Richiesta di differimento dello sgombero dell'abitazione sequestrata (art. 40, d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoGià il previgente comma 2 dell'art. 21, d.lgs. n. 159/2011 sanciva l'esistenza di un potere di sgombero espressamente previsto e attribuito al tribunale, in composizione collegiale. La formulazione della norma, infatti, escludeva la possibilità di procedere in tal senso attraverso provvedimenti monocratici del Giudice delegato, limitandone peraltro l'operatività solo agli immobili e soltanto ai casi di occupazione degli stessi sine titulo, ovvero in base a titolo privo di data certa anteriore al sequestro; la precisazione poteva ampliare notevolmente le categorie di interventi per i quali sarebbe stato possibile ricorrere allo sgombero speciale contemplato dalla norma in esame, dovendosi recuperare la fattispecie al principio di cui all'art. 2704 c.c. Era ed è autorizzato nello sgombero l'ausilio della forza pubblica e, in dottrina, si ritiene che il potere di sgombero sia utilizzabile anche nei casi in cui il titolo venga meno durante la procedura; ciò fermo restando, peraltro, che le questioni di merito sulla validità e l'efficacia dell'atto negoziale potrebbero non competere al Giudice della prevenzione, ma a quello naturale (civile), da individuare secondo le regole ordinarie di competenza. La materia è stata interessata da una modifica, rilevante sostanzialmente sotto il profilo della competenza, ad opera della l. n. 161/2017 di riforma del Codice Antimafia. Oggi infatti, il Giudice delegato alla procedura ai sensi dell'art. 35, comma 1, sentito l'amministratore giudiziario e valutate le circostanze concrete, ordina lo sgombero degli immobili sequestrati occupati senza titolo, ovvero sulla scorta di titolo privo di data certa anteriore al sequestro, mediante l'ausilio della forza pubblica. Rileva sul tema anche l'art. 40, d.lgs. n. 159/2011 - Codice Antimafia, come modificato dalla l. n. 161/2017: la norma prevede, infatti, che il Giudice delegato possa adottare, nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati nell'art. 47, comma 1, del r.d. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare), quando ricorrano le condizioni ivi previste. Inoltre, il tribunale, con decreto revocabile in ogni momento, può disporre su richiesta dell'interessato il differimento dell'esecuzione dello sgombero non oltre il decreto di confisca definitivo. Il beneficiario, pena la revoca del provvedimento, è tenuto a corrispondere l'indennità eventualmente determinata dal tribunale e a provvedere a sue cure alle spese e agli oneri inerenti all'unità immobiliare; è esclusa ogni azione di regresso. Se il tribunale, al contrario, rigetta la richiesta di differimento dello sgombero avanzata dal proposto, dispone la sua immediata esecuzione. FormulaN. ... RGMP TRIBUNALE DI ... SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE Il sottoscritto Avvocato ... del Foro di ... con studio in ... alla via ..., difensore di fiducia di ... nato a ..., nei cui confronti è stato emesso in data ... dal Tribunale di ... decreto con il quale è stato disposto il sequestro di prevenzione dei beni a lui intestati; PREMESSO che il sequestro è stato eseguito in data ...; che tra i beni sequestrati vi è l'immobile sito in ... alla via ... in catasto ...; che detto immobile è adibito da molti anni ad abitazione del proposto e del suo nucleo familiare; che di tale bene è stato ordinato lo sgombero in data ...; che il sequestro ha colpito tutti i beni e le aziende riconducibili al proposto, il quale si trova quindi a non poter contare più su nessuna fonte di reddito; che il nucleo familiare non ha nella sua disponibilità nessun altro immobile oltre quelli oggetto di sequestro; che il coniuge e i figli conviventi non lavorano e non hanno nessuna risorsa personale, tanto da non poter prendere in locazione alcun bene; che, quindi, il nucleo familiare si trova in condizioni di estremo disagio economico, tanto da non poter più provvedere alle ordinarie necessità quotidiane; CHIEDE alle S.V., previa audizione dell'interessato, di ordinare il differimento dello sgombero fino al provvedimento definitivo sulla richiesta di confisca del bene. Si impegna all'uopo a pagare l'indennità eventualmente determinata dal tribunale e a provvedere a sue cure alle spese e agli oneri inerenti all'unità immobiliare. Allega la seguente documentazione (es., certificato ISEE, visura catastale, dichiarazioni giurate, stato di famiglia, etc.). Con osservanza. Luogo e data ... Firma ... CommentoSequestro e potere di sgombero Già il previgente comma 2 dell'art. 21, d.lgs. n. 159/2011 sanciva l'esistenza di un potere di sgombero espressamente previsto e attribuito al tribunale, collegialmente inteso. La formulazione della