindi, la decisione sulla richiesta di ricusazione dei componenti di un collegio giudicante, proposta per avere gli stessi valutato i medesimi fatti, ascritti all'imputato in sede di applicazione della misura di prevenzione, deve vagliare se nel provvedimento in questione quei giudici avessero espresso già valutazioni in ordine all'esistenza del reato per il quale è in corso il giudizio penale successivo, non potendosi limitare ad affermare in modo apodittico che il procedimento di prevenzione e quello di merito hanno scopi diversi, tali da non comportare pregiudizi in sede dibattimentale (Cass. I, n. 49254/2016).

Quanto agli effetti dell'inerzia del Giudice nell'evidenziare potenziali situazioni di incompatibilità/astensione, la già citata Cass. V, n. 16311/2014, ha affermato che deve ritenersi operante, anche in tema di misure di prevenzione, il principio della generale, tendenziale, inefficacia degli atti compiuti dal Giudice “sospetto”, rilevato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 13626/2010) sia pure con riferimento agli atti a contenuto probatorio.

Tuttavia, in tema di procedimento di prevenzione, l'inefficacia del sequestro emesso dal Giudice successivamente astenutosi, derivante dalla sua mancata indicazione - nel provvedimento che accoglie l'astensione - come atto compiuto che conserva efficacia, non può essere rilevata d'ufficio dalla Corte di Cassazione, ma deve essere fatta valere mediante l'impugnazione del provvedimento che dispone la confisca dei beni sequestrati, sicché il mancato gravame comporta l'irrevocabilità della confisca emessa sul presupposto di una misura strumentale colpita da inefficacia.

Un caso particolare è stato recentemente affrontato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 22618/2022) ove si tratta il tema dell'incompatibilità del Giudice delegato, che abbia pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione: tale situazione, si è detto, non determina la nullità del provvedimento impugnato, dovendo trovare applicazione anche nel procedimento di accertamento dei crediti dei terzi in materia di confisca di prevenzione l'art. 99, l. fall. In proposito si osserva che, a prescindere dalla possibilità di applicazione analogica alla procedura concorsuale in esame delle norme in materia di incompatibilità -rectius di obbligo di astensione- strettamente coniate per la procedura fallimentare e contenute nell'art. 99, l. fall., appare dirimente quanto condivisibilmente evidenziato dalla giurisprudenza civile di legittimità.

Quest'ultima, infatti, ha precisato che l'incompatibilità del Giudice delegato, che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina una nullità deducibile in sede di impugnazione in quanto tale incompatibilità, non escludendo la "potestas iudicandi" del predetto Giudice quale magistrato addetto al Tribunale che dell'impugnazione stessa è il Giudice naturale, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, può dar luogo soltanto all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l'onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c., ponendosi tale interpretazione in coerenza con il principio del "giusto processo" espresso dall'art. 111, comma 2, della Costituzione che trova nell'art. 6, par. 1, della Convenzione EDU il suo fondamento (Sez. I, n. 10492/2019, Rv. 653468; Sez. I, n. 22835/2016, Rv. 642402; Sez. I, n. 24718/2015, Rv. 638143).

Tale condizione, quindi, può dar luogo soltanto - salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa - all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l'onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini previsti dal codice di rito (aggiornamento dell'11 gennaio 2023).

L'istituto dell'incompatibilità del Giudice nei rapporti tra giudizio di prevenzione e processo penale

A questo punto, giova soffermarsi sulla questione concernente l'estensione dell'istituto dell'incompatibilità di cui agli artt. 34 e ss. c.p.p. al Giudice che abbia già conosciuto gli atti del procedimento, con conseguente divieto di fare parte del collegio chiamato a decidere sulla misura di prevenzione.

L'evenienza si presenta come tutt'altro che infrequente in concreto, atteso che il materiale istruttorio sul quale si fonda il giudizio in esame (connotato da un'istruttoria in assoluta prevalenza di carattere cartolare) è quasi sempre costituito da provvedimenti giudiziari, cautelari e di merito, emessi da giudici che sovente fanno parte del medesimo Tribunale e aventi a oggetto le stesse condotte, potenzialmente rilevanti anche in sede di prevenzione.

