Istanza di revoca della confisca da parte del soggetto che abbia partecipato al procedimento di merito (o sia stato messo in condizioni di parteciparvi) (l. n. 575/1965)

Corinna Forte

Inquadramento

ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 159/2011, la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta, nelle forme previste dagli artt. 630 e ss. c.p.p., in quanto compatibili, alla Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 dello stesso codice: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

In ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura.

La richiesta di revocazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi di cui al comma 1, salvo che l'interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.

Quando accoglie la richiesta di revocazione, la Corte di appello provvede, ove del caso, ai sensi dell'art. 46, disponendo il rimborso in favore dell'interessato del controvalore del bene confiscato, detratte le spese e le migliorie.

Quanto al diritto di procedere alla revoca della confisca, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la misura di prevenzione della confisca è soggetta soltanto alla revoca ex tunc su iniziativa di quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o siano stati messi in condizione di prendervi parte, per il caso in cui si accerti sulla base di elementi nuovi e sopravvenuti, l'invalidità genetica del provvedimento per difetto di uno o più dei presupposti di legge.

La revoca, di converso, non può essere richiesta da chi, pur dovendo intervenire perché formalmente titolare dei beni sequestrati, non sia stato chiamato a partecipare al procedimento e, comunque, non vi abbia partecipato. In tal caso l'esistenza delle condizioni per la dichiarazione dell'inefficacia del provvedimento può e deve farsi valere mediante il ricorso a incidente di esecuzione.

Formula

TRIBUNALE di ...

Sezione per l'applicazione di misure di prevenzione [1]

N. ... RGMP

Tizio, nato a ... il ... residente in ... alla via ... n. ...,

rappresentato e difeso da ..., come da procura in calce alla presente istanza

titolare del diritto di proprietà sul seguente bene:

- ...;

- ...;

PREMESSO

che in data ... è stato notificato provvedimento di sequestro di prevenzione ex art. 2-ter, l. n. 575/1865, emesso dal Tribunale in intestazione, nel procedimento patrimoniale a carico di: ...;

che all'esito dell'udienza camerale il tribunale, disattese anche le difese del sottoscritto istante, con decreto ... del ... ha disposto la confisca dei beni;

che il decreto di confisca è passato in giudicato dal ...;

che, tuttavia, tale provvedimento appare viziato e va revocato con efficacia ex tunc, concorrendo i seguenti elementi nuovi e sopravvenuti, che attestano l'invalidità genetica del provvedimento, assunto in difetto dei presupposti di legge:

- ...;

- ...;

- ...;

- ...;

che gli elementi indicati dimostrano l'insussistenza dei presupposti legittimanti la confisca e che si deve addivenire alla revoca dell'ablazione;

tutto ciò premesso

CHIEDE

che l'Ecc.mo Tribunale,

fissata l'udienza in camera di consiglio, voglia dichiarare l'invalidità genetica della confisca e revocare la misura assunta sui seguenti beni:

- ...;

- ....

Con restituzione degli stessi agli aventi diritto e cancellazione di ogni iscrizione, trascrizione e/o formalità comunque pregiudizievole in danno dell'istante.

Si allega la seguente documentazione:

Con osservanza

Luogo e data ...

Firma ...

1. Il Giudice è lo stesso che ha emesso il decreto di confisca di cui si chiede la revoca.

Commento

Durante la vigenza della l. n. 575/1965 la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che il decreto di confisca deliberato ai sensi dell'art. 2-ter era suscettibile di revoca ex tunc a norma dell'art. 7, l. n. 1423/1956 allorché fosse affetto da invalidità genetica, con la conseguenza che, in tal caso, doveva essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostandovi l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi.

In specie (cfr. Cass. I, n. 21369/2008) si è precisato che la relativa richiesta, inerendo all'ambito delle rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 e ss. c.p.p., postula l'acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, ovvero l'inconciliabilità di diversi provvedimenti giudiziari, oppure che il procedimento di prevenzione si sia fondato su atti falsi o su un altro reato - elementi, comunque, tutti preordinati a dimostrare l'insussistenza di uno o più del presupposti del provvedimento di confisca - e non già nuove valutazioni di circostanze già apprezzate nel corso del giudizio conclusosi con il provvedimento di cui si chiede la revoca.

È, quindi, consentito accertare - oggi per allora e nello spazio non precluso dalla definitività del provvedimento - l'originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione.

La peculiare natura del descritto giudizio, come costruito dalla Suprema Corte, impone una valutazione senza dubbio restrittiva della nozione di elementi nuovi e sopravvenuti”, nel senso, cioè, che la revoca della misura patrimoniale coperta da giudicato sia praticabile solo in presenza di prove nuove perché non conosciute al momento dello svolgimento del giudizio di merito (in quanto non formatesi ancora, ovvero già esistenti ma non ancora scoperte) o comunque conoscibili secondo l'ordinaria diligenza.

Dunque, deve trattarsi di dati istruttori non sottoposti al vaglio dell'A.G. perché oggettivamente non allegabili, e non già di elementi conosciuti in precedenza o conoscibili nei termini indicati ma, semplicemente, non allegati per strategia difensiva o inerzia processuale (così Cass. S.U., n. 57/2007).

Del resto, testualmente nella citata sentenza delle S.U. si chiarisce che la definitività del provvedimento impugnato “preclude di rimettere in discussione con l'istanza atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili”.

In sintesi, il previgente assetto normativo delle misure di prevenzione patrimoniali non contemplava il caso della sopravvenienza di elementi di prova decisivi, idonei ad infirmare il giudicato di prevenzione: come accennato, prima dell'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione l'unico modello normativo di rilievo al fine qui considerato poteva rinvenirsi, infatti, nel disposto di cui all'art. 7, comma 2, della l. n. 1423/1956, che disciplinava l'istituto della revoca della misura di prevenzione personale, ancorché definitiva, nell'ipotesi di cessazione della causa che l'aveva determinata.

A fronte di tale lacuna del sistema, che la giurisprudenza tentava di colmare attraverso l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 629 ss. c.p.p., le Sezioni Unite affermarono che all'istituto della revisione, così come previsto dal codice di rito, non poteva farsi ricorso per via analogica riguardo ai provvedimenti applicativi di misure di prevenzione personali adottati ai sensi della richiamata l. n. 1423/1956, in quanto l'interesse tutelato da quel mezzo straordinario di impugnazione poteva essere soddisfatto - se finalizzato al riconoscimento dell'insussistenza originaria delle condizioni legittimanti l'adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione - attraverso l'utilizzo della revoca prevista dall'art. 7, comma 2, l. cit. (S.U., n. 18/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210041); tale conclusione veniva ritenuta costituzionalmente obbligata, ai sensi dell'art. 24, comma 3, Cost., per assicurare, attraverso l'istituto della revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario di impugnazione teso a riparare all'errore giudiziario.

Nell'impostazione delineata dalla Sezioni Unite Pisco emergevano, in particolare, due direttrici argomentative utilizzate al fine di legittimare l'attivazione dell'istanza di revoca: la novità degli elementi prospettati a sostegno della richiesta e, qualora fosse stato invocato il difetto genetico dei presupposti applicativi della misura di prevenzione personale, la non necessità che quegli elementi si riferissero ad eventi sopravvenuti alla sua adozione, purché si trattasse, in ogni caso, di circostanze non valutate nel corso del relativo giudizio.

