Richiesta di riabilitazione (art. 70 d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoL'art. 66 d.lgs. n. 159/2011 è dedicato a definire gli effetti che discendono dall'applicazione delle misure di prevenzione, indicati dagli artt. 66, 67, 68 e 69, norme che compongono il primo capo del titolo V. Si tratta di norme che ripropongono la disciplina precedentemente vigente nella l. n. 575/1965, senza modifiche. L'art. 66, dopo aver appunto precisato che all'applicazione della misura di prevenzione personale conseguono gli effetti descritti dagli artt. 67, 68 e 69, aggiunge poi che l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale comporta soltanto gli altri effetti previsti dalla legge, con la conseguente esclusione in caso di applicazione solamente della misura patrimoniale. Ad esempio, in virtù dell'art. 67 d.lgs. n. 159/2011, le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Ai sensi dell'art. 70 del d.lgs. n. 159/2011, dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale, l'interessato può chiedere la riabilitazione. Quando è stata applicata una misura di prevenzione personale nei confronti dei soggetti di cui all'art. 4, comma 1, lettera a) e b), la riabilitazione può essere richiesta dopo cinque anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale. Si mantiene, cioè, il distinguo concettuale tra le due forme di pericolosità. La diversificazione è storica e affonda le sue radici nella dicotomia tradizionale tra la l. n. 575/1965 e la l. n. 1423/1956; si tratta, in definitiva, del modello che aveva caratterizzato l'art. 15 della l. n. 327/1988. Deriva da ciò che il termine di cinque anni, per la riabilitazione, riguarda le persone indicate nell'art. 4, lettere a) e b) d.lgs. n. 159/2011 e, dunque, i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso; ovvero i condannati per taluno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. ovvero del delitto di cui all'art. 12-quinquies, comma 1, d.l. n. 306/1992. Essa è concessa, se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, dalla Corte di appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che dispone l'applicazione della misura di prevenzione o dell'ultima misura di prevenzione. La riabilitazione comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione nonché la cessazione dei divieti previsti dall'art. 67. La norma stabilisce che si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione. Sul tema è, da ultimo, intervenuto in d.l. n. 113/2018, convertito con modifiche nella l. n. 132/2018. La disposizione, che modifica il comma 8 dell'art. 67 del Codice Antimafia, è finalizzata a estendere gli effetti dei divieti e delle decadenze previsti dai commi 1, 2 e 4 del citato art. derivanti dall'applicazione di misure di prevenzione nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, anche per i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico di cui all'art. 640, comma 2, punto 1, c.p., e per quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art. 640-bis c.p. Infatti, al comma 8, dopo le parole “comma 3-bis del codice di procedura penale”, sono state inserite le seguenti “nonché per i reati di cui all'art. 640, comma 2, n. 1), c.p., commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'art. 640-bis c.p.”. A seguito di tale intervento, dunque, si applicheranno ai predetti soggetti le fattispecie ostative che impediscono il rilascio della documentazione antimafia, delle comunicazioni antimafia di cui all'art. 84 e delle verifiche antimafia di cui all'art. 85 del medesimo Codice Antimafia. La novella mira a colmare una lacuna da più parti segnalata, atteso che i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico e di sub-appalto illecito di cui all'art. 21 della l. n. 646/1982, nonostante siano, nella prassi, le attività delittuose poste in essere più frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti, non figuravano, nel quadro normativo previgente, tra le ipotesi rilevanti al fine del diniego del rilascio della documentazione antimafia. FormulaALLA CORTE DI APPELLO DI.... Procedimento di prevenzione n..... a carico di..... Titolo emesso da Tribunale di.... Irrevocabile il.... Il sottoscritto...., nato a.... il.... residente in.... alla via.... n....., C.F..... elettivamente domiciliato in.... alla via.... presso lo studio dell'Avv..... che lo rappresenta e difende ad ogni effetto, giusta procura in calce al presente atto, PREMESSO che in data.... è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di.... per la durata di anni....; che, come da verbale di