In particolare va chiarito che, con sentenza della Corte costituzionale n. 283/2000, l'art. 37 c.p.p., comma 1, è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il Giudice che, chiamato a decidere della responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito “sullo stesso fatto” nei confronti del medesimo soggetto: non sfugge come tale interpolazione possa spiegare i suoi effetti proprio nel rapporto tra giudizio penale e giudizio di prevenzione, allorché si ritenga estesa la conoscenza del Giudice al medesimo fatto oggetto del successivo processo.

La questione presenta sfumature diverse a seconda che la potenziale incompatibilità riguardi un Giudice che ha già partecipato alla decisione sulla pericolosità sociale del prevenuto e in seguito sia chiamato a valutare la sua penale responsabilità per un fatto già analizzato sub specie preventionis, ovvero il diverso caso del Giudice che abbia prima deciso in ordine alla colpevolezza per un dato fatto reato - poi valutabile anche nel giudizio di prevenzione - in ordine al medesimo soggetto, in precedenza imputato e poi proposto per l'applicazione di misure di prevenzione personali.

In merito alla prima fattispecie, va segnalato che la Suprema Corte ha affermato che - premesso il carattere di eccezionalità costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza alle norme sulla ricusazione, che non consente un'interpretazione estensiva o analogica delle stesse - andava esclusa la sussistenza di un pregiudizio per interessato a causa della sostanziale diversità dell'oggetto dei procedimenti in questione e sempre che non fosse stata espressa, nei provvedimenti già emessi con l'intervento del Giudice poi ritenuto incompatibile, neppure in via incidentale alcuna valutazione sulla posizione del prevenuto quanto agli addebiti del processo penale, laddove l'aspetto dell'appartenenza dell'imputato (prima proposto) a un determinato contesto di criminalità organizzata atteneva solo al contesto e non costituiva l'oggetto dell'accertamento in sede penale.

Si ritiene che non configuri una causa di incompatibilità la circostanza che il componente di un organo collegiale abbia concorso a deliberare la pregressa applicazione all'imputato di una misura di prevenzione, nel contesto della cui motivazione sia stata richiamata la sua appartenenza a un'organizzazione criminale, allorché la res iudicanda abbia a oggetto fatti specifici e diversi, non analiticamente valutati, quali ad esempio la partecipazione a un dato omicidio.

Del resto, anche in sede penale è stato affermato il principio secondo cui non è passibile di ricusazione il magistrato chiamato a giudicare un delitto di omicidio commesso al fine di agevolare una determinata associazione mafiosa, il quale avesse già concorso alla pronuncia di condanna dello stesso imputato per il reato associativo base in virtù delle dichiarazioni accusatorie dei medesimi collaboratori di giustizia (in tal senso, Cass. IV, n. 21064/2010).

Diverso è, invece, il caso nel quale vi sia coincidenza almeno parziale tra i fatti posti a fondamento dell'irrogazione della sorveglianza speciale e l'oggetto del processo penale: qualora, infatti, l'episodio per il quale l'imputato debba essere giudicato dal collegio di cui faccia parte il Giudice ricusato, per avere in precedenza irrogato al medesimo soggetto una misura di prevenzione, sia lo stesso sul quale il citato Giudice abbia già espresso valutazioni circa la sua pericolosità, derivate dalla ritenuta esistenza del fatto in questione, l'osservanza dei precetti fondamentali in tema di terzietà e imparzialità del Giudice impone una più cauta valutazione.

