Richiesta di revoca dell'amministratore giudiziario (art. 35 d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoAi sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 159/2011, con il provvedimento con il quale dispone il sequestro il tribunale nomina il giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario. L'amministratore giudiziario è scelto tra gli iscritti nell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari secondo criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura e dell'entità dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell'attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione. L'amministratore giudiziario di aziende sequestrate è scelto tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari di cui al d.lgs. n. 14/2010. Non possono essere nominate amministratore, tra gli altri, le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Non possono, altresì, essere nominate le persone che abbiano svolto attività lavorativa o professionale in favore del proposto o delle imprese a lui riconducibili. Infine, non possono assumere l'ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell'amministratore giudiziario, i creditori o debitori del magistrato che conferisce l'incarico, del suo coniuge o dei suoi figli, né le persone legate da uno stabile rapporto di collaborazione professionale con il coniuge o i figli dello stesso magistrato, né i prossimi congiunti, i conviventi, i creditori o debitori del dirigente di cancelleria che assiste lo stesso magistrato. Confermata la necessità della scelta tra gli iscritti nell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari, la l. n. 161/2017 ha previsto che la valutazione del giudice in fase di nomina avvenga seguendo criteri particolarmente specifici. Alcuni parametri sono stati dettati in modo analitico nella norma (“criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell'attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione”); altri, invece, risultano da dettagliare con decreto del Ministro della giustizia, anche in riferimento ai coadiutori. Occorrerà tenere conto pure di ulteriori criteri. In specie, trattasi: del numero degli incarichi aziendali in corso (comunque non superiore a tre), fermo restando che potrà essere previsto il divieto assoluto di cumulo per “la particolare complessità dell'amministrazione o l'eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare”, della natura monocratica o collegiale dell'incarico, della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori, della natura diretta o indiretta della gestione, dell'ubicazione dei beni sul territorio e delle pregresse esperienze professionali specifiche. La norma previgente stabiliva che al momento del conferimento dell'incarico, onde monitorare il numero massimo di tre gestioni aziendali che ciascun professionista può assumere, l'amministratore giudiziario è tenuto a comunicare al tribunale gli incarichi in corso anche se conferiti dall'Agenzia. Pertanto, sussistendo detto limite, il professionista non poteva assumere ulteriori incarichi ed era costretto a scegliere l'ente committente, Autorità giudiziaria o Agenzia, per il quale svolgere l'incarico, con plausibile prevalenza della prima sulla seconda per motivazioni di ordine economico. Con la l. n. 132/2018 si è invece voluto evitare la stasi gestionale originata dalla norma in esame, consentendo al professionista di poter acquisire, se del caso, tre incarichi dall'autorità giudiziaria, mantenendo le gestioni già in essere quale coadiutore dell'Agenzia. Infatti, si è previsto che nel numero dei tre incarichi non vadano calcolati quelli come coadiutore dell'Agenzia. La legge ha, peraltro, modificato l'art. 38, comma 3 consentendo all'Agenzia di individuare il coadiutore anche tra soggetti diversi da quello nominato amministratore giudiziario dal tribunale; la disposizione precisa, inoltre, che, se diverso dall'amministratore giudiziario, il soggetto individuato debba essere comunque in possesso della specifica professionalità, rispettivamente delineata ai commi 2 e 2-bis dell'art. 35. Ciò con l'obiettivo di garantire quella continuità gestionale che nell'ambito dell'amministrazione aziendale assicura, oltre alla conoscenza della specifica realtà economico-produttiva, stabilità di piani e programmazioni. L'indicazione di plurimi e stringenti parametri dimostra la particolare attenzione rivolta a questo tema, prevedendosi anche che l'amministratore giudiziario – all'atto della nomina – comunichi se e quali incarichi analoghi egli abbia in corso, pur se conferiti da altra autorità giudiziaria o dall'Agenzia nazionale. Si osservi, peraltro, che l'art. 33 della l. n. 161 delega il Governo ad adottare, entro quattro mesi dal 9 novembre (data di entrata in vigore del testo) un decreto legislativo recante disposizioni per disciplinare il regime delle incompatibilità relative agli uffici di amministratore giudiziario e di coadiutore dell'amministrazione giudiziaria, nonché di curatore nelle procedure fallimentari e figure affini delle altre procedure concorsuali, secondo stringenti principi e criteri direttivi. Si richiede, in particolare, che il Governo provveda a inserire l'incompatibilità per rapporti di parentela, affinità, convivenza e, comunque, assidua frequentazione con magistrati addetti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l'incarico, stabilendo altresì che il Presidente della Corte di Appello eserciti la vigilanza sulle nomine ai predetti incarichi conferite a soggetti che abbiano con i magistrati del distretto giudiziario, in cui ha sede l'ufficio titolare del procedimento, gli indicati rapporti di parentela, affinità, coniugio o frequentazione assidua, in modo tale da evitare indebite commistioni e compromissione della credibilità della funzione giudiziaria. Si segnala che il 16 maggio 2018 sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio dei Ministri due decreti attuativi della riforma contenuta nella l. n. 161/2017 in tema di incompatibilità degli amministratori giudiziari e di tutela del lavoro nell'ambito delle imprese sequestrate e confiscate. Il primo decreto, adottato su proposta del Ministro della