norma, infatti, escludeva la possibilità di procedere in tal senso attraverso provvedimenti monocratici del Giudice delegato, limitandone peraltro l'operatività solo agli immobili e soltanto ai casi di occupazione degli stessi sine titulo, ovvero in base a titolo privo di data certa anteriore al sequestro; la precisazione poteva ampliare notevolmente le categorie di interventi per i quali sarebbe stato possibile ricorrere allo sgombero speciale contemplato dalla norma in esame, dovendosi recuperare la fattispecie al principio di cui all'art. 2704 c.c. Era ed è autorizzato nello sgombero l'ausilio della forza pubblica e, in dottrina, si ritiene che il potere di sgombero sia utilizzabile anche nei casi in cui il titolo venga meno durante la procedura; fermo restando, peraltro, che le questioni di merito sulla validità e l'efficacia dell'atto negoziale potrebbero non competere al Giudice della prevenzione, ma a quello naturale (civile), da individuare secondo le regole ordinarie di competenza. La materia, invero, è stata interessata da una modifica, rilevante sostanzialmente sotto il profilo della competenza, ad opera della l. n. 161/2017. La l. n. 161/2017 di riforma del Codice Antimafia Da segnalare, come accennato, le modifiche apportate dalla legge indicata in epigrafe, pubblicata in G.U. il 4 novembre 2017 e vigente dal 19 novembre 2017, in tema di esecuzione del sequestro di prevenzione. Si prevede, in particolare, un articolato procedimento diretto a ottenere lo sgombero dei beni immobili e la liberazione delle aziende, anche se occupati dal proposto, dai terzi intestatari e dai familiari di costoro, coordinato col disposto degli artt. 40 (beni immobili) e 41 (aziende). L'obiettivo delle nuove disposizioni, recependo le migliori prassi degli uffici giudiziari di merito, è quello di assicurare la liberazione dei beni contestualmente al loro reale utilizzo o alla loro gestione diretta (dell'azienda) per evitare le criticità che si verificano quando il bene non è utilizzato, oltre che i ritardi della destinazione finale derivanti dalla presenza di persone da sgomberare o allontanare dalle aziende. L'intervento, particolarmente articolato, va sintetizzato insieme al contenuto delle norme (collegate) sulla gestione del bene, dettate nel successivo art. 40 del Codice. In ordine ai beni immobili occupati senza titolo o in base a titolo privo di data certa anteriore al sequestro, come già in passato, va disposto immediatamente lo sgombero (art. 21, comma 2); la norma, nella sua netta formulazione (“ordina lo sgombero”), non sembra lasciare sul punto margini di discrezionalità, salva la possibilità per gli occupanti di regolarizzare la loro posizione mediante la stipula di contratti che — nell'osservanza delle ordinarie regole civilistiche – consentano loro di rimanere nell'immobile. La disposizione va, infatti, coordinata con il novellato art. 40 (Gestione di beni e aziende sequestrati) alla stregua del quale il tribunale, su proposta del Giudice delegato, può disporre il differimento dell'esecuzione dello sgombero per il tempo necessario per la stipula o l'esecuzione dei contratti previsti dall'art. 40, commi 3-bis (locazione o comodato con cessazione in data non successiva alla confisca definitiva) e 3-ter (concessione in comodato ai soggetti previsti nell'art. 48, comma 3, lettera c), con cessazione alla data della confisca definitiva), sempre che l'occupante corrisponda l'indennità eventualmente determinata e provveda a sue cure alle spese e a tutti gli oneri, compreso il pagamento di oneri fiscali, inerenti all'unità immobiliare, esclusa ogni azione di regresso. Dunque, eseguito il sequestro il Giudice delegato, unitamente all'amministratore, valuterà se procedere al materiale sgombero dell'occupante senza titolo, ovvero se richiedere al tribunale i provvedimenti ora indicati al fine di evitare che il bene, sgomberato, rimanga libero e possa essere soggetto a deterioramento. Come si può notare dal raffronto tra le due norme, la titolarità del potere di ordinare lo sgombero passa dal tribunale (nella vecchia formulazione) al Giudice delegato, probabilmente al fine di consentire la via del reclamo al collegio del relativo provvedimento. Eliminato, poi, il riferimento alla mancata spontanea ottemperanza da parte degli occupanti (potrebbe dirsi, avendo preso atto della scarsissima probabilità del suo verificarsi in concreto), la nuova legge ha inserito due elementi importanti, l'uno di tipo procedurale e l'altro valutativo: in primo luogo, infatti, si statuisce che il Giudice delegato procederà a ordinare lo sgombero non prima di aver sentito l'amministratore e “valutate le circostanze”, espressione che appare forse correlata con le ulteriori e diverse possibilità di gestione del bene immobile