esecuzione, la misura ha avuto inizio il.... ed è cessata il.... (cfr. all.); che la misura è definitiva dal....; che sono decorsi i termini di legge ai fini della concessione del provvedimento richiesto (nota di compilazione: anni tre o cinque a seconda del tipo di misura applicata); che il sottoscritto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, non avendo riportato condanne, ammonimenti, intimazioni o denunce per fatti penalmente rilevanti o per altri gravi illeciti; che si è dato a stabile lavoro e ha reciso i rapporti con i contesti criminali di riferimento (cfr. all.); che il tutto è documentato dal certificato del casellario giudiziale e da quello dei carichi pendenti allegati (cfr. all.) che sussistono, quindi, i presupposti per la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione nonché la cessazione dei divieti previsti dall'art. 67; CHIEDE ai sensi dell'art. 70 del d.lgs. n. 159/2011 che l'adita Corte conceda l'invocata riabilitazione. Allega i seguenti documenti, a riprova di quanto rappresentato: (es. decreto applicativo della sorveglianza speciale, contratto di lavoro, casellario, etc...... Con osservanza Luogo e data.... Firma.... CommentoGli effetti delle misure di prevenzione L'art. 66 d.lgs. n. 159/2011 è dedicato a definire gli effetti che discendono dall'applicazione delle misure di prevenzione, indicati dagli artt. 66, 67, 68 e 69, norme che compongono il primo capo del titolo V. Si tratta di norme che ripropongono la disciplina precedentemente vigente nella l. n. 575/1965, senza modifiche. La citata disposizione, dopo aver appunto precisato che all'applicazione della misura di prevenzione personale conseguono gli effetti descritti dagli artt. 67, 68 e 69, aggiunge, poi, che l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale comporta soltanto gli altri effetti previsti dalla legge, con la conseguente esclusione in caso di applicazione solamente della misura patrimoniale. L'introduzione, con il d.l. n. 92/2008 (cd. “Primo pacchetto sicurezza”), del principio di separazione tra la misura personale e patrimoniale ha imposto di regolamentare in via normativa la diversificazione degli effetti che conseguono alle misure di prevenzione chiarendo, appunto, che gli effetti di cui all'art. 10 discendono solo dall'applicazione di una misura di prevenzione personale; ciò si spiega sul piano logico con la considerazione che quelle conseguenze costituiscono una sorta di naturale sviluppo dell'accertata pericolosità sociale del proposto. D'altro canto il tema era stato affrontato anche prima dell'emanazione del d.lgs. n. 159/2011, allorquando il legislatore con il d.l. n. 92/2008 aveva modificato la disciplina della riabilitazione; la citata precisazione si era resa necessaria proprio per riaffermare la regola che la riabilitazione nell'ordinamento era prevista per la sola prevenzione personale e non era applicabile in ipotesi di applicazione delle sole misure patrimoniali da cui non possono discendere, a carico del soggetto, conseguenze ulteriori e diverse rispetto alla confisca. L'art. 66 richiama come conseguenza dell'applicazione delle misure di prevenzione anche gli effetti espressamente indicati dalla legge. Si tratta di una serie di conseguenze che non sono state inserite direttamente nella norma in esame e che si rinvengono in distinte disposizioni dell'ordinamento giuridico. A titolo esemplificativo si possono richiamare l'art. 120 del d.lgs. n. 285/1992 che fissa il divieto di conseguire la patente; l'art. 37 del d.m. n. 146/2008 che fissa il divieto di conseguire la patente nautica; il divieto di cui all'art. 144 comma 1 lettera c) c.p.p. relativo al divieto di prestare ufficio di interprete e di perito ex art. 222, comma 1 c.p.p.; l'art. 2, comma 1 lettera b) del d.p.r. n. 223/1967 che fissa il divieto d'elettorato attivo e l'art. 15, comma 1 lettera f) l. n. 55/1990 per il divieto d'elettorato passivo alle consultazioni regionali, provinciali e comunali oltre che circoscrizionali (art. 58, comma 1 lettera e) d.lgs. n. 267/2000). In virtù dell'art. 67 d.lgs. n. 159/2011, le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti. Inoltre, nel corso del procedimento di prevenzione, il tribunale, se sussistono motivi di particolare gravità, può disporre in via provvisoria i divieti di cui ai commi 1 e 2 e sospendere l'efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti ed atti di cui ai medesimi commi; il provvedimento del tribunale può, peraltro, essere in qualunque momento revocato dal giudice procedente e perde efficacia se non è confermato con