Nel solco così tracciato si è in seguito posta un'altra decisione delle Sezioni Unite (S.U., n. 57/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955), la cui base argomentativa, sempre nella prospettiva di colmare la lacuna normativa derivante dall'assenza, nel sistema delle misure di prevenzione, di una impugnazione straordinaria corrispondente a quella della revisione del giudicato penale, ha ulteriormente ampliato gli effetti della richiamata linea interpretativa anche nel settore delle misure di prevenzione patrimoniali, sottolineando che, in caso contrario, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi in grado di dare attuazione al disposto di cui all'art. 24, comma 3, Cost., ove si impone di determinare con la legge le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari; l'irreversibilità dell'ablazione, infatti, non esclude, secondo tale decisione, la possibilità della restituzione del bene confiscato in favore dell'avente diritto, ovvero la previsione di una eventuale forma riparatoria della perdita patrimoniale ingiustificatamente subita.

L'affinità del giudizio di revoca rispetto alle finalità e alle caratteristiche proprie della revisione non consente di intenderlo come una sorta di impugnazione tardiva che permetta di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato ovvero non è stato dedotto, bensì come uno strumento straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici.

La risoluzione del giudicato, insomma, non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un'inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), ma l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo; ne deriva che non può costituire “prova nuova” un dato già esistente negli atti processuali, sia pure non conosciuto o valutato dal Giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri di ufficio.

Quanto al diritto di procedere alla revoca della confisca, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la misura di prevenzione della confisca è soggetta soltanto alla revoca ex tunc su iniziativa di quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o siano stati messi in condizione di prendervi parte, per il caso in cui si accerti sulla base di elementi nuovi e sopravvenuti, l'invalidità genetica del provvedimento per difetto di uno o più dei presupposti di legge.

La revoca, invece, non può essere richiesta da chi, pur dovendo intervenire perché formalmente titolare dei beni sequestrati, non sia stato chiamato a partecipare al procedimento e, comunque, non vi abbia partecipato. In tal caso l'esistenza delle condizioni per la dichiarazione dell'inefficacia del provvedimento può e deve farsi valere mediante il ricorso a incidente di esecuzione (così la già citata sentenza n. 57).

Di recente si è ribadito che in tema di prevenzione, il terzo intestatario che abbia rivendicato nel procedimento di merito l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni ritenuti a lui fittiziamente intestati è privo di legittimazione e interesse alla revoca del provvedimento di confisca in sede di esecuzione, essendo ormai intervenuta - all'esito di un procedimento in cui ha potuto svolgere ogni ammissibile deduzione - una decisione definitiva che ha escluso la sua titolarità (così Cass. I, n. 5050/2020).

Da segnalare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24/2019, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, l. n. 1423/1956 dell'art. 1, lett. a) del d.lgs. n. 159/2011 per quanto attiene alle misure personali nonché dell'art. 19, l. n. 152/1975 nella parte in cui stabilisce che il sequestro e la confisca previsti dall'art. 2-ter, l. n. 575/1965 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) si applicano anche alle persone indicate nell'art. 1, n. 1), l. n. 1423/1956 e dell'art. 16, d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli artt. 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell'art. 1, comma 1, lettera a).

Ciò a causa della perdurante impossibilità di selezionare in maniera chiara le condotte la cui perpetrazione possa costituire il ragionevole presupposto per un giudizio di pericolosità del potenziale destinatario della misura e, parallelamente, consentire l'irrogazione di misure ablative, difettando qui la presunzione di ragionevole origine criminosa dei beni, che costituisce la ratio delle misure di prevenzione patrimoniali.

Pertanto, si è ritenuto che le norme in questione non soddisfacessero le esigenze di precisione imposte tanto dall'art. 13 Cost. quanto (in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost.) dall'art. 2 del Prot. n. 4 CEDU per ciò che concerne le misure di prevenzione personali, né quelle imposte dall'art. 42 Cost. e (in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost.) dall'art. 1 del Prot. addiz. CEDU in ordine alle misure patrimoniali.

Da ciò è conseguita l'illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni che consentono di applicare le misure di prevenzione personali e patrimoniali ai soggetti indicati nell'art. 1, n. 1), l. n. 1423/1956, poi confluito nell'art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 («coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi»).

Tanto potrebbe comportare, in prospettiva, la scelta di richiedere la revoca della confisca definitiva disposta a carico di un soggetto “abitualmente dedito a traffici delittuosi” in ragione del sopravvenuto mutamento della situazione normativa e dell'espunzione dal sistema della citata categoria personologica.

All'uopo probabilmente non potrebbe essere invocato l'art. 28 del Codice Antimafia che, si vedrà, contempla ipotesi molto specifiche di revocazione tra le quali non pare esservi spazio per la presente; forse allora lo strumento azionabile sarà quello generale della revoca di cui al vecchio art. 7, l. n. 1423/1956, oggi trasfuso nell'art. 11 del Codice Antimafia che, in modo ampio, consente di chiedere la revoca o la modifica del provvedimento “quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato”.

Il tema è stato specificamente affrontato recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che le sentenze della Corte costituzionale, nella parte in cui dichiarano di infondatezza della questione sollevata fornendo indicazioni interpretative che escludano il vizio di incostituzionalità, non consentono la revoca dei provvedimenti definitivi tenuto conto che l'art. 30, l. n.  87/1957 prevede il superamento del giudicato solo nel caso di sentenza che dichiari l'incostituzionalità di una norma penale o processuale che incita sul trattamento sanzionatorio: nel caso concreto all'esame della Suprema Corte, si trattava di una confisca disposta in relazione alla riconosciuta pericolosità del soggetto proposto ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 e qui si è precisato che, essendo il relativo procedimento stato già definito con decreto irrevocabile, il provvedimento ablatorio non poteva essere revocato sulla base delle indicazioni interpretative fornite dalla sentenza prima citata n. 24/2019 nella parte in cui non ha dichiarato l'incostituzionalità di questa specifica disposizione (così Cass. VI, n. 29551/2020).

Le Sezioni Unite, di recente, hanno aderito ad un'interpretazione restrittiva dell'art. 28, comma 2 cit.

Depone in questo senso, in primo luogo, il tenore letterale della disposizione, che, nel suo incipit ("in ogni caso"), delinea una "fattispecie aperta": del tutto superfluo nell'interpretazione della disposizione offerta dall'impostazione restrittiva, tale incipit individua quale condizione legittimante della revocazione ipotesi diverse da quelle - espressione di elementi fattuali - delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca, fermo restando quanto già rilevato in ordine all'irrilevanza, ai fini dell'idoneità a legittimare il ricorso alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti, quali, ad esempio, il sopravvenire di una legge abrogatrice della disposizione relativa a una figura soggettiva di pericolosità, in considerazione della diversità strutturale, messa in luce, come si è visto, da S.U., Gatto (v. supra), tra abrogazione e declaratoria di illegittimità costituzionale, idonea, quest'ultima, a dar corpo a una carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione. D'altra parte, la stessa formulazione dell'art. 28, comma 3 cit., lì dove, come si vedrà, specifica la portata della previsione del termine, è in linea con l'interpretazione qui accolta. In secondo luogo, sul piano sistematico, l'interpretazione accolta attribuisce alla disposizione in esame un significato normativo di cui - come riconoscono gli stessi fautori della tesi qui non condivisa - altrimenti sarebbe priva, sicché, sotto questo profilo, risulta in linea con i canoni dell'interpretazione utile. Così interpretato, il d.lgs. n. 159/2011, art. 28, comma 2, include nel proprio ambito applicativo la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, che, avendo investito in toto una delle figure di pericolosità sociale giustificatrici - anche - della confisca, integra senz'altro quel difetto originario dei presupposti per l'applicazione del provvedimento ablatorio che costituisce, nei termini indicati, condizione applicativa della revocazione.

