Istanza di verifica del credito (art. 52 d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, come modificato dalla l. n. 161/2017, la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni:

a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati;

b) che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento;

c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale;

d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso.

Nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

I crediti di cui al comma 1 devono essere accertati secondo le disposizioni contenute negli artt. 57, 58 e 59 e concorrono al riparto sul valore dei beni o dei compendi aziendali ai quali si riferiscono in base alle risultanze della contabilità separata di cui all'art. 37, comma 5.

Gli interessi convenzionali, moratori e a qualunque altro titolo dovuti sui crediti di cui al comma 1 sono riconosciuti, nel loro complesso, nella misura massima comunque non superiore al tasso calcolato e pubblicato dalla Banca d'Italia sulla base di un paniere composto dai buoni del tesoro poliennali quotati sul mercato obbligazionario telematico (RENDISTATO).

La confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi; ai titolari dei citati diritti spetta in prededuzione un equo indennizzo commisurato alla durata residua del contratto o alla durata del diritto reale.

Se il diritto reale si estingue con la morte del titolare, la durata residua del diritto è calcolata alla stregua della durata media della vita determinata sulla base di parametri statistici.

Le modalità di calcolo dell'indennizzo sono stabilite con decreto da emanarsi dal Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro della giustizia entro centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto.

Se sono confiscati beni di cui viene dichiarata l'intestazione o il trasferimento fittizio, i creditori del proposto sono preferiti ai creditori chirografari in buona fede dell'intestatario fittizio, se il loro credito è anteriore all'atto di intestazione fittizia.

In caso di confisca di beni in comunione, se il bene è indivisibile, ai partecipanti in buona fede è concesso diritto di prelazione per l'acquisto della quota confiscata al valore di mercato, salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto, di taluna delle associazioni di cui all'art. 416-bis c.p., o dei suoi appartenenti.

Se costoro non esercitano il diritto di prelazione o non si possa procedere alla vendita, il bene può essere acquisito per intero al patrimonio dello Stato al fine di soddisfare un concreto interesse pubblico e i partecipanti hanno diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della propria quota di proprietà, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.

In base all'art. 57, l'amministratore giudiziario allega alle relazioni da presentare al giudice delegato l'elenco nominativo di tutti i creditori anteriori al sequestro, l'indicazione dei crediti e delle rispettive scadenze e l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali di godimento o garanzia o diritti personali sui beni, con l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.

Il giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, assegna ai creditori un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il deposito delle istanze di accertamento dei rispettivi diritti e fissa la data dell'udienza di verifica dei crediti entro i sessanta giorni successivi; il decreto è immediatamente notificato agli interessati, a cura dell'amministratore giudiziario.

Il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive di cui all'art. 58, comma 6, un'udienza ogni sei mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza.

L'art. 58 tratteggia la domanda di ammissione del creditore, prevedendo che i creditori di cui all'art. 52 debbano presentare al giudice domanda di ammissione del credito.

Essa contiene:

a) le generalità del creditore;

b) la determinazione del credito di cui si chiede l'ammissione allo stato passivo ovvero la descrizione del bene su cui si vantano diritti;

c) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, con i relativi documenti giustificativi;

d) l'eventuale indicazione del titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale.

Il creditore elegge domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale procedente. È facoltà del creditore indicare, quale modalità di notificazione e di comunicazione, la trasmissione per posta elettronica o per telefax ed è onere dello stesso comunicare alla procedura ogni variazione del domicilio o delle predette modalità; in difetto, tutte le notificazioni e le comunicazioni sono eseguite mediante deposito in cancelleria.

Si precisa che la domanda non interrompe la prescrizione né impedisce la maturazione di termini di decadenza nei rapporti tra il creditore e l'indiziato o il terzo intestatario dei beni; essa è depositata, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 57, comma 2.

Successivamente, e comunque non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse solo ove il creditore provi, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile.

L'amministratore giudiziario esamina le domande e redige un progetto di stato passivo rassegnando le proprie motivate conclusioni sull'ammissione o sull'esclusione di ciascuna domanda; sempre costui deposita il progetto di stato passivo almeno venti giorni prima dell'udienza fissata per la verifica dei crediti.

I creditori e i titolari dei diritti sui beni oggetto di confisca possono presentare osservazioni scritte e depositare documentazioni aggiuntive, a pena di decadenza, fino a cinque giorni prima dell'udienza.

La l. n. 161/2017 ha provveduto a un'interpolazione di carattere temporale nel quinto comma dell'art. 58 ed ha introdotto i commi 5-bis e ter, dettando una disciplina integrativa: si prevede, in specie, che le istanze tardive sono presentate non oltre il termine di esecutività dello stato passivo (in luogo del termine inizialmente previsto che era legato ad un anno dalla definitività della confisca).

Il comma 5-bis attribuisce all'amministratore giudiziario poteri di maggiore valenza, stabilendo che costui esamini le domande e rediga un progetto di stato passivo rassegnando le proprie conclusioni sull'ammissione o sull'esclusione di ciascuna domanda.

Egli deve, inoltre, depositare e lo stato passivo almeno venti giorni prima dell'udienza di verificazione per permettere ai creditori e ai titolari di diritti sui beni di presentare osservazioni documentazione aggiuntiva fino a cinque giorni prima dell'udienza a pena di decadenza.

L'art. 59 è, infine, dedicato alla verifica dei crediti e alla composizione dello stato passivo.

Si prevede che all'udienza fissata per la verifica dei crediti il giudice delegato, con l'assistenza dell'amministratore giudiziario e con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero, assunte anche d'ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell'esclusione.

All'udienza di verifica gli interessati possono farsi assistere da un difensore e l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati può sempre partecipare per il tramite di un proprio rappresentante, nonché depositare atti e documenti.

Terminato l'esame di tutte le domande, il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria e comunicato all'Agenzia; del deposito l'amministratore giudiziario dà notizia agli interessati non presenti a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento.

I provvedimenti di ammissione e di esclusione dei crediti producono effetti solo nei confronti dell'Erario.

Entro trenta giorni dalla comunicazione, i creditori esclusi possono proporre opposizione mediante ricorso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione; ciascun creditore può impugnare nello stesso termine e con le stesse modalità i crediti ammessi.

Il tribunale tratta in modo congiunto le opposizioni e le impugnazioni fissando un'apposita udienza in camera di consiglio, della quale l'amministratore giudiziario dà comunicazione agli interessati.

All'udienza ciascuna parte può svolgere, con l'assistenza del difensore, le proprie deduzioni e produrre documenti nuovi solo se prova di non esserne venuta in possesso tempestivamente per causa alla parte stessa non imputabile.

All'esito il tribunale decide con decreto ricorribile per cassazione nel termine di trenta giorni dalla sua notificazione.

Infine, giova osservare che la l. n. 161/2017 ha abrogato il comma 10 che stabiliva che, anche dopo la confisca definitiva, se erano state presentate domande di ammissione del credito ai sensi dell'art. 57, il procedimento giurisdizionale per la verifica e il riparto dei crediti proseguiva dianzi al tribunale che aveva applicato la misura di prevenzione.

Formula

N..... RGMP

TRIBUNALE DI....

SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE

Alla c.a. del sig. Giudice Delegato Dott.....

Il sottoscritto, nato a.... il.... residente in [1].... alla via...., C.F.....;

rappresentato dall'Avv..... [2] del Foro di....;

PREMESSO

che in data.... è stato eseguito il sequestro n..... emesso dal Tribunale in intestazione a carico di....;

che esso ha avuto ad oggetto i seguenti beni....;

che esso è stato eseguito in data....;

che è stato attinto dalla misura l'intero patrimonio aziendale e che risulta immesso in possesso l'amministratore giudiziario dott.....;

che il sottoscritto istante è creditore verso la società della complessiva somma di Euro...., di cui Euro.... in privilegio ed Euro.... in chirografo, per forniture eseguite in data.... come da fatture n.....;

che in forza delle indicate fatture era stato già richiesto e concesso decreto ingiuntivo dal tribunale di.... esecutivo in difetto di opposizione il....;

che ad oggi lo scrivente è, ancora, creditore insoddisfatto della somma di Euro...., oltre interessi come per legge;

che si tratta di debiti anteriori alla data del sequestro e ricorrono le condizioni di cui all'art. 52 d.lgs. n. 159/2011 e in particolare:

a) l'escussione del restante patrimonio del proposto è inidonea al soddisfacimento del credito, poiché tutti i beni sono attinti da misura di prevenzione ed al proposto è stato riconosciuto un sussidio alimentare corrisposto dalla procedura per le minime esigenze di vita quotidiana;

b) il credito non è in alcun modo strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego ed, in ogni caso l'istante odierno, ha ignorato, in condizione di assoluta buona fede, la condizione del proposto, essendosi costui presentato come normale ed ordinario operatore commerciale, in regime di libero mercato;

c) il credito non è affatto in nesso di strumentalità con la illecita attività;

che, inoltre, a sostegno della condizione di buona fede si rappresenta che:

....

....

.....

TUTTO CIÒ PREMESSO,

CHIEDE

all'ill.mo Giudice delegato che, previa fissazione dell'udienza, sia riconosciuto il diritto di credito per cui si insta e che sia ammesso al passivo della procedura per i seguenti importi:

in via privilegiata:

IVA su fatture Euro....;

TOTALE IN PRIVILEGIO Euro....;

in via chirografaria

Imponibile fatture Euro....;

Interessi legali dalla scadenza

delle fatture al sequestro Euro....;

spese diritti ed onorari

liquidati nel decreto ingiuntivo Euro....;

TOTALE IN CHIROGRAFO Euro....;

Si dichiara di voler ricevere ogni comunicazione o notificazione al.... indirizzo di posta elettronica.....

Si allegano i seguenti documenti:

– decreto ingiuntivo....;

Fatture....;

Data.... sottoscrizione parte / avvocato

In caso di difesa tecnica

Procura in calce all'atto.

[1]Il creditore deve eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale procedente; è sua facoltà indicare, quale modalità di notificazione e di comunicazione, la trasmissione per posta elettronica o per telefax ed è onere dello stesso comunicare alla procedura ogni variazione del domicilio o delle predette modalità; in difetto, tutte le notificazioni e le comunicazioni sono eseguite mediante deposito in cancelleria.

[2]La norma non prescrive il ministero del difensore; è, tuttavia, opportuno affidarsi a un tecnico.

Commento

Inquadramento

Uno dei temi centrali della prevenzione patrimoniale è stato tradizionalmente quello della tutela dei diritti dei terzi incisi dai provvedimenti ablativi di sequestro e confisca, soggetti che rischiavano (e, come si vedrà, in parte ancora oggi rischiano) di vedere – improvvisamente – svanire quella garanzia patrimoniale su cui avevano costruito l'affidamento commerciale nei riguardi del soggetto portatore di pericolosità sociale, ovvero di persone o aziende con questo variamente collegate.

La materia ha per la prima volta ricevuto autonoma disciplina negli artt. 52 e ss. del cd. Codice Antimafia, che hanno posto una disciplina di carattere generale in chiave fortemente innovativa – sia pure nel recepimento di talune elaborazioni già fatte proprie dalla giurisprudenza di legittimità – per la tutela dei diritti dei terzi, a vario titolo coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale.