il decreto che applica la misura di prevenzione. Il tribunale dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni. Per le licenze e le autorizzazioni di polizia, a eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed esplosivi, le decadenze e i divieti previsti dal citato art. possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia. Infine, giova osservare che la sottoposizione a misure di prevenzione personali spiega notevoli effetti in punto di estrinsecazione dei diritti/doveri elettorali. Infatti, dal termine stabilito per la presentazione delle liste e dei candidati e fino alla chiusura delle operazioni di voto, alle persone sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla l. n. 212/1956, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale. L'art. 68 del Codice Antimafia tratteggia, poi, la disciplina dei divieti e delle decadenze nei confronti dei conviventi con il soggetto sottoposto, stabilendo che il tribunale, prima di adottare alcuno dei provvedimenti prima indicati, deve chiamare con decreto motivato a intervenire nel procedimento le parti interessate, le quali possono, anche con l'assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione. Sul tema è, da ultimo, intervenuto in d.l. n. 113/2018, convertito con l. n. 132/2018. La disposizione, che modifica il comma 8 dell'art. 67 del Codice Antimafia, è finalizzata a estendere gli effetti dei divieti e delle decadenze previsti dai commi 1, 2 e 4 del citato art. derivanti dall'applicazione di misure di prevenzione nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, anche per i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico di cui all'art. 640, comma 2, punto 1, c.p., e per quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art. 640-bis c.p. Infatti, al comma 8, dopo le parole “comma 3-bis del codice di procedura penale”, sono state inserite le seguenti “nonché per i reati di cui all'art. 640, comma 2, n. 1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'art. 640-bis del codice penale”. A seguito di tale intervento, dunque, si applicheranno ai predetti soggetti le fattispecie ostative che impediscono il rilascio della documentazione antimafia, delle comunicazioni antimafia di cui all'art. 84 e delle verifiche antimafia di cui all'art. 85 del medesimo Codice Antimafia. La novella mira a colmare una lacuna da più parti segnalata, atteso che i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico e di sub-appalto illecito di cui all'art. 21 della l. n. 646/1982, nonostante siano, nella prassi, le attività delittuose poste in essere più frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti, non figuravano, nel quadro normativo previgente, tra le ipotesi rilevanti al fine del diniego del rilascio della documentazione antimafia. La riabilitazione L'art. 70 d.lgs. n. 159/2011 in esame riprende integralmente il testo dell'art. 15 della l. n. 327/1988, disciplinando l'istituto della riabilitazione dalle misure di prevenzione che, pur presentando analogie con il modello disciplinato nel codice penale (Libro I, Titolo VI (estinzione del reato e della pena), Capo II (estinzione della pena), agli artt. 178-181 c.p.) ne differisce per più aspetti. La riabilitazione dalle misure di prevenzione, invero, fa venir meno tutti gli effetti pregiudizievoli connessi allo status di persona soggetta alla misura di prevenzione, determinando inoltre la cessazione dei divieti originariamente previsti dall'art. 10 della l. n. 575/1965 (art. 14, ultimo comma, l. n. 55/1990) e oggi sintetizzati negli artt. 66 e ss. del d.lgs. n. 159/2011. Tra i tratti differenziali va posto l'accento sulla particolarità che la riabilitazione dalle misure di prevenzione, diversamente da quanto accade nel rito penale, non può essere oggetto di revoca, una volta concessa. Inoltre, essa non è ostativa all'applicazione di un'altra o diversa misura di prevenzione; è ammissibile, cioè, la riapplicazione della misura pur essendo stato il destinatario in precedenza riabilitato. Nei casi di nuova applicazione della misura, dunque, il titolo si porrà in termini di superamento della pregressa valutazione favorevole, eventualmente sottostante alla decisione di concedere il provvedimento di favore, che riabilita il destinatario della misura stessa. La competenza è di tipo funzionale e spetta al giudice del distretto in cui ha sede l'autorità giudiziaria che ha disposto la misura di prevenzione (Cass. I, n. 39916/2007). La dottrina prevalente aveva, sul tema, osservato che la competenza ai fini della riabilitazione dovesse essere