La connotazione della declaratoria di illegittimità costituzionale, che, almeno di regola, attesta, per riprendere l'espressione di S.U., Gatto, l'"invalidità originaria" della norma incostituzionale è del tutto in linea con la tradizionale impostazione della giurisprudenza costituzionale, secondo cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale "colpisce la norma fin dalla sua origine, eliminandola dall'ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici" (Corte cost., n. 127/1966; conf., ex plurimis, Corte cost., n. 56/1967). L'invalidità originaria tipica della declaratoria di illegittimità costituzionale si salda con l'art. 28, comma 2, cit., nell'interpretazione accolta, così consentendo alla decisione di accoglimento del Giudice delle leggi di incidere anche sulla misura patrimoniale divenuta definitiva. Tale interpretazione risolve così entrambi i problemi collegati alla questione rimessa alla cognizione delle Sezioni Unite. Da una parte, essa offre un fondamento giustificativo, saldamente ancorato al dato legislativo, all'idoneità della declaratoria di illegittimità costituzionale a incidere su confische divenute irrevocabili; dall'altra, individua il rimedio - appunto la revocazione ex art. 28 cit. - per far valere l'invalidità originaria della norma, ossia la carenza originaria del requisito soggettivo della confisca.

Per lo strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, le Sezioni Unite, affermavano conclusivamente il seguente principio di diritto: «In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte cost., n. 24/2019, è la richiesta di revocazione, di cui all'art. 28, comma 2, d.lgs. 159/2011». (Cass. S.U., n. 3513/2022).

A diverse conclusioni deve giungersi con riguardo alla confisca disposta a norma dell'art. 16 in relazione al d.lgs. n. 159/2011, art. 1, lett. b).

Infatti, la Suprema Corte ha stabilito il principio di diritto secondo cui la Corte di Cassazione, qualora sia investita del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura che, prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 159/2011, art. 1, comma 1, lett. a), ad opera della sentenza della Corte cost., n. 24/2019, abbia inquadrato la pericolosità sociale del proposto nelle fattispecie di cui alle lett. a) e b) del citato art. 1, non è tenuta a disporre l'annullamento con rinvio di tale provvedimento per una nuova valutazione del materiale probatorio, in quanto lo stesso è già stato delibato nel contraddittorio delle parti e ritenuto sufficiente a ricavarne la ricorrenza dei presupposti delle misure di prevenzione, per essere il proposto annoverabile anche nella categoria criminologica di cui alla citata lett. b) dell'art. 1 cit. (Sez. VI, n. 38077/2019, Falasca, cit.); fermo restando che il fondamento giustificativo della confisca basato sulla categoria criminologica non investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale deve connotarsi nei termini di autonomia e autosufficienza sopra indicati (Cass. S.U., n. 3513/2022).

Il concetto di “prova nuova”

Con riferimento al sistema anteriore alla riforma del 2011 e, quindi, a istituti di creazione giurisprudenziale e all'originario modello di cui al citato articolo 7, il concetto di prova “nuova” è stato oggetto di interpretazioni diverse e tra loro contrastanti: secondo un primo orientamento giurisprudenziale, essenzialmente formatosi sulla scia delle richiamate sentenze Pisco e Auddino, la revoca della confisca di prevenzione per difetto genetico dei suoi presupposti di adozione può disporsi in presenza di "elementi nuovi", non necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati nel corso del relativo procedimento, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto, che non può, di conseguenza, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione (Cass. V, n. 148/2015).

Si colloca all'interno di tale indirizzo una serie di decisioni che, nell'affermare la sostanziale sovrapponibilità dell'istituto della revoca ex tunc a quello della revisione delle sentenze penali, fanno per lo più riferimento a casi di revoca in funzione di revisione della confisca per effetto della disposizione normativa di cui all'art. 7, comma 2, l. cit., in quanto ritenuta applicabile ratione temporis, e non a casi di revocazione della confisca successivamente prevista dall'art. 28, d.lgs. cit. (Cass. II, n. 41507/2013 Auddino; Cass. II, n. 4312/2012); nello stesso senso si sono pronunciate altre decisioni (Cass. VI, n. 3943/2016), secondo cui la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 ss. c.p.p., postulando l'acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, che devono come tali individuarsi anche in quelle che, nemmeno implicitamente, siano state valutate.

Nella medesima prospettiva si è inoltre affermato, richiamando il principio stabilito da S.U., n. 624/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443, che in tema di confisca di prevenzione costituiscono prove nuove deducibili a fondamento sia della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'art. 7, l. cit., sia della domanda di revocazione ai sensi dell'art. 28, d.lgs. cit., elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano stati concretamente dedotti e perciò mai valutati (Sez. I, n. 10343/2020, Venuti, Rv. 280856).

A tale orientamento estensivo se ne contrappone un altro, anch'esso formato da pronunce emesse in relazione a fattispecie disciplinate dalla previgente disposizione di cui all'art. 7, l. cit., che accoglie invece un'interpretazione restrittiva del concetto di "novità" della prova, qualificando come "nuove", e dunque rilevanti ai fini della revoca della misura di prevenzione della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludendo quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte.

Secondo tale indirizzo interpretativo, l'istituto della revoca del provvedimento applicativo di misure di prevenzione con forza di giudicato costituisce una misura straordinaria, attivabile solo dinanzi all'emergere di una prova "nuova e 8 sconosciuta" nel procedimento di prevenzione, tale da mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata (Cass. VI, n. 44609/2015); in particolare, si ritiene "nuova e sconosciuta" solo quella prova che, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, si presenta, sul piano sostanziale, come un fattore che determina "una decisiva incrinatura del corredo fattuale stesso sulla cui base era intervenuta la decisione" e che, sul piano processuale, risulta "sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione”.

Solo interpretando in questi termini il concetto di "novità" della prova, si afferma, l'istituto della revocazione del provvedimento di confisca affetto da invalidità genetica diviene lo strumento attraverso il quale rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario in cui è incorso il Giudice nell'emanare un provvedimento ingiusto, evitando di trasformarsi in un mezzo attraverso il quale rivalutare elementi già considerati, oppure non valutati in quanto non dedotti, seppure deducibili nell'ambito del procedimento di prevenzione (Cass. I, n. 20318/2010).

