Ricorso per cassazione avverso il provvedimento di confisca (art. 27 d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoAi sensi dell'art. 27 del d.lgs. n. 159/2011, i provvedimenti con i quali il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, l'applicazione, il diniego o la revoca del sequestro, il rigetto della richiesta di confisca anche qualora non sia stato precedentemente disposto il sequestro ovvero la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia sono comunicati senza indugio al procuratore generale presso la corte di appello, al procuratore della Repubblica e agli interessati. Per le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall'art. 10 del citato d.lgs. I provvedimenti del tribunale che dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il pubblico ministero, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla corte di appello; in tal caso, se la corte entro dieci giorni dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo, altrimenti l'esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva in ordine al sequestro. Il provvedimento che, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, sospende l'esecutività può essere in ogni momento revocato dal giudice che procede. I provvedimenti della corte di appello che, in riforma del decreto di confisca emesso dal tribunale, dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il procuratore generale, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla medesima corte di appello; in tal caso, se la corte entro dieci giorni dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo, altrimenti l'esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva. In caso di appello, il decreto di confisca perde efficacia se la corte d'appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. Il ricorso per cassazione, in questa materia, è ammesso unicamente per il vizio di violazione di legge. Non sono, pertanto, sindacabili dalla Corte di cassazione i provvedimenti emessi in materia di misure di prevenzione per vizio di motivazione, salvo il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. Formula
Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione Tizio, nato a.... il.... residente.... C.F....., rappresentato e difeso dall'avv. Caio, giusta procura [1] in calce al presente atto, presso il cui studio elettivamente domicilia in.... alla via.... RICORRE avverso il decreto emesso dalla Corte d'appello di.... n..... del...., comunicato in data...., con cui è stato confermato il decreto n..... emesso dal Tribunale di.... e, dunque, ordinata la confisca dei seguenti beni a lui appartenenti: .... .... .... PREMESSO che era stato disposto il sequestro dei beni anzidetti con decreto n..... in data...., dal Tribunale di.... su proposta di....; che all'esito dell'udienza camerale e delle difese svolte il tribunale è giunto alla confisca del patrimonio indicato; che la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello che in data.... con provvedimento n.....; che nella specie la confisca disposta è illegittima e ne va censurata l'adozione per violazione di legge, vizio che specificamente legittima all'articolazione del seguente motivo di ricorso: 2).... 2).... Ciò premesso CHIEDE Che la Suprema Corte di Cassazione, fissata l'udienza in camera di consiglio, annulli il provvedimento di confisca disposto e ordini la revoca del sequestro, con restituzione dei beni in favore del sottoscritto istante, avente diritto. Con osservanza Luogo e data.... Firma.... [1]Nel caso di terzo intestatario la procura speciale deve essere rilasciata dal terzo stesso al difensore ex art. 100, c.p.p.; né, in tal caso, può trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 182, comma 2 c.p.c., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (Cass. S.U., n. 47239/2014). CommentoL'art. 27 d.lgs. n. 159/2011 – Codice Antimafia delinea la disciplina delle impugnazioni avverso i provvedimenti applicativi di misure di prevenzione patrimoniali, innovando non poco la normativa originariamente tratteggiata nell'art. 3-ter l. n. 575/1965. Si ritiene che in materia viga il principio di tassatività delle impugnazioni e si è escluso, pertanto, che possano essere impugnati provvedimenti diversi da quelli specificamente dichiarati impugnabili (cfr. Cass. VI, n. 42707/2008); ad esempio, si è affermato che in tema di sequestro di beni nella disponibilità di indiziati dell'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso (nonché per quanto attiene al decreto di proroga del termine di cui all'art. 24) non è consentita l'autonoma impugnazione del relativo decreto, proprio in considerazione del principio generale di tassatività delle impugnazioni, della natura meramente strumentale del provvedimento e delle caratteristiche sommarie della fase procedimentale, connotata da incisive decadenze. Oggi, come si vedrà, la situazione è stata modificata per effetto della legge n. 161/2017 che ha espressamente previsto l'autonoma appellabilità dei decreti di sequestro di prevenzione e di rigetto di confisca, anche non preceduto da sequestro. Ulteriore applicazione della regola di tassatività dei mezzi di impugnazione ha fatto la giurisprudenza (Cass. II, n. 27603/2007) allorquando ha precisato che il provvedimento con cui il giudice della prevenzione dispone la cauzione non è impugnabile, dal momento che la legge non prevede rispetto ad esso alcun mezzo di impugnazione (identica regola afferma Cass., n. 242803/2008 e Cass. V, n. 35363/2006, che