all'indomani del sequestro ventilate dal menzionato art. 40. Si conferma, infine, la possibilità di porre in essere lo sgombero mediante l'ausilio della forza pubblica. Parzialmente diverso è il regime operativo qualora gli occupanti siano il proposto e i suoi familiari conviventi, ovvero i terzi formali intestatari dell'immobile: qui, infatti, il procedimento tratteggiato dall'art. 21, comma 2, va analizzato insieme al possibile esercizio della facoltà attribuita dall'art. 47, comma 2, della l. fall. (richiamato dal nuovo art. 40, comma 2-bis) di assegnazione della “casa” e, comunque, con l'esigenza di salvaguardare l'integrità del bene. Il tribunale, infatti, può disporre il differimento dello sgombero se sia presentata l'istanza di assegnazione, caso nel quale l'ufficio, valutando il fumus dell'istanza stessa, dispone — con decreto revocabile in ogni momento — il differimento dell'esecuzione dello sgombero, che comunque non può protrarsi oltre la definitività del decreto di confisca. Invece, in caso di rigetto dell'istanza, viene disposta l'esecuzione dello sgombero, se precedentemente differito (art. 40, comma 2-bis, ultima parte). la giurisprudenza di legittimità (Cass. VI, n. 38264/2019) ha spiegato che l'adozione dei provvedimenti riguardanti i diritti personali del sottoposto alla procedura e della sua famiglia, previsti dagli artt. 40, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 e 47, l. fall., rientra nella competenza funzionale del Giudice delegato, sicchè tali provvedimenti non possono essere adottati dal tribunale collegiale se non nell'ambito del procedimento di opposizione mediante incidente di esecuzione; fattispecie in cui la Corte ha annullato, con rinvio al Giudice delegato, l'ordinanza con la quale il tribunale collegiale aveva rigettato la richiesta del sottoposto alla misura di prevenzione di trasferirsi assieme al proprio nucleo familiare presso un immobile sequestrato. Il beneficiario, pena la revoca del provvedimento, è tenuto a corrispondere l'indennità eventualmente determinata dal tribunale e a provvedere a sue cure alle spese e agli oneri inerenti all'unità immobiliare; è esplicitamente esclusa ogni azione di regresso. Ancora, lo sgombero è eseguito subito, qualora a ciò non si fosse già provveduto, allorché l'amministratore, previa autorizzazione scritta del Giudice delegato, conceda in comodato i beni immobili ai soggetti di cui all'art. 48, comma 3, lett. c) (enti locali territoriali, comunità, enti o associazioni maggiormente rappresentative, associazioni di volontariato, comunità terapeutiche, cooperative sociali, etc.), con cessazione del contratto al momento della definitività della confisca. In tali ipotesi si procede, se necessario, alla revoca dei provvedimenti di cui al comma 2-bis (assegnazione della casa ai sensi della normativa fallimentare). È interessante osservare che nel passaggio dalla Camera al Senato il testo dell'art. 21 ha subito notevoli interpolazioni: il testo approvato nel novembre 2015, infatti, tratteggiava una disciplina diversa e ulteriore, che poi si è scelto di non trasformare in legge. Si stabiliva, ad esempio, che il differimento dello sgombero potesse operare anche “quando è necessario ai fini della migliore conservazione dei beni, con provvedimento revocabile in ogni tempo e comunque non oltre il decreto di confisca definitiva, sempre che l'occupante corrisponda l'indennità eventualmente determinata e provveda a sue cure alle spese e a tutti gli oneri, compreso il pagamento di oneri fiscali, inerenti all'unità immobiliare, esclusa ogni azione di regresso”. L'esclusione di tale norma dal testo poi licenziato va letta, forse, nel senso di limitare il più possibile la permanenza del proposto e dei suoi familiari all'interno degli immobili sequestrati, evitando la presenza di spazi di operatività per richieste di tal genere ancorate alla pretesa finalità di una “migliore conservazione” dei beni. Si assicurava, inoltre, “l'effettività” dei provvedimenti di sgombero con la trasmissione “per l'immediata esecuzione e per la necessaria successiva vigilanza al questore del luogo ove è ubicato il bene” e la comunicazione al Prefetto competente (art. 21, comma 2-ter, d.lgs. cit.). I provvedimenti descritti erano “opponibili esclusivamente con incidente di esecuzione, a norma dell'art. 666 c.p.p. innanzi allo stesso Tribunale, con citazione anche dell'Agenzia. L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento, a meno che il Tribunale che l'ha emesso disponga diversamente” (art. 21, comma 2-quater, d.lgs. cit.). Qui, al contrario, deve ritenersi che l'Atto Camera 1039 nella sua formulazione originaria offrisse strumenti concreti, validi ed efficaci: l'assistenza del personale della Questura — quindi di P.G. e di forze dell'ordine — per l'esecuzione dello sgombero e la successiva vigilanza, come pure la comunicazione al Prefetto, sarebbero state infatti disposizioni di grande utilità per assicurare lo sgombero effettivo dei beni e soprattutto l'integrità degli stessi, scongiurando eventuali (nella pratica, purtroppo tutt'altro che frequenti) danneggiamenti a opera, magari, proprio degli stessi soggetti allontanati. Probabilmente si è scelto di non seguire questa strada nella consapevolezza del notevolissimo aggravio del carico di lavoro che ne sarebbe derivato per il personale delle locali Questure, connesso non tanto all'intervento in sede di sgombero, quanto piuttosto alla successiva e prolungata attività di vigilanza di fondi ed edifici, in grande numero e talvolta dislocati in zone isolate e difficili da raggiungere. Per le aziende l'allontanamento di proposto, familiari conviventi e terzi formali intestatari era invece disciplinato dall'art. 41 cui rinviava l'art. 21, comma 2-quinquies: in particolare, l'allontanamento avveniva sulla base delle disposizioni impartite dal tribunale su proposta del Giudice delegato, dando priorità a quello del soggetto proposto. Lo stesso tribunale, su proposta del Giudice delegato, impartiva disposizioni fino al momento dell'allontanamento sulla presenza dei soggetti indicati e l'allontanamento era, comunque, disposto (comma 1-quater) qualora l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione scritta del Giudice delegato, affittasse l'azienda o un ramo di azienda (come previsto ai commi 2-bis e 2-ter). Come si è visto, alcune di queste disposizioni (si pensi a quella relativa all'assegnazione di cui all'art. 47, l. fall.) sono state invece trasfuse in legge, ma spostandole nell'art. 40 e modificandole (ad esempio, prima era previsto che l'istanza di assegnazione dovesse essere presentata entro 10 giorni dalla notifica del sequestro). Manca, infine, nella l. n. 161/2017 una disposizione transitoria diretta a consentire l'applicabilità di queste utili modifiche ai procedimenti sorti sulla base di proposte depositate prima del 13 ottobre 2011 e quindi non disciplinati dal vigente Codice Antimafia. I provvedimenti di cui all'art. 47 della c.d. l egge f allimentare Come accennato, i commi 2 e 2-bis dell'art. 40 stabiliscono che il Giudice delegato può adottare, nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati nell'art. 47, comma 1, del r.d. n. 267/1942, e successive modificazioni. Trattasi, in particolare, dell'ipotesi in cui al fallito (ovvero al proposto, in questo caso) vengano a mancare i mezzi di sussistenza, evenienza in cui il Giudice delegato può concedere un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la sua famiglia; il comma 2 del citato art. 47 stabilisce invece che “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”. Ne consegue che il Giudice delegato della prevenzione potrà sia concedere un sussidio alimentare al proposto (e ai suoi familiari), sia consentirgli di continuare a occupare la casa d'abitazione di sua proprietà, oggetto di sequestro, dietro pagamento di un'indennità e comunque non oltre la confisca definitiva del bene stesso. La Suprema Corte (Cass. I, n. 8868/2021) ha sul punto precisato che la domanda di erogazione del sussidio alimentare di cui all'art. 40, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 può essere presentata dai soggetti, anche diversi dal proposto, che si trovino a subire una limitazione dei propri diritti patrimoniali a seguito dell'emissione del provvedimento di prevenzione; fattispecie in cui l'istanza era stata proposta dal figlio del soggetto portatore di pericolosità, ritenuto intestatario formale di beni oggetto di sequestro. Quanto invece alla possibilità di continuare a occupare l'abitazione sequestrata, si è chiarito (Cass. VI, n. 20566/2020) che il proposto che versi in stato di bisogno può essere autorizzato, ai sensi dell'art. 40, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, ad abitare l'immobile sequestrato, a condizione che lo stesso fosse già destinato ad abitazione familiare allorquando è stata disposta la misura, non assumendo rilevanza eventuali esigenze abitative sopravvenute; in motivazione, la Corte ha precisato che è manifestamente infondata la questione di costituzionalità per violazione del diritto di abitazione, in quanto la salvaguardia eccezionalmente prevista per il proposto che occupi l'abitazione sequestrata e versi in stato di bisogno assicura al predetto la mera protrazione del godimento del bene e non il diritto di abitarvi. Con il richiamo ai provvedimenti di favore della procedura fallimentare, secondo l'interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di legittimità, il legislatore della prevenzione ha inteso creare un'analogia tra la figura del proposto