Giova, peraltro, osservare che prima della menzionata novella e, quindi, in assenza di un vero e proprio statuto legislativo di tutela del terzo creditore, si era molto discusso circa la compatibilità con la Costituzione delle disposizioni volte a pretendere da costui una specifica dimostrazione circa la sua “buona fede” nei rapporti col soggetto portatore di pericolosità sociale.

La giurisprudenza della Suprema Corte, tuttavia, aveva ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3,24 e 47 Cost., la questione di legittimità costituzionale sollevata in ordine all'art. 2-ter della l. n. 575/1965, nella parte in cui richiedeva che il terzo, titolare di un diritto reale di garanzia sul bene sequestrato/confiscato, avesse l'onere di dimostrare di aver positivamente adempiuto con diligenza agli obblighi di informazione e di accertamento e di aver, perciò, fatto affidamento “incolpevole” sul soggetto nei cui confronti aveva acquisito il diritto di garanzia.

Si osservava che, da un lato, il doveroso bilanciamento tra gli interessi statali e quelli del privato portava a ritenere opportuna la prevalenza dei primi rispetto ai secondi e che, dall'altro, la posizione del privato sarebbe stata, comunque, in ipotesi tutelata facendo salva la possibilità che egli provasse la sua buona fede (Cass. I, n. 30326/2011).

I diritti dei terzi nella sistematica del Codice Antimafia

Come anticipato, dal 2011 è vigente nell'ordinamento uno specifico corpus normativo funzionale alla verifica dei diritti dei terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale e operante sia nell'ambito del giudizio di cognizione, propedeutico all'eventuale confisca, sia in riferimento allo specifico accertamento delle posizioni creditorie dei terzi, finalizzato al (parziale) ristoro patrimoniale a costoro garantito dallo Stato.

Sotto il primo profilo, una norma cardine è, senza dubbio, l'art. 23 del Codice che impone la citazione – a cura del tribunale e con decreto motivato, contenente la fissazione dell'udienza in camera di consiglio – dei terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati (comma 2), nonché di coloro che vantino diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro (comma 4) che, in caso di confisca e purché di “buona fede”, avranno diritto a un indennizzo ai sensi dell'art. 52, commi 4 e 5.

La disposizione, come si vedrà, è stata interpolata dalla l. n. 161/2017 (riforma del Codice Antimafia, in vigore dal 19 novembre 2017) che vi ha aggiunto il riferimento ai terzi titolari di diritti reali di garanzia sui beni sequestrati, categoria prima esclusa.

Va anche evidenziato che il novellato art. 7, recependo la prassi di numerosi tribunali, impone oggi la comunicazione o la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza con atto contenente la concisa esposizione dei contenuti della proposta”, norma questa che appare assolutamente conferente con la necessità di garantire piena salvaguardia del diritto di difesa dei soggetti coinvolti in un procedimento che appare sempre più “giurisdizionalizzato”, anche in conformità con il dettato dell'art. 6 della CEDU.

Tuttavia, a giudizio della Suprema Corte (Cass. V, n. 28695/2022) “l'avviso di fissazione dell'udienza di comparizione nei confronti della persona proposta non deve necessariamente indicare il tipo di pericolosità posta a fondamento della richiesta, essendo sufficiente, onde assicurare alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo, la sola indicazione degli elementi di fatto dai quali la si ritiene desumibile, sicché non si configura violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione nel caso in cui il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria di pericolosità sociale diversa o ulteriore rispetto a quella indicata nella proposto”.

Costoro possono quindi partecipare al giudizio e, in udienza, svolgere le loro deduzioni con l'assistenza di un difensore, chiedendo altresì l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca.

Sul secondo versante, l'art. 52 esordisce nel fissare le condizioni che consentono la tutela dei diritti di credito dei terzi, anche se assistiti da diritti reali di garanzia, con l'obiettivo di garantire l'effettività della misura ablativa; si esclude così un controllo meramente formale circa l'esistenza del diritto di credito, dovendo essere invece accertata l'estraneità del terzo rispetto all'attività delittuosa del proprio debitore, evitando in tal modo il rischio che il soggetto pericoloso possa avvalersi di prestanome che vantino fittiziamente diritti su beni oggetto di confisca.

Per ottenere il riconoscimento del credito, l'istante deve dimostrare in primis l'anteriorità del diritto rispetto al sequestro (in caso di diritti di credito, tale requisito deve risultare da atto di data certa: per l'individuazione della data certa soccorrono le norme del codice civile, artt. 2699 e ss. c.c., e in specie l'art. 2704 in tema di scrittura privata; per i diritti reali di garanzia, rileva la data di costituzione secondo le regole civilistiche, per il pegno gli artt. 2784 e ss. e per l'ipoteca gli artt. 2808 e ss. del codice).

Nella formulazione originaria si richiedeva, altresì, la previa escussione del patrimonio restate del sottoposto e la sua insufficienza al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati (ad esempio, garanzia reale consistente in vincolo ipotecario); la norma è stata innovata nel 2017 escludendo, di fatto, la necessità della preventiva escussione e stabilendo, quale condizione per il riconoscimento del credito, solamente “che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito”, ferma restando l'eccezione testé citata per i crediti privilegiati.

Sul punto la Suprema Corte (Cass. II, n. 32125/2021) ha chiarito che l'obbligo di preventiva escussione del residuo patrimonio del proposto, previsto dall'art. 52, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 159/2011 (nella versione antecedente alle modifiche di cui alla l. n. 161/2017), non si applica qualora il terzo non abbia titolo diretto per agire nei confronti del proposto, essendo creditore di altro soggetto, risultato, all'esito del giudizio di prevenzione, titolare apparente del bene ablato. (In motivazione la Corte ha precisato che diversamente si imporrebbe al terzo un irragionevole aggravio processuale, in quanto dovrebbe “a priori” procurarsi il titolo per agire in via diretta contro il proposto, non potendo valere in sede civile l'accertamento compiuto dal giudice della prevenzione, in ordine all'effettiva disponibilità del bene in capo al proposto, nonostante la formale intestazione al debitore. La nuova formula, quindi, esclude in principio che il terzo – per trovare tutela sui beni confiscati – debba avere compiuto infruttuosamente atti esecutivi in danno del proprio debitore, prevedendo che costui sia onerato di provare soltanto l'assenza di ulteriori beni (rispetto a quelli attinti dalla misura di prevenzione), riconducibili alla garanzia patrimoniale di quest'ultimo.

Modificato anche il terzo requisito: prima occorreva dimostrare la non strumentalità del credito rispetto all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore non dimostrasse di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; oggi invece occorrerà provare sia la non strumentalità che la buona fede e l'inconsapevole affidamento.

Come era stato anticipato da parte della dottrina, l'approvazione del disegno di legge ha trasformato in cumulativi i presupposti per l'opponibilità del credito verso lo Stato che, ai sensi della previgente formulazione dell'art. 52, lett. b), erano invece previsti come alternativi.

Quanto all'elaborazione giurisprudenziale sui citati presupposti, va segnalato che di recente la Suprema Corte (Cass. VI, n. 12510/2022) ha precisato che, qualora venga presentata domanda di ammissione allo stato passivo da parte del terzo creditore, il tribunale è tenuto, in ordine logico, a verificare in primis il nesso di strumentalità del credito rispetto all'attività illecita del proposto e, solo all'esito, gli elementi dimostrativi di buona fede addotti dal creditore, anche alla luce dei parametri indicati dal comma 3 dell'art. 52, d.lgs. n. 159/2011: in specie, si è sostenuto che il profilo soggettivo della buona fede “postula a monte la dimostrazione, da parte dei creditore, di un credito munito di data certa, opponibile alla massa, se del caso integrato dagli ulteriori oneri di deduzione e allegazione imposti dalle ipotesi di cui alle lettere c), d), dell'art. 52 del d.lgs. n. 152/2011”.

Infatti occorre valutare in primo luogo il tema sulla ritenuta strumentalità del credito (sempre se comprovato) rispetto all'attività illecita sottesa all'applicazione della misura (da ultimo si vedano sul punto anche Cass. VI, n. 27692/2021 e Cass. VI, n. 28034/2021) mentre, solo all'esito di tale ultima verifica, diventa attuale il profilo della buona fede dell'istante “dovendo il Tribunale, in caso di rilevata strumentalità del credito, valutare gli elementi addotti dal creditore in relazione alla buona fede, anche alla luce dei parametri di giudizio espressamente indicati dal comma 3 dell'art. 52 citato”.

Altro punto importante è stato enucleato da Cass. I, n. 6746/2021 che ha chiarito come, ai fini della valutazione in ordine al requisito – necessario per l'ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro – dell'insussistenza di alcun vincolo di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del soggetto pericoloso o quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego, il giudice è tenuto a valutare specificamente lo scarto temporale tra la concessione del credito e l'emersione della pericolosità, potendo legittimamente avvalersi di una presunzione semplice di finalizzazione del finanziamento alla dissimulazione di risorse occulte derivanti dall'attività illecita quando risulti che il credito sia stato erogato in costanza di una manifesta e percepibile condizione di pericolosità sociale del ricevente, ma non anche quando, al momento, dell'erogazione la pericolosità fosse assente od “occulta”, con conseguente apparenza di liceità della destinazione delle risorse.

Si è osservato in dottrina che, peraltro, la disposizione innanzi citata appare non in linea con gli approdi giurisprudenziali e dottrinali in materia di tutela dei creditori in quanto, richiedendo come condizioni cumulative per l'opponibilità del credito nei confronti dello Stato sia la mancanza di strumentalità del credito all'attività illecita (o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego), sia la sussistenza della buona fede e dell'affidamento incolpevole, escluderebbe che possa accedere alla tutela il creditore che abbia ignorato in buona fede l'esistente nesso di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del debitore (o che sia comunque in buona fede, nei termini in cui tale clausola generale è stata declinata in concreto dalla giurisprudenza, se il credito risultasse strumentale all'attività illecita).

Ne consegue che la sussistenza del nesso di strumentalità parrebbe oggi escludere di per sé l'opponibilità del credito nei confronti dello Stato, anche qualora il creditore sia stato in buona fede, requisito il primo che si profila, in conclusione e come ribadito dalla giurisprudenza citata innanzi, quale precondizione fondamentale per il riconoscimento del suo diritto.

Anzi, seguendo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui spetta al creditore provare l'insussistenza del nesso di strumentalità, sarebbe sufficiente a elidere l'opponibilità del credito nei confronti dello Stato il mancato convincimento del giudice in ordine alla insussistenza del nesso, che è cosa diversa rispetto al convincimento in ordine alla sua sussistenza.

Al fine di delineare l'onere in capo al terzo, la legge precisa che nella valutazione della buona fede il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

Per gli istituti di credito, occorre quindi valutare il rispetto delle norme e prassi bancarie in materia, oltre che del disposto del d.lgs. n. 231/2007 e della l. n. 197/1991 (in materia di antiriciclaggio), ed è consentita la comunicazione alla Banca d'Italia – in applicazione dell'art. 9 del citato decreto del 2007 – del decreto con cui viene respinta la domanda di riconoscimento della buona fede al fine di consentire opportune valutazioni da parte dell'istituto di vigilanza ai sensi della citata normativa antiriciclaggio.