conclude per l'inammissibilità del ricorso). In grado d'appello sono legittimati a impugnare il Pubblico Ministero, il Procuratore Generale presso la Corte d'appello e l'interessato; per il ricorso per cassazione, invece, la legittimazione oltre che in capo all'interessato si concentra sulla figura del solo Procuratore Generale presso la Corte d'appello, potendo essere esperito il ricorso stesso esclusivamente avverso un provvedimento della Corte d'appello. È titolare di autonomo diritto a impugnare anche il difensore del sottoposto, dal momento che l'art. 680, comma 3, c.p.p. impone l'osservanza delle norme sulle impugnazioni e, dunque, anche dell'art. 571, comma 3, c.p.p., che riconosce il diritto in questione anche al difensore dell'imputato, al momento del deposito del provvedimento ovvero al difensore nominato a tal fine. Per proporre impugnazione occorre avervi interesse, secondo quanto stabilisce l'art. 568, comma 4, c.p.p.; si è discusso in materia di prevenzione sulla portata della regola in esame, specie nelle ipotesi in cui la misura patrimoniale avesse colpito beni intestati a terzi. Si è, invero, affermato che una mera relazione di fatto con il bene confiscato, non supportata dall'esistenza di un formale titolo giuridico, non può costituire fonte di legittimazione all'impugnazione (Cass. V, 1520/2000); anche la dottrina ha ribadito che non sussiste un interesse concreto a coltivare l'impugnazione da parte dell'indiziato, al fine di dimostrare che il bene sia realmente intestato al terzo, con la conseguenza che il diritto a dolersi del provvedimento si concentra solo in capo al formale intestatario della res. Nel medesimo senso si è dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal sorvegliato speciale avverso il decreto di confisca di un bene immobile, ritenuto fittiziamente intestato a terzi, in quanto, in tal caso, la legittimazione a impugnare spettava al solo terzo apparente intestatario (nella specie il coniuge) (Cass. V, n. 6208/2010; Cass. V, n. 7433/2013). Il principio di conversione dell'impugnazione, sancito dall'art. 568, comma 5, c.p.p., è ritenuto operante anche nella materia della prevenzione patrimoniale. In applicazione della regola citata, si è affermato che l'istanza di riesame, proposta avverso il sequestro, si converte in richiesta di revoca della misura innanzi allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento (Cass. VI, n. 37/1986, Gaeta) e che il potere di qualificare l'impugnazione e di provvedere alla conversione, con trasmissione degli atti al giudice competente, spetta al giudice investito con l'istanza (Cass. I, n. 1543/1991, Fortino). La Suprema Corte ha sostenuto, altresì, che il principio generale posto dall'art. 568, comma quinto c.p.p., che prevede la conversione ope legis dell'impugnazione proposta mediante un mezzo diverso da quello prescritto e la trasmissione di ufficio degli atti al giudice competente, si applica anche nel procedimento di prevenzione, per effetto del combinato disposto dell'art. 4, ultimo comma, della l. n. 1423/1956, che fa richiamo alla disciplina relativa alle impugnazioni avverso l'applicazione delle misure di sicurezza, e dell'art. 680, comma 3 c.p.p., che, per queste ultime, rimanda alle disposizioni generali sulle impugnazioni (fattispecie in cui la Corte ha riqualificato come appello il ricorso per cassazione proposto contro un provvedimento del tribunale di rigetto di istanza afferente l'esecuzione di una misura di prevenzione personale; così Cass. I, n. 4001/2014). È ammessa pacificamente l'operatività dell'effetto devolutivo in questione, che si traduce nella regola del tantum devolutum quantum appellatum: si attribuisce al giudice di secondo grado, dunque, cognizione circoscritta ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, di talché il giudice dell'impugnazione può esaminare la decisione limitatamente alle questioni oggetto di impugnazione. In seguito, tuttavia, la suprema Corte ha osservato che “nell'ambito del procedimento di prevenzione, essendo la confisca una misura di sicurezza patrimoniale di natura amministrativa alla quale non si applica il regime proprio delle impugnazioni, il giudice di appello è tenuto a prendere in esame le istanze formulate in ordine alla illegittima applicazione della stessa anche se la relativa doglianza non sia stata dedotta nei motivi di gravame e la Corte di cassazione deve prendere in esame tale doglianza formulata con motivo di ricorso anche se la stessa non ha formato oggetto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado” (Cass. I, n. 12003/2012). In giurisprudenza è, invece, controversa l'operatività del divieto di reformatio in peius che vige nel processo penale (art. 597, comma 3, c.p.p.): a un primo orientamento che lo esclude (Cass. I, n. 3964/1998, Arcuri) se ne contrappone un altro che ha invece imposto il rispetto del citato divieto (così Cass. I, n. 545/1991, Ribisi). Si ritiene che il termine di impugnazione del provvedimento in materia di prevenzione, fissato in dieci giorni, decorra – sia per il proposto sia per il difensore – dalla data dell'ultima comunicazione eseguita (Cass. I, n. 38397/2009). I motivi di ricorso devono essere specifici a pena di inammissibilità come prescrive l'art. 581 c.p.p., ma l'atto di impugnazione va considerato in maniera unitaria, di talché non si può ammettere una presentazione differita e separata dei motivi rispetto alla dichiarazione di impugnazione. L'impugnazione deve essere presentata