e quella del fallito in ragione del comune denominatore costituito, per entrambe le figure, dal riconoscimento del diritto di abitazione (Cass. II, n. 9908/2011; Cass. I, n. 51458/2013; Cass. VI, n. 25289/2015). Ciò pur essendo le due situazioni giuridiche caratterizzate da una netta diversità di presupposti e finalità, in primis per i più evidenti aspetti relativi alla natura e alla provenienza dei beni che vengono a formare la massa patrimoniale attinta dalle due procedure costituita, nel caso del proposto, da beni di provenienza sicuramente illecita. Quanto al rilievo giuridico da attribuire a tale parallelismo, la Suprema Corte (sentenza n. 51458/2013, citata) ha fornito una lettura convincente affermando che «Se è vero, da un lato, che l'esplicito raccordo voluto dal legislatore tra la norma di prevenzione e quella fallimentare sottende una indubbia relazione analogica tra la posizione del “Proposto” e quella del “fallito”, è altrettanto vero, dall'altro, che detta relazione appare pienamente giustificata solo nel caso in cui al primo, con il sequestro di prevenzione, vengano sottratti tutti i beni, cosicché la sua situazione si trovi realmente a coincidere con quella del “fallito” espropriato del suo patrimonio. Non può dimenticarsi, infatti, a giustificare l'esclusione di una automatica e rigida analogia (si potrebbe parlare di analogia “temperata”) tra le due figure, che, a differenza del fallito, il proposto viene privato solo di quei beni che siano riconducibili ad una provenienza illecita e che, quindi, può, in ipotesi, conservare nel suo possesso tutti i beni per i quali tale provenienza non sia stata dimostrata». A escludere, sotto altro profilo, la piena sovrapponibilità tra le due posizioni soccorrono ragioni di carattere sistematico che implicano l'inserimento della l. n. 575/1965, art. 2-sexies, comma 4, (oggi d.lgs. n. 159/ 2011, art. 40, comma 2) in un corpo normativo come quello che disciplina le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, il cui obiettivo finale è la restituzione alla collettività, attraverso la loro destinazione a scopi di utilità sociale, dei beni di provenienza delittuosa confiscati (obiettivo chiaramente diverso dalla tutela delle ragioni dei creditori che caratterizza la procedura fallimentare). Inoltre, in attesa del provvedimento di confisca, la sistematica antimafia prevede il ricorso allo strumento provvisorio del sequestro che, per un verso, assicura l'immissione in possesso e l'apprensione dei beni da parte dello Stato (anche attraverso lo sgombero forzato previsto, per i beni immobili, dall'art. 21) e, per altro verso, demanda allo Stato medesimo, attraverso la collaborazione del Giudice delegato con l'amministratore giudiziario, di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati... (anche) al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi (art. 35, comma 5, che riproduce la l. n. 575/1965, previgente art. 2-sexies, comma 8). È stato, inoltre, affermato che “ ... poiché come si è sopra evidenziato non sussiste un rapporto analogico pieno tra la figura del proposto e quella del fallito e poiché la massima coincidenza tra le due figure si verifica solamente nel caso in cui al proposto per una misura di prevenzione (o al terzo intestatario per conto del proposto) vengano sottratti con il sequestro tutti i beni, così come accade al fallito alla data di dichiarazione di fallimento, è solo in questo caso, in cui la situazione del proposto è sovrapponibile a quella del fallito e la relazione analogica è completa, che il Giudice delegato alla procedura di prevenzione, in base al combinato disposto di cui al d.lgs. n. 159/2011, art. 40, comma 2, e l. fall., art. 47, potrà valutare l'applicabilità, sino alla definizione del procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall'art. 47, citato, autorizzando il proposto o il terzo intestatario del bene ad abitare l'immobile in sequestro, senza corrispondere alcun corrispettivo all'Amministratore Giudiziario, una volta preso atto dell'indisponibilità, da parte del soggetto interessato, di altri immobili di proprietà da destinare ad abitazione o di risorse economico-finanziarie adeguate a risolvere il problema abitativo, (requisito della “necessità” abitativa previsto dall'art. 47, comma 2, cit.)”