Il terzo titolare di un diritto di garanzia reale sul bene confiscato che intenda ottenere l'accertamento e l'ammissione del proprio credito nell'ambito del procedimento di prevenzione – si è recentemente ribadito a cura della giurisprudenza di legittimità – ha, pertanto, l'onere di provare sia la costituzione del titolo con atto di data certa anteriore al sequestro, sia la propria estraneità all'attività illecita del proposto da cui ha obiettivamente tratto vantaggio (ex multis: Cass. VI, n. 3364/2016).

Comunque la parte privata – prima del deposito dell'istanza di riconoscimento della buona fede – ha il potere/dovere di accedere alle risultanze istruttorie contenute nel fascicolo della procedura di confisca (di cui può ottenere copia ai sensi dell'art. 166, comma 1, del codice di procedura penale) al fine di realizzare il necessario confronto tra la propria prospettiva ricostruttiva e ciò che emerge dal fascicolo stesso (così Cass. I, n. 17015/2014).

Come accennato, è dunque configurabile la buona fede del terzo creditore solo nel caso in cui risultino, avendo riguardo alla particolare attività svolta dal medesimo: a) l'estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all'attività criminosa; b) l'inconsapevolezza credibile rispetto alle attività svolte dal soggetto pericoloso; c) un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto (sul tema, è a dirsi che, ad esempio, la Suprema Corte ha escluso la buona fede dell'istituto di credito che, trascurando negligentemente gli obblighi di verifica imposti dalle politiche di prestito e di controllo dei relativi rischi, aveva concesso un mutuo ipotecario di importo manifestamente eccessivo rispetto all'entità della base reddituale del beneficiario (così testualmente Cass. V, n. 50018/2015).

Anche secondo le Sezioni Unite civili (così Cass. civ. S.U., n. 10532/2013) l'onere di fornire la prova positiva delle condizioni per l'ammissione al passivo del suo credito incombe sul creditore richiedente; né è tenuto il giudice, ai sensi dell'art. 666, comma 5, c.p.p., a provvedere di ufficio all'integrazione di prove necessarie per il sostegno della prospettazione di parte e afferenti al merito del contenuto della domanda del creditore.

Particolarmente rigoroso l'approdo secondo il quale al cessionario che sia divenuto creditore in epoca successiva alla trascrizione del provvedimento di sequestro non è dato dimostrare la propria buona fede, nemmeno quando il controllo dei pubblici registri risulti indubbiamente difficoltoso a causa della cessione “in blocco” dei crediti garantiti.

Sarebbe, quindi, da escludere che il creditore cessionario di crediti in blocco ai sensi del d.lgs. n. 385/1983, ex art. 58, possa – in virtù di tale modalità d'acquisto – versare in buona fede, non potendo esigersi la verifica delle condizioni giuridiche dei singoli crediti oggetto di cessione, atteso che l'acquisto in massa dei crediti non viene effettuato “alla cieca”, bensì sulla base di un'analisi dei crediti proprio perché solo ove se ne conosca qualità e la quantità si può determinare il prezzo di vendita.

Secondo questa tesi l'art. 52 deve, invece, interpretarsi nel senso che la confisca pregiudica ipso iure i diritti di credito dei terzi che risultino da atti con data certa posteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca posteriore al sequestro sicché, essendo il creditore istante automaticamente in colpa, diventa irrilevante la prova delle ulteriori condizioni previste dall'art. 52, comma 1, lett. b), del decreto legislativo del 2011 (così Cass. II, n. 28839/2015).

Tale interpretazione si pone in linea di continuità con la più risalente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il terzo cessionario di credito garantito da ipoteca su beni sottoposti a sequestro e a confisca di prevenzione gode della medesima tutela del creditore originario, al quale viene riconosciuta a condizione che risultino l'anteriorità dell'iscrizione del titolo o dell'acquisto del diritto rispetto al provvedimento cautelare o ablativo intervenuto nel procedimento di prevenzione e la sua buona fede, intesa come affidamento incolpevole, non potendosi ritenere sufficiente che tali condizioni siano realizzate in capo al cedente, nonché con la previsione testuale del d.gs. n. 159/2011, art. 52 (cfr. Cass. I, n. 16743/2008).

Nell'ipotesi di cessione del credito, la Cassazione ha stabilito che la prova dell'ignoranza in buona fede del nesso di strumentalità del credito deve essere fornita con riguardo alla posizione soggettiva sia del cedente che del cessionario, tenendo presente:

a) che la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito precedentemente insorto non determina di per sé uno stato di mala fede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria;

b) che, per ottenere il riconoscimento del diritto correlato a un bene confiscato in via definitiva, il soggetto terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua buona fede (intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell'attività illecita realizzata all'epoca dal contraente poi sottoposto al sequestro), ma anche l'affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza, da rapportarsi al caso in esame, teso a escludere rimproverabilità di tipo colposo (v., in motivazione, Cass. I, n. 45260/2013);

c) che in taluni casi, inoltre, i crediti derivanti dall'originario contratto di mutuo potrebbero essere stati oggetto di più atti di cessione ai sensi dell'art. 58 T.U.B. (d.lgs. n. 385/1993) il cui terzo comma, ultimo 5 periodo, prevede che “Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti”, con la conseguenza che nessun affievolimento degli oneri probatori dettati dal predetto art. 52 può essere previsto per la posizione del cessionario di crediti in blocco;

d) che non può ritenersi di per sé ostativo al riconoscimento di una situazione di affidamento incolpevole il fatto che il cessionario abbia concluso il contratto di cessione in epoca successiva al sequestro e alla confisca, sul presupposto della conoscibilità del vincolo tramite l'impiego della ordinaria diligenza, dovendosi al riguardo considerare non solo la concreta incidenza degli effetti ricollegabili alla previsione delle forme di pubblicità legale applicabili nel caso, ma anche la particolare “modalità” della cessione del credito che viene in tali ipotesi in rilievo, ossia la cessione di rapporti giuridici in blocco avvenuta (in epoca successiva al sequestro e alla confisca, ferma restando la precedente iscrizione di ipoteca) ai sensi del su citato d.lgs. n. 385/1993 (ex artt. 58 e ss.).

Tale modalità di cessione dei rapporti giuridici – da verificare nella sua effettiva entità – potrebbe rendere concretamente inesigibile, in capo al cessionario, la previa verifica delle condizioni giuridiche di tutti i beni sottoposti a originaria garanzia ipotecaria e correlati ai crediti ceduti, influendo obiettivamente sull'ambito di operatività dell'onere di diligenza richiesto al ricorrente (cfr. Cass. I, n. 45260/2013 e più recentemente Cass. VI, n. 43126/2017).

Di recente la Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29847/2018) ha affermato che la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l'ammissibilità della ragione creditoria, né determina automaticamente uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest'ultimo dimostrare la propria buona fede. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'acquisto del credito “in blocco”, ai sensi dell'art. 58, d.lgs. n. 385/1993, non è circostanza decisiva ai fini della prova della buona fede, costituendo una semplice modalità di cessione del credito che non esime il cessionario dagli oneri di verifica relativi alla originaria sussistenza dei requisiti di ammissibilità). I parametri di giudizio tratteggiati dall'art. 52, comma 3, risultano, in conclusione, obbligatori ma non esclusivi, né tanto meno vincolanti per il giudice (nella sentenza n. 24713/2015 la Corte di Cassazione li qualifica in termini di “linee guida”): in altre parole, il giudice dovrà obbligatoriamente tenere conto di essi, ma potrà anche considerare altri elementi e, se del caso, motivatamente disattenderli.

Può dirsi che, in buona sostanza, il Legislatore abbia imposto un parziale protocollo logico al ragionamento probatorio dell'interprete.

Sul tema della tutela del credito oggetto di cessione in epoca anteriore al sequestro di prevenzione è, invero, consolidato il principio di diritto secondo il quale, “per escludere l'ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro, il tribunale è tenuto a fornire analitica dimostrazione che il credito è strumentale all'attività illecita del soggetto pericoloso o a quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego, salvo che, una volta dimostrato tale nesso, il creditore non provi di averlo ignorato in buona fede” (Cass. VI, n. 55715/2017).

È, inoltre, onere del terzo provare la propria buona fede quanto alla situazione di apparenza creata dal reo che non poteva essere superata con l'ordinaria diligenza e che quindi ne giustifica l'ignoranza: in concreto, occorre tenere conto di alcuni indici rilevanti, come ad esempio il fatto che l'istituto di credito abbia o meno svolto verifiche sulle condizioni reddituali e sulle disponibilità economiche della persona del fideiussore e sui rapporti intercorrenti tra questi e la società garantita; inoltre, possono valutarsi altri temi, come l'analisi di eventuali dossier in possesso dell'istituto di credito, con le cariche societarie ricoperte ovvero l'esistenza di procedure di liquidazione, o ancora la specifica classe di rischio eventi negativi associata al nominativo, valutando che, nonostante parametri negativi, la banca abbia aveva accettato la costituzione della garanzia personale.

Da tali circostanze può essere desunta, nel caso concreto, l'assenza di una situazione di oggettiva apparenza idonea a scusare il difetto di diligenza della banca finanziatrice nella valutazione del merito dell'operazione consentita; né vale, in senso contrario a tale conclusione, a sostegno della buona fede invocare l'avvenuto rispetto delle procedure interne per la concessione di finanziamenti e le norme del d.lgs. n. 385/1993 che, siccome riguardanti gli obblighi precontrattuali, attengono solamente ai rapporti tra la banca e il cliente.

Di recente la Suprema Corte (Cass. VI, n. 13474/2023) ha precisato che la disposizione di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che esclude che la confisca pregiudichi i diritti di credito dei terzi risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, deve intendersi nel senso che il relativo diritto sia sorto antecedentemente all'applicazione della misura cautelare, non rilevando che esso sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel caso di diritto di credito derivante dalla commissione di un fatto illecito l'insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell'illecito, e che la successiva sentenza di condanna, pur non definitiva, svolge una funzione di mero accertamento).

La verifica della buona fede va estesa, inoltre, estesa anche al fideiussore che abbia prestato garanzia per il credito concesso: la Suprema Corte (Cass. I, n. 29111/2022) ha precisato che sebbene non vi sia nella lettera dell'art. 52 un'espressa indicazione in tal senso, tuttavia ciò dipende dal fatto che la norma si riferisce ai crediti sorti anteriormente all'avvio del procedimento di prevenzione e non prende in considerazione l'ipotesi della successione – a latere creditoris – nel rapporto obbligatorio per la semplice e ovvia ragione che, in base alla legislazione codicistica e all'interpretazione giurisprudenziale, la cessione del credito, in qualunque modo avvenuta, determina solo la sostituzione del creditore originario, sicché il nuovo creditore subentra nella medesima posizione giuridica del cedente, assumendone i diritti, ma anche gli oneri ed i rischi.