ai sensi dell'art. 582 c.p.p. e comunicata o notificata alle parti private, ai sensi dell'art. 584 c.p.p.; l'ammissibilità dell'impugnazione è decisa dal giudice del gravame e non da quello che ha emesso il provvedimento impugnato, mentre la relativa ordinanza che dichiara l'inammissibilità è ricorribile per cassazione ex art. 591 c.p.p. Il giudizio si svolge con l'osservanza, in quanto applicabili, delle disposizioni di cui all'art. 666 c.p.p.; il presidente del collegio fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ordina darsi avviso, almeno dieci giorni prima, al P.M. agli interessati ed ai difensori. La Corte provvede in camera di consiglio, con la presenza necessaria del P.M. e del difensore; l'interessato che abbia fatto richiesta viene sentito e il giudizio, su sua richiesta, può essere pubblico. Da segnalare che la l. n. 132/2018 ha esteso anche alla fase dell'appello la condanna al pagamento delle spese processuali a carico del soccombente, prima prevista solo in caso di condanna da parte della cassazione e recentemente estesa al giudizio di primo grado. Il ricorso per cassazione Il procedimento per la trattazione in sede di legittimità dei ricorsi in materia di misure di prevenzione deve svolgersi nella forma ordinaria dell'udienza camerale non partecipata, prevista dall'art. 611 c.p.p., anche in caso di istanza della parte di procedere nelle forme dell'udienza pubblica, in quanto il principio di pubblicità dell'udienza qualora l'interessato ne abbia fatto richiesta, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 93/2010 e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo con la sentenza del 13 novembre 2007, nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, si riferisce esclusivamente alla fase di merito (così Cass. VI, n. 50437/2017). Nel procedimento di prevenzione, inoltre, secondo il disposto dell'art. 4 l. n. 1423/1956, richiamato dall'art. 3-ter, comma 2, l. n. 575/1965, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge (ora art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159/2011), nozione alla quale va ricondotta la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe stato tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Ancora recentemente (Cass. VI, n. 21525/2020) si è riaffermato che il ricorso per cassazione, anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Non sono, pertanto, sindacabili dalla Corte di cassazione i provvedimenti emessi in materia di misure di prevenzione per vizio di motivazione, salvo il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr., per tutte Cass. S.U., n. 33451/2014 e, da ultimo, Cass. I, n. 6636/2016). Nel sindacato sulla motivazione è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal nono comma del predetto art. 4 l. n. 1423/1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Cass. I, n. 6636/2016). La violazione di legge ricorre anche quando la motivazione consista nell'esposizione di ragioni che nulla hanno a che vedere con l'oggetto dell'indagine, in guisa da rendere assolutamente incomprensibile l'iter logico seguito dal giudice (Cass. V, n. 19598/2011). Da ciò consegue (Cass. II, n. 20968/2020) che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, sicché il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge. Il principio è stato esplicitato di recente (Cass. V, n. 1861/2021) chiarendo che il ricorso per cassazione che, senza evidenziare una reale mancanza o apparenza della motivazione del decreto impugnato, si limiti a censurare genericamente la tecnica del “copia-incolla”, di per sé insuscettibile di integrare una carenza logico-argomentativa, è inammissibile perché aspecifico e perché non integra un'ipotesi di violazione di legge – l'unica prevista dal disposto dell'art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 – che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. In motivazione si è osservato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell'art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 (e del precedente art. 4 l. n. 1423/1956, richiamato dall'art. 3-ter, comma 2, l. n. 575/1965), per cui è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal nono comma del predetto art. 4 l. n. 1423/1956 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. n. 159/2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. Nella nozione di violazione di legge va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Cass. VI, n. 21525/2020); nel caso all'attenzione della Corte il ricorso si limitava a contestare, laconicamente, la tecnica del copia-incolla impiegata dalla Corte territoriale, senza tuttavia evidenziare una reale mancanza o apparenza della motivazione Nella medesima pronuncia si è precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Cass. III, n. 8065/2018). La limitazione del ricorso per cassazione alla sola denuncia di violazione di legge ha superato il vaglio della Corte costituzionale, la quale si è pronunciata al riguardo con le sentenze n. 321/2004 e n. 106/2015, inerenti ai ricorsi avverso i provvedimenti applicativi, rispettivamente, di misure di prevenzione personali e patrimoniali. Le innovazioni apportate dalla l. n. 161/2017 L'art. 6 della l. n. 161/2017 è intervenuto sull'art. 27 del Codice Antimafia in materia di impugnazione delle misure di prevenzione patrimoniali allargandone l'ambito di operatività dalle ipotesi di revoca del sequestro anche al decreto che dispone o nega il sequestro e al provvedimento reiettivo