La Corte di Cassazione ha chiarito che ai fini del giudizio di revisione (cui è assimilata la richiesta di “revoca” delle misure con effetto ex tunc) non costituisce prova nuova una diversa e nuova valutazione tecnico-scientifica di dati già apprezzati e, pertanto, le valutazioni di una consulenza eseguita dopo la definitività del provvedimento ablatorio in tanto possono proporsi come nuova prova critica in quanto si fondino su nuovi elementi di prova non conosciuti o non valutati dal Giudice, poiché le nuove valutazioni, altrimenti, si risolvono esclusivamente in apprezzamenti critici di emergenze oggettive già conosciute ed apprezzate nel giudizio, in violazione del principio dell'improponibilità, mediante la revisione, di ulteriori prospettazioni di situazioni già constatate (Cass. II, n. 25577/2009).

Si è ritenuto che prova nuova, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura di prevenzione della confisca sia solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, ovvero quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell'ambito del procedimento indicato (Cass. V, n. 28628/2017; Cass. II, n. 11818/2012); il principio è stato recentemente ribadito da Cass. II, n. 28941/2020 e da Cass. VI, n. 17854/2020).

Per prove nuove “sopravvenute”, poi, devono intendersi anche quelle preesistenti ma scoperte solo dopo che la revocanda statuizione di confisca sia divenuta definitiva e, quindi, non valutate nemmeno implicitamente (fattispecie in tema di prova dichiarativa della simulazione della compravendita dell'immobile oggetto di confisca, già accertata in sede civile e valutata irrilevante in sede di emissione del decreto di confisca; Cass. II, n. 23928/2020).

Ancora, Cass. VI, n. 44609/2015, ha precisato che la prova nuova, in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell'ambito di esso.

Il principio è stato riaffermato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, ove si è ribadito che ai fini della revoca della confisca definitiva non costituisce fatto nuovo il mero passato in giudicato della sentenza di assoluzione nel processo penale in cui il soggetto proposto era imputato e il cui contrasto con il provvedimento ablatorio sia già stato in precedenza valutato, in quanto l'irrevocabilità della pronuncia assolutoria costituisce un dato puramente formale non in grado di interferire di per sé con un precedente giudicato (così Cass. VI, n. 29551/2020).

In tema di confisca di prevenzione prevista dal d.lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della l. n. 136/2010, c.d. codice antimafia), segnaliamo l'ordinanza con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: «se, in tema di revocazione della confisca, disposta ai sensi dell'art. 28, d.lgs. 159/2011, nelle “prove nuove” decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento debbano includersi anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state concretamente dedotte e perciò mai valutate, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata al fine della revisione nel procedimento penale»(Cass. V, n. 4292/2022). La sentenza n. 43668/2022 delle Sezioni Unite

Con la pronuncia indicata in epigrafe, depositata il 17 novembre 2022, la Cassazione nel suo più autorevole consesso ha analizzato in modo approfondito la questione di diritto concernente la nozione di “prova nuova” ai fini della revocazione, chiarendo se in tale concetto possano ricomprendersi anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene deducibili in tale sede, non siano però state dedotte (e perciò valutate), in conformità alla nozione di prova nuova come elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale.

Preliminarmente, la Corte riassume ed esamina i due diversi orientamenti giurisprudenziali innanzi citati proprio in ordine alla definizione del concetto di "novità" della prova, con specifico riferimento alla corretta delimitazione delle ipotesi in cui una prova che si intende dedurre dopo la conclusione del procedimento possa ritenersi "sopravvenuta" e "nuova", così da legittimare la revocazione della confisca di prevenzione; con l'entrata in vigore del ricordato articolo 28 l'orientamento “restrittivo” si è sempre più affermato giungendo ad escludere che siano “nuove” le prove derivanti da investigazioni difensive svolte dopo l'applicazione della misura giacchè si è ritenuto che la novella, modificando il panorama normativo in precedenza disciplinato dall'art. 7, comma 2, l. cit., abbia avvicinato la revocazione della confisca di prevenzione all'istituto processual-civilistico della revocazione ex art. 395 c.p.c., in termini sia nominalistici che sostanziali, con la conseguenza che potrà aversi la revocazione della confisca sia nel caso di prove decisive che, pur essendo preesistenti alla formazione del giudicato, siano state scoperte successivamente allo stesso, sia nel caso di prove scoperte dopo il passaggio in giudicato del provvedimento relativo alla confisca di prevenzione, perché effettivamente formatesi solo in seguito (Cass. VI, n. 31937/2019).

Sulla stessa linea interpretativa, inoltre, si sono poste decisioni che, nel rilevare l'affinità esistente fra l'istituto della revisione e quello della revocazione, ne hanno tuttavia sottolineato la diversa rilevanza nel contesto costituzionale: la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione ex tunc, viene dunque individuata in quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento e non anche in quella deducibile, ma, per qualsiasi motivo, non dedotta rimarcandosi, entro tale prospettiva, la differenza con il concetto di "novità" rilevante ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p.

Ciò premesso, le Sezioni Unite rimarcano come, all'interno dell'orientamento restrittivo, siano emerse due distinte opzioni esegetiche a seconda che il concetto di "novità" venga inteso in senso strettamente sostanziale (intendendosi per "prova nuova" solo quella che sopravviene alla statuizione di confisca e, come tale, viene scoperta successivamente al giudicato, perché dopo tale momento si è formata) ovvero che si attribuisca al concetto di "novità" un significato non solo sostanziale, ma anche conoscitivo (per cui la prova nuova può individuarsi anche in quella preesistente alla statuizione definitiva della confisca, ma ad essa sopravvenuta perché solo successivamente scoperta dall'interessato).

La soluzione viene individuata ricostruendo in dettaglio l'elaborazione giurisprudenziale e rimarcando le differenze – piuttosto che le analogie – tra revocazione e revisione penale: invero, come posto in rilievo da alcune decisioni precedenti (Cass. V, n. 28628/2017; Cass. VI, n. 26341/2019), il generale richiamo operato nell'art. 28, comma 1, d.lgs. cit. alle forme previste dall'art. 630 c.p.p. non consente di ritenere fra loro sovrapponibili i due istituti, poiché essi restano comunque diversi per presupposti sostanziali, disciplina, materia regolata e natura degli interessi tutelati, con la conseguente impossibilità di una soluzione ermeneutica volta a prefigurare un'automatica estensione alla prevenzione patrimoniale dell'ampia interpretazione del concetto di novità della prova elaborato dalla Corte in sede di revisione della condanna, a seguito della citata sentenza Pisano; nell'articolazione testuale dell'art. 28, infatti, il riferimento alla revisione non opera in relazione alla complessiva disciplina dell'istituto, bensì unicamente (e sempre che risultino compatibili) "alle forme" che ne regolano il funzionamento ai sensi degli artt. 630 ss. c.p.p., non avendo il legislatore rinunciato a formulare una casistica autonoma delle ipotesi nelle quali può chiedersi la revocazione.

Ciò premesso, il Collegio ha condiviso la soluzione indicata dal secondo dei su richiamati indirizzi giurisprudenziali, quello definito innanzi come “restrittivo”: ciò sia in forza delle rimarcate differenze tra la revocazione e la revisione penale e sia in base ad alcuni dati testuali (l'art. 28, comma 1, lett. a) prevede, con specifico riferimento al momento della "scoperta" delle prove nuove che esse, oltre ad essere connotate dal carattere della decisività, siano "sopravvenute alla conclusione del procedimento" laddove l'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. fa riferimento non solo al caso della sopravvenienza del novum dopo la condanna ma anche, in via alternativa, all'ipotesi della scoperta di prove nuove, così ammettendo espressamente che le prove nuove siano non solo quelle sopravvenute dopo la condanna, ma anche quelle già prima esistenti, delle quali, tuttavia, sia stata acquisita la conoscenza in epoca successiva).

