Sollecito al deposito del decreto dopo la scadenza del termine (art. 8, d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte

Inquadramento

Per la decisione sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale di P.S. è stabilito dall'art. 7, l. n. 159/2011, riproduttivo del previgente art. 4, comma 6, della l. n. 1423/1956, un termine di trenta giorni in primo grado, con decorrenza dalla proposta; per il giudizio in appello e per quello in cassazione parimenti è previsto un analogo termine, che decorre in tal caso dall'impugnazione.

In dottrina si è affermato con chiarezza che trattasi, in tutti e tre i casi, di termini meramente ordinatori, che non si conciliano con i tempi tecnici indispensabili, il rispetto delle garanzie difensive e, in ultima analisi, anche con il carattere giurisdizionale del processo; la giurisprudenza ha specificato in maniera uniforme che il termine in questione ha carattere meramente ordinatorio, di talché la sua inosservanza non produce alcuna nullità.

La dottrina accoglie la citata impostazione, chiarendo che il termine in questione è suscettibile di sospensione nel periodo feriale tranne, ai sensi della l. n. 742/1969, nel caso in cui l'interessato o il difensore vi abbiano rinunciato o il Giudice abbia dichiarato l'urgenza del procedimento trattato.

Peraltro, va segnalato che nella l. n. 742 è stato introdotto dall'art. 33 della l. n. 55/1990 l'art. 2-bis, che estende il regime della sospensione feriale dei termini processuali al giudizio di prevenzione, stabilendo che ciò non accade quando sia stata provvisoriamente disposta una misura personale o interdittiva o sia stato ordinato il sequestro dei beni, qualora l'interessato o il suo difensore rinunci alla sospensione, ovvero il Giudice, a richiesta del P.M., dichiari l'urgenza del procedimento con ordinanza motivata e impugnabile.

In giurisprudenza, si è ritenuto inapplicabile al provvedimento di sequestro adottato in via di urgenza dal Presidente del Tribunale la citata sospensione, atteso che in quel caso l'urgenza è - appunto - in re ipsa; detta regola andrebbe, quindi, estesa anche ai provvedimenti personali cautelari in tema di misure di prevenzione.

Il quadro normativo del Codice Antimafia è stato inciso in modo significativo dalla l. n. 161/2017, che ha introdotto i commi 10-sexies, septies e octies dell'art. 7 del Codice.

A far data dal 19 novembre 2017, quindi, i decreti dovranno essere depositati in cancelleria entro quindici giorni dalla conclusione dell'udienza (di discussione), salvo che la stesura della motivazione non sia particolarmente complessa, perché in tali casi il tribunale può indicare all'uopo (dopo le conclusioni delle parti) un termine più lungo, comunque non superiore a novanta giorni.

Infine, viene richiamato l'art. 154 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, a norma del quale il presidente designa l'estensore del provvedimento, che verrà firmato da entrambi.

È poi consentita la proroga del termine per il deposito del decreto, su richiesta motivata dell'estensore e a cura del presidente della Corte di appello o del presidente del tribunale; ciò per una sola volta e per un periodo massimo non superiore a novanta giorni.

Di tale provvedimento è in ogni caso data comunicazione al C.S.M.

Formula

AL SIG. PRESIDENTE DELLA SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE DEL TRIBUNALE DI ...

Il sottoscritto Avvocato ... del Foro di ... con studio in ... alla via ...,

difensore di fiducia di ... nato a ...,

PREMESSO

che nei confronti del predetto è stata avanzata in data ... proposta per l'applicazione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza;

che è stata fissata udienza camerale e che la proposta è stata notificata all'istante in data ...;

che il Tribunale ha riservato la decisione all'esito dell'udienza del ... indicando per il deposito del provvedimento un termine di giorni ... :

che, tuttavia, tale termine è decorso in data ... e il provvedimento relativo non è stato ancora depositato, né comunicato all'istante;

SOLLECITA

La S.V., compatibilmente con il carico di lavoro dell'ufficio, al deposito del decreto, in ragione del lungo tempo trascorso.

Con osservanza.

Luogo e data ...

Firma ...