giustizia, disciplina il regime delle incompatibilità degli amministratori giudiziari, dei loro coadiutori, dei curatori fallimentari e degli altri organi delle procedure concorsuali. In attuazione dei criteri direttivi fissati dalla legge delega, il testo prevede: l'incompatibilità delle figure già elencate per rapporti di parentela, affinità, convivenza e, comunque, assidua frequentazione con magistrati addetti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l'incarico, nonché la vigilanza del Presidente della Corte di appello sulle nomine ai predetti incarichi, conferite a soggetti che abbiano con i magistrati del distretto giudiziario, in cui ha sede l'ufficio titolare del procedimento, rapporti di parentela, affinità, coniugio o frequentazione assidua. Il d.lgs. n. 54/2018 ha chiarito che si intende per frequentazione assidua quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali. Si è poi previsto che l'amministratore giudiziario, al momento dell'accettazione dell'incarico e comunque entro due giorni dalla comunicazione della nomina, deposita presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario conferente l'incarico una dichiarazione attestante l'insussistenza delle cause di incompatibilità di cui all'art. 35, comma 4-bis. In caso di violazione della disposizione di cui al periodo precedente il tribunale provvede d'urgenza alla sostituzione del soggetto nominato. Il tribunale provvede allo stesso modo nel caso in cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità. In caso di dichiarazione di circostanze non corrispondenti al vero effettuata da un soggetto iscritto ad un albo professionale, il tribunale lo segnala all'organo competente dell'ordine o del collegio professionale ai fini della valutazione di competenza in ordine all'esercizio dell'azione disciplinare e al presidente della Corte di appello affinché dia notizia della segnalazione a tutti i magistrati del distretto. Nella dichiarazione, il soggetto incaricato deve comunque indicare, ai fini di cui all'art. 35.2, l'esistenza di rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della l. n. 76/2016, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado o frequentazione assidua con magistrati, giudicanti o requirenti, del distretto di Corte di appello nel quale ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è pendente il procedimento. Il coadiutore nominato dall'amministratore giudiziario a norma dell'art. 35, comma 4, redige la dichiarazione disciplinata ai commi 1 e 2 e la consegna all'amministratore giudiziario entro due giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della nomina e, in ogni caso, prima di dare inizio alla sua attività. L'amministratore giudiziario entro i due giorni successivi provvede a depositare in cancelleria la dichiarazione del coadiutore. Se il coadiutore non consegna la dichiarazione o se dalla dichiarazione emerge la sussistenza di una causa di incompatibilità, l'amministratore giudiziario non può avvalersi del coadiutore nominato. I sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia assicurano al presidente della Corte di appello la possibilità di estrarre, anche in forma massiva, le dichiarazioni depositate a norma dell'art. 35.1, dalle quali deve essere possibile rilevare almeno i seguenti dati: a) il nome del giudice che ha assegnato l'incarico e la sezione di appartenenza; b) il nome dell'ausiliario e la tipologia dell'incarico conferitogli; c) la data di conferimento dell'incarico; d) il nome del magistrato del distretto con il quale il professionista incaricato ha dichiarato di essere legato da uno dei rapporti indicati all'articolo 35.1, comma 2; e) la natura di tale rapporto. Il presidente della Corte di appello tiene conto delle risultanze delle dichiarazioni ai fini dell'esercizio, su tutti gli incarichi conferiti, del potere di sorveglianza di cui al r.d. n. 511/1946. Il sistema delle incompatibilità normativamente previste Va detto che l'amministratore giudiziario è nominato dal tribunale con il decreto di sequestro; la l. n. 161/2017 ha specificato che l'atto di nomina del professionista deve essere motivato, imponendo così al collegio di rendere conoscibili – in un'ottica di maggiore trasparenza – le ragioni di convenienza e opportunità che hanno indotto ad affidare l'incarico a quel determinato soggetto; può osservarsi, quindi, che mentre nella sistematica del 2011 doveva essere motivata solo la scelta di revocare l'amministratore scelto dal giudice penale in caso di concorso sugli stessi beni delle due tipologie di misure ablative, volendosi attribuire maggior peso (e, conseguentemente, maggiori doveri esplicativi) a una decisione che si poneva nella direzione di una netta discontinuità con quanto fatto da altri magistrati in precedenza, invece oggi motivare le proprie decisioni in punto di nomina diviene la regola generale nell'ambito dei rapporti con l'amministratore e gli altri soggetti coinvolti nella procedura di prevenzione. Nella legge vi è, poi, l'espressa previsione che l'Agenzia Nazionale promuova intese con l'autorità giudiziaria per assicurare, attraverso criteri di trasparenza, la rotazione negli incarichi degli amministratori, la corrispondenza tra i profili professionali e i beni sequestrati e la pubblicità dei compensi. Da segnalare le notevolissime modifiche al tessuto normativo concernente la nomina dell'amministratore e dei suoi ausiliari apportate dalla legge di riforma organica del Codice Antimafia (l. n. 161/2017, vigente dal 9 novembre 2017) con particolare riferimento agli aspetti salienti della gestione dei beni in sequestro: la citata norma, infatti, detta una disciplina innovativa e, in alcuni punti, fortemente limitativa dei poteri/doveri del tribunale in tema di nomina degli amministratori giudiziari pur recependo la prassi giudiziaria – che del resto non trovava ostacoli nella norma – di consentire la nomina di più amministratori «qualora la gestione dei beni in sequestro sia particolarmente complessa». La legge offre anche al tribunale alcuni parametri valutativi per qualificare la gestione come «particolarmente complessa» e per decidere, correlativamente, se nominare o meno più amministratori: si fa