della richiesta di confisca, pur se non sia stato preceduto da sequestro. Si tratta di una scelta che traduce normativamente l'orientamento espresso dalla della Corte di cassazione nella sua composizione più autorevole (Cass. S.U., n. 20215/2017). L'art. 27 è stato, infine, modificato ulteriormente con l'introduzione di due nuovi commi (comma 3-bis e comma 6-bis): il comma 3-bis prevede la possibilità di sospendere, nelle more del giudizio di cassazione e fino alla sopravvenuta definitività della decisione, la pronuncia con cui la Corte d'appello abbia disposto la revoca del sequestro, in riforma del provvedimento di confisca assunto in primo grado. Il comma 6-bis prevede, ancora, il nuovo decorso del termine di un anno e sei mesi, per l'emissione del decreto di confisca, in caso di annullamento dell'originario decreto con rinvio al tribunale; esso decorre dalla data di ricezione degli atti presso la cancelleria del tribunale stesso. La cd. Riforma Cartabia (legge n. 150/2022) La complessa riforma del rito penale è destinata a trovare applicazione, sia pure in riferimento a parti non decisive, anche nella materia delle impugnazioni a fonte di misure di prevenzione personali e patrimoniali, nei limiti in cui a detto sistema siano applicabili le regole generali stabilite dal codice di rito. Mentre, chiaramente, non opererà in subiecta materia il nuovo meccanismo dell'improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., l'inappellabilità di alcune tipologie di sentenza, il nuovo “concordato” in appello, la riduzione pari ad un sesto della pena irrogata, laddove non siano state interposte impugnazioni (né dell'imputato, né del suo difensore) avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato, la traslazione del giudizio in sede civile per improcedibilità dell'azione penale, la devoluzione al giudice civile del giudizio di impugnazione a fronte di appelli proposti dalla sola parte civile, etc..., al contrario appaiono applicabili le norme in materia di motivi di appello, elezione di domicilio, mandato a impugnare, deposito telematico degli atti Tocca, in particolare, il settore della prevenzione la parte della novella che mira a garantire un collegamento tra processo penale e procedimento di prevenzione in caso di improcedibilità dell'azione penale: all'art. 317 c.p.p. è stata pertanto introdotta la clausola – “Salvo quanto disposto dal comma 1-ter dell'art. 578 c.p.p.” – per cui, nell'ipotesi di improcedibilità dell'azione penale e conseguente trasferimento della decisione al giudice civile, non vengono meno gli effetti del sequestro. Il regime d'improcedibilità dell'impugnazione si riflette sulla confisca la cui natura punitiva postula la sua applicazione nell'ambito del processo penale, all'esito della sentenza di condanna; l'improcedibilità dell'impugnazione per superamento dei termini fissati porta con sé, quale naturale conseguenza, la perdita di efficacia della confisca (salvo che non si tratti di confisca obbligatoria, ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p.) che discende dalla paralisi dell'accertamento penale determinata dall'improcedibilità e così, nel dichiarato proposito di farsi carico della sorte dei beni in sequestro ed impedirne la reintroduzione nel circuito criminale 346, l'art. 578-ter c.p.p. stabilisce la perdurante efficacia, nelle more del termine per l'attivazione del procedimento di prevenzione, della misura ablatoria, istituendo un collegamento tra procedimento penale e procedimento di prevenzione per effetto del quale il bene già confiscato potrà essere oggetto di misura di prevenzione patrimoniale ai sensi del Codice Antimafia. La norma prevede la trasmissione degli atti all'autorità competente (Procura della Repubblica presso la DDA ovvero presso la DNA) per l'adozione della misura di prevenzione reale; essa dovrà attivarsi nel termine di novanta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza di trasmissione degli atti con l'adozione della misura di prevenzione, pena la perdita di efficacia della confisca; si determinerà, di conseguenza, il trasferimento del procedimento ad impulso di parte in sede di prevenzione, mediante ordinanza con la quale dovrà darsi conto delle ragioni che giustificano la trasmissione degli atti per l'emissione della misura di prevenzione; se, in astratto, si pone l'alternativa tra svolgimento di un'istruttoria ad hoc da parte dell'accusa (ai sensi dell'art. 19, d.lgs. n. 159/2011) e l'adozione della misura sulla base del contenuto del fascicolo processuale della cognizione, sembra fondato ritenere che, di regola, il compendio istruttorio frutto dell'attività processuale di primo grado sarà idoneo a supportarne l'emissione, senza necessità, quindi, di compiere accertamenti ulteriori. Ciò al fine di consentire la valutazione da parte di tali autorità giudiziarie circa la sussistenza dei presupposti per l'instaurazione del procedimento di prevenzione e l'applicazione, anche in via di urgenza, di misure conservative in vista dell'irrogazione di una misura di prevenzione patrimoniale. È bene rimarcare che, diversamente da quanto accade in relazione alle statuizioni civili, in questo caso non si tratta di una “prosecuzione” del giudizio di impugnazione ai fini della confisca penale in altra sede, ma di un mero “impulso per l'eventuale attivazione di altra e distinta procedura”, da svolgersi nel rispetto delle regole del procedimento di prevenzione (in tal senso, la Relazione Ministeriale alla legge citata). L'ultimo