Commento

Termine per la decisione e sospensione feriale

Per la decisione sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale di P.S. è stabilito dall'art. 7, l. n. 159/2011, riproduttivo del previgente art. 4, comma 6, della l. n. 1423/1956, un termine di trenta giorni in primo grado, con decorrenza dalla proposta; per il giudizio in appello e per quello in cassazione parimenti è previsto un analogo termine, che decorre in tal caso dall'impugnazione.

In dottrina si è affermato con chiarezza che trattasi, in tutti e tre i casi, di termini velleitari, che non si conciliano con i tempi tecnici indispensabili, il rispetto delle garanzie difensive e, in ultima analisi, anche con il carattere giurisdizionale del processo; la giurisprudenza ha specificato in maniera uniforme che il termine in questione ha carattere meramente ordinatorio, di talché la sua inosservanza non produce alcuna nullità (ex multisCass. I, n. 2531/1996, Biron).

La dottrina accoglie la citata impostazione, chiarendo che il termine in questione è suscettibile di sospensione nel periodo feriale tranne, ai sensi della l. n. 742/1969, nel caso in cui l'interessato o il difensore vi abbiano rinunciato o il Giudice abbia dichiarato l'urgenza del procedimento trattato.

Peraltro, va segnalato che nella l. n. 742 è stato introdotto dall'art. 33 della l. n. 55/9190 l'art. 2-bis, che estende il regime della sospensione feriale dei termini processuali al giudizio di prevenzione, stabilendo che ciò non accade quando sia stata provvisoriamente disposta una misura personale o interdittiva o sia stato ordinato il sequestro dei beni, qualora l'interessato o il suo difensore rinunci alla sospensione, ovvero il Giudice, a richiesta del P.M., dichiari l'urgenza del procedimento con ordinanza motivata e impugnabile.

Particolarmente interessante il dictum della Cassazione (Cass. V, n. 17112/2015) che si è pronunciata sulla questione se integri violazione di legge - per assenza di motivazione - la mancata applicazione della l. n. 1423/1956, art. 4 (oggi art. 7, comma 1, del Codice Antimafia per il primo grado e dall'art. 10 per l'appello) per evidente violazione del termine di 30 giorni previsto dalla legge per la decisione della Corte d'Appello in materia; nel caso di specie il decreto era stato depositato circa sette anni dopo l'udienza di discussione, in cui il collegio aveva riservato la causa in decisione.

La Corte ha rilevato che, in tema di procedimento di prevenzione, non sono deducibili in sede di legittimità i vizi di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tale da renderla meramente apparente o, sostanzialmente, inesistente, in quanto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità.

Nella vicenda in esame, anche in considerazione del notevole ritardo nel deposito del provvedimento impugnato, il decreto difettava di ogni valutazione delle circostanze relative al giudizio di pericolosità sociale; pertanto, mancavano i requisiti minimi di coerenza e di completezza della motivazione riguardo all'esistenza di fatti e situazioni da cui desumere la pericolosità sociale del proposto.

In sostanza, la Corte ha affermato che “un decreto emesso dopo oltre sette anni dalla data della decisione sostanzialmente non possa essere considerato la motivazione di quel provvedimento, tenuto conto che la decisione ha a oggetto l'affermazione della pericolosità sociale del proposto”.

Ricorrendo l'ipotesi di motivazione sostanzialmente inesistente, tale da integrare il denunciato vizio di legge, la Corte ha annullato senza rinvio il decreto censurato.

Da segnalare, infine, che la l. n. 161/2017 ha modificato l'art. 7, comma 1, adeguandolo al nuovo disposto dell'art. 5 laddove ha previsto il deposito della proposta presso le cancellerie dei tribunali (sezioni o collegio specializzati) e non più, come in precedenza, al presidente.

La novella, infatti, prevede che il termine di trenta giorni decorra dal deposito della proposta e non più, come prima e più genericamente, dalla “proposta”.