menzione – ma l'elencazione deve ritenersi meramente esemplificativa e non già tassativa in forza della locuzione «anche» che apre l'elenco – del numero dei comuni ove sono situati i beni immobili o le aziende, della natura dell'attività aziendale e del valore ingente del patrimonio. Assolutamente utile il riferimento alla dislocazione territoriale dei beni, atteso che è di certo auspicabile (e la nomina di più professionisti va in questa direzione) che gli amministratori garantiscano un'adeguata presenza sul posto, anche al fine di impedire ingerenze del proposto, dei suoi congiunti o di soggetti a costoro in precedenza legati. Come era stato richiesto da taluni all'indomani dell'approvazione del progetto di riforma da parte della Camera dei deputati nel novembre 2015, si è provveduto – nel testo licenziato definitivamente – a precisare se l'incarico possa o meno essere svolto disgiuntamente dai professionisti nominati (art. 35, comma 1). L'art. 35, comma 2, modifica – come anticipato – in maniera profonda le modalità di nomina e di scelta degli amministratori. Alcuni parametri sono stati dettati in modo analitico nella norma («criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell'attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione»); altri, invece, risultano da dettagliare con decreto del Ministro della giustizia, anche in riferimento ai coadiutori. Occorrerà tenere conto pure di ulteriori criteri: del numero degli incarichi aziendali in corso (comunque non superiore a tre), fermo restando che potrà essere previsto il divieto assoluto di cumulo per «la particolare complessità dell'amministrazione o l'eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare»; della natura monocratica o collegiale dell'incarico; della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori; della natura diretta o indiretta della gestione; dell'ubicazione dei beni sul territorio e delle pregresse esperienze professionali specifiche. L'indicazione di plurimi e stringenti parametri dimostra la particolare attenzione rivolta a questo tema, prevedendosi anche che l'amministratore giudiziario – all'atto della nomina – comunichi se e quali incarichi analoghi egli abbia in corso, pur se conferiti da altra autorità giudiziaria o dall'Agenzia nazionale. Si conferma (comma 2-bis) che nel caso di aziende sequestrate la scelta dell'amministratore debba avvenire tra gli iscritti nella Sezione di esperti in gestione aziendale dell'Albo (disposizione ripetuta nell'art. 41, comma 1) e di converso si ampliano le ipotesi di incompatibilità per l'amministratore e i coadiutori per i loro precedenti penali, i rapporti col proposto o con i terzi intestatari o con il magistrato che conferisce l'incarico (comma 3). Sono previste, peraltro, due deroghe a tale regime, comunque di scarsa applicazione pratica: come accennato, la nomina di un amministratore giudiziario scelto tra il personale dipendente dell'ANBSC e la nomina di un dipendente della società Invitalia s.p.a. in presenza di aziende di “straordinario interesse socio-economico”. Si è visto, infatti, che l'art. 35, comma 3, nella previgente formulazione del Codice stabiliva che «Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate a una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o le pene accessorie previste dal r.d. n. 267/1942, o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione o nei confronti dei quali sia stato disposto il rinvio a giudizio per i reati di cui all'art. 4 del presente decreto. Non possono altresì essere nominate le persone che abbiano svolto attività lavorativa o professionale in favore del proposto o delle imprese a lui riconducibili. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di coadiutore o di diretto collaboratore dell'amministratore giudiziario nell'attività di gestione». Interessante segnalare che la Suprema Corte ha di recente chiarito che la citata elencazione non deve ritenersi tassativa, ma può estendersi al fine di impedire l'assunzione (o la continuazione) di incarichi di coadiuzione in capo a soggetti diversi da quelli elencati, ma che risultino comunque qualificabili come persone di fiducia del soggetto proposto; in questi casi è stato giudicato legittimo il ricorso all'art. 56 del Codice (che come noto consente all'amministratore, previa autorizzazione del giudice delegato, di risolvere i contratti in corso, compresi quelli di lavoro, secondo quanto asserito da Cass., sez. lav., n. 14467/2015) nonostante il dipendente dell'azienda in sequestro fosse stato reintegrato dal giudice del lavoro. Ciò perché la decisione sull'opportunità di dare o meno prosecuzione a tali rapporti deve necessariamente tenere conto della componente fiduciaria che li caratterizza e sulla quale hanno indubbia incidenza gli eventuali collegamenti del lavoratore con le attività illecite del proposto (così Cass. I, n. 52984/2017). Su questo tema si è aggiunto di recente che l'art. 56 citato e norma con finalità di ordine pubblico e si riferisce anche ai rapporti di lavoro, sicché la decisione sulla prosecuzione di tali rapporti può e deve tenere conto degli eventuali collegamenti del dipendente con il contesto illecito nel quale operava l'azienda prima della misura (fattispecie in cui la corte ha ritenuto corretta la decisione con la quale giudice delegato ha stabilito la cessazione del rapporto di lavoro di un soggetto, ritenuto uomo di fiducia del proposto, con la società in amministrazione giudiziaria; Cass. n. 32404/2018). Oggi al testo prima citato si è aggiunto che «Non possono assumere l'ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell'amministratore giudiziario, il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l'incarico. Non possono assumere l'ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell'amministratore giudiziario, i creditori o debitori del magistrato che conferisce l'incarico, del suo coniuge o dei suoi figli, né le persone legate da uno stabile rapporto di collaborazione professionale con il coniuge o i figli dello stesso magistrato, né i prossimi congiunti, i conviventi, i creditori o debitori del dirigente di cancelleria che assiste lo stesso magistrato». Infine, va osservato che il testo, cristallizzando la prassi giudiziaria formatasi sul punto, consente esplicitamente che l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato (che tenga conto della natura dei beni e delle aziende in stato di sequestro e degli oneri che ne conseguono), possa organizzare sotto la propria responsabilità un proprio ufficio di coadiuzione «ove la complessità della gestione lo richieda» (art. 35, comma 4). La composizione e l'assetto interno di tale organismo devono essere comunicati al giudice delegato indicando altresì se e quali incarichi analoghi abbiano in corso i coadiutori, assicurando la presenza, nel caso in cui si tratti dei beni di cui all'art. 