. Viceversa, nel caso in cui il proposto/terzo intestatario non si trovi in condizioni di emergenza abitativa, in quanto disponga di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà, la Suprema Corte (Cass. V, n. 9495/2016) ha affermato la necessità di escludere l'assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque, l'applicabilità dei provvedimenti di cui alla l. fall., art. 47, con la conseguente legittima possibilità — giustificata dal fine normativamente previsto di incrementare la redditività dei beni in sequestro (d.lgs. n. 159/2011, art. 35, comma 5) — di imporre nei suoi confronti, per continuare ad abitare nel bene in sequestro, il pagamento di un canone di locazione ovvero, se tale soluzione si ritenga inopportuna per l'incompatibilità della qualità del proposto con quella di un ordinario fruitore del bene, una congrua indennità di occupazione, che abbia la funzione di compensare medio tempore per la durata della indisponibilità del bene il pregiudizio derivante dal suo mancato godimento sull'indennità di occupazione (vedi Cass. civ. I, n. 13060/2008). Come visto, parte della giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del Codice del 2011 riteneva, al contrario, non legittima la richiesta di un canone di locazione o di occupazione del bene immobile da parte del proposto a fronte del provvedimento di cui all'art. 47, comma 2, in esame; si escludeva, infatti, tale possibilità definendo illegittima la richiesta rivolta dall'amministratore giudiziario dei beni in sequestro di prevenzione al proposto di pagamento, previa stipula di un contratto di locazione, di un canone per l'immobile detenuto da quest'ultimo in custodia e adibito ad uso di abitazione per sé e per la famiglia, perché la casa di abitazione restava a disposizione del proposto fino alla confisca e non poteva dirsi che fosse da questi posseduta sine titulo come se fosse divenuta di proprietà dell'amministrazione dei beni (cfr. Cass. II, n. 9908/2011). Di contrario avviso l'orientamento che aveva, invece, affermato che risultava funzionale all'evocata ottica di incremento della redditività dei beni l'imposizione di un canone di locazione o di un'indennità di occupazione nei confronti del proposto o del terzo intestatario formale dell'immobile soggetto a sequestro di prevenzione (così Cass. II, n. 27809/2015). La stessa giurisprudenza precisava, sul punto, che tra i poteri del Giudice delegato vi era anche quello di imporre il pagamento di un canone, ovvero di una congrua indennità di occupazione nei confronti del proposto, per consentirgli di continuare ad abitare in un immobile sottoposto a sequestro. Il che, peraltro, non implicava la stipula di un contratto di natura civilistica, in quanto la gestione del bene sotto il controllo del tribunale che aveva emesso il sequestro e la confisca di prevenzione (e per esso del Giudice delegato) rispondeva pur sempre a esigenze di natura pubblicistica, tanto che il pagamento delle somme non doveva essere rimesso alla libera contrattazione, ma determinato unilateralmente dall'ufficio in sede di autorizzazione all'occupazione dell'immobile, rappresentando ciò la condizione per consentirne, temporaneamente, l'utilizzo; tale sistema consentiva comunque al Giudice delegato di revocare l'autorizzazione a tale utilizzo quando la condizione imposta (pagamento del canone o dell'indennità) venisse meno. La novella del 2017 ha risolto il citato contrasto giurisprudenziale, stabilendo che il mancato pagamento dell'indennità di occupazione chiesta al proposto è causa di revoca del provvedimento di assegnazione temporanea; trattasi di una modifica senza dubbio condivisibile, che contempera le esigenze del proposto con quelle correlate all'incremento di redditività dei beni sequestrati, finalità che la legge, come si è detto, testualmente si propone. Interessante il principio affermato da Cass. III, n. 17855/2019 in forza del quale, in ipotesi di sequestro e di confisca ordinati nel procedimento penale, deve ritenersi applicabile la disposizione di cui all'art. 40, comma 2-bis, d.lgs. n. 159/2011, la quale, nel testo risultante per effetto della modifica recata dall'art. 14, comma 1, lett. a), l. n. 161/2017, stabilisce che il Giudice può differire l'esecuzione dello sgombero dei beni nel caso previsto dal comma 2 dell'art. 47, r.d. n. 267/1942, ossia quando la casa è necessaria all'abitazione del soggetto sottoposto alla misura ablatoria ed alla sua famiglia; invero, l'art. 40, d.lgs. n. 159/2011 è compreso nel libro I, intitolato «Le misure di prevenzione», e, precisamente, all'interno di questo, nel titolo III, rubricato «La amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati». Proprio in questo procedimento si è anche specificato che l'imposizione di una indennità di occupazione «attiene evidentemente alla amministrazione del bene in sequestro» (Sez. II, n. 33626/2020, Alberti Graziella). Il comma 2-bis è stato introdotto dalla l. n. 161/2017, che ha riscritto in maniera più dettagliata il subprocedimento con il quale al proposto e ai suoi familiari può venire consentito di continuare a occupare gli immobili in sequestro; la norma va letta in raccordo con quanto stabilito dal novellato art. 21 in tema di sgombero dei beni immobili sottoposti