Ciò con l'ineludibile corollario che sarà la “malafede” del cedente (nel senso stabilito dall'art. 52 cit.) a precludergli la possibilità di far valere le sue pretese sul bene del debitore che sia stato, nel frattempo, oggetto di ablazione; l'art. 52 cit. va quindi interpretato nel senso che la confisca non pregiudica – alle condizioni stabilite nella norma stessa – i diritti di credito dei terzi risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, ancorché sia intervenuta sostituzione nel lato attivo del rapporto obbligatorio. Nel caso in esame, pertanto, l'incontestata dimostrazione offerta in ordine alla strumentalità del credito alla protrazione dell'attività illecita del proposto, in una con la conclamata violazione di regole prudenziali tanto nella verifica del merito creditizio del credito originario, che nella costituzione della garanzia personale (si vedano le considerazioni espresse 4 dal Tribunale) sono aspetti congruamente richiamati nella decisione impugnata, che rendono non tutelabile la posizione giuridica del cessionario

Va poi osservato che la riforma approvata con la menzionata l. n. 161 ha introdotto, all'art. 52, comma 3-bis, del Codice Antimafia, un vero e proprio obbligo di comunicazione alla Banca d'Italia (“è comunicato”), ai sensi dell'art. 9 del decreto n. 231/2007, del decreto con il quale sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito presentata ai sensi dell'art. 58, comma 2, “in ragione del mancato riconoscimento della buona fede nella concessione del credito”, da soggetto sottoposto alla vigilanza della citata istituzione.

C'è anche da osservare che il d.l. n. 113/2018, convertito nella l. n. 132/2018, è intervenuto in tema di tutela dei terzi creditori e valutazione della loro buona fede spostando la parte relativa alla disciplina relativa ai terzi comproprietari di beni confiscati in via definitiva, contenuta nei commi 7 e 8 dell'art. 52, nel nuovo comma 7-ter dell'articolo 48, dedicato appunto alla fase finale del procedimento, con la destinazione e l'assegnazione del bene dopo il passaggio in giudicato del provvedimento ablatorio.

Ciò è stato fatto senza alcuna modifica della norma, ma soltanto – probabilmente – con l'intento di riordinare la materia collocando le citate disposizioni in una sede ritenuta più consona al loro contenuto.

La l. n. 228/2012

Sul tessuto normativo disegnato dai citati artt. 52 e 58, si è poi innestata la cd. Legge di stabilità del 2013, la n. 228/2012, pubblicata sulla G.U. del 29 dicembre e vigente dal primo gennaio 2013, che ha previsto una disciplina specifica per i creditori che vantassero diritti reali di garanzia o avessero intrapreso azioni esecutive sui beni oggetto di confisca di prevenzione nell'ambito di procedimenti non rientranti, ratione temporis, nella sfera di applicazione del decreto n. 159/2011.

In sostanza, i commi da 194 a 206 dell'art. 1 della citata legge per un verso affermano la non proseguibilità e la non proponibilità di azioni esecutive sui beni confiscati e, per altro verso, consentono il soddisfacimento dei creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione nei limiti e con le modalità di legge.

Il comma 199 prevede che entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge i titolari dei crediti devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca.

Tale termine, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, decorre o dal momento dell'entrata in vigore della citata legge, ovvero – per i beni confiscati in epoca successiva – dal giorno in cui il provvedimento di confisca diventi definitivo.

La giurisprudenza di legittimità (Cass. II, n. 12422/2020) ha affermato, sul punto, che il termine di 180 giorni dalla confisca, previsto dall'art. 1, commi 199 e 205, l. n. 228/2012, per proporre la domanda di ammissione del credito allo stato passivo, è inderogabile; né la domanda può essere surrogata da una mera sollecitazione di intervento diretta al tribunale o da richieste rivolte all'amministratore giudiziario. (Fattispecie relativa a credito di lavoro vantato da un dipendente dell'azienda confiscata, in cui la Corte ha, altresì, ritenuto non equiparabile all'ammissione del credito l'autorizzazione del giudice delegato alla definizione transattiva della controversia).

Il giudice, accertata la sussistenza (e l'ammontare del credito), nonché delle condizioni di cui all'art. 52, lo ammette al pagamento dandone immediata comunicazione all'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

In particolare, si distinguono una serie di ipotesi a seconda che alla data di entrata in vigore della l. n. 228/2012 (e dunque al primo gennaio 2013) fosse stata pronunciata o meno confisca e, laddove fosse stata emessa la confisca, occorre ulteriormente differenziare in base al fatto che fosse già avvenuta, o meno, l'aggiudicazione, anche provvisoria, del bene.

Qualora i beni alla data del 1° gennaio 2013 fossero stati confiscati, ma non aggiudicati, si stabilisce la regola per cui nessuna azione esecutiva possa essere iniziata o proseguita, in uno con l'estinzione dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti anteriormente alla confisca; i creditori ipotecari o pignoranti ovvero quelli intervenuti nell'esecuzione potranno far valere, perciò, le proprie ragioni solo nei confronti dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

La forma di tutela prescelta è, come si vede, condizionata dall'anteriorità dell'iscrizione ipotecaria dalla trascrizione del pignoramento o dell'intervento nel processo esecutivo rispetto alla trascrizione del sequestro di prevenzione sul bene.

Nell'ipotesi in cui, al contrario, alla data del 1° gennaio 2013 fossero avvenuti l'aggiudicazione o il trasferimento, ne restano fermi gli effetti e l'esecuzione, in definitiva, prevale sulla misura di prevenzione.

Laddove, infine, alla data del 1° gennaio 2013 i beni non siano stati ancora confiscati, si applicherà la disciplina già descritta per i beni confiscati (alla data del 1° gennaio 2013), ma non ancora aggiudicati con la differenza che il termine per richiedere tutela decorrerà dal passaggio in giudicato del decreto di confisca.

La posizione del creditore ipotecario

L'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, come anticipato, nel disciplinare i diritti dei terzi interessati nei procedimenti di prevenzione patrimoniale, prevede: “La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore a sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni: (....) b) che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità”.

Al riguardo, la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che il ricordato art. 52 esclude ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro, a meno che non risulti accertata la strumentalità del credito rispetto all'attività illecita, e solo in questo caso incombe al creditore, per far valere il proprio diritto, l'onere di dimostrare la ignoranza in buona fede di tale nesso di strumentalità; per escludere l'ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro, il tribunale è tenuto a fornire analitica dimostrazione che il credito è strumentale all'attività illecita del soggetto pericoloso o a quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego, salvo che, una volta dimostrato tale nesso, il creditore non provi di averlo ignorato in buona fede.

Con particolare riferimento al c.d. nesso di strumentalità, va rammentato che, in tema di confisca di prevenzione di beni gravati da ipoteca, la strumentalità del credito rispetto alla attività criminale del prevenuto può presumersi, fino a prova contraria, nei casi di corrispondenza temporale tra l'insorgenza del credito e l'accertata pericolosità sociale, dovendosi ritenere che l'incrementata disponibilità di mezzi finanziari sia senz'altro idonea ad agevolare, pur indirettamente, la realizzazione di attività illecite (Cass. VI, n. 14143/2019 con riferimento ad una fattispecie relativa alla confisca di un terreno acquistato con mutuo ipotecario, erogato nel periodo in cui si erano manifestati gli indizi di appartenenza del proposto ad un sodalizio mafioso, nonché la sperequazione tra acquisti ed entrate del medesimo).

In merito all'onere della prova della buona fede, è stato affermato che, ai fini della opponibilità di un diritto di garanzia reale sul bene oggetto di confisca, non è sufficiente che l'ipoteca sia anteriore al sequestro e al provvedimento ablativo, ma è anche necessario che il creditore dimostri di essere stato in buona fede, essendo il suo affidamento incolpevole stato ingenerato da un'oggettiva apparenza, tale da rendere scusabile il proprio difetto di diligenza (Cass. II, n. 41353/2015).

In concreto, il il Tribunale valuta di regola la compatibilità e la proporzione dell'impegno finanziario richiesto per la restituzione del finanziamento garantito da ipoteca rispetto ai redditi leciti del mutuatario accertati nel corso del procedimento di prevenzione al fine di accertare l'eventuale impiego di risorse di diversa natura e provenienza che potessero venire riconnesse alle attività illecite del proposto; ancora, occorre verificare se il mutuo fosse stato o meno erogato in un periodo in cui proposto avesse già manifestato la propria pericolosità sociale.

Il nesso di strumentalità rileva, quindi, nella doppia accezione del collegamento del credito: c.d. diretto, con l'attività illecita, e c.d., indiretto, con l'attività che ne costituisce il risultato; del resto, l'accensione di un mutuo costituisce uno dei più comuni artifici per riciclare somme di denaro di provenienza illecita, consentendo di reimmettere tali somme nel circuito legale, attraverso il pagamento delle rate, al contempo assicurandosi l'acquisto di beni apparentemente puliti, in quanto formalmente pagati con denaro proveniente dalla banca.

Ancora, il valore dell'immobile acquistato con il finanziamento, la somma erogata a titolo di mutuo, il suo essere eventualmente superiore all'importo necessario per l'acquisto, il reddito prodotto in quegli anni dal proposto e l'assenza di risparmi sufficienti a provvedere agli oneri derivanti dall'acquisto dell'immobile, possono ritenersi tutti elementi di oggettiva rilevanza che consentono di escludere la sussistenza di una situazione di incolpevole affidamento.

L'art. 52, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011, del resto, indica i criteri in base ai quali valutare la buona fede precisando, in particolare, che il Tribunale deve tenere conto “delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale”; è, pertanto, configurabile la buona fede del terzo creditore che vanta sul bene un diritto di garanzia reale sorto antecedentemente al provvedimento di confisca, soltanto nel caso in cui, avendo riguardo alla particolare attività svolta dal medesimo, risulti dimostrata: a) l'estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all'attività criminosa; b) l'inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto; c) un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto.

Ad esempio Cass. VI, n. 50018/2015 ha escluso la buona fede dell'istituto di credito che, trascurando negligentemente gli obblighi di verifica imposti dalle politiche di prestito e di controllo dei relativi rischi, aveva concesso un mutuo ipotecario di importo manifestamente eccessivo rispetto all'entità della base reddituale del beneficiario; in motivazione, la stessa sentenza ha rilevato che “ .... gli operatori bancari esperti nelle norme e negli usi bancari nonché nella normativa in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un livello di diligenza piuttosto elevato, essendo tenuti a verificare l'affidabilità di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta e l'esame di tutta la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca, oneri che si sono rafforzati dopo l'entrata in vigore della l. n. 346/1986, cd. Rognoni-La Torre”.

Nel medesimo solco ermeneutico si è di recente affermato (Cass. V, n. 1869/2022) che la strumentalità di un credito derivante dalla concessione di un mutuo ipotecario al proposto “può presumersi, fino a prova contraria, nei casi di corrispondenza temporale tra l'insorgenza del credito e l'accertata pericolosità sociale, dovendosi ritenere che l'incrementata disponibilità di mezzi finanziari sia senz'altro idonea ad agevolare, pur indirettamente, la realizzazione delle attività illecite”. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito di escludere dallo stato passivo, formato nel corso del procedimento di prevenzione, l'istituto bancario che aveva erogato, nel periodo in cui si era già manifestata la pericolosità sociale del proposto, un mutuo ipotecario, ritenuto espediente utile per reimmettere nel circuito legale, attraverso il pagamento delle rate, il danaro di provenienza illecita e assicurare, al contempo, al mutuatario l'acquisto di beni apparentemente “puliti”, in quanto formalmente pagati con denaro proveniente dalla banca).