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42/2004, di uno dei soggetti indicati nell'art. 9-bis del medesimo codice. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26 maggio 2018 è stato pubblicato il d.lgs. n. 54, approvato il precedente 18 maggio e in vigore dal 25 giugno 2018; il testo contiene il regolamento attuativo dei principi stabiliti dall'art. 33, commi 2 e 3, l. n. 161/2017 e disciplina in maniera analitica il regime delle incompatibilità nella nomina degli amministratori giudiziari, dei loro coadiutori, dei curatori fallimentari e degli altri organi delle procedure concorsuali. Il decreto, sia pure con un po' di ritardo, ha fedelmente attuato i principi contenuti nella delega, preoccupandosi anche (sebbene ciò non fosse stato oggetto di puntuale richiamo) di definire in maniera specifica la nozione di «frequentazione assidua» con il dichiarato obiettivo di disciplinare nel modo più stringente possibile criteri e procedure di nomina degli amministratori e dei loro coadiutori, prevedendo pure un rigido sistema di controllo a cura degli organi di categoria e del presidente della Corte di appello. Il comma 4-bis dell'art. 35, così introdotto, stabilisce infatti che non possono assumere l'ufficio di amministratore giudiziario, né quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della l. n. 76/2016, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado con magistrati addetti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l'incarico, nonché coloro i quali hanno con tali magistrati un rapporto di assidua frequentazione. Nell'aprile 2019 il C.S.M. ha poi approvato una risoluzione volta a rispondere a un quesito posto proprio sull'interpretazione del concetto di «ufficio giudiziario» di cui sopra: in sostanza, si è escluso che si possa applicare in via analogica la nozione più ristretta, di cui agli artt. 18 e 19 ord. giud., poiché tali disposizioni presuppongono un accertamento in concreto di una situazione di incompatibilità, mentre l'art. 35 prevede un divieto netto in presenza di incompatibilità anche solo potenziali e astratte. Pertanto, per «ufficio giudiziario» deve intendersi qui «l'intero ufficio giudiziario, a prescindere dalle sue dimensioni, dal fatto che sia o meno diviso in sezioni e, più in generale, dalla sua organizzazione tabellare. Ne deriva anche che l'incompatibilità non si estende alla procura della Repubblica, trattandosi di diverso ufficio giudiziario». È stato, altresì, chiarito che tale incompatibilità sussiste nel caso di mero esonero dalle funzioni giudiziarie, in quanto il magistrato rimane incardinato nella pianta organica dell'ufficio, mentre essa non si configura in caso di collocamento fuori ruolo, poiché viene meno l'appartenenza del magistrato all'ufficio giudiziario. La norma chiarisce che si intende per «frequentazione assidua» quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali. Del tutto nuovi anche i commi 1 e 2 dell'art. 35, incisi dalla novella del 2017: il primo impone all'amministratore giudiziario, al momento dell'accettazione dell'incarico e comunque entro due giorni dalla comunicazione della nomina, di depositare presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario conferente l'incarico una dichiarazione attestante l'insussistenza delle cause di incompatibilità di cui all'art. 35, comma 4-bis, specificando che in caso di violazione della disposizione di cui al periodo precedente il tribunale provvede d'urgenza alla sostituzione del soggetto nominato; il tribunale provvede allo stesso modo nel caso in cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità. La sanzione, quindi, è in entrambi i casi (omessa presentazione della dichiarazione e dichiarazione da cui emerga l'esistenza di cause di incompatibilità) la revoca dell'incarico. Qualora vengano dichiarate circostanze non corrispondenti al vero, il tribunale lo segnala all'organo competente dell'ordine o del collegio professionale, ai fini delle valutazioni in ordine all'esercizio dell'azione disciplinare, e al presidente della Corte di appello, affinché dia notizia della segnalazione a tutti i magistrati del distretto. Può notarsi che in presenza di una dichiarazione infedele non è prevista espressamente la sostituzione dell'amministratore, ma essa certamente discenderà dall'applicazione delle regole generali di cui all'art. 35, comma 7, del Codice, che consente la revoca dell'amministratore (su proposta del g.d., dell'Agenzia o anche di ufficio) previa sua audizione in ogni caso di «irregolarità», ipotesi in cui può agevolmente farsi rientrare la fattispecie in esame. Peraltro, in questa evenienza del comportamento scorretto sarà data notizia all'ordine competente e a tutti i magistrati operanti su base distrettuale, evidentemente con la finalità di impedire che il soggetto responsabile della dichiarazione mendace possa ricevere qualsiasi tipo di incarico da parte degli uffici giudiziari dell'intero distretto. Nella citata dichiarazione il soggetto incaricato dovrà comunque indicare, ai fini di cui all'art. 35, comma 2, l'esistenza di rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della l. n. 76/2016, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado o frequentazione assidua con magistrati, giudicanti o requirenti, del distretto di corte di appello nel quale ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è pendente il procedimento. Deve, quindi, ritenersi che vi sia un doppio regime. Per coloro che siano legati, ai sensi del comma 4-bis, a un