La discussione e la decisione

Dello svolgimento di udienza è redatto verbale in forma riassuntiva, come prescritto dall'art. 666, comma 9, c.p.p., disposizione che, originariamente, prevedeva solo questa modalità documentativa; com'è noto, tuttavia, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 529/1990, la verbalizzazione in forma riassuntiva deve intendersi come prassi usuale (“di regola”), ma non esclusiva (come l'avverbio originale “soltanto” stabiliva), potendosi disporre verbalizzazione integrale nei casi in cui l'oggetto dell'incidente richieda più articolata registrazione (la medesima decisione si riferiva anche alle udienze camerali disciplinate dagli artt. 127 e 420 c.p.p. e, per quest'ultima, l'art. 19, comma 2, l. n. 479/1999 ha già provveduto alla formale riscrittura del testo).

Sia pur nel silenzio delle norme di legge, deve affermarsi che una volta conclusasi l'istruttoria si procederà alla discussione, al termine della quale il Pubblico Ministero e il difensore formuleranno le loro richieste; peraltro, trattandosi di procedimento in camera di consiglio, non esiste un dispositivo al quale poi farà seguito la motivazione, ma la riserva assunta all'esito dell'udienza viene sciolta col deposito del decreto, interamente formato e motivato, in cancelleria.

Giova, sul punto, osservare che l'art. 8, comma 8, come innovato di recente ha esteso il dovere di comunicazione della decisione di primo grado anche al difensore del proposto.

È consolidato, in giurisprudenza, il principio secondo cui non è applicabile al procedimento in esame la regola dell'immediatezza della deliberazione, sancita dall'art. 525 c.p.p., in quanto il collegio può sia riservare la decisione e deliberare in un momento successivo, previa informale convocazione dei suoi componenti, sia anche, successivamente alla riserva della decisione, acquisire su richiesta del P.M. elementi di giudizio sopravvenuti, con la sola prescrizione - in tale caso - del rispetto del contraddittorio, che è valore ineludibile anche nel citato giudizio.

Nemmeno risulta estensibile, in sede di prevenzione, l'art. 528 del codice di rito, trattandosi di procedimento per sua natura svincolato dal rigore formale e dalla precisa scansione che connota il rito ordinario (così Cass. V, n. 18176/2008).

La decisione del tribunale ha la forma del decreto motivato (art. 4 della l. del 1956, oggi art. 7, comma 1), ma la giurisprudenza pressoché unanime ne ha affermato la natura sostanziale di sentenza, in quanto si tratta di provvedimento decisorio, che conclude una fase del giudizio e che è soggetto a mezzi d'impugnazione (appello e ricorso per cassazione) corrispondenti a quelli proponibili avverso le sentenze (Cass. I, n. 2531/1996, Biron).

In dottrina e in giurisprudenza (Cass. VI, n. 28837/2002) si è affermato che la decisione che dispone misure di prevenzione - pur assumendo natura sostanziale di sentenza, rimane una decisione di merito che conclude una fase o un grado del processo e in quanto tale è suscettibile di impugnazione e idonea ad acquistare autorità di giudicato - conserva la forma di decreto e non quella di sentenza e, pertanto, non deve contenere i requisiti richiesti dall'art. 546 c.p.p. ed è destinata ad assumere rilevanza esterna con il deposito nella sua interezza, senza che rilevi un formale ed autonomo dispositivo.

Da ciò consegue che la motivazione del provvedimento, richiesta dalla legge, non può essere sommaria, ma deve rispondere - come le sentenze - a canoni di completezza e logicità.

La citata sentenza Biron ha poi precisato che se nel decreto manca l'indicazione degli articoli di legge, ciò non ne determina la nullità, ma solo la correzione con una procedura equiparabile a quella di cui all'art. 120 c.p.p.; al contrario, l'omessa indicazione del periodo di sottoposizione si traduce nella mancanza di un elemento essenziale del dispositivo, tranne che la durata stessa non sia desumibile dalla motivazione in quella minima di legge.

Infine, la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante la mancanza di data in calce al provvedimento, che non determina incertezza sul momento in cui è stato formato, dovendosi a tal fine fare riferimento alla certificazione del deposito, in quanto - trattandosi di provvedimento a forma libera - assume rilevanza all'esterno e verso i terzi proprio mediante il deposito presso la cancelleria dell'A.G.

Insomma, nessuna norma espressamente stabiliva un termine entro il quale il Giudice doveva redigere e depositare il decreto: l'unica disposizione applicabile era l'art. 128 c.p.p., norma propria delle deliberazioni assunte fuori dal dibattimento o dall'udienza preliminare secondo la quale gli originali dei provvedimenti del Giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni.