Infatti, la Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 283 ha ribadito che la disciplina della materia ricusazione/astensione deve essere idonea a evitare che il magistrato chiamato a funzioni di giudizio possa essere - o anche solo apparire - condizionato da sue precedenti valutazioni espresse sulla medesima res judicanda, ricordando come il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi nei rapporti tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, non solo quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel procedimento penale in sede di accertamento della esistenza dei gravi indizi di colpevolezza quale condizione per la applicazione di misure cautelari, ma anche quando il Giudice chiamato a pronunziare su una responsabilità penale abbia già espresso, nell'ambito del procedimento di prevenzione, certezze in ordine all'esistenza di una associazione e alla partecipazione ad essa di un soggetto poi da giudicare in sede di accertamento del connesso reato.

Potrebbe, quindi, verificarsi una situazione di potenziale incompatibilità qualora la pronuncia pregiudicante abbia riguardato l'esistenza, ritenuta in sede di procedimento di prevenzione, dei reati fine addebitati a uno dei partecipi dell'associazione a delinquere, poi mandato a giudizio per quei reati: in tali evenienze, pertanto, le diverse pronunzie in considerazione hanno avuto un oggetto di giudizio almeno parzialmente coincidente e, dunque, il pregiudizio per la terzietà-imparzialità del Giudice che ha pronunziato o che è stato chiamato a pronunziare nei confronti dello stesso imputato e per differenziate valutazioni della stessa base di fatto è facilmente verificabile.

Ne consegue che la decisione sulla richiesta di ricusazione dei componenti di un collegio giudicante, proposta per avere gli stessi valutato i medesimi fatti, ascritti all'imputato, in sede di applicazione della misura di prevenzione, deve vagliare se nel provvedimento in questione quei giudici avessero espresso già valutazioni in ordine all'esistenza del reato per il quale è in corso il giudizio penale successivo, non potendosi limitare ad affermare in modo apodittico che il procedimento di prevenzione e quello di merito hanno scopi diversi, tali da non comportare pregiudizi in sede dibattimentale (in tal senso, la citata Cass. IV, n. 26670/2011).

Ad esempio, Cass. IV, n. 2174/2013 ha affermato che non sussiste l'incompatibilità, ex art. 34 c.p.p., del Giudice del riesame che abbia partecipato al procedimento di prevenzione nei confronti del medesimo soggetto.

Diversa è la situazione relativa ai profili di eventuale incompatibilità/ricusazione del Giudice della prevenzione che sia già stato chiamato a valutare la pericolosità sociale del medesimo soggetto, ovvero di altri proposti indicati come appartenenti al medesimo sodalizio criminale.

In tali ipotesi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che se è vero che la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 283, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il Giudice che, chiamato a decidere sulle responsabilità di un imputato, abbia espresso in un altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto, va tuttavia rilevato che la Corte non ha mancato, in quella stessa sentenza, di precisare che la funzione pregiudicata va a sua volta individuata - specificamente - in una decisione attinente alla responsabilità penale.

È cioè necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l'imparzialità del Giudice, che quest'ultimo venga chiamato a esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale di un processo.

Qualora, invece, si tratti del rapporto tra due distinti procedimenti di prevenzione, la Cassazione ha precisato che il carattere eccezionale delle disposizioni in materia di incompatibilità e ricusazione impedisce di invocare in siffatte ipotesi la situazione di cui all'art. 37, comma 1, c.p.p., atteso che essa postula espressamente che l'attività pregiudicata si concluda con la pronuncia di una sentenza e, quindi, con un giudizio di merito sulla responsabilità di un soggetto in ordine a fatti sui quali il Giudice abbia in precedenza manifestato il proprio convincimento.

Scenario ben diverso è, secondo la Suprema Corte, quello proprio dei procedimenti in materia di applicazione di misure di prevenzione, atteso che il decreto che conclude detti procedimenti non è, sotto questo profilo, equiparabile a una sentenza e non è pertanto idoneo a determinare - ovvero a far apparire - un pregiudizio per l'imparzialità della decisione (così Cass. VI, n. 22960/2008).