magistrato addetto all'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che conferisce l'incarico (dunque, non più solo rispetto al giudice che compone la sezione specializzata misure di prevenzione che emette il sequestro e conferisce l'incarico, ma in senso più ampio qualsiasi magistrato in servizio presso il tribunale o la corte di appello ove si incardina il collegio che provvede sulla richiesta di sequestro) operano l'assoluto divieto di nomina e di accettazione dell'incarico, sanzionati come si è visto. Al contrario, per i professionisti che si trovino nelle situazioni di cui all'art. 35, comma 2, rispetto ai magistrati, giudicanti o requirenti, appartenenti (non all'ufficio ove si trova il giudice che conferisce l'incarico, ma) al distretto di Corte di appello nel quale ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è pendente il procedimento, non sussiste un divieto di nomina/ accettazione, ma unicamente a carico dell'amministratore un onere di comunicazione di tale dato nella dichiarazione di incompatibilità. Anche il coadiutore nominato dall'amministratore giudiziario a norma dell'art. 35, comma 4, redige la dichiarazione disciplinata ai commi 1 e 2 e la consegna all'amministratore giudiziario entro due giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della nomina e, in ogni caso, prima di dare inizio alla sua attività; l'amministratore giudiziario entro i due giorni successivi provvede a depositare in cancelleria la dichiarazione del coadiutore e se costui non produce la dichiarazione, o se da essa emerge la sussistenza di una causa di incompatibilità, l'amministratore giudiziario non può avvalersi della sua collaborazione. La presentazione delle dichiarazioni di incompatibilità avrà luogo solo per via telematica a partire dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento con cui il responsabile dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia attesta la piena funzionalità dei sistemi in relazione a quanto previsto dai commi 1, 2 e 3 dell'art. 35. L'art. 35, comma 2, è invece dedicato alla vigilanza sulle eventuali o potenziali situazioni di incompatibilità: i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia assicurano, infatti, al presidente della corte di appello la possibilità di estrarre, anche in forma massiva, le dichiarazioni depositate a norma dell'art. 35, comma 1, dalle quali deve essere possibile rilevare almeno i seguenti dati: a) il nome del giudice che ha assegnato l'incarico e la sezione di appartenenza; b) il nome dell'ausiliario e la tipologia dell'incarico conferitogli; c) la data di conferimento dell'incarico; d) il nome del magistrato del distretto con il quale il professionista incaricato ha dichiarato di essere legato da uno dei rapporti indicati all'art. 35, comma 2; e) la natura di tale rapporto. Il presidente della Corte di appello tiene conto delle risultanze delle dichiarazioni ai fini dell'esercizio, su tutti gli incarichi conferiti, del potere di sorveglianza di cui al r.d. n. 511/1946. Occorrerà, pertanto, procedere all'inserimento informatico di tali dichiarazioni, nonché dei provvedimenti di nomina degli amministratori e dei loro coadiutori, ed è auspicabile la tenuta presso le cancellerie delle Sezioni specializzate di appositi registri informatici che diano conto degli incarichi conferiti e delle dichiarazioni di incompatibilità. Peraltro, si osserva che non è stato richiamato – né tra i profili soggetti a dichiarazione né tra quelli sottoposti a stringente controllo del presidente della corte di appello – il limite dei tre incarichi introdotto con la l. n. 161/2017 e che non è stato ancora emanato il decreto del Ministro della giustizia che, ai sensi dell'art. 35, comma 2, come modificato nel 2017, dovrà individuare in modo ulteriore i criteri di nomina degli amministratori, che tengano conto del numero degli incarichi, della loro complessità e della natura dei beni sottoposti a sequestro. L'amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio; egli ha il dovere di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi. In caso di grave irregolarità o di incapacità il tribunale, su proposta del giudice delegato, dell'Agenzia o d'ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell'amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso; nei confronti dei coadiutori dell'Agenzia la revoca è disposta dalla medesima Agenzia. Formula
Al Sig. Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di.... Il sottoscritto Avv..... del Foro di.... con studio in.... alla via...., difensore di fiducia di.... nato a...., nei cui confronti è stato emesso in data.... dal Tribunale di.... decreto con il quale è stato disposto il sequestro di prevenzione dei beni a lui intestati, nominando amministratore giudiziario il Dott..... nato a.... e con studio in.... PREMESSO che l'amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio; che nel caso di specie ciò non è avvenuto, giacché la negligenza dell'amministratore ha determinato consistenti danni per i beni in sequestro; che, in particolare, si rappresenta la seguente situazione:.... CHIEDE alla S.V., previa audizione dell'interessato e comunicazione all'Agenzia Nazionale, di disporre la revoca del citato amministratore giudiziario sostituendolo con altro professionista che si trovi nelle condizioni di legge. Con osservanza Luogo e data.... Firma.... CommentoL'amministratore giudiziario, come anticipato, è responsabile del suo operato nei confronti del giudice delegato e del tribunale, che può disporne la revoca – previa audizione – in caso di gravi irregolarità o di incapacità; quando sarà emanato l'ultimo dei regolamenti previsti dall'art. 117, comma 5, del Codice Antimafia la revoca dell'amministratore potrà avvenire anche su proposta dell'Agenzia, che potrà procedere parimenti alla revoca dei coadiutori, se necessario. Il potere di revoca può essere esercitato, previa audizione camerale, su proposta del giudice delegato o d'ufficio: l'esistenza di una potestà ufficiosa dimostra che, in capo al tribunale, non viene meno una funzione di controllo, in senso ampio, sull'attività di gestione in fase di amministrazione e sull'opera del giudice delegato