Le Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione, con alcune fondamentali decisioni successive all'entrata in vigore del Codice Antimafia e alla novella del 2012, sono tornate sulla questione del rapporto tra la confisca di prevenzione e la tutela del creditore ipotecario (Cass. civ. S.U., n. 10532/2013; Cass. civ. S.U., 10533/2013 e Cass. civ. S.U., 10534/2013).

I casi esaminati hanno avuto origine dall'azione del creditore ipotecario che aveva pignorato l'immobile e, prima che il procedimento di esecuzione avesse fine, aveva visto l'emissione sul medesimo bene della confisca di prevenzione, in applicazione della disciplina previgente al Codice Antimafia.

Si trattava, infatti, di misure disposte anteriormente al 13 ottobre 2011, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011.

Dopo la remissione della questione alle Sezioni Unite civili, la materia era stata interessata dalla modifica legislativa di cui alla citata l. n. 228, volta ad armonizzare il quadro normativo previgente (la l. n. 575/1965, appunto) e lo statuto di tutela dei creditori scritto nel Codice Antimafia del 2011, atteso che le disposizioni di cui al d.lgs. n. 159 non erano direttamente applicabili alle misure di prevenzione disposte anteriormente all'entrata in vigore del Codice stesso.

I giudici di legittimità hanno, pertanto, preso atto delle innovazioni contenute nell'art. 1, commi 194-205 della l. n. 228/2012, ai fini della soluzione da preferire sulla vexata quaestio.

In definitiva, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio: nel conflitto tra l'interesse del creditore a soddisfarsi sull'immobile ipotecato e quello dello Stato a confiscare i beni, che siano frutto o provento di attività mafiosa, deve prevalere il secondo, onde è inopponibile allo Stato l'ipoteca iscritta su di un bene immobile confiscato, ai sensi della l. n. 575/1965, prima che ne sia stata pronunciata l'aggiudicazione nel procedimento di espropriazione forzata, in virtù della norma di diritto transitorio prevista dall'art. 1, comma 194, della l. n. 228/2012.

Il supremo consesso pare, quindi, essere giunto alla conclusione che il legislatore ha risolto, indipendentemente dal dato temporale, nel senso della prevalenza della misura di prevenzione patrimoniale il quesito relativo ai rapporti ipoteca-confisca, prevedendo l'estinzione di diritto degli oneri e pesi iscritti o trascritti.

Ciò con l'unico limite dell'aggiudicazione o della destinazione del bene.

Nessun dubbio sussiste – secondo la richiamata sentenza – sul fatto che la norma faccia riferimento anche all'ipoteca, al sequestro conservativo e al pignoramento, ricompresi tra i pesi e gli oneri dei quali è affermata l'estinzione.

Peraltro, pare che abbia colà trovato soluzione anche la questione della natura dell'acquisto del bene confiscato da parte dello Stato che, a seguito dell'estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca, acquista un bene non più a titolo derivativo, ma libero dai pesi e dagli oneri, pur iscritti o trascritti anteriormente alla misura di prevenzione.

In sostanza, superando la condivisa opinione della giurisprudenza civile e penale sulla natura derivativa del titolo di acquisto del bene immobile da parte dello Stato a seguito della confisca, il legislatore avrebbe inteso ricomprendere la misura della confisca di prevenzione nel solco delle cause di estinzione dell'ipoteca disciplinate dall'art. 2878 c.c.; alla stregua di tale normativa, dunque, in ogni caso, la confisca prevarrà sull'ipoteca.

La ratio di tale scelta va individuata nella salvaguardia del preminente interesse pubblico che giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso ora a una mera tutela di tipo risarcitorio; il bilanciamento dei contrapposti interessi viene, quindi, differito a un momento successivo, allorché il terzo creditore di buona fede chiederà, attraverso l'apposito procedimento, il riconoscimento del suo credito.

Ed è in questa prospettiva che la l. n. 228/2012 (comma 198) ha ampliato la platea dei soggetti legittimati all'azione ricomprendendovi:

1) i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione;

2) i creditori che, prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, hanno trascritto un pignoramento sul bene;

3) i creditori che, alla data dell'1 gennaio 2013 (entrata in vigore della legge), sono intervenuti nell'esecuzione iniziata con il pignoramento indicato sub 2).

Si tratta – afferma insomma la Cassazione – di un principio generale dell'ordinamento, con la conseguenza che in tema di confisca cd. allargata il diritto del creditore, titolare di ipoteca iscritta prima della confisca, non può essere tutelato davanti al giudice civile; unica eccezione è quella in cui il trasferimento del bene sia avvenuto prima della confisca.

La normativa contenuta nell'art. 1 commi 194-205 della l. n. 228 richiama, infatti, il Codice Antimafia e prevede la possibilità di estendere, in definitiva, lo statuto di tutela scritto nel codice stesso anche al creditore ipotecario, pignorante o intervenuto nella relativa procedura; la disciplina trova applicazione nelle ipotesi di procedimenti non soggetti, ratione temporis, a diretta applicazione della normativa di cui al d.lgs. n. 159/2011 perché incardinati anteriormente alla data del 13 ottobre 2011.

Il divieto di proseguire o iniziare azioni esecutive – affermano, ancora, le S.U. – si applica esclusivamente ai beni confiscati e non a quelli sequestrati: ciò in base al tenore letterale dell'art. 1, comma 194, della l. n. 228/2012, in forza del quale “a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, sui beni confiscati all'esito dei procedimenti di prevenzione [....] non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive”.

Il ragionamento della Corte, sul punto, appare ispirato al principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacquit, specialmente in considerazione del fatto che nel Codice antimafia (art. 55) viene espressamente richiamato il divieto di azioni esecutive anche per i beni sequestrati.

Emerge, quindi, dal quadro normativo così tratteggiato l'idea che, a seguito dell'estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca, lo Stato non acquisti un bene a titolo derivativo; l'acquisto statuale è, quindi, libero dai pesi e da oneri trascritti anteriormente e la misura di prevenzione costituisce, pertanto, una causa di estinzione dell'ipoteca, così come quelle disciplinate dall'art. 2878 c.c.

Per altro verso, si è osservato (Cass. V, n. 1841/2016), che la ratio del menzionato articolo 52 si riferisce, evidentemente, ai crediti sorti anteriormente all'avvio del procedimento di prevenzione e non prende in considerazione l'ipotesi della successione – a latere creditoris – nel rapporto obbligatorio: ciò per la semplice ragione che, in base alla legislazione codicistica e all'interpretazione giurisprudenziale, la cessione del credito, in qualunque modo avvenuta, determina solo la sostituzione del creditore originario, sicché il nuovo creditore subentra nella medesima posizione giuridica del cedente, assumendone i diritti, ma anche gli oneri e i rischi, con la conseguenza che sarà la “malafede” del cedente (nel senso stabilito dall'art. 52 cit.) a precludergli la possibilità di far valere le sue pretese sul bene del debitore che sia stato, nel frattempo, oggetto di ablazione.

Si è, dunque, affermato che, ai fini della tutela del terzo, sono rilevanti i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro ovvero i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ancorché sia intervenuta sostituzione nel lato attivo del rapporto obbligatorio in epoca successiva al sequestro, ricorrendo le ulteriori condizioni di cui all'art. 52 cit.; tuttavia, la sostituzione nel lato attivo del rapporto non può comportare la sterilizzazione dell'accertamento, ai fini della tutela del terzo, al momento nel quale il credito è insorto.

Vanno, in conclusione, esaminate le novità introdotte a settembre 2017 con la citata l. n. 161 e destinate a riverberarsi su tale categoria soggettiva: oltre alle già citate modifiche apportate all'art. 52 in punto di onere dimostrativo a carico del terzo istante, vale la pena di ricordare che il nuovo comma 4 del menzionato articolo impone che tali crediti, accertati ai sensi degli artt. 57 e ss., dovranno concorrere al riparto “sul valore dei beni o dei compendi aziendali cui si riferiscono” in base alle contabilità separate e alle “masse” distinte formate alla stregua dell'art. 37, comma 5.

Probabilmente più rilevante per il terzo creditore è il disposto del nuovo comma 4 dell'art. 52, secondo il quale la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi a oggetto non solo – come già previsto in passato – diritti personali di godimento, ma anche dei contratti aventi a oggetto un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi.

Insomma, d'ora in avanti il passaggio in giudicato (pur se rebus sic stantibus) della confisca di prevenzione determinerà (non già l'estinzione ma) lo scioglimento dei contratti aventi a oggetto diritti reali di garanzia, ferma restando la previsione di cui al comma 1 dell'art. 45 relativamente all'effetto liberatorio dei beni confiscati in via definitiva da “oneri e pesi”.

Si è, peraltro, osservato che tale modifica appare di dubbia utilità dal momento che, per un verso, il diritto reale di garanzia sarebbe in ogni caso destinato a estinguersi per effetto della confisca definitiva e, per l'altro, che se è vero che l'attenzione è rivolta ai diritti reali di garanzia in genere, allora con quella formulazione ci si dimenticherebbe di tutte le altre garanzie aventi fonte nella legge o in provvedimenti giudiziari (art. 2808, comma 3, c.c.). (cfr. Cass. civ. III, n. 22814/2013).

La posizione del creditore chirografario

Come accennato, in base all'art 1, commi 194-201, della citata l. 228 (in relazione agli artt. 52 e ss. del d.lgs. n. 159/2011), i soli creditori ipotecari o muniti di titolo di prelazione (ovvero che abbiano iscritto pignoramento o siano intervenuti in procedura esecutiva pregressa) – per i quali non trova diretta applicazione il Codice – possono agire in executivis innanzi al giudice della prevenzione per ottenere tutela ai sensi della normativa antimafia.

Nulla si dice sulla possibilità che detta facoltà (e la relativa normativa) si possano estendere anche ai titolari di crediti chirografari, assoggettati alla disciplina della l. n. 575/1965: costoro risultano, quindi, irrimediabilmente pregiudicati e non potranno agire per la tutela del relativo diritto, anche e soprattutto per effetto del regime “transitorio” introdotto dalla Legge di stabilità del 2013 per i procedimenti di prevenzione in cui non trova diretta applicazione il Codice Antimafia.

Secondo taluni il nuovo assetto, in uno al quadro normativo indicato, potrebbe presentare aspetti di frizione costituzionale ed essere contrario agli artt. 3,24 e 27 della Costituzione sotto il profilo della sua ragionevolezza:

in particolare, si rischierebbe (in forza di un'interpretazione testuale) di creare una sostanziale e non ragionevole disparità di trattamento sulle posizioni dei creditori chirografari, nei riguardi dei quali dovrebbe trovare applicazione la normativa precedente.

Tale compressione potrebbe apparire non comprensibile e risultare in contrasto con le regole costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, oltre che con i principi della effettività della tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 Cost., e di necessaria colpevolezza, ex art. 27 Cost.

Infatti, in questo caso il mero confronto tra le due normative svela una diversificazione evidente nel trattamento del credito in chirografo, a seconda che si applichi la l. n. 575/1965 ovvero il Codice Antimafia, atteso che solo nella seconda delle eventualità enucleate i creditori vedono analiticamente regolamentata la rispettiva condizione, in virtù dello statuto di tutela previsto dalla legge del 2011.