La sentenza delle Sezioni Unite n. 25951/2022 (aggiornamento dell'11 gennaio 2023)

Le Sezioni unite della Suprema Corte con sentenza Sezioni Unite penali, 24 febbraio 2022, dep. 6 luglio 2022, Lapelosa, Rv. 283350-01, hanno affermato il principio di diritto così massimato: «È applicabile al procedimento di prevenzione il motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p. – come risultante a seguito dell'intervento additivo effettuato dalla Corte costituzionale con sent. n. 283/2000 – nel caso in cui il Giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale».

Come si legge nella relazione redatta dall'Ufficio del Massimario, nel corso dell'anno 2022 hanno formato oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite due questioni controverse concernenti per un verso il tema «se, e in quali limiti, la disciplina processuale delle cause di incompatibilità del Giudice sia applicabile anche al processo di prevenzione» e se, per altro verso,« al procedimento di prevenzione sia applicabile il motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p., nel caso in cui il Giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale».

Il delinearsi di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sul tema dell'applicabilità al processo di prevenzione del motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p. (come risultante a seguito dell'intervento additivo della Corte costituzionale effettuato con sent. n. 283/2000), laddove il Giudice abbia espresso, in precedenza, valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale – tema che si è ritenuto involga quello dell'applicabilità al processo di prevenzione della disciplina processuale delle cause di incompatibilità del Giudice – ha reso necessario l'intervento della Corte a Sezioni Unite.

La trattazione del ricorso è stata rimessa al supremo consesso con ordinanza della Quinta Sezione penale n. 38902/2021 (dep. il successivo 28 ottobre 2021).

Con la decisione assunta all'udienza del 24 febbraio 2022, le Sezioni Unite hanno dato risposta al secondo dei quesiti dianzi riportati, affermando che «Al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p. – come risultante a seguito dell'intervento additivo effettuato dalla Corte costituzionale con sent. n. 283/2000 – nel caso in cui il Giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale».

Con riferimento, invece, al primo quesito posto (col quale si chiedeva se la disciplina processuale delle cause di incompatibilità del Giudice fosse applicabile anche al procedimento di prevenzione ed eventualmente in che limiti) è stato chiarito che la ratio dell'istituto dell'incompatibilità è quella di preservare l'autonomia della funzione giudiziaria, onde garantirne l'imparzialità, rispetto ad attività compiute in fasi e gradi anteriori del medesimo processo mentre, al contrario, la causa giustificatrice dell'istituto della ricusazione (così come dell'astensione, con la sola eccezione dell'ipotesi di cui all'art. 36, comma 1, lett. g), c.p.p., che richiama le situazioni di incompatibilità del Giudice al fine di farne motivo di astensione e di ricusazione mediante il rinvio all'art. 37, comma 1, lett. a), c.p.p.) è quella di garantire l'imparzialità del giudicante, a prescindere da ogni riferimento alla struttura del processo e ai suoi diversi momenti di svolgimento.

Pertanto, l'istituto dell'incompatibilità opera all'interno del medesimo procedimento in cui è esercitata la funzione pregiudicata e che le situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità del Giudice si riferiscono ad atti o funzioni che hanno di per sé effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell'atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è esercitata, mentre gli istituti dell'astensione e della ricusazione si connotano per il riferimento a situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità della funzione giudicante che, ad eccezione di quelle aventi come presupposto casi d'incompatibilità, preesistono di regola al procedimento o, comunque, si collocano al di fuori di esso.

Da ciò consegue che la Corte non ha ritenuto di poter procedere all'esame della questione in presenza di fattispecie non pertinente alla soluzione del quesito sottoposto a cognizione, evidenziando che la sua definizione presupporrebbe comunque la proposizione di un incidente di costituzionalità, concretamente inammissibile per irrilevanza: ciò perché non si verte nell'ambito di applicazione della previsione dell'art. 34 c.p.p., posto che la situazione pregiudicante risulta maturata nel procedimento penale e quella pregiudicata o pregiudicabile nel distinto procedimento di prevenzione.

È stato, al contrario, risolto il secondo quesito, in relazione al quale la Corte ha affermato l'applicabilità dell'indicata causa di ricusazione anche al rito della prevenzione.