Non è possibile dunque prescindere, ai fini dell'attuazione del rimedio revocatorio previsto per la confisca di prevenzione, dalla necessaria condizione che gli elementi di prova non siano stati già acquisiti nel corso del relativo procedimento: peraltro, nessun effetto preclusivo può trarsi dalla formulazione lessicale del testo normativo dell'art. 28, lett. a), d.lgs. cit., poiché il termina ivi utilizzato ("scoperta") comprende non solo la successiva formazione di elementi cognitivi prima inesistenti o in alcun modo oggettivamente rilevabili, ma anche la possibilità di una successiva acquisizione alla conoscenza - casualmente o a seguito di ricerca - di dati o fatti prima incolpevolmente ignorati.

La correttezza di tale soluzione ermeneutica è agevolmente rinvenibile anche alla luce della disciplina normativa della seconda ipotesi di revocazione di cui all'art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., che il legislatore delinea facendo riferimento ad uno specifico tipo di prova documentale (le sentenze penali definitive), per il quale si prevede, ancor più chiaramente, che possa essere integrato, in via alternativa, da quelle "sopravvenute" ovvero da quelle soltanto "conosciute" in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione (sebbene preesistenti), così introducendo plasticamente una differenziazione tra le due connotazioni, accostate in forma disgiunta per la loro ontologica diversità: "sopravvenute", dunque, devono ritenersi le sentenze penali formate dopo la conclusione del provvedimento di prevenzione, mentre "conosciute in epoca successiva" sono quelle ad esso preesistenti.

Sulla base del raffronto fra le due disposizioni deve inoltre ritenersi che il legislatore abbia inteso specificare, in relazione alla peculiare ipotesi di revocazione prevista nell'art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., la nozione di decisività della prova, stabilendo la regola secondo cui anche le sentenze penali definitive, come qualsiasi altro tipo di prova nuova, devono essere idonee a determinare, alla luce dei fatti ivi accertati, l'esclusione "in modo assoluto" dell'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca. Una regola, questa, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello che in linea generale deve caratterizzare "ogni caso" di revocazione (ex art. 28, comma 2, d.lgs. cit.), dovendo la relativa richiesta essere comunque finalizzata a "dimostrare il difetto originario" dei presupposti per l'applicazione della misura ablativa.

La diversità della regola di giudizio, peraltro, può cogliersi anche in relazione alle peculiari connotazioni dello statuto probatorio del procedimento di prevenzione, che presenta rilevanti tratti di autonomia rispetto al giudizio penale.

Sono infatti diversi: a) l'oggetto dell'accertamento, che nel primo è costituito dalla pericolosità del soggetto, desunta da specifiche circostanze; b) i relativi strumenti di verifica, attraverso la individuazione di circostanze aventi rilevanza indiziante ai fini della pericolosità; c) la finalità del procedimento, che nel giudizio di prevenzione è quella di garantire la sicurezza collettiva, non la repressione punitiva per i fatti di reato accertati.

Al riguardo, in particolare, occorre considerare che: a) l'azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale (art. 29, d.lgs. cit.); b) l'art. 18, d.lgs. cit. disciplina la prosecuzione dell'azione di prevenzione o l'esercizio di essa, in caso di decesso del soggetto socialmente pericoloso, nei confronti dei suoi eredi o aventi causa; c) il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all'art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., atteso che la misura di prevenzione patrimoniale può essere revocata solo ed esclusivamente se il processo penale abbia accertato, nel merito, l'assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca.

Alla luce di tale autonomia di rapporti fra i due modelli cognitivi ben si giustifica, pertanto, la diversa valenza che può assumere la nozione di decisività del novum probatorio nel giudizio di revisione e in quello di revocazione della confisca: nel giudizio di revisione, infatti, l'acquisizione anche di una sola prova può giustificare la rimozione del giudicato di condanna, se la stessa risulti idonea, di per sé ovvero unitamente a quelle già valutate, a far sorgere almeno un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato laddove, nel procedimento di revocazione, la valutazione relativa alla decisività della nuova prova si assesta su una soglia più avanzata, poiché la stessa può essere apprezzata, attesa la connotazione finalistica che deve orientarne la richiesta per effetto della previsione di cui all'art. 28, comma 2, d.lgs. cit., solo nella prospettiva della sua stretta correlazione all'accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura patrimoniale.

Ulteriore profilo valutato dalla Corte attiene al disposto di cui all'art. 28, comma 3, d.lgs. cit., la cui formulazione, come già rilevato, prevede che la richiesta di revocazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono: nell'ipotesi descritta dalla richiamata lett. a), dunque, è possibile dedurre prove nuove, in relazione a fatti preesistenti o successivi alla conclusione del procedimento di prevenzione, a condizione che venga osservato il su indicato limite temporale.

In forza di tale sbarramento deve ritenersi che la scoperta della prova nuova costituisca, per l'interessato, il momento da cui decorre il termine per opporre alla definitiva statuizione della confisca elementi decisivi che nel corso del giudizio di prevenzione non era stato possibile allegare, nel rispetto delle cadenze individuate dal particolare modello procedimentale previsto nelle disposizioni di cui agli artt. 20, 23 e 24, d.lgs. cit.: al proposto ed ai terzi interessati chiamati ad intervenire nel procedimento è infatti consentito, in presenza delle condizioni previste dall'art. 20, comma 1, d.lgs. cit., di allegare qualsiasi elemento di prova idoneo a giustificare la legittima provenienza dei beni incisi dalla misura ablativa.

L'udienza camerale viene celebrata nel contraddittorio delle parti, dopo il sequestro, proprio al fine di consentire agli interessati l'allegazione di ogni possibile deduzione al riguardo; ne discende che l'istituto della revocazione non può costituire lo strumento per riaprire tardivamente una sequenza procedimentale ormai conclusa, deducendo quelle stesse prove che il proposto e gli interessati ben avrebbero potuto allegare in udienza.

Dalla complessiva ricostruzione del disegno normativo può, dunque, trarsi la conclusione secondo cui le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell'ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio; la particolare disciplina delle deduzioni e l'intero assetto normativo del procedimento di prevenzione non consentono, quindi, di ritenere l'istituto della revocazione sovrapponibile - quanto all'ampiezza degli elementi di prova deducibili - alla ipotesi della revisione del giudicato penale prevista, in caso di nuove prove, dall'art. 630, comma 1, lett. c), cit.

Nel disegno emergente dalla riforma del 2011, pertanto, la revocazione della confisca si discosta sia dall'istituto, pur affine, della revisione della condanna penale, sia dall'antecedente storico rappresentato dall'introduzione per via giurisprudenziale della revoca in funzione di revisione, in forza del decisivo profilo inerente alla tassativa previsione di un limite di ordine temporale ai fini della rivedibilità di una decisione che, in tesi, potrebbe parimenti costituire il frutto di un errore giudiziario, in ragione della preminenza discrezionalmente accordata dal legislatore al valore della certezza dei rapporti giudici insorgenti dal provvedimento definitivo di confisca.