Al contrario, i terzi creditori chirografari i quali – per una mera congiuntura temporale – non rientrano nel regime normativo introdotto da questa ultima (perché maturati in procedimenti anteriori al 13 ottobre 2011) restano, di converso, sprovvisti di tutela.

Corollario dei principi ora ricostruiti è che tra i creditori che – nell'ambito delle procedure di prevenzione rimaste estranee al decreto n. 159/2011 giusta la disciplina transitoria dettata dall'art. 117 stesso decreto – possono, con le forme e i tempi dettati dagli artt. 199 e 200 della citata l. n. 228/2012, partecipare alla distribuzione della liquidazione dei cespiti ablati (art. 201) nei limiti della soglia massima garantita dall'art. 203 non risultano annoverati i chirografari che, prima del sequestro, non abbiano dato corso ad alcuna azione esecutiva, anche nelle forme del mero intervento in iniziativa mossa da altri creditori, sul patrimonio oggetto di sequestro e confisca.

Il tema, di grande impatto pratico, è stato affrontato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità e alcuni anni fa la Suprema Corte si è pronunciata sulla pretesa incongruenza logico-giuridica di questa disciplina, affermando che essa appare comunque conforme ai principi costituzionali e alla disciplina sovranazionale.

Ferma la prevalenza dell'interesse collettivo sotteso alla confisca, i creditori chirografari rimasti inerti non hanno diritto a partecipare alla distribuzione del riparto ricavato dalla vendita coattiva del patrimonio confiscato senza che la scelta normativa adottata possa essere tacciata di irrazionalità nel differenziare tra le posizioni tutelate: al pari di qualsivoglia altra pretesa di credito sfornita di prelazioni reali, i titolari di tali posizioni soggettive subiscono – in definitiva – gli effetti dell'inerzia mostrata nell'agire per la soddisfazione del proprio diritto.

Una volta che si attribuisca all'intervento ablativo una forza così determinante da incidere, modificandole, anche sulle posizioni soggettive dotate di immediata correlazione con la res (tanto da portare le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, come visto, a dare nuova forza teorica alla tesi della natura originaria dell'acquisto), va da sé che l'affidamento del creditore – pur di buona fede – esclusivamente legato alla garanzia patrimoniale giustificata dall'art. 2740 c.c. non possa che assumere un tono assolutamente e coerentemente recessivo, giustificato proprio dall'assenza di momenti di collegamento del bene confiscato con il credito asseritamente pretermesso, unica ragione di opponibilità, peraltro depotenziata nelle sue prerogative essenziali, al potere di confisca dello Stato.

Né il diritto dell'Unione Europea rassegna la presenza di spazi di tutela esplicitamente destinati a garantire i creditori – siano essi dotati di prelazione reale o meno – che vengano a contatto con l'azione preventiva, mancando peraltro allo stato una disciplina uniforme delle confische sganciate dalla condanna [la stessa proposta di Direttiva relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato, la 2012/0036 (COD), che non sembra peraltro neppure involgere il tema della confisca di prevenzione, contiene spunti interpretativi nuovi rispetto al tema in questione].

Inoltre, va osservato che dalla disciplina innanzi tratteggiata restano fuori i crediti, meramente chirografari, dei terzi relativi a patrimoni aziendali sequestrati e confiscati in uno all'ablazione delle quote sociali di riferimento, formalmente e sostanzialmente attratti alla disponibilità del proposto.

Tale vuoto, peraltro coerente rispetto al dato normativo preesistente all'introduzione del Codice Antimafia, non può tuttavia far ritenere che tali categorie di creditori restino inopinatamente escluse da ogni forma di tutela apprestata dall'ordinamento.

Effettivamente, a differenza dei creditori chirografari di buona fede coinvolti indirettamente in azioni ablative aventi a oggetto beni determinati, laddove la confisca sia caduta su patrimoni aziendali riferibili a enti societari (per aver integralmente coperto la confisca sia il capitale sociale che il sottostante patrimonio societario), il creditore chirografario della società non avrebbe la possibilità di soddisfarsi altrimenti, preclusagli la via – per quanto sopra evidenziato – della partecipazione alla distribuzione della liquidazione del patrimonio aziendale.

La normativa introdotta nel 2012, per le procedure di prevenzione anteriori al 13 ottobre 2011, si pone in linea con la disciplina dettata dal Codice Antimafia anche in punto di non proseguibilità e impossibilità di instaurare azioni esecutive; la norma, invece, tace e non disciplina il rapporto intercorrente con le iniziative concorsuali, tratteggiato negli artt. 63-65 del Codice.

Non sembra, peraltro, dubitabile che l'impresa sottoposta ad ablazione sia fallibile, ciò prescindendo anche da quanto oggi inequivocabilmente sancito dalla novella del 2011; in tal senso depone certamente l'idea della consentita (anzi favorita, nell'ottica quanto meno della migliore conservazione delle utilità confiscate) prosecuzione dell'attività aziendale che colora ormai da tempo tutti gli interventi legislativi in materia, ben prima della introduzione del Codice Antimafia, senza che potesse giustificarsi deroga alcuna alle ordinarie regole dello statuto dell'imprenditore commerciale.

Nulla esclude, dunque, che il creditore chirografario non soddisfatto di impresa sociale integralmente attinta dalla confisca possa attivarsi e ottenere il fallimento della stessa.

Non vale sul punto affermare – ha chiarito la Suprema Corte – che la procedura concorsuale è comunque una procedura esecutiva, sicché l'iniziativa del creditore sarebbe impedita dal divieto di cui al comma 1 dell'art. 194 della citata l. n. 228/2012.

L'argomento, di per sé confutato dalle precedenti considerazioni di sistema in ordine alla impossibilità di escludere dal fallimento un soggetto che si muove sul mercato seguendo la matrice tipica dell'impresa commerciale, trova una facile smentita nel tenore della analoga disposizione (art. 55) contenuta nel Codice Antimafia, che costituisce il riferimento di origine della disciplina in disamina: e tale normativa, se pur un verso impone il blocco delle iniziative esecutive individuali, per altro verso pacificamente acconsente al fallimento delle imprese sequestrate e confiscate, poco importa che il sequestro sia precedente o successivo alla instaurazione della procedura concorsuale.

Altro tema, anche se intimamente legato al precedente, sul piano della effettività della tutela, è quello inerente alla possibilità per il detto creditore e – per esso – della massa fallimentare di soddisfarsi sul patrimonio confiscato.

Il punto non trovava una regolamentazione esplicita nella normativa previgente e ha dato corpo a diversi conflitti interpretativi tra chi sosteneva una sistematica prevalenza delle ragioni pubbliche sottese all'intervento preventivo, tale da rimanere insensibile alle pretese concorsuali, e chi, per contro, anticipando l'innovazione normativa, riteneva comunque ingiustificato un integrale sacrificio degli interessi portati dai creditori, dovendosi ritenere in ogni caso realizzato l'interesse collettivo una volta che l'ablazione del patrimonio riferito al soggetto socialmente pericoloso finisca per cadere sui diritti del proposto residuati dalla soddisfazione delle pretese dei creditori concorsuali.

La Suprema Corte, in un importante precedente nel quale ha analizzato la situazione di creditori chirografari coinvolti in un giudizio di prevenzione ante riforma del 2011, ha mostrato di aderire alla seconda opzione (Cass. IV, n. 49821/2012).

Per più ordini di ragioni.

In primo luogo perché la disciplina introdotta dal Codice Antimafia in punto di regolamentazione dei rapporti tra procedura fallimentare e misura di prevenzione patrimoniale ben può costituire un momento di riferimento per conformare – a fronte di perduranti dubbi applicativi nel dilemma tra contrapposte situazioni, soggettive e collettive, degne di assoluto rilievo – posizioni assolutamente analoghe a un unico trattamento, quanto meno sostanziale.

Il tutto in modo da rendere coerenti le dinamiche dell'impresa sottoposta a confisca sia nel corso della gestione non connotata da insolvenza (laddove pacificamente, con il correttivo della buona fede accertata dal giudice delegato di concerto con l'amministratore giudiziario, il credito chirografario strumentale alla protrazione dell'attività viene di norma riconosciuto e soddisfatto pur se pregresso al sequestro) con quelle destinate a operare all'emergere dell'insolvenza.

Del resto, proprio la confermata prospettiva di liquidazione del patrimonio confiscato per soddisfare le pretese dei creditori rappresenta oggi (anche per le procedure non disciplinate dal decreto in analisi) un segno inequivoco della non pericolosità in sé dell'utilità oggetto di confisca di prevenzione: la liquidazione costituisce, infatti, momento di protratta circolazione del bene, incompatibile con l'idea della destinazione, vincolata e immodificabile, all'Erario dei cespiti confiscati perché intrinsecamente pericolosi.

In linea con quanto sopra, dunque, si è affermato che l'intervenuto fallimento dell'impresa sottoposta a confisca (per quote e patrimonio aziendale) estranea alla normativa attratta alla regolamentazione dettata dal decreto n. 159/2011 non finisce per assumere un significato di indifferenza rispetto alle pretese dei soggetti che prendono parte alla massa fallimentare, tra essi inclusi anche i creditori chirografari, per altra via esclusi dalla possibilità di soddisfarsi coattivamente sul patrimonio sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale.

E se la disciplina transitoria del Codice Antimafia finisce per precludere una pedissequa riproposizione dello schema procedurale ivi previsto, ciò tuttavia non significa che il sistema non consenta comunque di realizzare tale fine, contemperando le esigenze pubblicistiche sottese all'intervento in prevenzione e le ragioni di credito della massa fallimentare.

Perciò, seguendo l'insegnamento tracciato dalla giurisprudenza, il giudice fallimentare, nel verificare i crediti, inserirà tra gli elementi da valutare anche quello della buona fede, per fare sì che nel passivo non vengano veicolate situazioni appositamente create per favorire indirettamente lo stesso proposto.

Indi, il curatore fallimentare potrà proporre, quale terzo legittimato, incidente di esecuzione innanzi al tribunale di prevenzione alla stregua di quanto previsto dagli artt. 200 e ss. della l. n. 228/2012, norme queste che – in assenza di una esplicita regolamentazione delle ipotesi di intervenuto fallimento di imprese integralmente attratte a procedure di prevenzione non disciplinate dal decreto del 2011 – ben possono rappresentare le regola di riferimento quanto alla individuazione del giudice competente in punto al giudizio di opponibilità dei crediti, nonché per la definizione del procedimento volto alla liquidazione e alla soddisfazione dei crediti ammessi (sempre non oltre la soglia massima prevista dall'art. 203 stessa legge).

Quanto alle prospettive di tutela dei creditori non assistiti da specifiche, va osservato che pare destinata a lambire, almeno in fatto, la posizione soggettiva dei citati creditori l'aggiunta, con la più volte citata l. n. 161/2017, nel corpo del Codice Antimafia di un nuovo articolo, inserito sotto il numero 54-bis, con il quale si dispone che l'amministratore giudiziario – previamente autorizzato dal giudice delegato – possa eseguire pagamenti per forniture anteriori al sequestro, nel caso in cui il mantenimento dei rapporti con quei fornitori sia ritenuto essenziale per la prosecuzione dell'attività economica.