comma dell'art. 578 ter c.p.p. stabilisce poi, a tutela dei diritti di coloro i cui beni sono stati attinti dal sequestro, che esso cessa di avere effetti ipso jure se, entro novanta giorni dall'ordinanza di trasmissione degli attu di cui al comma 2, non venga adottato il sequestro (con le forme ordinarie o di urgenza) ai sensi degli articoli 20 e 22 del Codice Antimafia. Tenendo conto della notevole diversità del giudizio penale rispetto a quello di prevenzione, nonché dei differenti standards probatori e presupposti, certamente sarà difficile l'adozione delle misura patrimoniali di prevenzione in relazione agli stessi beni sequestrati in sede penale, per di più a notevolissima distanza temporale dai fatti e dal momento dell'ablazione della res. All'art. 581 sono stati aggiunti i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, che introducono previsioni d'inammissibilità specificamente riferite all'appello in una sedes materiae non ottimale, trattandosi di norma generale che afferisce alla forma delle impugnazioni in generale; la legge esplicitamente riafferma il principio delle Sezioni Unite Galtelli, prefiggendosi il rafforzamento dei poteri del giudice d'appello nella fase di delibazione dell'impugnazione, mediante l'accertamento del requisito della specificità estrinseca dei motivi d'impugnazione, nel dichiarato obiettivo di “Innalzare il livello qualitativo dell'atto di impugnazione e del relativo giudizio in chiave di efficienza”. Si richiede che l'appellante enunci, in forma puntuale ed esplicita, i rilievi critici che muove alla motivazione (in fatto e in diritto), indicandone i punti e i capi ai quali le doglianze si riferiscono; la delibazione sulla specificità dei motivi dovrà tenere in conto il principio del favor impugnationis, evitando che la verifica si traduca (ciò che non è ammesso per l'appello) nel valutare la (non) manifesta infondatezza dei motivi; l'appello ha, infatti, natura di impugnazione a critica libera, ad ampio spettro e, a differenza del ricorso per cassazione, ove l'impugnazione sia ammissibile, il giudizio riguarda il punto della decisione – cioè il tema devoluto – oggetto di doglianza. In conseguenza delle modifiche apportate in tema di elezione/dichiarazione di domicilio e di mandato ad impugnare, sono stati altresì introdotti corrispondenti motivi d'inammissibilità dell'impugnazione, introducendo le relative previsioni all'art. 581 c.p.p.: secondo la nuova previsione, è necessario che l'impugnante provveda a dichiarare o eleggere domicilio per la nuova fase processuale, nella condivisibile finalità di agevolare l'attività di notificazione, spesso causa di differimento dell'udienza; inoltre, sempre in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata, nell'intento di saldare la scelta di proporre la doglianza all'effettiva sussistenza della volontà dell'imputato nei cui confronti si è proceduto in assenza, è previsto il rilascio di uno specifico mandato a impugnare nei confronti del difensore. Nel caso in cui l'imputato abbia partecipato al processo di primo grado, non vi è dubbio che egli ne abbia conoscenza per cui si richiede soltanto, a pena d'inammissibilità, che unitamente all'atto del difensore, sia depositata la dichiarazione ovvero l'elezione di domicilio per la notifica dell'atto di citazione a giudizio, previsione, come si è detto, volta a rendere più agevoli le notificazioni dell'atto introduttivo; laddove l'imputato sia rimasto assente durante il processo di primo grado, è stata invece introdotta una previsione (art. 581, comma 1-quater, c.p.p.) ispirata a garantire che l'impugnazione sia espressione del personale interesse al gravame da parte dell'imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatico tuziorismo difensivo. Il legislatore della riforma ha apportato modifiche alla disciplina che riguarda le modalità di presentazione dell'impugnazione (art. 582 c.p.p.) e delle successive memorie (art. 585, comma 4, c.p.p.). Per il difensore, s'impone il deposito dell'atto in forma telematica, mediante una sorta di normalizzazione del regime introdotto nel periodo dell'emergenza SARS-COVID-19, in modo da favorire la celerità della procedura per l'utente ma altresì riducendo i tempi di lavorazione dei file presso le cancellerie. Rispetto alle parti private, è stata conservata la facoltà di depositare l'atto personalmente, ovvero a mezzo di persona incaricata, presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la sentenza, mentre sono state abrogate le previsioni di deposito presso un tribunale diverso e di invio dell'atto a mezzo del servizio postale, così modificando la precedente disciplina soppiantata dalle possibilità offerte dalle sopravvenute innovazioni tecnologiche. La disciplina intertemporale per quanto riguarda l'entrata in vigore della nuova disciplina di cui ai commi 1 e 1-bis, prevede l'emanazione di decreti attuativi previsti dall'art. 87, commi 1, 3, del d.lgs. n. 150/2022 ma il principio del tempus regit actum comporta che le indicate abrogazioni avranno effetto fin dal momento dell'entrata in vigore della riforma di cui si tratta; va inoltre osservato che il deposito telematico degli atti, già previsto dal d.l. n. 137/2020, conv., con modificazioni, nella l. n. 176/2020 per il periodo di emergenza epidemiologica, resterà in vigore, per effetto delle proroghe che si sono succedute, fino al 31 dicembre 2022. Con la l. n. 199/2022, di conversione, con modifiche, del d.l. n. 162/2022 (recante misure