stesso, tanto che deve ritenersi che la revoca possa avvenire anche d'ufficio e persino nell'ipotesi in cui il giudice delegato non sia d'accordo. In giurisprudenza (Cass. III, n. 36364/2021) si è sul punto precisato che il proprietario dei beni sottoposti a sequestro preventivo e le figure ad esso assimilabili (nella specie, il legale rappresentante di società le cui quote e beni erano stati assoggettati a vincolo cautelare) non sono legittimati a promuovere la revoca dell'amministratore giudiziario, ostandovi la loro mancata inclusione fra i soggetti contemplati dall'art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159/2011, fatta salva la possibilità di segnalare irregolarità o incapacità dell'amministratore agli organi legittimati a chiederne la revoca, ovvero di proporre opposizione al giudice dell'esecuzione in ordine alle decisioni sulle modalità di gestione di quanto sottoposto a sequestro. In motivazione si è chiarito che dalla disciplina di cui all'art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159/2011 si desume che l'esclusione della legittimazione del proprietario dei beni sequestrati, o di soggetti ad esso assimilabili, a chiedere al giudice la revoca dell'amministratore giudiziario è coerente con l'assetto complessivo della pertinente procedura; in effetti, l'art. 35, comma 7, d.lgs. cit. individua specificamente non solo i soggetti che possono promuovere la procedura per la revoca dell'amministratore giudiziario, ma anche chi deve essere necessariamente chiamato ad interloquire: precisamente, l'unico soggetto indicato come necessario interlocutore della procedura è l'amministratore giudiziario del quale è in valutazione la revoca. Ora, la mancata indicazione del proprietario dei beni sequestrati tra le parti necessarie del procedimento conferma la conclusione secondo cui l'omessa elencazione del medesimo tra i soggetti legittimati a chiedere al giudice la revoca dell'amministratore giudiziario non costituisce la conseguenza di una lacuna accidentale del dato normativo, bensì una precisa scelta del legislatore. Né questa conclusione determina conseguenze irrazionali o l'esclusione della tutela del titolare dei beni sottoposti a sequestro: da un lato, infatti, l'esclusione della legittimazione di tale soggetto a promuovere formalmente il procedimento di revoca dell'amministratore è obiettivamente funzionale all'esigenza di evitare o contenere i rischi di liti giudiziarie che possano ingiustificatamente determinare la paralisi della gestione dei beni in sequestro e, dall'altro, il titolare dei beni in sequestro può comunque segnalare irregolarità o incapacità dell'amministratore agli organi legittimati a promuoverne la revoca, e, soprattutto, può proporre opposizione al giudice dell'esecuzione in ordine alle decisioni sulle modalità di gestione di quanto sottoposto a misura cautelare reale (cfr., in relazione a questo secondo profilo, ad esempio, Cass. II, n. 946/2018, dep. 2019). In giurisprudenza si è discusso circa la possibilità che l'amministratore revocato proponga reclamo, osservandosi che l'articolo in commento individua due situazioni in presenza delle quali il tribunale, su proposta del giudice delegato o dell'Agenzia ovvero anche d'ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell'amministratore: deve trattarsi di gravi irregolarità riscontrate nella sua gestione, ovvero di incapacità. La norma non prevede alcuna forma di reclamo o di impugnazione da parte dell'amministratore giudiziario contro il provvedimento di revoca: l'unica garanzia consiste, quindi, in un sub procedimento attivato dal tribunale che, prima di decidere, dovrà sentire l'amministratore. In questo modo, si realizza una tutela procedimentale che assolve a una doppia funzione: consentire all'amministratore di esporre le proprie ragioni ed eventualmente contestare i presupposti su cui si basa la richiesta di revoca e, nel contempo, mettere il tribunale nelle condizioni di assumere una decisione dopo aver sentito l'amministratore, realizzando così una forma di contraddittorio, nell'interesse anche della completezza della determinazione finale. Non vi è nessun cenno a possibilità di reclami o altro, sicché in base al principio generale della tassatività delle impugnazioni deve ritenersi che la decisione del tribunale di revocare l'incarico non sia opponibile in alcun modo. Né appare possibile, come talvolta sostenuto, un'applicazione analogica del r.d. n. 267/1942, art. 37, comma 3 (cd. l. fall.), che contempla espressamente il reclamo dinanzi alla Corte d'appello in caso di revoca del curatore: si tratta di materie diverse e, ancora una volta, il principio di tassatività delle impugnazioni appare di ostacolo a un'interpretazione analogica. Peraltro, la possibilità del reclamo per il curatore è stata introdotta dal d.lgs. n. 5/2006, art. 34, precedente di qualche anno all'emanazione del cd. Codice Antimafia, il cui art. 35, comma 7, sembra ispirarsi viceversa all'originaria disposizione contenuta nella l. fall.; pertanto, la mancata previsione del reclamo pare doversi interpretare come una scelta consapevole, contraria all'ipotizzabilità di forme di contestazione della revoca all'interno della procedura disciplinata nel Codice. Non può accogliersi neppure l'altra tesi elaborata da taluni amministratori secondo cui nella specie troverebbe applicazione l'art. 739 c.p.c., in quanto la materia disciplinata nel Codice Antimafia non rientra nell'ambito della volontaria giurisdizione e nei procedimenti in camera di consiglio cui si riferisce il codice di procedura civile. A tali affermazioni va aggiunto che, al di là della sicura consapevolezza del legislatore del 2011 circa l'esistenza – in caso di revoca del curatore fallimentare – della previsione circa la reclamabilità, non potrebbe, comunque, affermarsi un'identità di posizione tra curatore fallimentare e amministratore dei beni oggetto di sequestro in sede di prevenzione antimafia (in ipotesi, rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost.), posto che – pur in presenza di aspetti di sicura assonanza – le due discipline restano diverse quanto a finalità primarie (essendo compito essenziale dell'amministratore