In particolare, si è posto in rilievo che l'impronta garantista – espressiva dell'esigenza sistematica che il procedimento di prevenzione sia conforme al modello del processo ordinario – acquista particolare significato ermeneutico, in quanto l'imparzialità del Giudice è tra i “naturalia” di qualsiasi forma di processo, come esplicitamente affermato dall'art. 111, comma 2, Cost., secondo cui «ogni processo si svolge ... davanti a Giudice terzo e imparziale»; inoltre, sul piano del diritto convenzionale, l'art. 6, par. 1, CEDU sancisce il diritto di ogni individuo ad essere giudicato «da parte di un tribunale indipendente e imparziale», laddove l'imparzialità dev'essere apprezzata come assenza di pregiudizi o preconcetti, suscettibile di accertamento in modi diversi.

Ciò premesso, si è sostenuto che l'opzione condivisa prende le mosse dalla ritenuta giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, derivante dall'attitudine della materia a incidere su diritti fondamentali quali la libertà personale (di cui all'art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (di cui all'art. 2 del Prot. n. 4 CEDU) e il diritto di proprietà e di iniziativa economica (di cui agli artt. 41 e 42 Cost. e 1 Prot. add. CEDU); importante è altresì il richiamo alla rilevanza dell'imparzialità del Giudice offerto dall'art. 111, comma 2, Cost. (secondo cui «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a Giudice terzo e imparziale») e trova ulteriore ed esplicito riconoscimento, come diritto dell'individuo, sia nell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (che sancisce il «diritto a un ricorso effettivo e ad un Giudice imparziale») che nell'art. 14, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (secondo cui «Ogni individuo ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge»).

Del resto, sebbene non risultino decisioni della Corte EDU attinenti allo specifico tema dell'applicabilità al procedimento di prevenzione delle disposizioni in tema di ricusazione, è innegabile che, sul piano generale, il diritto a essere giudicati da un Giudice imparziale trovi un solido ancoraggio a livello sovranazionale, in quanto compreso nel catalogo dei diritti del “procès équitable”, sicchè è destinato ad avere concreta applicazione nel procedimento di prevenzione; ancora, nessuno degli argomenti spesi dai fautori della tesi restrittiva può assumere carattere dirimente ai fini dell'esclusione o dell'irrilevanza della garanzia de qua.

In particolare, non si profila come decisivo l'argomento secondo cui nella prevenzione non v'è differenziazione di fasi e v'è coincidenza tra Giudice della cautela e Giudice della decisione di primo grado, posto che le misure anticipatorie adottate in sede di prevenzione non attengono alla cautela personale, ma a quella patrimoniale e che nel processo ordinario il giudizio sulla cautela reale non è mai pregiudicante; tutt'altro che decisivo è anche l'argomento secondo cui il rapporto pregiudicante/pregiudicabile sarebbe stato fissato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 283/2000 come unidirezionale e non bidirezionale, nel senso che la decisione sulla prevenzione potrebbe pregiudicare quella successiva di merito e non viceversa, evidenziando che il Giudice delle leggi ha espressamente riconosciuto che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (così nella sent. n. 306/1997), sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, per avere il Giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di stampo mafioso, già espresso nell'ambito del procedimento di prevenzione una valutazione sull'esistenza dell'associazione e sull'appartenenza ad essa della persona imputata nel successivo processo penale (così nell'ord. n. 178/1999).

Ad analoga conclusione i giudici sono pervenuti con riguardo all'argomento secondo cui il procedimento di prevenzione non potrebbe recepire l'integrale innesto di taluni istituti della giurisdizione penale in ragione delle profonde differenze caratterizzanti le fattispecie, osservando che non si comprendono le ragioni in forza delle quali la terzietà del Giudice dovrebbe atteggiarsi diversamente nei due procedimenti, dal momento che il principio in parola non costituisce mera “modulazione del diritto di difesa” ma rappresenta, insieme all'imparzialità, un elemento base ineludibile del processo.