In buona sostanza, si vuole aprire la strada ad atti solutori di crediti anteriori al sequestro, sulla base della valutazione di rilevanza del rapporto commerciale con quel terzo rimessa all'amministratore giudiziario e senza a tal fine prevedere alcuna forma di verifica innanzi all'autorità giudiziaria dei presupposti meglio indicati all'art. 52, comma 1, del Codice Antimafia.

Il tema della tutela del creditore chirografario è stato affrontato dalla Suprema Corte che, in un interessante arresto (Cass. II, n. 29013/2020) ha affermato il principio secondo il quale “la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica dei crediti – di cui agli artt. 57 e ss. del d.lgs. n. 159/2011 – è estesa a tutti i creditori e, dunque, anche ai titolari di diritti di credito privi di garanzia sui beni confiscati, se risultanti da atti aventi data anteriore al sequestro e sempre che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, come previsto dall'art. 52, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 159/2011, come modificato dalla l. n. 161 del 2017”.

Si è osservato che il d.lgs. n. 159/2001 ha introdotto un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di un piano di pagamento, secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare; diversamente da quanto previsto nella disciplina transitoria riguardante i procedimenti già pendenti al momento della entrata in vigore dello stesso decreto legislativo (art. 1, commi da 194 a 206, della l. n. 228/2012), la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica, per i procedimenti iniziati successivamente a tale data, è estesa a tutti i creditori, siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale, come si evince chiaramente dal disposto dell'art. 61, comma 2, relativo all'ordine di graduazione dei crediti.

Anche i diritti di credito privi di garanzia sui beni confiscati, se risultanti da atti aventi data anteriore al sequestro, possono essere soddisfatti, sempre che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, come previsto dall'art. 52, comma 1 lett. a), del d.lgs. n. 159/2011, come modificato dalla l. n. 161/2017.

In questo senso si sono chiaramente espresse la Corte costituzionale (sentenza n. 94 del 2015, che ha dichiarato illegittima la ricordata disciplina transitoria, nella parte in cui escludeva, tra i soggetti legittimati a proporre domanda di ammissione del credito, i titolari di crediti da lavoro subordinato) nonché le Sezioni unite (Cass. S.U, n. 39608/2018); in altri casi esaminati dalla Suprema Corte, è stato riconosciuto il diritto della banca di ottenere l'ammissione di un credito conseguente ad un rapporto di conto corrente, in assenza di alcuna garanzia sui beni confiscati od in correlazione con gli stessi (Cass. V, n. 8450/2019).

La sentenza Corte cost. n. 94/2015

Di particolare importanza appare la circostanza che l'impianto tratteggiato dalla l. n. 228/2012 sia stato messo in discussione dalla Corte Costituzionale, sia pur limitatamente a un aspetto specifico e a una circoscritta categoria di terzi: ci si riferisce alla sentenza indicata in epigrafe, con cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, comma 198, della citata norma nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato.

La Corte ha premesso che, in correlazione a tali previsioni, si prefigura un meccanismo di tutela basato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti e sulla predisposizione di un piano di pagamento dei creditori ammessi, secondo modalità distinte e semplificate rispetto a quelle delineate dalla normativa “a regime” (commi da 199 a 206), ma con una discrepanza di fondo quanto ai destinatari della tutela.

Questi ultimi sono, infatti, identificati nei soli creditori muniti di ipoteca iscritta anteriormente al sequestro di prevenzione, nonché nei creditori che, prima della trascrizione del sequestro, abbiano trascritto un pignoramento sul bene, ovvero che, alla data di entrata in vigore della l. n. 228/2012, siano intervenuti nell'esecuzione iniziata con il predetto pignoramento (art. 1, comma 198).

Solamente costoro sono legittimati a proporre – entro i termini perentori normativamente indicati (centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge o dal successivo momento in cui la confisca è divenuta definitiva: commi 198 e 205) – domanda di ammissione del credito, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, “al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca” (e cioè, secondo la corrente lettura, allo stesso tribunale che ha adottato il provvedimento ablativo).

Tale domanda, in caso di positivo scrutinio – esteso anche alla verifica delle condizioni di cui all'art. 52 del Codice Antimafia e condotto con l'applicazione delle disposizioni sul procedimento di esecuzione (comma 200 dell'art. 1 della l. n. 228/2012) – consente ai creditori ammessi di conseguire il pagamento del loro credito.

Al pagamento, effettuato tramite la liquidazione di beni dal valore di mercato complessivo non inferiore al doppio dell'ammontare dei crediti ammessi (comma 201), si procede sulla base del piano formato dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (piano suscettibile di opposizione da parte dei creditori).

In sostanza, come visto, mentre per i procedimenti di prevenzione iniziati successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica è estesa a tutti i creditori – siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – per i procedimenti pendenti prima dell'approvazione del Codice Antimafia (interessati dalla legge del 2012) la legittimazione è circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione (i secondi e i terzi, peraltro, indipendentemente dal rango del loro credito e, quindi, anche se chirografari).

Restavano esclusi, pertanto, dalla tutela i crediti dei prestatori di lavoro subordinato che non fossero ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione, ma comunque assistiti da privilegio generale sui beni mobili, ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 1), c. c., e con diritto alla collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, ai sensi dell'art. 2776 c.c.

La disciplina così tratteggiata, tuttavia, secondo la Corte si pone in contrasto con l'art. 36 Cost. in quanto risulta idonea a pregiudicare il diritto, riconosciuto al lavoratore dal primo comma della citata norma costituzionale, “a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

Stante il generale divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni confiscati, enunciato dall'art. 1, comma 194, della l. n. 228/2012, la misura patrimoniale rischiava, infatti, di privare ex abrupto il lavoratore della possibilità di agire utilmente in executivis per il pagamento delle proprie spettanze.

Ciò avviene soprattutto allorché la confisca renda i residui beni del debitore insufficienti a soddisfare le sue ragioni, e massimamente nell'ipotesi di confisca “totalizzante” la quale investa, cioè – come molto spesso avviene – l'intero patrimonio del datore di lavoro (si pensi, ad esempio, a una società di capitali nella quale siano stati convogliati i proventi dell'attività illecita).

In simili evenienze il lavoratore perde, in pratica, ogni prospettiva di ottenere il pagamento dei propri crediti tanto dal debitore (che non ha più mezzi), quanto dallo Stato, cui sono devoluti i beni confiscati: sicché la sua tutela resta affidata al solo eventuale intervento sostitutivo del Fondo di garanzia istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, ai sensi dell'art. 2 della l. n. 297/1982 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica).

Il menzionato intervento è subordinato, peraltro, a particolari presupposti e circoscritto, comunque, a una limitata porzione dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato.

La disciplina di cui ai commi 198 e seguenti dell'art. 1 della l. n. 228/2012 assume – conclude la Corte – una chiara valenza ad excludendum rispetto a pagamenti da parte degli organi di gestione dei beni confiscati in favore di creditori diversi da quelli ivi considerati.

Non è, infatti, pensabile che creditori particolarmente qualificati (quali, in specie, gli ipotecari, muniti di diritto reale di garanzia) possano conseguire il pagamento dei loro crediti solo alle rigorose condizioni – anche procedimentali – ed entro i limiti quantitativi stabiliti dalle predette disposizioni, mentre creditori di diverso tipo possano essere liberamente soddisfatti tramite i beni assoggettati al provvedimento ablativo.

La norma censurata non può essere, d'altra parte, giustificata in una prospettiva di bilanciamento con l'interesse sotteso alle misure di prevenzione patrimoniali, ricollegabile ad esigenze di ordine e sicurezza pubblica anch'esse costituzionalmente rilevanti: nella specie, in effetti, non di bilanciamento si tratta, “ma di un sacrificio puro e semplice” dell'interesse contrapposto.

Il bilanciamento è, invece, quello espresso nell'ambito della normativa del Codice Antimafia dalle previsioni limitative recate dall'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, volte a impedire che la tutela si estenda a soggetti lato sensu collegati o conniventi con l'attività illecita del proposto o di reimpiego dei suoi proventi, a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero ancora a casi nei quali è possibile aggredire utilmente il residuo patrimonio del debitore.

Tali previsioni sono, peraltro, valevoli (in virtù dello specifico richiamo operato dall'art. 1, comma 200, primo periodo, della l. n. 228/2012 da ritenere comprensivo del requisito della certa anteriorità del credito rispetto al sequestro) anche nell'ambito della disciplina transitoria relativa ai procedimenti di prevenzione pendenti.

In quest'ottica, la mancata inclusione dei titolari di crediti da lavoro subordinato tra i soggetti abilitati ad avvalersi della procedura in questione si rivela, dunque, secondo la Consulta priva di giustificazione adeguata sul piano costituzionale.

Interessante l'inciso col quale la Corte ha chiarito che il legislatore nel 2011 e nel 2012 ha già provveduto a delineare – tanto sul piano sostanziale che su quello processuale – un meccanismo di salvaguardia dei creditori di fronte ai provvedimenti di confisca; essa non è, pertanto, chiamata a operare alcuna scelta discrezionale tra un ventaglio di possibili soluzioni alternative (operazione che esorbiterebbe dai limiti del proprio potere decisorio) ma soltanto a implementare, nei sensi imposti dall'art. 36 Cost., il catalogo dei creditori che possono valersi di quel meccanismo.

Mentre nel caso ora ricostruito la Consulta ha ritenuto fondata la prospettazione del rimettente, invece con la coeva ordinanza n. 101/2015 ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'“intera disciplina prevista dal I e II capo del titolo IV del I libro” del d.lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della l. n. 136/2010), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, sollevate in riferimento agli artt. 3,24 e 41 della Costituzione.

Il Tribunale di Trapani censurava, in specie, l'art. 52, comma 1, nella parte in cui restringe la tutela dei terzi creditori, nel caso di confisca disposta all'esito di un procedimento di prevenzione, ai soli titolari di diritti di credito risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, “così escludendo i crediti dimostrabili con criteri meno rigidi di quelli previsti dall'art. 2704 [del codice civile], ma comunque idonei a fornire adeguata certezza della sussistenza del credito e della sua anteriorità al sequestro», per contrasto con agli artt. 3,24 e 41 Cost. laddove invece, nel vigore della previgente disciplina dettata dagli artt. 2-ter e seguenti della l. n. 575/1965 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), era ius receptum che la tutela prefigurata da tale legge a favore dei terzi aventi un diritto reale sul bene oggetto di confisca non si estendesse ai titolari di diritti di credito, salvo che si trattasse di creditori ipotecari.

La nuova disciplina imprimerebbe, a giudizio del rimettente, alla procedura una finalità spiccatamente liquidatoria, sostanzialmente incompatibile con la prosecuzione dell'attività imprenditoriale: situazione, questa, ancora più contraddittoria ove si consideri che l'amministrazione dei beni in una prospettiva di continuità del ciclo produttivo assolverebbe «alla funzione – oltre che di garantire la permanenza dei livelli occupazionali – di preservare i beni stessi in vista del loro riutilizzo a fini sociali, riutilizzo cui si annette uno specifico valore simbolico ai fini della disgregazione del consenso di cui godono le organizzazioni criminali; in tal modo essa violerebbe l'art. 41 Cost., provocando l'ingiustificata «dissipazione» di floride attività economiche: risultato che non si aveva, di contro, nel regime precedente, nel quale – come detto – l'azienda confiscata era considerata, nella prassi, come una universalità, comprensiva anche delle componenti negative, costituite dai debiti, che venivano quindi adempiuti dall'autorità giudiziaria «secondo un prudente apprezzamento e sotto le direttive del giudice delegato».