Da tale impostazione ricostruttiva discende, quale logico corollario, che la revocazione della confisca di prevenzione può ritenersi legittimata dalle sole prove che siano ad essa sopravvenute (nel senso della loro materiale formazione), ovvero da quelle decisive che vengano incolpevolmente scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo, pertanto, originariamente preesistenti); non rilevano, pertanto, le prove deducibili ma non dedotte nell'ambito del procedimento di prevenzione.

Le prove nuove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurvi, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all'epoca incolpevolmente sconosciuti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del Giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell'esperimento delle corrispondenti iniziative difensive.

Quanto all'impossibilità dell'interessato di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza di una "causa a lui non imputabile", secondo la previsione espressamente dettata nell'art. 28, comma 3, d.lgs. cit., si richiama la necessità di una verifica in ordine alle circostanze della successiva, incolpevole, scoperta di una prova preesistente, ovvero della corretta perimetrazione dei limiti di deducibilità della prova nell'ambito del procedimento di prevenzione, le tradizionali nozioni di caso fortuito (ossia ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo) e di forza maggiore (intesa come fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, per tale ragione, è irresistibile).

Per sua stessa definizione, infatti, la forza maggiore integra una situazione che, da un lato, non deve essere imputabile in nessuna maniera all'agente, dall'altro lato deve presentare un carattere assoluto, cioè non vincibile né in alcun modo superabile; tale non può affatto considerarsi quella situazione che, con una normale manifestazione di impegno e diligenza, avrebbe potuto essere altrimenti superata e grava, comunque, sul richiedente che adduca un'ipotesi di forza maggiore l'onere di provare un impedimento assoluto, ossia tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili.

In conclusione, la questione posta dall'ordinanza di rimessione è stata risolta – sulla base delle complesse argomentazioni innanzi sitetizzate - enunciando il seguente principio di diritto: “In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 159/2011, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore”.

Di recente la Suprema Corte ha ritenuto necessario stabilire quale sia la nozione di «prova nuova» ai fini della decisione sull'istanza di revoca ex art. 7 della legge n. 1423 del 1956 ed in particolare se essa coincida con la nozione di prova accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca in relazione all'istituto della revocazione disciplinato dall'art. 28 del d.lgs. n. 159 del 2011, ovvero se la nozione di «prova nuova» includa anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento di prevenzione, che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano state dedotte e valutate ex art. 630 cod. proc. pen., in conformità alla nozione di «prova nuova» elaborata ai fini della revisione.

Pertanto, sussistendo un contrasto tra diversi orient amenti, con la sentenza n. 9996/2025 ha rimesso alle Sezioni Unite affinché le stesse si esprimano sulla seguente questione: “Se, ai fini della revoca della confisca ai sensi dell'art. 7, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (nei procedimenti di prevenzione ai quali non si applica ratione temporis l'art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), la nozione di "prova nuova" includa anche le 25 prove preesistenti alla definizione del procedimento che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state dedotte e valutate, in conformità alla nozione di "prova nuova" come elaborata ai fini della revisione ex art. 630 cod. proc. pen. ” (aggiornamento del 28 marzo 2025).

I criteri introdotti dalla legge delega n. 136/2010

La l. n. 136/2010 di delega al Governo per l'emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ha espressamente previsto i criteri e le direttive al legislatore delegato per la revocazione della confisca definitiva.

In particolare se ne è stabilita l'operatività quando: a) siano scoperte nuove prove decisive sopravvenute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione; b) i fatti accertati con sentenze penali definitive escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) la decisione di confisca sia stata pronunciata sulla scorta essenziale di atti riconosciuto come falsi o sulla base di falsità in giudizio o di fatti previsti come reato; d) si possa dimostrare il difetto originario dei presupposti per la confisca.

Ulteriore condizione è che si agisse in revocazione entro sei mesi dalla data in cui si era verificata una delle condizioni indicate o in un termine maggiore se l'interessato avesse dimostrato di non aver avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.

La disciplina attuale

L'art. 28, d.lgs. n. 159/2011 tratteggia, espressamente e in maniera nuova, l'istituto della revocazione della confisca, traducendo nel precetto normativo i principi che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano, in parte, avuto modo di consolidare in anni di elaborazione giurisprudenziale.

La revocazione della decisione definitiva sulla confisca, munita di copertura sia a livello costituzionale (ex art. 24, comma 3, Cost.) che nelle fonti normative internazionali (ai sensi dell'art. 14, par. 6, del Patto internazionale sui diritti civili e politici - adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 2200A (XXI) del 16 dicembre 1966 e ratificato nel nostro ordinamento a seguito della l. n. 881/1977 - e dell'art. 4, par. 2, Prot. 7CEDU, ratificato con l. n. 98/1990), è stata, infatti, espressamente introdotta nell'ordinamento a seguito dell'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, emanato con il d.lgs. n. 159/2011.

Nell'intento del legislatore, la previsione del rimedio introdotto dall'art. 28, d.lgs. cit. mirava a colmare un vuoto normativo all'origine di rilevanti problemi cui la giurisprudenza, come si è accennato, aveva tentato di porre rimedio in via interpretativa con le richiamate decisioni delle Sezioni Unite Pisco e Auddino; secondo la relazione illustrativa di commento al codice antimafia, la previsione di un rimedio ad hoc, delineato in tutti i suoi elementi distintivi (presupposti, ambito di operatività, soggetti legittimati, effetti e finalità), mirava a superare le incertezze legate alla sovrapposizione di strumenti di controllo che connotavano l'applicazione della previgente normativa: il sistema, infatti, consentiva la presentazione di una istanza di revoca in funzione di revisione della confisca da parte di coloro che avevano partecipato al procedimento di prevenzione e contemporaneamente permetteva ai terzi estranei, incisi dal provvedimento, di proporre incidente di esecuzione.

Evenienza procedimentale, questa, che rendeva particolarmente instabile il c.d. "giudicato di prevenzione", da un lato permettendo che i beni confiscati ritornassero, attraverso meccanismi di interposizioni ed intestazioni fittizie spesso difficilmente dimostrabili, nella disponibilità degli ablati, dall'altro lato rendendo impossibile, per i soggetti (nella maggior parte dei casi gli enti comunali) in favore dei quali erano stati destinati i beni confiscati, qualsiasi forma di investimento sui relativi compendi patrimoniali, in funzione del loro riutilizzo per finalità pubbliche o sociali.

Di qui, come posto in rilievo nella relazione illustrativa, l'esigenza di predisporre una disciplina che evitasse tali inconvenienti, bilanciando le opposte esigenze di tutelare gli interessati con la previsione delle necessarie garanzie e, al contempo, di consentire alla confisca di mantenere, dopo la sua "definitività", il connotato della "irreversibilità" degli effetti.

Il legislatore ha ritenuto di prevedere una disciplina unica, volta ad accomunare nella sua sfera applicativa sia i soggetti direttamente coinvolti nel procedimento di prevenzione, sia i terzi titolari di diritti sul bene, superando in tal modo il “doppio binario” tra revoca e incidente di prevenzione; l'istituto viene comunemente fatto rientrare nella categoria dei mezzi straordinari di impugnazione deponendo in tal senso, anzitutto, la sua collocazione normativa, posta all'interno del Capo III del Libro II del d.lgs. n. 159/2011, ossia di un capo autonomo e distinto da quello che immediatamente lo precede, riservato alle impugnazioni ordinarie.