a vincolo. È, infatti, particolare il regime nel caso in cui i soggetti occupanti siano il proposto e i suoi familiari conviventi, ovvero i terzi formali intestatari dell'immobile: qui, infatti, il procedimento tratteggiato dall'art. 21, comma 2, va analizzato insieme al possibile esercizio della facoltà attribuita dall'art. 47, comma 2, della l. fall. (richiamato dal nuovo art. 40, comma 2-bis) di assegnazione della “casa” e, comunque, con l'esigenza di salvaguardare l'integrità del bene. Il Tribunale può, infatti, disporre il differimento dello sgombero se sia presentata l'istanza di assegnazione, caso nel quale l'ufficio, valutando il fumus dell'istanza, dispone — con decreto revocabile in ogni momento — il differimento dell'esecuzione dello sgombero, che comunque non può protrarsi oltre la definitività del decreto di confisca. Qualora, invece, l'istanza sia rigettata viene disposta l'esecuzione dello sgombero, se precedentemente differito (art. 40, comma 2-bis ultima parte). Come anticipato, il beneficiario, pena la revoca del provvedimento, è tenuto a corrispondere l'indennità eventualmente determinata dal Tribunale e a provvedere a sue cure alle spese e agli oneri inerenti all'unità immobiliare; è espressamente esclusa ogni azione di regresso. Ancora, lo sgombero è eseguito subito, qualora a ciò non si fosse già provveduto, allorché l'amministratore, previa autorizzazione scritta del Giudice delegato, conceda in comodato i beni immobili ai soggetti di cui all'art. 48, comma 3, lett. c) (enti locali territoriali, comunità, enti o associazioni maggiormente rappresentative, associazioni di volontariato, comunità terapeutiche, cooperative sociali, etc.), con cessazione al momento della definitività della confisca. In tali ipotesi si procede, se necessario, alla revoca dei provvedimenti di cui al comma 2-bis (assegnazione della casa ai sensi della normativa fallimentare). In merito ai presupposti dei provvedimenti di cui all'art. 40, commi 2 e 2-bis, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è nel senso di subordinare la concessione del sussidio alimentare e dell'autorizzazione ad abitare la casa di proprietà, oltre che ad un provvedimento di natura discrezionale, al ricorso delle condizioni e nei limiti ben precisi, individuati dalla legge (Cass. I, n. 51458/2013). Tali condizioni e limiti, salvo adattamento alla specificità della procedura di prevenzione, devono essere — com'è ovvio, atteso il richiamo normativo espresso — tenuti presenti dal Giudice delegato chiamato ad adottare nei confronti del proposto i provvedimenti in esame; in specie, questi dovrà verificare le condizioni economiche e di vita dell'intestatario e della famiglia, nonché l'eventuale sussistenza di possibili sistemazioni abitative diverse in beni non attinti da misura. Infine, quanto all'impugnabilità dei provvedimenti presi dal Giudice delegato ai sensi dell'art. 40, la Suprema Corte, pur ribadendo l'inoppugnabilità di tali atti, ha tuttavia individuato nell'incidente di esecuzione innanzi al tribunale un possibile modello di tutela ed ha affermato che chi intenda dolersi del contenuto del provvedimento può contestarlo mediante opposizione al tribunale della prevenzione, appunto nelle forme dell'incidente di esecuzione. Il principio è riaffermato da Cass. V, n. 57130/2018 secondo cui i provvedimenti adottati dal Giudice delegato non sono impugnabili in difetto di un'espressa previsione che lo consenta, tenuto conto del principio di tassatività delle impugnazioni di cui all'art. 568 c.p.p.; tuttavia fanno eccezione i provvedimenti indicati dall'art. 47, l. fall., che il Giudice delegato può adottare nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia ai sensi dell'art. 40, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, che possono essere oggetto di impugnazione nella forma dell'opposizione avanti al tribunale in composizione collegiale, mediante incidente di esecuzione. La decisione resa all'esito di tale procedura è soggetta a ricorso per cassazione, con il limite posto dall'art. 3-ter, l. n. 575/1965 (oggi art. 27 del Codice Antimafia). Ordinaria e straordinaria amministrazione: le novità della l . n. 161/2017 L'art. 40, d.lgs. n. 159/2011, riproduttivo del comma 1 dell'art. 2-septies della l. n. 575/1965, richiede l'autorizzazione scritta del Giudice delegato per gli atti di straordinaria amministrazione e, tra questi, il legislatore include: la determinazione di stare in giudizio (attivamente o passivamente), di contrarre mutui, di stipulare transazioni, compromessi, fideiussioni, di concedere ipoteche, alienare immobili. La disposizione opera in presenza di beni sequestrati diversi dalle aziende, per le quali invece il riferimento testuale è l'art. 41. Il testo normativo propone un modello che vede capace l'amministratore giudiziario al compimento di tutti gli atti di ordinaria gestione, senza che occorra la preventiva autorizzazione del Giudice delegato; al contrario, dovrà essere oggetto di espressa e preventiva autorizzazione (scritta) l'attività di straordinaria amministrazione. Fermo restando che nulla pare vietare una ratifica successiva da parte del Giudice delegato, ci si è chiesti quale sia la sorte di un atto di straordinaria amministrazione compiuto dall'amministratore senza prima essersi munito della citata autorizzazione. Ciò premettendo che la legge nulla dice sul punto. Invero, se si ritenesse che l'autorizzazione assume il rilievo di un requisito di efficacia dell'atto, dovrebbe concludersi che il negozio concluso dall'amministratore sia valido, ma inefficace. Se, invece, si volesse sostenere che l'autorizzazione ha un ruolo fondamentale di concorso alla formazione della volontà negoziale, allora l'atto dovrebbe essere addirittura invalido per difetto di completamento di uno dei requisiti essenziali del negozio stesso, vale a dire la manifestazione della volontà negoziale. In merito alle diverse tipologie di atti di straordinaria amministrazione, si ritiene generalmente che l'elencazione prima riportata sia solo esemplificativa e non tassativa, grazie alla presenza dell'inciso normativo “e compiere altri atti di straordinaria amministrazione” che figura nel testo. Per individuare gli atti di straordinaria amministrazione può in generale farsi riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 35 della l. fall., facendovi così rientrare la riduzione di crediti, la ricognizione di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni e lo svincolo di cauzioni a titolo oneroso. Il tutto, com'è evidente, solo con riferimento agli atti strettamente inerenti al bene oggetto della misura di prevenzione, mentre nella procedura fallimentare si determinano lo “spossessamento” generale del fallito e l'attribuzione al curatore del potere di gestire tutti i suoi diritti patrimoniali. Da ciò deriva che non sembra che l'amministratore giudiziario (o l'Agenzia) possa, per esempio, accettare eredità o donazioni, perché la misura di prevenzione colpisce i singoli beni del proposto e non comporta l'acquisizione alla procedura dei beni futuri, a differenza di quanto previsto dall'art. 42, comma 2, l. fall. per il fallito. La norma non attribuisce (né all'amministratore, fino al decreto di confisca di secondo grado, né all'Agenzia, per la fase successiva) alcun rimedio espresso avverso il provvedimento con cui il Giudice delegato respinge la richiesta di autorizzazione a compiere un atto di straordinaria amministrazione; anche questa lacuna normativa potrebbe essere superata interpretando estensivamente (come già accadeva per l'art. 2-sexies, comma 5, l. n. 575/1965) l'art. 38, comma 1, e ritenendo che l'Agenzia (anche su richiesta dell'amministratore) possa chiedere la revoca dell'atto al Tribunale. Da segnalare, ancora, alcune importanti specificazioni apportate alla norma dalla novella vigente dal 9 novembre 2017. In particolare, ai sensi del comma 3-bis l'amministratore giudiziario, con l'autorizzazione scritta del Giudice delegato, può locare o concedere in comodato i beni immobili, prevedendo la cessazione nei casi previsti dal comma 3-ter e comunque in data non successiva alla pronuncia della confisca definitiva. La citata disposizione statuisce, a sua volta, che l'amministratore giudiziario, anche su proposta dell'Agenzia, può — in via prioritaria — concedere in comodato i beni immobili ai soggetti indicati nell'art. 48, comma 3, lettera c), con cessazione alla data della confisca definitiva. Infine, in caso di beni immobili concessi in locazione o in comodato sulla scorta di titolo di data certa anteriore al sequestro, l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del Giudice delegato, pone in essere gli atti necessari per ottenere la cessazione del contratto alla scadenza naturale. Come si vede, quindi, si è voluto indirizzare in modo chiaro il lavoro dell'A.G. e dell'amministratore, prevedendo esplicitamente la possibilità di vendere, locare o dare in comodato gratuito gli immobili in sequestro, già peraltro ammessa nella prassi, sempre subordinando tali atti alla necessaria previa autorizzazione scritta del Giudice delegato. Peraltro, si è ribadita l'intenzione del legislatore di addivenire a una gestione il più possibile razionale ed efficace della procedura di prevenzione, stabilendo che i beni immobili dovranno arrivare alla confisca definitiva liberi da vincoli e pesi, ivi compresa anche la possibile pendenza di contratti di godimento a loro riferiti, che ben potrebbe influire negativamente sulla loro efficiente destinazione agli scopi previsti dal sistema. |