Risulterebbe violato, inoltre, l'art. 3 Cost., giacché, alla luce di quanto dianzi rilevato, l'adozione degli schemi della legge fallimentare per l'accertamento e il successivo adempimento dei debiti dell'impresa confiscata equiparerebbe situazioni del tutto diverse; ancora, l'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011 violerebbe gli artt. 24 e 41 Cost., «venendo ad incidere ingiustificatamente, ingessandola in adempimenti incompatibili con il suo ordinario svolgimento, sulla attività delle imprese; e imponendo per l'accertamento dei diritti di credito percorsi probatori aggravati».

La Corte ha deciso nel senso dell'inammissibilità delle questioni, in primo luogo, a causa della genericità del primo quesito, essendo stato censurato l'intero complesso normativo riguardante la tutela dei terzi nei confronti delle misure di prevenzione patrimoniali (Capi I e II del Titolo IV del Libro I del d.lgs. n. 159/2011, recante il «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della l. n. 136/2010»), senza individuare le singole norme, o parti di esse, la cui presenza nell'ordinamento determinerebbe la lamentata violazione dei parametri costituzionali evocati (artt. 3 e 41 della Costituzione); tuttavia, il corpus normativo censurato comprende disposizioni eterogenee, parte delle quali prive di attinenza con le doglianze formulate, focalizzate sulla denuncia degli effetti negativi conseguenti all'adozione, nella materia considerata, di soluzioni modellate sulle cadenze tipiche della procedura fallimentare.

In secondo luogo, si è osservato che, con la denuncia della violazione degli indicati parametri costituzionali, il rimettente muove, in realtà, critiche di opportunità alle scelte di politica legislativa sottese al nuovo regime introdotto dal d.lgs. n. 159/2011, riguardo ai meccanismi di tutela dei diritti dei terzi: e ciò nella prospettiva di far «rivivere» la situazione anteriore, per communis opinio ampiamente lacunosa sul piano della regolamentazione normativa del profilo che interessa, ma nella quale – ad avviso del giudice a quo – si sarebbe instaurata una «prassi» operativa (concernente, peraltro, la sola confisca di azienda) in assunto maggiormente consentanea alla protezione degli interessi in gioco; si invoca, in questo modo, quindi un intervento “di sistema” esorbitante, per sua natura, dai limiti del giudizio di legittimità costituzionale.

Parimenti manifestamente inammissibile è, infine, la questione sollevata in ordine alla disposizione di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui limita la tutela ai diritti di credito che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro (requisito, questo, finalizzato precipuamente ad evitare che la persona sottoposta al procedimento di prevenzione possa eludere gli effetti della confisca tramite collusioni con creditori di comodo): impossibile sarebbe una «pronuncia additiva» che estenda la protezione ai crediti che possono essere provati con criteri meno rigidi di quelli previsti dall'art. 2704 [del codice civile], ma comunque idonei a fornire adeguata certezza della sussistenza del credito e della sua anteriorità al sequestro, anche perché non è stato chiarito dal giudice a quo quali siano i «criteri» che dovrebbero surrogare quelli previsti dalla richiamata disposizione del codice civile, temperandone il rigore, ma rimanendo comunque idonei ad assicurare un'adeguata certezza in ordine all'esistenza del credito e alla sua anteriorità rispetto alla misura di prevenzione patrimoniale.

La riforma del Codice Antimafia

Nell'ordito così tratteggiato si è innestato il portato della novella del Codice Antimafia approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 27 settembre scorso e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 4 novembre 2017, con entrata in vigore dal 19 novembre.

La legge, indicata con il numero 161 e rubricata “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. n. 159/2011, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”, ha inciso profondamente nel corpus originario del decreto n. 159 apportando significative innovazioni in tema di presupposti soggettivi per l'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, di procedimento di prevenzione (muovendosi qui nel senso di una sempre più penetrante “giurisdizionalizzazione” della procedura) e di gestione dei beni sottoposti a misure ablative, nonché dettando una disciplina decisamente restrittiva in punto di incarichi di amministrazione e rapporti tra giudice delegato e amministratori giudiziari.

Possono salutare con soddisfazione la riforma i terzi titolari di diritti di garanzia o di credito su beni oggetto di confisca allargata, considerato che il novellato comma 4-bis dell'articolo 12-sexies estende testualmente alle ipotesi di sequestro e confisca in esame non soltanto le norme “in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati” (area della quale, come visto innanzi, la giurisprudenza di legittimità si era affannata a tracciare i confini, giungendo a soluzioni contrastanti), ma anche quelle “in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro”, previste dal decreto n. 159.

Ne consegue che d'ora in avanti gli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia, con i delineati meccanismi di accertamento dei crediti e verifica della buona fede del terzo, opereranno anche riguardo ai beni oggetto di confisca allargata.

La disamina del descritto apparato procedimentale va completata considerando che la riforma ha recepito l'orientamento giurisprudenziale maggioritario – propugnato dai giudici di legittimità, ma piuttosto contestato tra quelli di merito – secondo il quale l'autorità giudiziaria competente ad amministrare i beni sequestrati è il giudice che ha disposto il sequestro (quindi, il G.I.P. nella quasi totalità dei casi), ovvero il giudice delegato nominato dal collegio, se appunto trattasi di organo collegiale (Cass. II, n. 29031/2014, Cass. II, n. 51190/2014; in precedenza Cass. n. 4084/2011, nonché Cass. I, n. 9136/2013).

Ne consegue che sarà questa autorità a doversi occupare, in analogia a quanto previsto dagli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia, del complesso accertamento della buona fede del terzo, nonché di verificare i crediti secondo la procedura delineata dagli artt. 57 e ss. (fissazione dell'udienza di verifica, composizione dello stato passivo, liquidazione dei beni e progetto di pagamento dei crediti), a sua volta mutuata quasi pedissequamente dalla normativa fallimentare.

È indiscutibile che ciò costituirà un aggravio considerevole per i giudici per le indagini preliminari, che già sono chiamati a svolgere una fondamentale funzione di controllo nell'ambito delle indagini e di filtro rispetto all'esercizio dell'azione penale e che da oggi saranno deputati anche a svolgere una serie di accertamenti di tipo squisitamente civilistico o fallimentaristico per i quali la categoria appare, almeno prima facie, poco attrezzata.

Peraltro, il successivo comma 4-quinquies introduce un litisconsorzio necessario (“nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo”) affine a quello già esistente dal 2010 nella materia della prevenzione, prima limitato ai soli proprietari e comproprietari dei beni in sequestro, nonché ai terzi che vantassero su di essi diritti reali o personali di godimento (cfr. art. 23, commi 2 e 4 del d.lgs. n. 159/2011) e da oggi esteso anche a coloro che siano titolari di diritti reali di garanzia sui cespiti oggetto di apprensione interinale.

Come visto, si innesta nel giudizio di cognizione – nell'ambito del quale sia stato ordinato un sequestro funzionale alla confisca allargata – la necessità di citare i terzi così individuati (e quella, preliminare, di identificarli con precisione) e di valutare le loro argomentazioni difensive, anche ai fini dell'eventuale revoca della misura.

Mal si comprende, peraltro, la ragione della mancata estensione di tale diritto anche ai terzi titolari di diritti reali di garanzia sui beni sequestrati, operata per il procedimento di prevenzione e non per quello finalizzato alla confisca allargata.

Probabilmente il motivo va individuato nell'esistenza di una disciplina a tutela di costoro applicabile, per il futuro, a tali fattispecie in virtù del richiamo – oggi esteso testualmente – agli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia.

Detta disciplina relativa alla tutela dei diritti di credito dei terzi e dei diritti reali di garanzia sui beni oggetto di confisca di prevenzione prevista dagli artt. 52 e ss. d.lgs. n. 159/2011, si applica, in forza dell'art. 31 l. n. 161/2017, anche alle misure del sequestro e della confisca “estesa” di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv., con modificazioni, dalla l. n. 356/1992, se disposte successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 190, l. n. 228/2012 (così Cass, I, n. 16341/2022).Inoltre, la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo estraneo titolare di un diritto reale di garanzia inciso dalla confisca va accordata non nelle sole ipotesi di riconosciuta applicabilità della specifica disciplina introdotta dal legislatore in sede di confisca di prevenzione (articolo 52 e seguenti del d.lgs. n. 159/2011), bensì a tutte le ipotesi di confisca previste in ambito penale, rispondendo a una esigenza generale di razionalità del sistema e a principi generali riconosciuti anche in ambito comunitario; e ciò anche prima della formale entrata in vigore (1° settembre 2021) dell'art. 373 del d.lgs. n. 14/2019 (codice della crisi d'impresa), che ha espressamente esteso la disciplina prevista in sede di prevenzione a tutte le ipotesi di sequestro e confisca penali; spetta quindi al giudice dell'esecuzione penale, a fronte dell'istanza del terzo che assuma la sua posizione di terzo estraneo incolpevole, apprezzare la ricorrenza o no della condizione soggettiva di buona fede e di affidamento incolpevole del terzo creditore (nel momento genetico e in quello di eventuale cessione della originaria posizione creditoria): condizione che renderebbe sempre “opponibile” il credito a qualsiasi forma di confisca (in tal senso Cass. I, n. 22048/2021).

Di recente, la Suprema Corte ha trattato i caratteri, natura e funzione dell'atto avente data certa exd.lgs. n. 159/2011, art. 52, a mente del quale: “La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro” ove ricorrano determinate condizioni, successivamente elencate.

Il presupposto dell'anteriorità del credito, secondo la Corte, assolve alla specifica funzione di “evitare che gli effetti della misura di prevenzione patrimoniale vengano elusi attraverso la simulazione di crediti incidenti sul valore del bene confiscato” (Corte cost. n. 94/2015; citata in motivazione da Cass. S.U., n. 29847/2018). In tale ottica va interpretata e applicata la previsione dell'art. 2704 c.c. laddove si occupa dei requisiti di certezza della scrittura privata priva di autenticazione, stabilendo che la data “non è certa (....) se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento”. Al riguardo la elaborazione della giurisprudenza civile, maturata sull'omologa procedura fallimentare, è consolidata nel senso che: “L'art. 2704 c.c. non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autentica deve ritenersi certa rispetto ai terzi e lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l'allegazione della parte, a dimostrare la data certa” (cfr. tra le altre Cass. civ. I, n. 23425 /2016; conf. Cass. civ. I, n. 22430/2009; Cass. civ. I, n. 23793/2006). Con la precisazione che il fatto idoneo a dimostrare la data certa non può risolversi in un atto proprio della stessa parte interessata alla prova (Cass. civ. VI, n. 17926/2016).

In sostanza, combinando i principi espressi dall'art. 2704 c.c. con il d.lgs. n. 159/2011, art. 52, risulta che gli indicatori possono essere i più vari e mutare caso per caso; quel che conta è che il credito sia riferibile con certezza a una data anteriore al sequestro, avendo di mira lo scopo che l'art. 52 si prefigge: scongiurare il pericolo di riconoscere l'esistenza di crediti simulati incidenti sul valore del bene confiscato (Cass. V, n. 42235/2021)

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