urgenti in materia di accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i reati cosiddetti ostativi nonché in materia di obblighi di vaccinazione anti COVID-19 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), sono state previste modifiche che tese ad assicurare il coordinato avvicendamento dei regimi delle impugnazioni. L'art. 5-duodecies della l. n. 199/2022 ha sostituito integralmente l'art. 94, comma 2, del d.lgs. n. 150/2022 dettando una rinnovata disciplina transitoria di coordinamento delle nuove norme in tema di giudizio di impugnazione, improntate al paradigma dell'udienza non partecipata, con le disposizioni dell'emergenza epidemiologica di cui al d.l. n. 228/2021, in vigore fino al 31 dicembre 2022. All'art. 5-duodecies citato è stabilito che l'art. 94, comma 2, del d.lgs. n. 150/2022, viene sostituito dal seguente: “2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo e 9, nonché le disposizioni di cui all'art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del d.l. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 176/2020. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo”. Orbene, sulla base della nuova disposizione, è così stabilito che se l'impugnazione è proposta entro il 30 giugno 2023, continuerà ad applicarsi la disciplina di cui all'art. 23, comma 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e comma 9, nonché le disposizioni di cui all'art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del d.l. n. 137/2020; si stabilisce inoltre che, nel caso in cui siano state proposte ulteriori impugnazioni (connesse, quindi, alla prima) avverso il medesimo provvedimento, ai fini dell'individuazione del regime applicativo, si dovrà fare esclusivamente riferimento all'impugnazione già proposta. Di conseguenza, fino al 30 giugno 2023 – sulla base, per l'appunto, della nuova disposizione transitoria – la trattazione dei ricorsi per cassazione e quella dei giudizi d'appello avverrà sulla base delle disposizioni emergenziali, secondo una scelta ispirata al principio del tempus regit actum, riferito al regime giuridico vigente al momento in cui l'atto introduttivo d'impugnazione è stato proposto. Ne discende che, per gli appelli già interposti alla data del 30 giugno 2023, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno fissata entro tale termine la data dell'udienza, ogni fase del procedimento sarà disciplinata dalla normativa emergenziale, attualmente in vigore e, per effetto della nuova disciplina transitoria, tale regime si dilaterà fino al giugno 2023. Per effetto della nuova disposizione di cui all'art. 5-duodecies di cui all'art. 5-duodecies della legge di conversione citata, al cessare del periodo di efficacia della disciplina emergenziale, prorogata, per l'appunto, al 30 giugno 2023, e quindi a fare data dal 1° luglio 2023, troveranno applicazione le nuove disposizioni previste dalla riforma, comunque improntate, pur con alcune specificità, al modello dell'udienza non partecipata (art. 598-bis, art. 611 c.p.p.) Con riferimento al ricorso per Cassazione, le modifiche al processo di legittimità appaiono principalmente finalizzate a adeguare e armonizzare tale fase alle innovazioni introdotte con la riforma: il rito cartolare non partecipato diviene la regola per il giudizio di legittimità ex art. 611 c.p.p., nella sua versione riformata, alla quale è possibile derogare con la trattazione in pubblica udienza ovvero in udienza cartolare partecipata, come discende dalla clausola di salvaguardia di cui al comma 1, norma citata, ove si fa richiamo a quanto previsto nei commi 2-ter e 2-quater o da altre disposizioni di legge, dovendosi intendere, con tale riferimento, a quanto disposto ai commi 2-bis e 2-sexies dell'art. 611 medesimo. La procedura di trattazione scritta del processo, entrata per necessità nel rito durante l'emergenza pandemica è stata esportata all'interno del sistema processuale, non senza porre interrogativi circa la sua compatibilità con i principi del giusto processo (art. 111 Cost., art. 6 CEDU). Il contraddittorio cartolare – argomentativo e debole – finisce così per diventare l'unico presidio di garanzia del giusto processo al quale vengono a mancare oralità e pubblicità; la trattazione in udienza pubblica sarà disposta ove il ricorso riguardi sentenze emesse all'esito del dibattimento o all'esito di rito abbreviato, mentre verrà fissata l'udienza camerale partecipata nelle altre ipotesi indicate (rito camerale ex art. 127 c.p.p., ricorsi contro sentenze emesse all'esito di rito ex art. 598-bis c.p.p.), salvo una serie di eccezioni (riconducibili, in sostanza, a questioni, elencate dalla norma, di modesta rilevanza giuridica), secondo la rigida scansione temporale prevista per il rito d'appello. Per la trattazione in udienza camerale partecipata di cui all'art. 127 c.p.p., richiamato dall'art. 611, comma 2-quinquies c.p.p., la norma stabilisce termini più serrati rispetto a quelli di cui all'art. 610, comma 5 e 611, comma 1, c.p.p. per l'avviso di notificazione dell'udienza, per la richiesta di intervenire in udienza, infine, per il deposito di memorie secondo termini indicati. Per rendere maggiormente fluida e celere la procedura, il dies a quo per proporre validamente l'istanza di trattazione orale decorre dalla ricezione dell'avviso dell'udienza mentre, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020, era stabilito per la presentazione della richiesta di trattazione orale il termine di venticinque giorni liberi