giudiziario quello di realizzare le gestione dei beni in sequestro in modo da incrementarne la redditività, al contempo evitando ingerenze e condizionamenti da parte del soggetto proposto per l'applicazione della misura di prevenzione) e assetto procedimentale. D'altra parte, con riferimento a un incarico di responsabilità e con una forte valenza fiduciaria come quello di amministratore giudiziario di beni destinati a essere acquisti al patrimonio dello Stato, l'aver tipizzato i presupposti oggettivi (gravi irregolarità ovvero incapacità) che possono giustificare la revoca, prevedendo sempre l'audizione dell'interessato, costituisce un meccanismo procedimentale sufficiente – secondo la Suprema Corte – a garantire la posizione dell'amministratore giudiziario assicurando, nello stesso tempo, l'efficienza nell'assunzione delle decisioni in presenza di situazioni in cui il rapporto di fiducia tra i diversi organi coinvolti nella gestione e nel controllo dei beni è venuto meno (le argomentazioni sono tratte da Cass. VI, n. 4964/2014). Di recente la Suprema Corte ha ribadito che l'amministratore giudiziario è un ausiliario del magistrato, selezionato tra i soggetti aventi specifiche competenze tecnico-professionali e iscritti in apposito Albo Nazionale e non una parte processuale (soggetto i cui diritti possano venire incisi o ampliati nell'ambito della procedura giurisdizionale), né è pensabile l'instaurazione – a seguito della nomina – di un rapporto di pubblico impiego. La particolare prestazione professionale “di durata” viene liquidata, sulla base di parametri predeterminati, dal Tribunale con decreto motivato ed emesso prima dell'approvazione del rendiconto (art. 42, comma 4 e comma 5 d.lgs. n. 159/2011). In tal senso è anche la Suprema Corte (Cass. I, n. 28644/2017) ove ha affermato che “il provvedimento di revoca dell'amministratore giudiziario, assunto ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 159/2011, non è suscettibile di reclamo o impugnazione, anche ai sensi dell'art. 111 Cost., in quanto l'amministratore non vanta un diritto al mantenimento di un incarico di matrice pubblicistica, ma basato su una consistente componente fiduciaria finalizzata al primario interesse al corretto svolgimento della procedura di sequestro e confisca”. Ciò posto, va evidenziato che il sistema normativo è (sempre più) orientato verso una opportuna selezione dei soggetti cui vengono affidati rilevanti compiti in tema di amministrazione e gestione dei beni sequestrati o confiscati, con sottolineatura della necessità di costante verifica del mantenimento dei requisiti di competenza ed onorabilità. La Corte ha poi chiarito che in seguito alla nomina da parte dell'autorità giudiziaria non sorge un diritto soggettivo, in capo all'amministratore, al mantenimento del suo incarico. È importante evidenziare che tale posizione giuridica sia stata esclusa dalla giurisprudenza civile di legittimità proprio nel caso del curatore fallimentare: avverso il provvedimento del tribunale fallimentare che pronunci in tema di revoca del curatore non è, infatti, ammesso il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., atteso che il conferimento dell'ufficio non consolida un diritto soggettivo del curatore al mantenimento della sua funzione, né è idoneo a interferire nella sfera soggettiva del fallito ovvero di alcuno dei singoli creditori, trattandosi di ufficio d'interesse pubblico da cui può essere disposta la rimozione in ogni tempo, laddove il tribunale ritenga che la permanenza del professionista chiamato a ricoprirlo possa pregiudicare gli interessi della procedura, con il corollario della palese natura meramente ordinatoria del provvedimento che pronuncia, sia positivamente che negativamente, sulla revoca (così Cass. I, n. 7876/2006). Ciò che rileva, in effetti, è l'assenza – anche nel caso dell'amministratore giudiziario – di una posizione definibile in termini di diritto al mantenimento di un incarico di chiara matrice pubblicistica, ma al contempo basato su una consistente componente fiduciaria, il che pone come primario l'interesse al corretto svolgimento della procedura di sequestro e confisca, con la conseguenza della insindacabilità – in sede di impugnazione – della scelta di sostituire o revocare il professionista incaricato. L'impugnabilità presuppone, infatti, sia l'esistenza – qui al contrario non rinvenibile – di un diritto al mantenimento in essere dell'incarico che la possibile decisione contraria del giudice superiore, il che determinerebbe la paradossale condizione di un obbligo, in capo al giudice della procedura, di prosecuzione dell'attività tramite l'ausilio di un soggetto verso cui è venuta meno la fiducia. In tutta evidenza, ciò non toglie che allorché il professionista ritenga che il provvedimento di sostituzione o revoca, per i suoi contenuti, abbia leso diritti della personalità (onore, dignità) sia consentita la comune azione risarcitoria secondo le leggi civili applicabili (così Cass. I, n. 28644/2017). Un interessante principio di diritto è stato stilato dalla Suprema Corte di recente (Cass. VI, n. 26458/2021) precisando che, nel procedimento di prevenzione, è inammissibile la ricusazione dell'amministratore giudiziario, ai sensi dell'art. 37 c.p.p., in mancanza di una disposizione che consenta l'applicazione della predetta norma; è comunque prevista la sostituzione dell'amministratore che versi in una delle situazioni di incompatibilità previste dall'art. 35 del d.lgs. n. 159/2011, nonché la possibilità che lo stesso sia revocato in caso di grave irregolarità o incapacità, su proposta del giudice delegato, dell'Agenzia o d'ufficio. Nel caso all'esame della Corte il difensore del proposto aveva proposto ricorso avverso l'ordinanza con la quale la Corte di appello aveva dichiarato inammissibile la richiesta di ricusazione presentata nei confronti dell'amministratore giudiziario nominato versando costui in una pretesa situazione di incompatibilità; in specie, se ne chiesto l'annullamento per violazione di legge, in particolare, per erronea applicazione degli artt. 34,37,223 e 231 c.p.p. e, in subordine, si è domandato di sollevare la questione di costituzionalità del