attribuita alla Corte d'appello nel cui distretto aveva sede l'autorità giudiziaria che aveva disposto l'applicazione della misura di prevenzione o dell'ultima misura di prevenzione, secondo la previsione originaria di cui all'art. 15, l. n. 327/1988. Di contrario avviso la giurisprudenza, che aveva invece negato la competenza della Corte d'appello, sostenendo che la competenza a decidere in tema di riabilitazione conseguente all'applicazione di una misura di prevenzione spettasse al Tribunale di sorveglianza. Ciò perché l'indicazione quale giudice competente della corte di appello, contenuta nel primo comma dell'art. 15 citato, andava coordinata con l'ultimo comma della stessa norma, per il quale “si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la “riabilitazione”. Quel rinvio avrebbe autorizzato una lettura diversa, esprimendo la volontà del legislatore di uniformare la disciplina processuale della riabilitazione da misura di prevenzione a quella prevista in materia di riabilitazione dal codice di procedura penale vigente, che all'art. 683 indica il tribunale di sorveglianza quale organo competente a decidere in tale materia. L'inciso “in quanto compatibili” non costituiva ostacolo a tale interpretazione, non essendo ravvisabile incompatibilità alcuna tra la disciplina della riabilitazione da misura di prevenzione e quella dettata dal codice di procedura penale del 1988 (Cass. I, n. 1846/1996). La questione è stata, peraltro, alla fine superata in giurisprudenza e si è anche qui affermata la competenza della Corte d'appello (Cass. I, n. 39916/2007). La concessione della riabilitazione presuppone non solo che la misura di prevenzione sia stata applicata con un provvedimento definitivo ossia non più soggetto a impugnazione, ma anche che la misura sia cessata. Oltre ai presupposti strutturali indicati è necessario il decorso di un periodo temporale minimo di osservazione del soggetto; ne deriva che non è possibile chiedere e concedere riabilitazione allorquando la misura di prevenzione sia in corso di esecuzione. L'istanza di riabilitazione dovrà contenere gli elementi dai quali possa desumersi la sussistenza delle condizioni che autorizzano la riabilitazione. Pur non configurandosi, in capo all'interessato, un onere probatorio in senso stretto avente ad oggetto gli elementi fattuali dai quali desumere la sussistenza dei presupposti per la riabilitazione, l'eventuale omissione totale, nella domanda, dell'allegazione di elementi di fatto in ordine alle condizioni previste dalla legge, dovrebbe comportare la declaratoria di inammissibilità della richiesta, ai sensi dell'art. 666, comma 2 c.p.p. (in questo senso Cass. VI, n. 4692/2000). In giurisprudenza (Cass. I, n. 8030/2019) si è sul punto affermato che “la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell'interessato ad un corretto modello di vita”. A norma dell'art. 70, comma 1, la riabilitazione può essere chiesta decorsi tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione; il termine è stabilito in cinque anni, per le persone indiziate di appartenere alla criminalità organizzata. Il dies a quo coincide con la cessazione della misura, per decorso del termine di esecuzione o in conseguenza della revoca anticipata della misura di prevenzione (in quest'ultimo caso, il termine iniziale dovrà decorrere dalla data in cui il provvedimento di revoca della misura di prevenzione diventa definitivo). Secondo una parte della giurisprudenza, ai fini del computo del tempo necessario ex art. 15, l. n. 327/1988, non potrebbe essere computato il periodo trascorso dall'interessato in vinculis. Far decorrere il termine suddetto dalla data di cessazione della misura di prevenzione, anche allorquando il soggetto sia sottoposto a pena detentiva, sarebbe contrario alla logica del sistema; infatti, ritiene il supremo collegio che il periodo durante il quale il condannato, per poter accedere alla riabilitazione, deve aver dato “prove effettive e costanti di buona condotta”, verrebbe a coincidere, in tutto o in parte, con quello in cui egli è stato sottoposto al regime carcerario. Il principio è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte (Cass. II, n. 6744/2020), affermando che, ai fini della concessione della riabilitazione speciale ex art. 70, d.lgs. n. 159/2011, “il periodo di tempo trascorso in esecuzione di pena detentiva o di misura alternativa non rileva ai fini del cosiddetto periodo legale di prova, in quanto il ravvedimento da porre a base del beneficio deve essere processualmente certo e storicamente costante e, pertanto, non