Per espressa indicazione del legislatore, inoltre, esso ha ad oggetto la decisione definitiva sulla confisca di prevenzione e mira alla riparazione di un errore giudiziario, tanto che la sua esperibilità è legata alla ricorrenza di un novum probatorio che, se palesato al momento del provvedimento impugnato, avrebbe condotto ad una decisione di segno inverso; la revocazione, tuttavia, non si presenta come un'azione di annullamento, tipica dei rimedi straordinari, ma assume, come posto in rilievo dalla dottrina, un carattere prevalentemente riparatorio/risarcitorio piuttosto che restitutorio. L'art. 28, comma 4, d.lgs. cit. stabilisce, infatti, che la Corte di appello, in caso di accoglimento della richiesta di revocazione della confisca, «provvede, ove del caso, ai sensi dell'art. 46»: disposizione, questa, che a sua volta disciplina la restituzione per equivalente, con la conseguenza che l'accoglimento della richiesta comporta per l'interessato il diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore del bene e non necessariamente la sua restituzione.

Un altro principio importante è, infatti, quello c.d. divieto di retrocessione del bene confiscato, che determina che ogni eventuale obbligo di restituzione sia assolto attraverso la corresponsione del tantundem.

L'art. 46 del Codice Antimafia, infatti, prevede che l'interessato, nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene, ha diritto a una somma equivalente al valore della res attinta da confisca, quale risultante dal rendiconto di gestione, al netto delle migliorie, rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua.

In caso di beni immobili, si tiene conto dell'eventuale rivalutazione delle rendite catastali. Al riguardo occorre verificare, in particolare, se sussistono in concreto le condizioni per una riparazione solo economica dell'errore giudiziario ovvero anche reale, tenuto conto dell'esigenza prioritaria di tutela dei soggetti (pubblici o privati) in favore dei quali sono stati destinati i beni confiscati, specie nell'ipotesi, espressamente prevista dall'art. 46, comma 1, d.lgs. cit., in cui i beni medesimi «sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l'interesse pubblico».

Diversamente dalla revoca di cui all'art. 7, l. cit., concepita dal legislatore quale atto di ritiro del provvedimento ad opera dello stesso Giudice che lo aveva emesso, la competenza a provvedere in merito alla revocazione della decisione definitiva sulla confisca è stata attribuita, nelle forme previste dagli artt. 630 ss. c.p.p., "in quanto compatibili", alla Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., ispirandosi l'istituto al generale modello di riferimento rappresentato dalla revisione della sentenza di condanna.

Nonostante l'imprecisa formulazione del richiamo operato dall'art. 28, comma 1, d.lgs. cit. alle "forme previste dagli artt. 630 e ss. c.p.p.", deve ritenersi che il legislatore delegato abbia inteso riferirsi, con l'uso del plurale, al procedimento di revisione nel suo complesso, le cui prescrizioni formali - pur non specificamente richiamate - sono da osservare compatibilmente con le peculiarità del procedimento di prevenzione.

In linea con le direttive stabilite dalla l. n. 136/2010, recante delega al Governo per l'emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, il legislatore delegato ha disciplinato il nuovo istituto prevedendo che la revocazione possa essere proposta al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura, in presenza di ipotesi specificamente e tassativamente individuate: a) la scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) l'ipotesi in cui i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) il caso in cui la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità verificatesi nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

Come hanno di recente sottolineato le Sezioni Unite, osservati nel loro insieme, i casi di revocazione delineati nell'art. 28, comma 1, d.lgs. cit. “restituiscono una configurazione del presupposto della revocazione correlata all'accertamento di un difetto originario dei presupposti della confisca, sicché restano del tutto estranee all'ambito di operatività dell'istituto patologie diverse da quelle riconducibili al genus indicato, quali, ad esempio, quelle afferenti all'iter procedimentale che ha condotto all'adozione del provvedimento ablatorio” (Cass. S.U., n. 3513/2021, dep. 2022).

La ricostruzione del rapporto fra i primi due commi della suddetta disposizione è stata operata dalla Suprema Corte attribuendo al secondo comma una valenza integratrice dei casi espressamente previsti nel primo, sulla base del rilievo che il legislatore vi ha delineato una "fattispecie aperta", per ricomprendervi “[ ... ] ipotesi diverse da quelle - espressione di elementi fattuali - delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca [ ... ]», ferma restando l'irrilevanza, ai fini dell'idoneità a legittimare il ricorso alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti (cfr. la citata Cass. S.U., n. 3513/2021).

Una specifica condizione, a pena di inammissibilità della domanda, è stata espressamente prevista dal legislatore nell'art. 28, comma 3, d.lgs. cit., con riferimento alla necessità di agire in revocazione entro il termine di sei mesi dalla data in cui si è verificata una delle condizioni indicate, ovvero in un termine maggiore, qualora l'interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile; diversamente dalla revisione delle sentenze di condanna, che ai sensi dell'art. 629 c.p.p. è ammessa "in ogni tempo", l'istanza di revocazione della confisca è soggetta, pertanto, alla previsione di un termine di decadenza individuato nel decorso di un semestre dalla verificazione di una delle cause espressamente indicate nell'art. 28, comma 1, d.lgs. cit., la cui mancata osservanza viene sanzionata con l'inammissibilità dell'istanza.

L'istituto della revocazione, infine, è applicabile soltanto alle confische la cui proposta sia stata presentata dopo l'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ossia dopo il 13 ottobre 2011, mentre per i provvedimenti di confisca anteriormente adottati continua ad applicarsi il previgente art. 7, l. cit., secondo cui la competenza per la revoca deve attribuirsi all'organo giudicante che ha provveduto alla loro deliberazione (Cass. VI; n. 17854/2020).

Per le misure di prevenzione personali continua invece ad applicarsi, in base alla disposizione di cui all'art. 11, comma 2, d.lgs. cit., l'istituto della revoca, cui provvede, con efficacia ex nunc ovvero ex tunc, a seconda delle evenienze rispettivamente legate alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del prevenuto o all'accertamento della sua originaria insussistenza anche per motivi emersi dopo l'applicazione della misura, la stessa autorità giudiziaria che ha adottato il relativo provvedimento.

Certo è che non si ravvisano fattori ostativi alla prosecuzione del giudizio di revocazione da parte degli eredi, in caso di decesso dell'istante dopo la domanda di revocazione.

La competenza, come visto, appartiene alla Corte d'appello e il criterio di collegamento per l'attribuzione della cognizione ratione loci è quello dettato dall'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 633 c.p.p., mentre nel regime previgente la Suprema Corte (Cass. I, n. 20159/2011) aveva ritenuto manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, l. n. 1423/1956 nella parte in cui attribuiva la competenza per la revoca della misura di prevenzione patrimoniale della confisca allo stesso organo giudicante che la aveva applicata, anziché alla Corte di appello individuata ai sensi degli artt. 11 e 633 c.p.p.