d.lgs. n. 159/2011 nella parte in cui non prevede la ricusabilità dell'amministratore giudiziario. La Corte ha ritenuto corretta la decisione di appello per mancanza di una disposizione espressa, che regoli la fattispecie denunciata, a differenza di quanto espressamente previsto dall'art. 145 c.p.p. per l'interprete e dall'art. 223 c.p.p. per il perito; peraltro, si è osservato che l'art. 35, comma 3 e 4-bis, d.lgs. n. 159/2011 elenca numerose cause di incompatibilità per l'assunzione dell'incarico di amministratore giudiziario, l'art. 35.1 d.lgs. cit. in caso di violazione di dette disposizioni ne prevede la sostituzione con provvedimento di urgenza e l'art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159/2011 prevede che l'amministratore possa essere revocato in caso di grave irregolarità o di incapacità su proposta del giudice delegato, dell'Agenzia o d'ufficio. Ne deriva l'esistenza di un complesso di norme che regolamenta situazioni specifiche, ma non contempla la ricusazione dell'amministratore giudiziario per le cause previste dall'art. 37 c.p.p. né ne è proponibile l'applicazione estensiva, come invece, prospetta il ricorrente. L'amministratore è, peraltro, responsabile anche nei confronti delle parti nell'ambito del rendiconto da presentare in ogni ipotesi di cessazione dell'incarico alla stregua dell'art. 43; i suoi atti sono impugnabili innanzi al giudice delegato (art. 40, comma 4) nel termine perentorio di quindici giorni. Quanto al primo profilo, si è peraltro osservato (Cass. I, n. 19669/2021) che il giudizio sul rendiconto della gestione ex art. 43 del d.lgs. n. 159/2011 non ha ad oggetto la responsabilità dell'amministratore giudiziario, bensì assolve a funzione di verifica, anche sulla base delle contestazioni delle parti, delle voci inserite nel conto, indicanti gli importi pagati e riscossi, la descrizione dei cespiti e il saldo; ne consegue che è illegittima l'ordinanza del tribunale che, ravvisando irregolarità o profili di incompletezza, non approvi il rendiconto, dovendo il giudice, in tale caso, invitare l'amministratore a provvedere alla loro sanatoria. In ordine al secondo, va detto che la norma deve essere interpretata alla stregua di Cass. I, n. 52984/2017 secondo la quale, in tema di amministrazione e gestione di beni sequestrati, gli atti compiuti dall'amministratore giudiziario in esecuzione delle direttive impartite dal giudice delegato non possono essere oggetto di reclamo ai sensi dell'art. 40, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011; il rimedio è invece esperibile al di fuori dell'ipotesi degli atti esecutivi di specifiche direttive del giudice delegato. Il disegno di riforma disciplinato dalla l. n. 161 tratteggia pure il rendiconto di gestione sulla base delle nuove competenze dell'Agenzia. All'esito della procedura, e comunque dopo il provvedimento di confisca emesso dalla Corte di Appello ed entro sessanta giorni dal suo deposito, l'amministratore giudiziario presenta, infatti, al giudice delegato il conto della gestione, tenuto conto dei criteri fissati dall'art. 37, comma 5 (art. 43, comma 1). L'Agenzia, subentrata nell'amministrazione, provvede al rendiconto qualora il sequestro sia revocato (comma 5-bis); in ogni altro caso trasmette al giudice delegato una relazione sull'amministrazione dei beni, esponendo anche le spese sostenute per consentire la determinazione del limite di garanzia previsto dall'art. 53; il giudice delegato, all'esito degli eventuali chiarimenti richiesti, prende atto della relazione (comma 5-bis). In tema di rendiconto, si segnala l'interessante chiarimento fornito recentemente dalla Suprema Corte: si è in specie precisato che, nell'ambito delle misure di prevenzione patrimoniali disposte prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, il provvedimento di approvazione del rendiconto della gestione degli amministratori giudiziari è ricorribile in cassazione solo per violazione di legge, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, in quanto la disciplina applicabile è quella prevista dagli artt. 7, d.l. n. 230/1989, convertito con modificazioni dalla l. n. 282/1989 e 5 d.m. n. 293/1991 che, a differenza della nuova normativa, non indicano il rimedio esperibile (così Cass. VI, n. 51710/2017). Da segnalare anche il disposto dell'art. 30 del Codice, secondo il quale in caso di sequestro/confisca di prevenzione disposti su beni già sottoposti a sequestro in un procedimento penale, la custodia giudiziale dei beni appresi nel procedimento penale viene affidata all'amministratore nominato nel giudizio di prevenzione (dunque, prevale la gestione della prevenzione su quella penale in caso di coincidenza dei cespiti attinti dalle due misure, indipendentemente dalla priorità cronologica dell'una rispetto all'altra) che comunicherà al giudice penale copia delle relazioni periodiche redatte per il giudice delegato. Peraltro, laddove il sequestro riguardi le ipotesi di cui all'art. 104-bis disp. att. c.p.p., (sequestro di aziende, società o beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione) l'amministratore giudiziario nominato nel procedimento penale prosegue la propria attività nel giudizio di prevenzione salvo che il tribunale, con decreto motivato e sentita l'Agenzia nazionale, provveda alla sua revoca e sostituzione. In caso di revoca del sequestro o della confisca di prevenzione, infine, il giudice penale nomina un nuovo custode, salvo che non ritenga di confermare l'amministratore già nominato in sede di prevenzione (comma 1, quarto periodo, così modificato dalla l. n. 161/2017). Cass. II, n. 21412/2021 nel delineare i confini fra amministrazione e controllo giudiziario afferma che: la verifica che il Tribunale della Prevenzione è chiamato a compiere sulla domanda presentata per l'ammissione al controllo giudiziario di cui all'art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011 deve vertere sull'accertamento della sussistenza del presupposto normativo della occasionalità dell'agevolazione e concludersi in un motivato giudizio prognostico circa la possibilità di emendare la rilevata situazione patologica mediante gli strumenti previsti dallo stesso art. 34-bis. |