prima dell'udienza. (venti giorni prima dell'udienza per la notifica dell'avviso di fissazione, cinque giorni per la richiesta di partecipazione all'udienza prevista al comma 2, dieci giorni per il deposito di memorie e tre giorni per il deposito di memorie di replica). Merita ricordare, nell'ambito del paradigma speciale di cui all'art. 611 c.p.p., l'introduzione della previsione delle memorie di replica, a garanzia del contraddittorio, pur nella forma cartolare. Viene imposto al procuratore generale il rispetto del termine fino a quindici giorni prima dell'udienza per il deposito delle proprie richieste – termine che pare mantenere validità anche nel caso di rito camerale partecipato, posto che il comma 2-quinquies, c.p.p. nulla prevede al riguardo, limitandosi a trattare dei termini ad hoc per le memorie – previsione mutuata da quella di cui all'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137/2020, conv. con modificazioni nella l. n. 176/2020. La Corte di cassazione, laddove ritenga che siano state sottoposte al suo esame questioni rilevanti ovvero di dover procedere ad una diversa definizione giuridica del fatto, ha facoltà di fissare, d'ufficio, l'udienza pubblica ovvero l'udienza camerale partecipata, sulla base della rispettiva tipologia di sentenza impugnata: in sostanza, sembra che il sistema miri a disegnare un doppio binario processuale, che affida alla trattazione cartolare secca i ricorsi valutati potenzialmente inammissibili e, per ciò, trasmessi al vaglio della Sezione settima, ove sarà celebrata l'udienza camerale non partecipata e tutti quei ricorsi per i quali le parti non avanzino richiesta di oralità. Al contempo, grazie alla previsione di cui all'art. 611, comma 2-quater, c.p.p., la rilevanza delle questioni sottoposte attribuisce alla Corte la facoltà di disporre d'ufficio la trattazione alla presenza delle parti, riattivando la virtuosa compenetrazione di oralità e contraddittorio. Alla luce dell'art. 611, comma 2-sexies, c.p.p. è stabilito che, qualora la Corte ritenga di conferire al fatto una qualificazione giuridica diversa, provvederà d'ufficio, con ordinanza, al rinvio per la trattazione in udienza pubblica o camerale partecipata, indicandone la ragione; la disposizione risponde alla necessità di garantire il contraddittorio laddove la Corte intenda discostarsi dalla qualificazione attribuita al fatto dal giudice di merito, sul presupposto che non si verificherà alcuna violazione del diritto di difesa dell'imputato soltanto nel caso in cui la difesa sia stata posta nelle condizioni di interloquire in ordine alla nuova imputazione. Il legislatore della riforma ha provveduto ad adeguare le disposizioni relative all'annullamento con rinvio (art. 623 c.p.p.) in attuazione della disciplina del procedimento in assenza: così, quando viene annullata una sentenza di condanna, nei casi previsti dall'art. 604, comma 5-bis c.p.p. (dichiarazione d'assenza in mancanza dei presupposti) la Corte dispone la trasmissione degli atti al giudice del grado e della fase in cui si è verificata la nullità. Quando sia annullata una sentenza di condanna, ove la dichiarazione di assenza sia intervenuta nel rispetto dei presupposti di legge ma l'imputato dimostri di non avere realmente avuto conoscenza del processo, la Corte dispone, ex art. 604, comma 5-ter, la trasmissione degli atti in favore del giudice del grado e della fase in cui può esercitarsi la facoltà dalla quale l'imputato è decaduto, salvo, tuttavia, che non emerga che l'imputato fosse a conoscenza del processo e nelle condizioni di comparire prima della pronuncia della sentenza. Infine, il legislatore della riforma si fa carico di inserire, con il Titolo III-bis aggiunto al Libro IX, un nuovo istituto destinato a sostituire la cd. revisione europea, affidando alla Corte di cassazione la riapertura del processo definito con sentenza o decreto penale irrevocabili che siano stati adottati in violazione di diritti riconosciuti dalla Convenzione. Si tratta di un rimedio straordinario, poiché riguarda sentenze e decreti penali definitivi e fa seguito all'accoglimento del relativo ricorso da parte della Corte EDU, nella prospettata violazione di norme convenzionali ovvero di quelle contenute nei protocolli addizionali, sostanziali o processuali; con l'attribuzione del rimedio alla Corte di cassazione si intende garantire l'uniformità delle decisioni, anche in conformità al diritto convenzionale, in coerente correlazione alla funzione nomofilattica svolta dalla giurisprudenza di legittimità. La legittimazione a presentare il ricorso – da proporsi nel termine di novanta giorni dalla definitività della sentenza della Corte europea o dalla cancellazione della causa dal ruolo per il caso ex art. 37 Conv. EDU – è riconosciuta, ai sensi dell'art. 628-bis c.p.p., al condannato in via definitiva e alla persona cui sia stata applicata una misura di sicurezza che abbiano proposto ricorso per il riconoscimento di una violazione convenzionale alla Corte europea, la quale abbia accolto la doglianza. Per il caso di morte dell'interessato, la norma (comma 2) prevede la legittimazione in capo al congiunto (non già, come stabilisce l'art. 632, comma 1, lett. a), c.p.p. anche all'erede), a mezzo di difensore munito di procura speciale; la domanda rivolta alla Corte di cassazione avrà ad oggetto la revoca della sentenza (ovvero del decreto penale di condanna) che era stata emessa nei suoi confronti: ai sensi dell'art. 628-bis, comma 2, c.p.p. debbono