La Suprema Corte (Cass. V, n. 33146/2020) ha di recente in enucleato alcuni principi importanti in tema di revocazione della confisca, chiarendo:

- che essa è lo strumento fondamentale rimesso al proposto e al terzo che abbiano partecipato al procedimento di merito, qualora intendano ottenere la revoca - anche parziale - del provvedimento definitivo di confisca, essendo invece loro preclusa l'instaurazione di un incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p., rimedio generale di cui può giovarsi unicamente il terzo che non abbia partecipato al procedimento per non essere stato messo in condizioni di farlo;

- è ammissibile l'istanza di revocazione presentata nella cancelleria di una Corte di appello incompetente poiché, in applicazione del principio generale del favor impugnationis di cui all'art. 568, comma 5, c.p.p., valido anche per la revisione alla cui disciplina l'art. 28 fa rinvio, l'istanza deve essere trasmessa al Giudice competente individuato secondo i criteri di cui all'art. 11 del codice di rito;

- è altresì ammissibile il ricorso per cassazione avverso il rigetto di una richiesta di revocazione, in quanto tale provvedimento ha carattere di definitività e il rinvio operato dall'art. 28 alle forme dell'art. 630 c.p.p. e seguenti, implica l'applicabilità anche dell'art. 640 c.p.p. che ha appunto prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione.

L'istituto, infine, prevede uno strumento unitario, a disposizione sia dei soggetti che abbiano preso parte diretta al procedimento di prevenzione sia dei terzi, che vantano diritti sul bene, e che siano rimasti estranei al giudizio stesso; si supera, così, la tradizionale dicotomia “revoca/incidente di esecuzione”.

Le modifiche apportate dalla l. n. 161/2017

La legge di riforma è intervenuta anche sull'istituto della revocazione della confisca: la norma previgente operava, infatti, un generico richiamo al solo art. 630 c.p.p., mentre per effetto della modifica operata dall'art. 7 si rinvia all'intera disciplina in materia di revisione (artt. 630 e ss. c.p.p.), con riserva di compatibilità rispetto al procedimento di prevenzione.

Recentemente la Suprema Corte ha precisato che l'art. 28 individua puntualmente le ipotesi di revocazione 1) nella “scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento”; 2) “quando i fatti accertati con sentenza penale definitive escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca”; 3) “quando la decisione sulla confisca sia stata motivata sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato”) e il suo comma 2 è dettato allo specifico scopo di limitare la rilevanza delle ipotesi anzidette al caso in cui da ciò derivi il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della confisca.

Ne consegue che il citato comma 2 non introduce affatto un diverso e ulteriore caso di revocazione, attinente alla genetica insussistenza degli originari presupposti per l'adozione della misura di prevenzione (in tal senso Cass. I, n. 21958/2020).

La Corte d'appello è il Giudice funzionalmente competente che è individuato in ragione del disposto dell'art. 11 c.p.p., norma espressamente richiamata nel testo attualmente vigente, per effetto del rinvio all'art. 633 c.p.p.

Modifica degna di rilievo è quella apportata al comma 4 della norma in esame: in caso di accoglimento della richiesta di revocazione, sarò infatti la stessa Corte d'appello a provvedere alla restituzione per equivalente ai sensi dell'art. 46, d.lgs. n. 159/2011, superando, pertanto, la pregressa previsione della trasmissione degli atti al tribunale di primo grado.

È comunque certo che la disciplina introdotta nel 2011 e la relativa competenza attribuita alla Corte di appello non si applichino ai provvedimenti adottati prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del citato decreto legislativo) per i quali la competenza per la revoca spetta all'organo giudicante che aveva disposto la confisca, ai sensi dell'art. 7 della previgente l. n. 1423/1956 (così Cass. VI, n. 17854/2020).

Quanto alla procedura, la Suprema Corte (Cass. VI, n. 2190/2021) ha di recente chiarito che l'istanza di revocazione proposta ai sensi dell'art. 28, d.lgs. n. 159/2011, che risulti manifestamente infondata o proposta per motivi non consentiti, può essere dichiarata inammissibile d'ufficio dalla Corte di appello adita, con ordinanza "de plano" e senza attivare il contraddittorio con le parti interessate, in quanto, in ragione del richiamo operato, dal medesimo art. 28, alle regole della revisione penale in quanto compatibili, trova applicazione la previsione contenuta all'art. 634 c.p.p.

Con la sentenza  n. 8052/2024  le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto la questione concernente la possibilità, per il soggetto destinatario dei provvedimenti di sequestro o confisca “allargata” di cui al previgente articolo 12 sexies della legge 356 del 1992 e oggi previsto dall'articolo 240 bis comma 1 del codice penale, di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale anche con riferimento ai cespiti acquistati in epoca antecedente al 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge 161 del 2017. Come noto, detta norma all'articolo 31 ha vietato di giustificare, per il soggetto destinatario dei provvedimenti di confisca “allargata”, la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale; va anche precisato che la norma in questione non ha previsto specificamente una presta disciplina transitoria. La Corte ha analizzato i contrapposti orientamenti interpretativi formatisi sul punto nel corso degli anni, giudicandoli tuttavia non condivisibili per intero: quello più restrittivo, fondato sull'incondizionata applicazione retroattiva del divieto probatorio sopravvenuto in ragione della natura della confisca in esame di misura di sicurezza atipica (regolata dalla legge vigente al momento della sua applicazione), non è stato giudicato del tutto convincente poiché si limita a fare riferimento alle norme generali dettate in tema di misure di sicurezza (articoli 200-236 del codice penale) “senza tuttavia cogliere le implicazioni della norma sopravvenuta per i diritti dell'individuo e per l'affidamento incolpevole dei consociati in relazione alla complessità dell'accertamento processuale sottostante alla fattispecie prevista dall'articolo 240 bis del codice penale”.

Neanche l'altro indirizzo giurisprudenziale è stato, tuttavia, reputato interamente condivisibile perché, pur cogliendo le connessioni tra le leggi sopravvenute e i diritti dell'individuo, finisce per precludere l'operatività del principio tempus regit actum anche in relazione ad un lasso di tempo - quello precedente alla pronuncia delle Sezioni Unite Repaci - nel quale la base legale della misura ablatoria non consentiva di attribuire rilievo, in termini di ragionevole certezza, alla possibilità di superare la presunzione di illecita accumulazione facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al fisco. Il supremo consesso adotta, quindi, una soluzione per così dire intermedia affermando che il divieto di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca “allargata” sul presupposto che il denaro utilizzato sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, introdotto dalla legge 161 del 2017, si applica anche ai beni acquistati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore ad eccezione di quelli entrati nel patrimonio dell'imputato nel periodo tra il 29 maggio 2014 (data della ricordata sentenza C 14/260244-01, Repaci) e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge 161 del 2017.

Il 2 7   marzo 2025 è stata diffusa l'informazione provvisoria della sentenza a Sezioni Unite con cui la Corte di Cassazione ha risolto  la seguente questione controversa: se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, quest'ultimo possa rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni confiscati ovvero sia legittimato a contestare anche i presupposti per l'applicazione della misura,  quali la condizione di pericolosità, la sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato nonché la provenienza del bene stesso.

La soluzione adottata è la seguente: in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità dei beni confiscati  e, a tal fine, può dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum.

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