Hanno aggiunto ancora che del tutto fallace è la differenziazione tra i procedimenti basata sulla ritenuta diversità di struttura della valutazione giudiziale, di tipo prognostico nel giudizio di prevenzione e di natura cognitiva in quello penale, osservando che l'esigenza di terzietà del Giudice deve presiedere a qualsiasi procedimento, in quanto precondizione della giurisdizione.

Tanto chiarito, la Corte ha aggiunto che resta da comprendere se sia possibile riconoscere direttamente l'applicabilità al Giudice della prevenzione del motivo di ricusazione di cui all'art. 37, comma 1, c.p.p., giusta la previsione introdotta dalla Corte costituzionale con sent. n. 283/2000, ovvero se tale operazione sia impedita, dovendo essere veicolata dalla previa proposizione di un'incidente di costituzionalità, necessario prodromo di una pronuncia manipolativa o additiva.

Al riguardo, si è sostenuto che può riconoscersi la diretta applicabilità al Giudice della prevenzione del motivo di ricusazione di cui all'art. 37, comma 1, c.p.p. senza necessità di ricorrere alla valutazione della Consulta alla luce dei principi espressi dalla Corte costituzionale che, nella sent. n. 283/2000, ha riconosciuto che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari, sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito.

Dalla lettura coordinata dell'evocata pronunzia con la sent. n. 306/1997 e con l'ord. n. 178/1999 è possibile ricavare una precisa trama di principi che rende pienamente definito il perimetro di estensione del “dictum” in questione e che permette di riconoscerne l'evidente attitudine espansiva, idonea a imporre la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 37 c.p.p., nel senso della ricusabilità anche del Giudice chiamato ad assumere una decisione conclusiva nel procedimento di prevenzione laddove abbia già espresso, in un procedimento penale, valutazioni di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto.

Alla luce delle osservazioni complessivamente esposte, le Sezioni Unite hanno concluso, dunque, affermando il principio secondo il quale «al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, c.p.p. – come risultante a seguito dell'intervento additivo effettuato dalla Corte costituzionale con sent. n. 283/2000 – nel caso in cui il Giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale».

Da segnalare, per le possibili ricadute operative, l'ordinanza con la quale la VI sezione della Cassazione il 4 dicembre 2024 (n. 44504) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 c. 1 lett. a) – in relazione all'art. 36 c. 1 lett. g) c.p.p., che richiama l'art. 34 c.p.p. – nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sull'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, abbia disposto nel medesimo procedimento la restituzione degli atti all'autorità proponente ai sensi dell'art. 20 c. 2 d. lgs. n. 159/2011 (secondo il quale, «prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis e di fissare l'udienza, il tribunale restituisce gli atti all'organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l'applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis“).

Il pregiudizio per l'imparzialità e la neutralità del giudice – si legge nell'ordinanza – «può essere determinato anche dalle valutazioni espresse nel provvedimento di restituzione degli atti all'organo proponente ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011: questo provvedimento può, infatti, esprimere una valutazione positiva sul merito della proposta (e, segnatamente, non solo sulla pericolosità del proposto, ma anche sulla sproporzione patrimoniale), che non conduce all'accoglimento del sequestro solo per minimali carenze istruttorie, segnalate dal tribunale all'organo proponente».

L'apprezzamento di merito svolto dal tribunale nel restituire gli atti – prosegue il collegio – «può, dunque, essere così incisivo da risolversi, sotto il profilo sostanziale, in una sorta di provvedimento di accoglimento condizionato all'integrazione delle lacune probatorie o, comunque, in una anticipazione del futuro accoglimento, una volta emendate le carenze riscontrate».

Ne consegue che «se, dunque, il tribunale chiamato a giudicare della proposta dell'applicazione della misura di prevenzione è composto da alcuni o da tutti i giudici che hanno adottato il provvedimento di restituzione degli atti, l'indipendenza del giudice è obiettivamente vulnerata, in quanto è condizionata dalla “forza della prevenzione” ossia dalla “tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda”». 

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