Detta norma, tuttavia, era priva di qualsivoglia sanzione processuale per la sua inosservanza.

Il quadro normativo è stato inciso in modo significativo dalla l. n. 161/2017 che ha introdotto i commi 10-sexies, septies e octies dell'art. 7 del presente Codice.

Recependo i molteplici inviti della dottrina, si è infatti tratteggiata una disciplina fortemente innovativa in punto di termini per la redazione del decreto, secondo una linea di progressivo avvicinamento dello stesso alla sentenza emessa all'esito del processo penale, questa volta non solo e non tanto sul versante contenutistico, quanto su quello formale.

Anzi, potrebbe dirsi che si sia inteso adeguare la “forma” del decreto, sotto il profilo del termine per la stesura della sua motivazione, alla sua “sostanza”, ovvero al suo contenuto sostanziale di sentenza, già da tempo ritenuto pacificamente dalla giurisprudenza.

A far data dal 19 novembre 2017, quindi, i decreti dovranno essere depositati in cancelleria entro quindici giorni dalla conclusione dell'udienza (di discussione), salvo che la stesura della motivazione non sia particolarmente complessa, perché in tali casi il tribunale può indicare all'uopo (dopo le conclusioni delle parti) un termine più lungo, comunque non superiore a novanta giorni.

Infine, viene richiamato l'art. 154 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, a norma del quale il presidente designa l'estensore del provvedimento, che verrà firmato da entrambi.

È poi consentita la proroga del termine per il deposito del decreto, su richiesta motivata dell'estensore e a cura del presidente della Corte di appello o del presidente del tribunale; ciò per una sola volta e per un periodo massimo non superiore a novanta giorni.

Di tale provvedimento è in ogni caso data comunicazione al C.S.M.

Deve comunque ritenersi che la norma non opererà, in difetto di una disposizione transitoria sul punto, per le procedure “vecchio rito”, ovvero ancora relative a proposte avanzate prima dell'ottobre 2011 e dell'entrata in vigore del Codice, in forza del citato art. 117.

Inoltre, se da una parte la novella ha il merito di colmare una lacuna ordinamentale e di porre un freno a prassi poco commendevoli di alcuni uffici che, in difetto di una regolamentazione ad hoc, depositavano i decreti mesi (o addirittura anni) dopo la riserva, tuttavia non può non rivelare qualche profilo di criticità legato alla circostanza che i decreti in esame risultano equiparati alle sentenze sotto il profilo dei termini di deposito, ma non per quanto attiene al complessivo regime delle sentenze stesse, come tratteggiato dagli artt. 544 e ss. del codice di rito, norme che non risultano richiamate nel procedimento di prevenzione.

Infatti, il decreto emesso ai sensi del presente articolo è privo del dispositivo di cui all'art. 544 c.p.p., non va pubblicato mediante lettura ex art. 545 c.p.p. e non deve contenere i requisiti previsti dall'art. 546 c.p.p.

Quindi, verosimilmente, l'indicazione del termine per il deposito del provvedimento dovrà essere fatta a verbale al momento della chiusura della discussione e della riserva della causa in decisione.

Peraltro, probabilmente proprio l'assenza del dispositivo (che rende immediatamente conoscibile alle parti il contenuto della decisione del Giudice) ha reso ancora più necessario disciplinare in modo rigoroso lo spatium temporis a disposizione del tribunale della prevenzione per redigere i propri provvedimenti, atteso che gli interessati per conoscere l'esito del procedimento devono, appunto, attendere il deposito del decreto nella sua interezza.

Comunque, si ritiene operante anche in questa materia la regola consolidata nella giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 15660/2020) secondo cui la violazione da parte del Giudice del termine per il deposito della sentenza, stabilito dall'art. 544 c.p.p., non determina la nullità del provvedimento, né tanto meno la sua inutilizzabilità o inammissibilità, pur potendo produrre conseguenze diverse sul piano disciplinare per il magistrato, e ciò in quanto, diversamente, risulterebbe vanificato il diritto dello Stato all'amministrazione della giustizia ed alla repressione dei reati (aggiornamento dell'11 gennaio 2023).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario