Ricorso in appello avverso il provvedimento di liquidazione del compenso professionale (art. 42, d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoAi sensi dell'art. 42 del d.lgs. n. 159/2011, le spese necessarie o utili per la conservazione e l'amministrazione dei beni sono sostenute dall'amministratore giudiziario mediante prelevamento dalle somme riscosse a qualunque titolo ovvero sequestrate, confiscate o comunque nella disponibilità del procedimento. Quanto alla nozione di spese necessarie o utili, la giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 874/2020) ha spiegato che le spese sostenute per i compensi dei lavoratori dipendenti dell'impresa sottoposta a confisca, nel caso di restituzione alla parte privata del bene, sono a carico del privato e non dell'erario, in quanto necessarie o utili per la conservazione e la gestione del bene, a differenza di quelle sostenute dall'amministratore giudiziario per il coadiutore ex art. 35, d.lgs. n. 159/2011 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla l. n. 161/2017), che rientrano comunque nel conto della gestione ex art. 42, comma 3, del medesimo decreto. La norma, al comma 4, riprendendo la disciplina già introdotta dall'art. 8 del d.lgs. n. 14/2010, statuisce che il compenso degli amministratori giudiziari vada liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del citato d.lgs.; dopo la confisca definitiva, invece, l'amministratore svolge i suoi compiti per conto dell'Agenzia del demanio (e dalla data di entrata in vigore dell'Agenzia nazionale, per conto di quest'ultima, fino alla destinazione del bene). L'articolo citato fissa il criterio per cui i compensi degli amministratori debbano essere stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro della Giustizia di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. Se dalla gestione dei beni sequestrati o confiscati non è ricavabile denaro sufficiente per il pagamento delle spese di cui al comma 1, le stesse sono anticipate dallo Stato, con diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro o della confisca. La determinazione dell'ammontare del compenso, la liquidazione dello stesso e del trattamento di cui all'art. 35, comma 8, nonché il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori, sono disposti con decreto motivato del tribunale, su relazione del Giudice delegato; il compenso degli amministratori giudiziari è liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 14/2010 e oggi in base al d.P.R. n. 177/2015. Le liquidazioni e i rimborsi di cui al comma 4 sono fatti prima della redazione del conto finale; in relazione alla durata dell'amministrazione e per gli altri giustificati motivi il tribunale concede, su richiesta dell'amministratore giudiziario e sentito il Giudice delegato, acconti sul compenso finale. Il tribunale dispone in merito agli adempimenti richiesti entro cinque giorni dal ricevimento della richiesta. Entro venti giorni dalla comunicazione dell'avviso, l'amministratore giudiziario può proporre ricorso avverso il provvedimento che ha disposto la liquidazione o il rimborso; la Corte d'appello decide sul ricorso in camera di consiglio, previa audizione del ricorrente, entro quindici giorni dal deposito del ricorso. Se il provvedimento impugnato è stato emesso dalla Corte d'appello, sul ricorso decide la medesima Corte in diversa composizione. FormulaN. ... RGMP CORTE D'APPELLO DI ... Il sottoscritto Dott. ... nato a ... il ... residente ... c.f. ..., nominato amministratore giudiziario dei beni sequestrati nell'ambito del procedimento indicato in epigrafe; PREMESSO che il sequestro ha avuto ad oggetto la totalità delle quote della società ... con sede in ... intestate a ...; che il sequestro è stato eseguito in data ...; che il sottoscritto ha adempiuto a tutti i doveri di legge per l'amministrazione dei beni in esame; che con decreto del ... il Tribunale ha ordinato la confisca dei beni; che le attività di amministrazione si sono svolte nel seguente periodo di tempo ...; che al sottoscritto sono stati corrisposti a titolo di anticipo i seguenti emolumenti: ...; che con il provvedimento oggetto di impugnazione è stato definitivamente determinato l'ammontare dei compensi; RITENUTO che la liquidazione non sia equa per i seguenti motivi: a) ...; b) ...; che essa, tra l'altro, non remunera secondo un criterio d'effettività la prestazione in concreto eseguita dal sottoscritto professionista; che non riconosce integralmente le somme richieste a titolo di spese; RICORRE alla ecc.ma Corte d'Appello in intestazione contro il decreto di liquidazione/rimborso: decreto n. ... emesso dal tribunale di ... in data ..., comunicato al sottoscritto mediante avviso di deposito il ..., con cui è stata riconosciuta la somma di ... a titolo di compenso per l'attività di amministrazione svolta; CHIEDE che, fissata l'udienza camerale e previa audizione del sottoscritto, l'ecc.ma Corte d'appello adita annulli il decreto impugnato, riconoscendo i seguenti ed ulteriori importi non liquidati dal tribunale di .... Si confida nell'accoglimento del ricorso. Procura eventuale al difensore. Con osservanza. Luogo e data ... Firma ... CommentoLa disciplina tratteggiata dal Codice Antimafia L'art. 42 del Codice Antimafia, al comma 4, riprendendo la disciplina già introdotta dall'art. 8 del d.lgs. n. 14/2010, statuisce che il compenso degli amministratori giudiziari è liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del citato d.lgs. Dopo la confisca definitiva, invece, l'amministratore svolge i suoi compiti per conto dell'Agenzia del demanio (e dalla data di entrata in vigore dell'Agenzia nazionale, per conto di quest'ultima, fino alla destinazione del bene). La norma fissa il criterio per cui i compensi degli amministratori debbano essere stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro della Giustizia di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. Si discute in giurisprudenza si è gli amministratori vadano qualificati come “ausiliari del giudice” oppure come organi strutturali della procedura con riferimento al profilo dell'applicabilità della decadenza dal compenso; la Cassazione civile con la sentenza n. 11577 dell'11 maggio 2017 ha affermato che l'amministratore nominato nell'ambito del giudizio di prevenzione, per la natura stessa dell'attività che gli è demandata, rientra nella nozione e nella categoria degli ausiliari del giudice con la conseguenza che la richiesta di liquidazione del compenso per l'opera prestata è assoggettata al termine di decadenza previsto dall'articolo 71 del Testo Unico sulle spese di giustizia (d.P.R. 115 del 2002). Sul punto è anche interessante evidenziare come la Corte Costituzionale con la sentenza n. 221 del 2023 ha disatteso le questioni, sollevate dalla corte d'appello di Roma, relative all'articolo 8 del decreto legislativo 14 del 2010 (istituzione dell'albo degli amministratori giudiziari) per contrasto con gli articoli 36 e 54 della Costituzione. Il d.P.R. n. 177/2015 Le problematiche connesse all'assenza di una disciplina specifica in tema di commisurazione dei compensi da liquidare in favore degli amministratori giudiziari nominati nel procedimento di prevenzione innanzi sono state risolte grazie all'approvazione, in data 16 ottobre 2015, del d.P.R. n. 177 recante modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'albo di cui al d.lgs. n. 14/2010. Nella Relazione introduttiva al testo si premette che l'ambito applicativo dell'intervento regolamentare è stato limitato al solo primo grado del procedimento di prevenzione e dunque ai soli beni sequestrati (e non anche a quelli confiscati), tenuto conto che - sebbene l'art. 8 del citato d.lgs. includa i beni confiscati - con d.l. coevo (n. 4/2010) fu istituita l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, a cui è stato attribuito il compito di amministrare i beni, dopo l'adozione del provvedimento di confisca di primo grado (art. 38, d.lgs. n. 159/2011); pertanto, per i gradi successivi al primo e, dunque, dal momento della confisca verrebbe in teoria meno la figura dell'amministratore giudiziario. Ancora, per la liquidazione dei compensi si è assunto come modello di riferimento l'impianto che governa la disciplina regolamentare cui rinviano gli artt. 39 e 165, r.d. n. 267/1942 (c.d. l. fall.) per la determinazione del compenso spettante al curatore fallimentare e al commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo; tale scelta si giustifica in considerazione del fatto che i procedimenti di prevenzione disciplinati dal Codice antimafia presentano, in merito alla gestione dei beni sottoposti a sequestro (o a confisca), innegabili elementi di connessione con le procedure concorsuali, tenuto conto che è espressamente previsto che l'amministratore giudiziario procede alla verifica dei crediti, alla custodia e gestione dei beni, alla loro liquidazione e al riparto delle somme ricavate in favore dei creditori. D'altra parte - prosegue il Governo - si registra già nell'ordinamento la tendenza ad assumere come parametro di riferimento per la liquidazione dei compensi dovuti agli organi gestionali delle procedure concorsuali, anche diverse da quelle regolate dai richiamati artt. 38 e 165, l. fall., i criteri cui rinviano le predette disposizioni primarie. In particolare, l'art. 15, comma 9, della l. n. 3/2012 in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevede che, fino all'adozione del regolamento previsto dal comma 3 dello stesso articolo, i compensi dei professionisti nominati in luogo degli organismi di composizione siano liquidati sulla base dei parametri previsti per i commissari giudiziali e per i curatori fallimentari, ridotti del 40%, con la conseguenza che anche il decreto regolamentare di cui al predetto comma 3, chiamato a stabilire i parametri di determinazione dei compensi degli organismi, dovrà tenere conto di quanto previsto dalla disposizione transitoria del comma 9. Inoltre il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 4 dicembre 2007, recante la determinazione dei compensi dovuti ai commissari liquidatori nominati nelle procedure di amministrazione straordinaria, fa espresso rinvio ai parametri per la liquidazione dei compensi dei curatori e dei commissari giudiziali di cui agli artt. 39 e 165, l. fall. Ne consegue che può dirsi esistente nell'ordinamento un principio di ordine generale in forza del quale il compenso dovuto per la gestione e la liquidazione di beni in vista del soddisfacimento dei crediti sottoposti a verifica è regolato sulla base dei criteri previsti per la remunerazione dell'attività svolta dal curatore e dal commissario giudiziale. Peraltro, si è evidenziata la necessità di adattare i parametri di liquidazione previsti in sede fallimentare alle specificità proprie della disciplina in materia di misure di prevenzione: infatti, mentre il decreto del Ministro della giustizia n. 30/2012 detta i criteri per la liquidazione del compenso complessivamente dovuto alla conclusione della procedura concorsuale, il citato art. 8 del d.lgs. n. 14/2010 si occupa esclusivamente del compenso spettante all'amministratore giudiziario sino alla pronuncia del provvedimento di confisca di primo grado, a seguito del quale le funzioni precedentemente svolte dal predetto amministratore sono assunte dall'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati che può avvalersi di un coadiutore, anche in persona di colui che rivestiva la qualità di amministratore giudiziario, cui spetta un compenso liquidato dall'agenzia. Un primo elemento di differenziazione è connesso al dato temporale: facendo riferimento ai criteri per la determinazione del compenso dovuto sino alla confisca di primo grado (il cui procedimento può durare non più di trenta mesi a norma dell'art. 24, comma 2, del Codice antimafia) si è operato uno specifico contenimento dei parametri di liquidazione del compenso previsti per le procedure concorsuali disciplinate dalla l. fall., la cui ragionevole durata è invece fissata dall'art. 2, comma 2-bis, della l. n. 89/2001 in sei anni. Altro aspetto rilevante ai fini del contenimento dei suddetti parametri è che mentre nelle procedure concorsuali l'attività di liquidazione è una fase necessaria, invece nei procedimenti di prevenzione l'amministratore giudiziario è in ogni caso chiamato a compiere attività di custodia e di gestione dei beni sequestrati, che possono essere sottoposti a liquidazione soltanto in presenza di specifici presupposti, in particolare l'esistenza di creditori del proposto da soddisfare. Peraltro, la maggiore complessità dell'attività che il curatore fallimentare è chiamato a svolgere rispetto all'amministratore giudiziario deriva dal fatto che soltanto il primo subentra in tutti i rapporti giuridici facenti capo al fallito; in questa logica, i compensi dovuti a norma del d.m. n. 30/2012 sono stati comunque ridotti in misura inferiore a quella che si sarebbe dovuta applicare se si fosse tenuto conto esclusivamente della diversa durata delle due tipologie di procedure e della diversa complessità dell'attività svolta, al fine di considerare la maggiore esposizione dell'amministratore in contesti di criminalità organizzata. Il decreto è stato stilato dopo un esame dei criteri di liquidazione dei compensi in uso e verificando l'effetto dell'applicazione dei criteri previsti nel regolamento comparandoli a quelli in uso presso alcuni degli uffici giudiziari in cui vi è un frequente ricorso alle misure di prevenzione (ad esempio, sono state utilizzate le tariffe elaborate dai Tribunale di Roma, Reggio Calabria, Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere). Inoltre, si è tenuto conto delle considerazioni espresse dall'Istituto nazionale amministratori giudiziari, che aveva proposto di aver riguardo al compenso previsto dai contratti collettivi nazionali per i dirigenti di azienda (che stabilisce un compenso annuo di Euro 80.000,00 per i dirigenti con anzianità di servizio con qualifica di dirigente da più di sei anni). L'effetto di tali simulazioni ha comportato che le percentuali adottate nello schema di decreto presidenziale consentiranno - secondo quanto si legge nella Relazione introduttiva - un sensibile contenimento dei compensi attualmente liquidati dagli uffici giudiziari sulla base di criteri generali e preventivi. Detta norma disciplina, a mente del suo art. 1, d.P.R. n. 177/2015, le “modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'Albo istituito a norma dell'art. 1 del d.lgs. n. 14/2010, per la custodia, la conservazione e l'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro di prevenzione ai sensi del d.lgs. n. 159/2011”. Nella Relazione introduttiva al testo si legge che per la determinazione del compenso si prende in considerazione, in attuazione del disposto del citato art. 8, il valore di stima dei beni risultante dalla relazione dell'amministratore giudiziario; nel caso, però, di liquidazione dei beni per il soddisfacimento dei creditori (art. 60 del Codice antimafia) si è ritenuto di dover fare riferimento all'effettivo valore di liquidazione anziché a quello di stima, in quanto il d.lgs. n. 14/2010 non avrebbe potuto considerare tale parametro perché all'epoca non era previsto che l'amministratore giudiziario potesse compiere attività liquidatorie (l'art. 2-undecies della l. n. 575/1965 prevedeva, infatti, al comma 3, lettera b), che si potesse procedere alla vendita esclusivamente dei beni aziendali). Va anche considerato che è ricavabile dal sistema un principio generale che - imponendo di procedere alla stima secondo criteri di presumibile valore di realizzo dei beni (art. 517 c.p.c.) – afferma la prevalenza del prezzo di liquidazione sul valore di stima; questo criterio consente di stabilire un ragionevole bilanciamento tra il diritto ad un equo compenso e gli interessi dei creditori e di colui che subisce la liquidazione, tenuti a sopportarne gli oneri. Il regolamento prevede, all'art. 3, che i compensi degli amministratori giudiziari sono liquidati sulla base dei seguenti criteri: a) per i beni costituiti in azienda, quando sono oggetto di diretta gestione da parte dell'amministratore giudiziario, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore del complesso aziendale, non superiore alle seguenti misure: 1) dal 12% al 14%; quando il valore non superi 16.227,08 Euro; 2) dal 10% al 12% sulle somme eccedenti 16.227,08 Euro fino a 24.340,62 Euro; 3) dal 8,50% al 9,50% sulle somme eccedenti 24.340,62 Euro fino a 40.567,68 Euro; 4) dal 7% all'8% sulle somme eccedenti 40.567,68 Euro fino a 81.135,38 Euro; 5) dal 5,50% al 6,50% sulle somme eccedenti 81.135,38 Euro fino a 405.676,89 Euro; 6) dal 4% al 5% sulle somme eccedenti 405.676,89 Euro fino a 811.353,79 Euro; 7) dallo 0,90% all'1,80% sulle somme eccedenti 811.353,79 Euro fino a 2.434.061,37 Euro; 8) dallo 0,45% allo 0,90% sulle somme che superano 2.434.061,37 Euro. b) per i beni costituiti in azienda, quando sono concessi in godimento a terzi, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore del complesso aziendale, non superiore alle seguenti misure: 1) dal 4,8% al 5,6%; quando il valore non superi 16.227,08 Euro; 2) dal 4% al 4,80% sulle somme eccedenti 16.227,08 Euro fino a 24.340,62 Euro; 3) dal 3,4% al 3,8% sulle somme eccedenti 24.340,62 Euro fino a 40.567,68 Euro; 4) dal 2,8% al 3,2% sulle somme eccedenti 40.567,68 Euro fino a 81.135,38 Euro; 5) dal 2,2% al 2,6% sulle somme eccedenti 81.135,38 Euro fino a 405.676,89 Euro; 6) dall'1,6% al 2% sulle somme eccedenti 405.676,89 Euro fino a 811.353,79 Euro; 7) dallo 0,3% allo 0,72% sulle somme eccedenti 811.353,79 Euro fino a 2.434.061,37 Euro; 8) dallo 0,2% allo 0,36% sulle somme che superano 2.434.061,37 Euro. c) per i beni immobili, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore dei beni, non superiore alle seguenti misure: 1) dal 6% al 7% quando il valore non superi 16.227,08 Euro; 2) dal 5% al 6% sulle somme eccedenti 16.227,08 Euro fino a 24.340,62 Euro; 3) dal 4,25% al 4,75% sulle somme eccedenti 24.340,62 Euro fino a 40.567,68 Euro; 4) dal 3,5% al 4% sulle somme eccedenti 40.567,68 Euro fino a 81.135,38 Euro; 5) dal 2,75% al 3,25% sulle somme eccedenti 81.135,38 Euro fino a 405.676,89 Euro; 6) dal 2% al 2,5% sulle somme eccedenti 405.676,89 Euro fino a 811.353,79 Euro; 7) dallo 0,45% allo 0,90% sulle somme eccedenti 811.353,79 Euro fino a 2.434.061,37 Euro; 8) dallo 0,22% allo 0,45% sulle somme che superano 2.434.061,37 Euro. d) per i frutti che si ritraggono dai beni di cui alle lettere a), b) e c) e per i beni diversi da quelli di cui alle predette lettere, i compensi devono consistere in una percentuale calcolata sul valore, non superiore alle seguenti misure: 1) dal 3,6% al 4,2% quando il valore non superi 16.227,08 Euro; 2) dal 3% al 3,6% sulle somme eccedenti 16.227,08 Euro fino a 24.340,62 Euro; 3) dal 2,5% al 2,8% sulle somme eccedenti 24.340,62 Euro fino a 40.567,68 Euro; 4) dal 2,1% al 2,4% sulle somme eccedenti 40.567,68 Euro fino a 81.135,38 Euro; 5) dall'1,65% al 2% sulle somme eccedenti 81.135,38 Euro fino a 405.676,89 Euro; 6) dall'1,2% all'1,5% sulle somme eccedenti 405.676,89 Euro fino a 811.353,79 Euro; 7) dallo 0,27% allo 0,54% sulle somme eccedenti 811.353,79 Euro fino a 2.434.061,37 Euro; 8) dallo 0,13% allo 0,27% sulle somme che superano 2.434.061,37 Euro. Si aggiunge che per determinare il valore di cui al comma 1, si considera: a) l'importo realizzato, per i beni liquidati; b) il valore stimato dal perito ovvero, in mancanza, dall'amministratore giudiziario, per i beni che non hanno costituito oggetto di liquidazione; c) ogni altra somma ricavata. Quando l'amministratore giudiziario assiste il Giudice per la verifica dei crediti è inoltre corrisposto, sull'ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 Euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra. Anche in tal caso si fa riferimento alle percentuali previste dall'art. 1, comma 2 del predetto d.m. senza operare in tal caso alcuna riduzione, tenuto conto della sostanziale equivalenza dell'attività posta in essere dall'amministratore giudiziario rispetto a quella del curatore nonché della contenuta portata delle predette percentuali. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), all'amministratore giudiziario è corrisposto un ulteriore compenso del 5 per cento sugli utili netti e dello 0,50 per cento sull'ammontare dei ricavi lordi conseguiti. In specie, il comma 4 prevede che nel caso in cui l'amministratore giudiziario, debitamente autorizzato, prosegua o riprenda l'attività d'impresa allo stesso sia riconosciuto un ulteriore compenso ragguagliato agli utili netti e ai ricavi lordi conseguiti, mutuando quanto previsto dall'art. 3 del d.m. n. 30/2012 ma prevendendo percentuali più elevate in considerazione del fatto che la prosecuzione o la ripresa di un'impresa già inserita in un contesto criminale è certamente più complessa in quanto l'amministratore deve recidere i legami e porre fine ai comportamenti illeciti che la favorivano. Il compenso liquidato a norma del presente articolo non può essere inferiore, nel suo complesso, a 811,35 Euro. Di recente la Suprema Corte (Cass. IV, n. 9997/2021) si è soffermata sulle modalità di calcolo del compenso, ribadendo che la liquidazione del compenso dell'amministratore giudiziario dei beni deve essere calcolata - giusta applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 177/2015 - per scaglioni progressivi, sicché la sua misura corrisponde alla sommatoria dei valori percentuali calcolati su ciascuno scaglione. Invero, l'art. 3, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 177/2015 prevede il calcolo del compenso dell'amministratore giudiziario per scaglioni progressivi, sicché la sua misura corrisponde alla sommatoria dei valori percentuali calcolati su ciascuno scaglione e non già alla sola percentuale di cui al singolo scaglione rapportata al valore dell'intero complesso aziendale: a favore di tale interpretazione depone chiaramente la lettera della disposizione in esame, che fa riferimento solo nel n. 1 (e, cioè, in relazione allo scaglione inferiore) al valore del complesso aziendale, mentre nei numeri successivi menziona non l'intero valore del complesso aziendale, ma solo ed esclusivamente la somma eccedente lo scaglione precedente, in questo modo lasciando intendere inequivocabilmente che la percentuale va applicata solo su un frammento del complessivo parametro. Ulteriori argomenti a conferma di tale lettura si ricavano dall'art. 8 del d.lgs. n. 14/2010 e dalla relazione illustrativa al d.P.R. n. 177/2015. Difatti, l'art. 8 del d.lgs. n. 14/2010, nel demandare ad un decreto del Presidente della Repubblica il compito di stabilire le modalità di calcolo e la liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari dei beni sottoposti a misure reali di prevenzione, al comma 2, lett. c), fissa il principio direttivo secondo cui il compenso deve essere quantificato sulla base di scaglioni commisurati al valore dei beni o dei beni costituti in azienda. A ciò si aggiunga che nella relazione illustrativa del d.P.R. in esame, nel commento dell'art. 3, si allude in modo esplicito al procedimento di calcolo per scaglioni ("sono state indicate specifiche percentuali per ogni scaglione"). D'altronde, la disciplina adottata è ispirata a quella delle procedure concorsuali, in cui i compensi dei professionisti (curatore fallimentare e commissario giudiziale) sono calcolati sulla base di scaglioni. Nel caso in cui sono oggetto di sequestro patrimoni che comprendono beni rientranti in almeno due delle categorie indicate alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, si applica il criterio della prevalenza della gestione più onerosa. Il compenso per tale gestione, individuato a norma dei commi 1 e 2, è poi maggiorato di una percentuale non superiore al 25 per cento per ogni altra tipologia di gestione e in relazione alla complessità della stessa. Nell'ipotesi di gruppo di imprese, la legge prevede che non costituiscono attivo né passivo gli importi risultanti da finanziamenti e garanzie infragruppo o dal ribaltamento, attraverso insinuazioni, ripartizioni o compensazioni, di attivo e passivo da parte di altra società del gruppo. La norma è destinata a evitare fenomeni di duplicazione del compenso, perché calcolato sui medesimi assets patrimoniali. Nella Relazione introduttiva si legge che per la determinazione del compenso il comma 1 mutua le percentuali previste dal d.m. n. 30/2012, apportando specifiche riduzioni in relazione alla diversa tipologia dei beni in sequestro, per le ragioni espresse in premessa e in attuazione del criterio direttivo di cui all'art. 8, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 14/2010. In concreto, sono state indicate specifiche percentuali per ogni scaglione; le percentuali sono state determinate tenendo conto di quelle stabilite dal d.m. 30/2012 e sono state congruamente ridotte. Le percentuali su indicate sono state determinate tenendo conto, da un lato, del fatto che l'attività dell'amministratore giudiziario si protrae per un periodo di tempo (trenta mesi) inferiore rispetto alla durata ordinaria delle procedure fallimentari (6 anni, secondo la l. n. 89/2001) e, dall'altro, che l'attività di liquidazione, propria del curatore, è invece eccezionale o comunque meramente eventuale nei sequestri di prevenzione, tenuto conto che alla stessa deve procedersi esclusivamente in presenza di creditori del proposto. Per quanto riguarda, invece, la remunerazione dell'attività svolta dall'amministratore giudiziario per la gestione del complesso aziendale, va osservato che l'art. 8, comma 2, lettera c) prevede “che il compenso sia comunque stabilito sulla base di scaglioni commisurati al valore dei beni o dei beni costituiti in azienda, quale risultante dalla relazione di stima redatta dall'amministratore giudiziario, ovvero al reddito prodotto dai beni”. Il tenore testuale della norma non lascia adito a dubbio alcuno: all'amministratore giudiziario spetta un compenso parametrato su due criteri (valore dell'azienda e reddito derivato dalla gestione dei beni), indipendentemente dalla destinazione impressa all'azienda. In particolare, il criterio del valore è compatibile con tutte le destinazioni previste dall'art. 48, comma 8, del d.lgs. n. 159/2011 per i beni aziendali (affitto, vendita, liquidazione); anche per i beni immobili, infatti, il Codice antimafia prevede che essi siano in linea generale mantenuti al patrimonio pubblico (statale, regionale, provinciale o comunale) e che solo in via residuale siano venduti. Posto che il valore dell'azienda è uno dei criteri fissati dall'art. 8 del d.lgs. 14/2010, va aggiunto che non è in alcun modo possibile confonderlo con il fatturato (criterio previsto invece, per le amministrazioni straordinarie), né con i ricavi lordi (parametro contemplato per le procedure fallimentari); è noto, infatti, che la valutazione dell'azienda può essere alternativamente effettuata ricorrendo al metodo patrimoniale, o reddituale o misto. Il primo (metodo patrimoniale) consiste nel saldo algebrico tra attività e passività (e, quindi, occorre detrarre i debiti). In altri termini, le richiamate disposizioni primarie del d.lgs. n. 14/2010 impongono di determinare il compenso sul valore dell'azienda, in ogni caso detraendo i debiti e impedendo così il ricorso a criteri diversi commisurati su indici contabili che non tengono conto dell'esposizione debitoria dell'impresa. Quanto all'eventuale attività dell'amministratore giudiziario diretta a individuare ulteriore beni da rendere oggetto della misura di prevenzione, si rileva che alla stessa il d.m. n. 177 non riserva una specifica previsione diretta a prevedere la liquidazione di un'autonoma voce di compenso atteso che, qualora la ricerca abbia esito positivo, i beni rinvenuti concorreranno a formare il montante sul quale vanno applicate le aliquote previste, mentre, in caso di ricerca negativa, l'autorità giudiziaria potrà sempre valutare di applicare le maggiorazioni di cui all'art. 4. Infine, si è affermato che, al fine di contenere l'impatto del provvedimento sulla finanza pubblica, deve escludersi che si possa prevedere un compenso in misura più elevata rispetto a quello previsto per gli organi delle procedure concorsuali, tenuto conto che in caso di revoca del sequestro o della confisca il compenso dell'amministratore giudiziario è a carico dello Stato a norma dell'art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011. La finanza pubblica se ne fa carico anche nel caso in cui le disponibilità del conto di gestione risultano insufficienti per provvedervi. All'amministratore spetta un rimborso forfettario delle spese generali in una misura compresa tra il 5 e il 10 per cento sull'importo del compenso determinato a norma del presente decreto; sono, altresì, rimborsate le spese effettivamente sostenute e documentate, ivi inclusi i costi dei coadiutori. Quando i beni sequestrati appartengono a più proposti, per la liquidazione del compenso si procede in relazione a ciascuna massa attiva e passiva. Il comma 9 precisa, infatti, sulla scorta dell'art. 147 l. fall. (relativo al fallimento contestuale delle società di persone e dei soci illimitatamente responsabili) per come interpretato dal diritto vivente che, quando i beni sottoposti alla misura di prevenzione appartengono a più proposti, per la liquidazione del compenso si procede previa formazione di masse separate. Le ragioni di tale scelta riposano, da un lato, sul disposto dell'art. 37, comma 5, del Codice antimafia che impone all'amministratore di tenere contabilità separate in relazione ai vari soggetti proposti e, per altro verso, sulla necessità di soddisfare l'esigenza di individuare esattamente il compenso dell'amministratore riferibile al singolo proposto, nonché quella di determinare la somma che deve essere posta a carico dello Stato in caso di revoca del sequestro nei confronti soltanto di uno dei proposti. Infine, detta disposizione appare utile per quantificare la somma netta ricavata dalla vendita dei beni dei singoli proposti, al fine di determinare la percentuale del 60% da destinare ai creditori. L'art. 4 (rubricato Aumento o riduzione del compenso) prevede, poi, che l'autorità giudiziaria può aumentare o ridurre l'ammontare del compenso liquidato a norma dell'art. 3 in misura non superiore al 50 per cento, sulla base dei seguenti criteri: a) complessità della gestione; b) ricorso all'opera di coadiutori; c) necessità e frequenza dei controlli esercitati; d) qualità dell'opera prestata e dei risultati ottenuti; e) sollecitudine con cui sono state condotte le attività di amministrazione, ivi compreso l'adempimento degli obblighi di segnalazione gravanti sugli amministratori; f) numero dei beni compresi nel compendio sequestrato. In merito al rapporto con i coadiutori, la Suprema Corte (Cass. IV, n. 45209/2019) ha precisato che l'amministratore giudiziario ha diritto alla liquidazione delle spese per il compenso del coadiutore nominato previa autorizzazione del tribunale, quand'anche non le abbia anticipate e che (Cass. II, n. 12000/2020) il coadiutore ex art. 35, d.lgs. n. 159/2011 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla l. n. 161/2017) è un soggetto che collabora in via diretta con l'amministratore giudiziario al fine di contribuire a realizzare gli scopi del pubblico ufficio e la sua retribuzione costituisce una spesa sostenuta dall'amministratore, da inserire nel conto della gestione ex art. 42, comma 3, d.lgs. citato, mentre, ove l'originario coadiutore venga in seguito assunto con contratto di prestazione d'opera dalla società sottoposta ad amministrazione, questi perde la sua qualifica, sicché, nel caso di revoca del sequestro disposto nei confronti della società, il compenso allo stesso è a carico di quest'ultima e non dell'erario. Il compenso liquidato a norma dell'art. 3 può essere aumentato in misura non superiore al 100 per cento a fronte di amministrazioni estremamente complesse, di eccezionale valore del patrimonio o dei beni costituiti in azienda sequestrati, ovvero di risultati dell'amministrazione particolarmente positivi. La norma attua quanto disposto dal predetto art. 8, comma 2, lettera e). Ai sensi dell'art. 5 (Incarichi collegiali) quando l'incarico è stato conferito a un collegio di amministratori il compenso globale è determinato aumentando, in misura non superiore al 70 per cento, quello spettante al singolo amministratore a norma degli artt. 3 e 4. In ogni caso, l'aumento o la diminuzione di cui all'art. 4, commi 1 e 2, sono applicati sul compenso spettante a uno o più componenti del collegio, quando risulta che le circostanze previste dal predetto articolo sono a questi ultimi esclusivamente riferibili. Rimane fermo che nei casi in cui le ragioni di aumento o di riduzione del compenso di cui all'art. 4 ricorrano esclusivamente in relazione a specifici componenti del collegio tali incrementi o decurtazioni del compenso operano soltanto in relazione al suddetto componente. Infine, l'art. 6 (Compenso per attività su incarico della società) prevede che i criteri di liquidazione previsti dal regolamento non si applicano ai casi in cui l'amministratore giudiziario svolge l'attività di gestione a seguito di incarico conferito dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di sequestro. In tal caso, il compenso sarà liquidato secondo gli ordinari parametri privatistici. Si è da subito sottolineato, a opera del Governo, che le percentuali adottate nello schema di decreto consentirebbero un sensibile contenimento dei compensi attualmente liquidati dagli uffici giudiziari. Il decreto assume come modello di riferimento - per esplicita ammissione - la disciplina regolamentare in materia spettante al curatore fallimentare e al commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo; i procedimenti di prevenzione disciplinati dal Codice antimafia presentano infatti, in merito alla gestione dei beni sottoposti a sequestro (o a confisca), innegabili elementi di connessione con le procedure concorsuali. Si è però operato un adattamento dei criteri propri della materia fallimentare, perché questi riguardano la liquidazione del compenso complessivamente dovuto alla conclusione della procedura concorsuale (la cui ragionevole durata è fissata, a norma della c.d. legge Pinto, in 6 anni), quando invece l'attività dell'amministratore giudiziario, da remunerare sulla base del regolamento in esame, cessa al momento della pronuncia del provvedimento di confisca di primo grado. La riduzione è stata compiuta, secondo quanto evidenziato dal legislatore, tenendo conto espressamente della maggiore delicatezza dell'incarico di amministratore in contesti di criminalità organizzata. Nell'immediata prassi applicativa si sono posti due ordini di problemi: il primo attiene alla possibilità di servirsi dei parametri introdotti nel 2015 anche per calcolare il compenso relativo a gestioni giudiziarie iniziate - o addirittura concluse - prima dell'entrata in vigore del citato decreto, facendone in sostanza un'applicazione retroattiva; il secondo concerne invece l'assenza, nella novella, di riferimenti al dato temporale, ovvero alla durata della fase di amministrazione, dato che viceversa - come si comprende - è rilevante per quantificare l'impegno concreto del professionista. Quanto al primo profilo, difettando pronunce specifiche di legittimità sul punto, chi scrive ritiene assolutamente opportuno utilizzare i parametri introdotti con il d.P.R. n. 177 proprio perché trattasi dell'unica normativa specifica di settore, idonea a garantire uniformità di trattamento e a mettere il Giudice al riparo da contestazioni circa la sproporzione o l'eccessiva discrezionalità della commisurazione dei compensi. La struttura a scaglioni, inoltre, consente di parametrare con una certa precisione il quantum da liquidare agganciandolo a criteri trasparenti e oggettivi, controllabili sia dal proposto che dalla magistratura contabile. È peraltro evidente che il problema si è spostato, a questo punto, sull'individuazione nel caso concreto delle somme che la legge pone come riferimento di partenza su cui calcolare le percentuali (vale a dire il valore del complesso aziendale e il valore dei beni), posto che da ciò dipende l'effettivo ammontare dei compensi. Senza dubbio trattasi, soprattutto in presenza di gestioni societarie, di una determinazione complessa che deve essere condotta consultando le scritture contabili e che pertanto non può che essere rimessa, almeno in una prima fase, allo stesso amministratore giudiziario il quale si assumerà la responsabilità della quantificazione riferita al Giudice delegato e poi utilizzata come base di calcolo. Peraltro tale attività può in concreto risultare piuttosto difficile laddove la tenuta della contabilità - a opera del proposto e del terzo intestatario - risulti frammentaria, incompleta o assente rendendo oltremodo complicato per il professionista nominato ricostruire il valore del complesso aziendale; lo stesso dicasi, è chiaro, in tutte le ipotesi di evasione fiscale, sotto-fatturazione e pagamenti in nero. I primi commentatori si sono, poi, soffermati sulla possibilità che il valore del complesso aziendale vada computato tenendo conto anche delle passività aziendali e, quindi, al netto di esse: in tal caso è evidente che, in presenza di attività gestorie pur complesse e difficoltose di società prive di attivo ovvero gravate da forti passività ereditate dalla precedente dirigenza, l'ammontare dei compensi in concreto liquidabili tenderebbe allo zero; tale interpretazione, però, non sembra trovare agganci testuali atteso che la norma non fa riferimento alle nozioni di attivo e passivo, ma unicamente a un criterio più generico e onnicomprensivo idoneo a fotografare appunto il “valore” del complesso dei beni organizzati in una dimensione imprenditoriale. A conferma di tale lettura depone anche il fatto che lo stesso Governo abbia dichiarato, a margine dell'approvazione del testo, che si è inteso dare rilievo al “valore dell'azienda”, che non deve essere in alcun modo confuso con il fatturato (criterio previsto invece attualmente per le amministrazioni straordinarie), né con i ricavi lordi (parametro contemplato per le procedure fallimentari). Il valore dell'azienda va, quindi, determinato detraendo i debiti; si tratta dunque di un criterio che preclude il ricorso ad altri commisurati su indici contabili che non tengono conto dell'esposizione debitoria dell'impresa. Quanto, infine, al dato temporale, se è chiaro che il d.P.R. non fa alcun riferimento alla durata della gestione, va anche sottolineato che nella Relazione introduttiva al testo vi è un richiamo a quello che dovrebbe essere, secondo il Codice Antimafia, il lasso entro il quale il tribunale giunge alla decisione di primo grado, vale a dire - ai sensi dell'art. 24 citato - un anno e sei mesi dall'esecuzione del sequestro, prorogabili per non più di due volte con provvedimento motivato (ogni volta per non più di sei mesi) in caso di gestioni particolarmente complesse o di un compendio di beni di valore particolarmente ingente. Quindi il legislatore ha, evidentemente, parametrato le percentuali prima indicate in base a una gestione “virtuosa” che duri un anno e mezzo ovvero, in casi teoricamente specifici e limitati, al più due anni e mezzo; non si è tenuto conto della circostanza che detti termini possono, peraltro, essere prolungati di molti mesi mediante un meccanismo di sospensione (analogo a quanto previsto in ordine, ad esempio, al decorso della prescrizione del reato, ovvero dei termini di custodia cautelare) che opera durante il periodo concesso dal collegio giudicante al perito per portare a compimento il proprio incarico, che pure può giungere a un massimo di sei mesi, nonché nelle ipotesi di rinvio delle udienze per adesione dei difensori alle astensioni indette dalle associazioni di categoria, ovvero - e sempre che il differimento non abbia finalità di tipo istruttorio - su richiesta della difesa del proposto. L'assenza di riferimenti al dato cronologico pone, in conclusione, problemi anche in sede di liquidazione di acconti agli amministratori considerato che, per quanto detto, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso prendere in considerazione la liquidazione definitiva dei compensi, da fare al momento della chiusura della procedura (con l'emissione in primo grado, insomma, del provvedimento di confisca o di restituzione dei beni sequestrati). Sul punto si segnala la sentenza n. 56441/2017 secondo la quale “in tema di liquidazione del compenso dell'amministratore giudiziario nel caso di incarico svolto sotto la vigenza di tabelle diverse succedutesi nel tempo si utilizza la tabella applicabile al momento di conclusione dell'incarico”. In motivazione si è osservato che, come la Corte ha avuto più volte occasione di precisare (sia pure in sede civile e con riferimento alle tariffe relative alle prestazioni professionali rese dagli avvocati) in caso di successione di tariffe professionali, la liquidazione degli onorari va effettuata in base alla tariffa vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine, identificandosi tale momento con quello dell'esaurimento dell'intera fase rilevante o, per il caso in cui le prestazioni siano cessate prima, con il momento di tale cessazione (Corte di Cassazione, Sez. II civ., n. 11482/2010; idem Sez. III civ., n. 5426/2005). Si è, infatti, rilevato che, la prestazione professionale ha carattere unitario e deve, ai fini della liquidazione degli onorari, essere unitariamente considerata, ma il carattere unitario deve essere rapportato ai singoli gradi attraverso i quali si è svolto il giudizio ed alle singole cause, con la conseguenza che, in caso di successione di tariffe, l'onorario, deve essere liquidato in base alla tariffa vigente al momento della pronuncia che conclude ciascun grado del giudizio, perché è in quel momento che si esaurisce la corrispondente prestazione difensiva ed il diritto al compenso diventa esigibile (Corte di Cassazione, S.U. civili, n. 2493/1964). Infatti, come è stato, d'altra parte, ancora di recente ulteriormente ribadito, il compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario, che ha riguardo all'opera professionale complessivamente prestata, di ciò non si è mai in passato dubitato, quando si è trattato di liquidare onorari maturati 4 all'esito di cause durante le quali si erano succedute nel tempo tariffe professionali diverse, giacché sempre in siffatti casi si è sempre fatto riferimento alla tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale si è esaurita (Corte di Cassazione, S.U. civili, n. 17406/2012, oltre agli ulteriori richiami giurisprudenziali ivi evocati). Tali principi, in ragione della evidente analogia di materia, possono essere tranquillamente applicati anche al caso in esame, atteso che anche nella ipotesi di gestione di un bene da parte dell'amministratore giudiziario è corretto fare riferimento ad una attività di carattere professionale che deve essere considerata non atomisticamente ma in senso complessivo, non diversamente da quella svolta in sede di difesa in giudizio da parte dell'Avvocato (categoria professionale i cui appartenenti, non a caso, ben possono essere investiti della qualifica di amministratore giudiziario e dei relativi compiti), osserva la Corte che anche in questo caso, premessa la già acquisita necessità di riferirsi per la determinazione dei compensi alle tariffe vigenti per la categoria professionale interessata, deve concludersi nel senso che la individuazione della tabella pertinente vada eseguita, ove l'incarico si sia svolto diacronicamente sotto la vigenza di tabelle diverse succedutesi nel tempo, attraverso l'utilizzazione della tabella applicabile al momento in cui l'incarico si è esaurito o si è, comunque, concluso. È, peraltro evidente che nella determinazione dei compensi il Giudice liquidatore avrà la possibilità di esercitare la propria discrezionalità, nei limiti delle forcelle di valore previste dalla tabella professionale di riferimento, valutando - onde meglio calibrare, fra un minimo ed un massimo astrattamente previsti, l'importo del compenso in questione, e giusta la previsione del ricordato art. 2-octies della l. n. 575/1965 (ove, come nel presente caso, non sia applicabile alle fattispecie, ratione temporis, quanto previsto dal d.m. n. 177/2015, recante "Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'Albo di cui al d.lgs. n. 14/2010", emanato in attuazione, appunto, della previsione contenuta nell'art. 8 del citato d.lgs. n. 14/2010, a sua volta istitutivo dell'Albo degli amministratori giudiziari) - oltre al valore commerciale dei beni patrimoniali amministrati, anche la qualità e la complessità dell'opera prestata dall'amministratore, la sollecitudine dimostrata dal medesimo ed i risultati da lui ottenuti nella gestione dei beni oggetto del suo incarico, potendo in tal modo modulare l'importo dell'effettivo compenso alla reale materialità della opera di volta in volta prestata dal professionista. Con la sentenza n. 221/2023 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale , sollevata in riferimento all'articolo 54 Cost., dell'art. 8 del d.lgs. 4 febbraio 2010, n.14 , mentre ha dichiarato l'infondatezza di altra questione concernente il medesimo articolo 8, ma in riferimento all'art. 36 Cost. in sintesi, secondo il Giudice rimettente mancherebbe una disciplina del compenso dell'amministratore giudiziario per l'attività di assistenza al giudice delegato nella verifica dei crediti in quanto il Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari (iscritti nell'albo di cui al decreto legislativo 4 Febbraio 2010, numero 14), adottato con il d.P.R. n. 177 del 2015 ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge n. 400 del 1988 ― che all'art. 3 stabilisce testualmente i criteri per la determinazione dei compensi spettanti agli amministratori giudiziari ― non sarebbe potuto intervenire su tale aspetto in assenza di un “criterio di delega” mancante nell'art. 8 del d.lgs. n. 14 del 2010 ossia nella fonte primaria di riferimento. Per il giudice rimettente, dunque, tale regolamento sarebbe tamquam non esset: dovendo essere disapplicato l'art. 3, del d.P.R. n. 177 del 2015, in quanto emanato in assenza di una valida base normativa, in assenza di un intervento della Corte costituzionale non sussisterebbe, dunque, alcun criterio per il riconoscimento di un compenso all'amministratore giudiziario con conseguente violazione degli artt. 54 e 36 della Costituzione. L a Corte , dopo aver illustrato il quadro normativo di riferimento ( nel quale si colloca la disposizione censurata ), ha evidenziato, in particolare, che l'art. 2, comma 13, della legge n. 94 del 2009, nel contemplare l'introduzione dell'albo degli amministratori giudiziari, ha demandato a un successivo decreto legislativo le relative previsioni nonché l'introduzione dei parametri per la liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari e che, in forza di tale previsione normativa, l'articolo 8 del d.lgs. n.14 nel 2010 ha rimesso a un decreto del Presidente della Repubblica, da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. b), della legge n. 400 del 1988, di stabilire le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari e ha indicato, all'art. 2, dettagliati criteri per la determinazione dei compensi poi seguiti nel su indicato regolamento adottato con il successivo d.P.R. n. 177 del 2015. Il quadro normativo così tracciato comporta, per la Corte, l'erroneità della censura del giudice rimettente poiché “ si basa, in materia non assoggettata a riserva assoluta di legge, su una ricostruzione del rapporto tra legge e regolamento in termini analoghi a quelli della delega legislativa ” e che, oltre a non fondarsi su alcun precetto della Costituzione (l'art. 76 fa riferimento, infatti, al solo rapporto fra legge di delega e decreto legislativo), è contraddetta dalle disposizioni dell'art. 17, comma 1, lettera b), della legge n.400 del 1988 che rimette, “ in termini ampi, non solo all'attuazione, ma anche l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio [ … per cui ] non viene in rilievo alcuna delega legislativa, avendo la norma censurata rinviato, per la sua attuazione, a un decreto ministeriale” . La Consulta , quindi, ha chiarito che - dovendosi individuare la disciplina censurata nell'art. 8 del d.lgs n. 14 del 2010 (norma primaria) che demanda alla normativa secondaria (art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 177 del 2015) la determinazione del compenso degli amministratori giudiziari - il sindacato di costituzionalità deve estendersi a entrambe le disposizioni posto che la disciplina subprimaria costituisce il “completamento del contenuto prescrittivo” della norma primaria ; così delimitata la disciplina contestata, la Corte ha ritenuto che la stessa non appare contrastante con i parametri costituzionali invocati. In specie, per quanto concerne la questione solleva con riferimento all'art. 36 Cost., si è chiarito che “ la natura occasionale della prestazione dell'ausiliario del magistrato o del difensore d'ufficio impedisce di ricostruirne l'incidenza sulla formazione del reddito complessivo del singolo prestatore e quindi non consente neppure di impostare la valutazione del relativo compenso nei termini della retribuzione adeguata e sufficiente ” e che, peraltro, anche qualora si volesse riferire la garanzia dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione alla remunerazione degli ausiliari del giudice, in ogni caso occorrerebbe effettuare una valutazione globale del trattamento retributivo e non già selettiva con riferimento specifico ai singoli emolumenti o prestazioni ; infatti, fini della valutazione della giusta retribuzione, come reiteratamente affermato dal Giudice delle leggi (ex multis, e da ultimo, sentenze n. 27 del 2022 e n. 71 del 2021), occorre fare riferimento a quella complessivamente considerata. In conclusione, quindi, per la Corte, “ il compenso, previsto dall'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 177 del 2015 per l'attività dell'amministratore giudiziario di assistenza al giudice delegato nella verifica dei crediti per la formazione dello stato passivo, costituisce un trattamento retributivo comunque adeguato anche perché esso si aggiunge ad altre voci le quali consentono di ottenere un orario senz'altro congruo in assoluto ”; esso è normativamente fissato con riferimento al «passivo accettato» e non necessita, quindi, dell'intervento additivo richiesto dal giudice rimettente , non violando il canone della retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all'articolo 36 della Costituzione . I rimedi avverso il decreto di liquidazione dei compensi Il provvedimento di liquidazione deve essere comunicato all'amministratore giudiziario, con avviso di deposito e, per effetto della riforma attuata con l. n. 50/2010 (abrogata dall'art. 120, d.lgs. n. 159/2011), all'Agenzia Nazionale in via telematica; si tratta di un provvedimento appellabile dall'amministratore giudiziario e dall'Agenzia, entro venti giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito. La forma del gravame è un ricorso che viene deciso in camera di consiglio dalla Corte d'Appello, previa audizione del ricorrente. La decisione deve essere assunta entro quindici giorni dal deposito del ricorso. Molto si è discusso sulla legittimazione a dolersi del contenuto del provvedimento di liquidazione da parte di soggetti diversi dall'amministratore giudiziario. La Suprema Corte ha inteso dare risposta affermativa al quesito se occorresse una procura speciale per impugnare il provvedimento di liquidazione da parte del difensore ed ha affermato che, in tema di misure di prevenzione, il difensore dell'amministratore giudiziario, munito di procura speciale, è legittimato ad impugnare il provvedimento di liquidazione dei compensi relativi alla gestione o amministrazione dei beni sequestrati o confiscati (Cass. IV, n. 23721/2013). Viene invece esclusa la possibilità di impugnare autonomamente il provvedimento con cui si liquida un acconto all'amministratore giudiziario, affermando che il decreto di liquidazione di un acconto delle spettanze all'amministratore giudiziario di beni sequestrati non è atto autonomamente impugnabile (Cass. IV, n. 18670/2013; ciò poiché il mezzo di impugnazione, per un verso, non era previsto dalla legge e, per altro verso, si poneva come atto i cui effetti ben potevano essere modificati, con ulteriori statuizioni in acconto e con la liquidazione finale (così Cass. I, n. 9135/2006). Il provvedimento della Corte d'Appello che decide sul ricorso, proposto ex art. 2-octies, comma 7, l. cit., è ricorribile per cassazione; in questo senso si è orientata la giurisprudenza di legittimità che ha richiamato l'art. 111, comma 2, Cost. ed ha evidenziato come si tratti di provvedimento che risolve con carattere definitivo una controversia relativa ad un diritto soggettivo (cfr. Cass. VI, n. 1141/1998). Il ricorso va proposto nel termine di giorni quindici, ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., con dies di decorrenza da individuare nell'avviso di deposito, trattandosi di provvedimento camerale (Cass. VI, n. 319/1999). Quanto al ricorso per Cassazione, la Suprema Corte (I, n. 45197/2022) ha recentemente affermato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, sia civile che penale, la trattazione del ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide sulla liquidazione dei compensi ai difensori e agli altri ausiliari del Giudice spetta alle sezioni civili della Corte, a prescindere dalla natura del procedimento ai quale inerisce il decreto opposto (cfr. Sez. IV, n. 44810/2013, Ricci, Rv. 257580, in cui il principio è stato affermato con riferimento agli onorari dovuti al difensore d'ufficio; Sez. II civ. n. 11577/2017, Rv. 644210, con riferimento alla liquidazione del compenso del custode e dell'amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro di prevenzione, ai sensi della l. n. 575/1965, abrogata dal d.Igs. n. 159/2011; Sez. II civ., n. 15813/2010, Rv. 619266, con riferimento alla liquidazione degli onorari e delle spese al difensore di collaboratore di giustizia; più di recente, Sez. II, n. 12802/2019, Rv. 653816; Sez. VI civ., n. 10136/2021, Rv. 661033). Tali principi si inseriscono nel contesto di un consolidato orientamento giurisprudenziale, avendo le Sezioni Unite civili (n. 19161/2009, Rv. 609887-01) precisato che il procedimento di opposizione, ai sensi dell'art. 170, d.P.R. n. 115/2002, al decreto di liquidazione dei compensi ai custodi e agli ausiliari del Giudice, oltre che ai decreti di liquidazione degli onorari dovuti ai difensori nominati nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato, introduce una controversia di natura civile, indipendentemente dalla circostanza che il decreto di liquidazione sia stato pronunciato in un giudizio penale, con la conseguenza che la trattazione del ricorso per cassazione avverso il provvedimento decisorio spetta alle sezioni civili della Corte di Cassazione. È vero che l'art. 42, d.Igs. n. 159/2011 ha introdotto una disciplina specifica con riferimento alle spese, ai compensi e ai rimborsi spettanti all'amministratore giudiziario dei beni sequestrati confiscati, alla stregua della quale la determinazione dell'ammontare del compenso e la sua liquidazione sono disposte dal Tribunale, sezione misure di prevenzione, su relazione del Giudice delegato (comma 4), prima della redazione del conto finale (comma 5), sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8, d.lgs. n. 14/2010 (istitutivo dell'Albo degli amministratori giudiziari). Avverso tali provvedimenti l'interessato può proporre ricorso alla Corte d'appello, che giudicherà, in diversa composizione, nel caso di provvedimento emesso dall'ufficio di secondo grado (comma 7). L'art. 42 non contempla, però, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide il ricorso di cui al comma 7, essendo tale mezzo di impugnazione espressamente limitato alle ipotesi disciplinate dall'art. 10, d.Igs. n. 159/2011. Tuttavia, il provvedimento che decide sul ricorso proposto ai sensi dell'art. 42, avendo natura dispositiva e incidendo su diritti soggettivi (a differenza di quelli aventi natura meramente gestoria), ha carattere decisorio, sicché lo stesso deve ritenersi ricorribile davanti alla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., secondo i principi generali e, dunque, al di fuori del procedimento speciale delineato dallo stesso art. 42:norma che individua nella Corte d'appello penale il Giudice competente a decidere il ricorso promosso ai sensi del citato comma 7 (in tal senso Sez. II civ., n. 11577/2017, Rv. 644210-01, con riferimento all'opposizione proposta ai sensi dell'art. 170, d.P.R. n. 115/2002 dal custode e amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro di prevenzione ai sensi della previgente l. n. 575/1965, in cui la Corte ha ritenuto per l'appunto ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi del citato art. 111, comma 7, Cost.). Ne deriva che, in assenza di una espressa previsione contenuta nella normativa di settore, l'individuazione delle sezioni della Corte di Cassazione competenti a decidere sul ricorso proposto avverso la decisione della Corte d'appello, adottata ai sensi dell'art. 42, comma 7, d.Igs. n. 159/2011, va condotta secondo i principi formulati dal Giudice di legittimità con riferimento alla liquidazione dei compensi a tutti gli ausiliari del Giudice, tenuto conto della natura del provvedimento decisorio, avente ad oggetto una controversia di natura civile. |