essere specificamente indicate le ragioni che giustificano la domanda proposta alla Corte. Sono stabilite a pena di inammissibilità la mancata indicazione delle specifiche ragioni che giustificano la richiesta, la mancata legittimazione del proponente, l'inosservanza delle regole sulla procura speciale, delle forme e del termine per la proposizione del ricorso (art. 628-bis, comma 3, c.p.p.); dalla non tempestiva produzione della documentazione non scaturirà invece l'inammissibilità della domanda, in quanto è stato ritenuto che il materiale posto a sostegno della medesima possa essere depositato anche successivamente alla proposizione dell'istanza. Il rinvio, di cui all'art. 628-bis, comma 5, c.p.p. all'art. 611 c.p.p. postula che il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione sia trattato in camera di consiglio: gli esiti della procedura sono, in sostanza, riconducibili a tre ipotesi: la Corte assumerà i provvedimenti necessari a rimuovere gli effetti pregiudizievoli della condanna, se del caso previa revoca della sentenza o del decreto penale, sul modello dell'annullamento senza rinvio; potrà disporre, ove necessario, la trasmissione degli atti al giudice dell'esecuzione; potrà infine determinarsi a disporre la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva quando si è verificata la violazione, così originandosi una sorta di annullamento con rinvio. In via preliminare, (l'art. 628-bis, comma 4, rinvia all'art. 635 c.p.p.) dovrà essere valutata la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, sospensione che potrà accompagnarsi all'applicazione di misure cautelari coercitive, analogamente a quanto è previsto per il procedimento di revisione. Infine, sulla base della clausola di espressa riserva a favore dell'art. 628-bis c.p.p., contenuta all'art. 629-bis c.p.p., sarà esperibile il rimedio europeo, a fronte dell'accertata violazione da parte della Corte EDU dei diritti dell'imputato di partecipare al processo, mentre la rescissione del giudicato (di competenza delle corti d'appello) costituisce rimedio rispetto alla mancata partecipazione al processo conseguente alla violazione delle norme nazionali nel corso del procedimento. Si discute in dottrina in ordine all'applicabilità della novella alla materia di misure di prevenzione, dato che gli articoli 10 e 27 del Codice Antimafia disciplinano le impugnazioni in questa materia in maniera autonoma nei tempi e nei modi; si è detto innanzi che nel periodo emergenziale era stata introdotta una specifica deroga alla disciplina ordinaria con l'articolo 23-bis comma 7 del decreto legge 137 del 2020 (in base al quale le disposizioni di tale articolo si applicavano, in quanto compatibili, anche nei procedimenti di prevenzione) resa necessaria per consentire le deroghe per la trattazione cartolare e da remoto. In senso favorevole a tale soluzione depone l'idea che le novelle introdotte dalla riforma all'articolo 581c.p.p. incidono sui principi generali in materia di impugnazioni penali. Attualmente la disciplina ordinaria riprenderà vigore dalla cessazione dello stato emergenziale e ci si chiede se la materia di impugnazioni in tema di prevenzione sia stata o meno toccata dalla riforma in esame: in prevalenza si ritiene che la normativa disciplini in maniera molto specifica i soggetti legittimati, il termine di impugnazione, le modalità di trasmissione del fascicolo del pubblico ministero, la mancanza di effetto sospensivo e i tempi del giudizio di appello, nonché i possibili esiti; quanto all'udienza, la previsione ordinaria è quella di un giudizio camerale che diventa di pubblica udienza su espressa richiesta dell'interessato e l'articolo 10 comma 4 precisa che per la proposizione e la decisione dei ricorsi si osservano, in quanto compatibili, le norme riguardanti i ricorsi in materia di misure di sicurezza e quindi l'articolo 680 c.p.p. che a sua volta richiama le disposizioni generali delle impugnazioni. Potrebbe allora esserci lo spazio sistematico per sostenere che, divenuto cartolare in assenza il rito ordinario dell'impugnazione di appello, con decreto la Corte possa (o debbaa) comunque fissare un' udienza cartolare assegnando contestualmente il termine per la presentazione di conclusioni scritte e memorie, ferma restando la possibilità dell'interessato di chiedere la trattazione in presenza (da svolgersi con rito camerale partecipato salvo che la richiesta si estenda anche alla pubblica udienza). La richiesta di trattazione in presenza e in pubblica udienza potrebbe essere avanzata dall'interessato anche quando sia il pubblico ministero a impugnare un decreto che abbia respinto la sua richiesta di applicazione della misura. A giudizio di taluni una soluzione, almeno temporanea, potrebbe derivare dal testo dell'art. 17 del d.l. n. 75 del 22 giugno 2023, vigente dal 23 giugno 2023, a norma del quale l'art. 94, comma 2, del decreto legislativo n. 150/2022 è stato modificato stabilendo che “per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis commi 1, 2, 3, 4 e 7 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176”. Si è anche previsto che qualora siano proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini di cui sopra, si faccia riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo. In sostanza, si è assistito ad una nuova e ulteriore proroga del regime transitorio emergenziale per i giudizi di appello, con relativo slittamento dell'entrata in vigore delle novità della cd. Riforma Cartabia. |