postula soltanto la mancata commissione di reati, ma presuppone necessariamente, oltre alla doverosa astensione da condotte oggettivamente sintomatiche di pericolosità, l'esistenza di prove effettive e costanti di buona condotta una volta che il soggetto sia restituito alla piena libertà”. Come accennato, a mente dell'art. 70 d.lgs. n. 159/2011 la concessione della riabilitazione postula la sussistenza di due requisiti: il primo di carattere temporale: decorso di tre anni nei casi di “pericolosità generica” o di cinque anni nel caso di “pericolosità qualificata” dalla cessazione della misura di prevenzione; il secondo di natura sostanziale: il soggetto deve aver dato prova costante ed effettiva di buona condotta durante l'intero periodo sopra indicato. L'onere probatorio grava sull'istante. Lo scarno enunciato normativo è stato interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che è richiesta una valutazione della personalità dell'istante sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell'interessato ad un corretto modello di vita (Cass. VI, n. 5164/2014). Deve inoltre ritenersi che la formula della “buona condotta” vada posta in relazione diretta con le caratteristiche assunte in concreto dalla “pericolosità sociale” che aveva giustificato l'applicazione della misura di prevenzione, nel senso che la buona condotta sottende, prima di tutto, l'eliminazione effettiva di quei fattori da cui aveva origine la pericolosità del soggetto. Pertanto la prova che l'istante deve fornire assume contenuti e gradazioni differenti in rapporto alla natura della precedente pericolosità, dovendosi distinguere la ex pericolosità “generica” da quella “qualificata” e, all'interno di quest'ultima, il diverso livello in cui il soggetto si collocava nella struttura organizzativa criminale. La giurisprudenza di legittimità ha già precisato, nel vigore dell'art. 15 della l. n. 327/1988, che il periodo trascorso in stato detentivo in esecuzione di pena inflitta per un grave reato, rivelatore di evidente pericolosità sociale, non può essere valutato ai fini del decorso del cosiddetto periodo legale di prova. A tal fine, appare utile, stante la eadem ratio, il richiamo al prevalente orientamento di questa Corte, secondo il quale il tempo trascorso in vinculis per sopravvenuto titolo detentivo non può mai computarsi ai fini della durata della sorveglianza speciale, e la decorrenza di essa resta sospesa durante la misura cautelare; lo stesso principio va applicato in tema di riabilitazione, sicché a tal fine non può essere preso in considerazione il periodo di esecuzione della pena. Per altro, far decorrere il termine suddetto dalla data di cessazione della misura di prevenzione, anche quando il soggetto venga immediatamente dopo sottoposto a pena detentiva, sarebbe contrario alla logica del sistema, giacché, così opinando, il periodo durante il quale il condannato, per poter accedere alla riabilitazione, deve aver dato “prove effettive e costanti di buona condotta” verrebbe a coincidere, in tutto o in parte, come nel caso in esame, con quello in cui egli è stato sottoposto al regime carcerario o a misura alternativa; il che, ovviamente, atteso il pesante condizionamento conseguente a tale regime e le ovvie limitazioni della libertà personale che ne derivano, non può che sminuire, se non porre nel nulla, il valore sintomatico della “buona condotta” eventualmente osservata dal condannato nel corso del periodo di detenzione. Appare poi evidente che il semplice trascorrere del tempo non comporta, di per sé, la concessione del beneficio, in quanto il ravvedimento da porre a base della riabilitazione deve essere processualmente certo e storicamente costante, e non postula soltanto la non commissione di reati, ma presuppone necessariamente, oltre alla doverosa astensione da comportamenti moralmente riprovevoli e da condotte oggettivamente sintomatiche di pericolosità, la esistenza di prove effettive e costanti di buona condotta, una volta che il soggetto sia restituito alla piena libertà. Altrove si è affermato che il semplice trascorrere del tempo non comporterebbe, di per sé, la concessione del beneficio, in quanto il ravvedimento da porre a base della riabilitazione deve essere processualmente certo e storicamente costante e non postula soltanto la non commissione di reati, ma presuppone necessariamente: doverosa astensione da comportamenti moralmente riprovevoli e da condotte oggettivamente sintomatiche di pericolosità ed esistenza di prove effettive e costanti di buona condotta (Cass. I, n. 5950/2001). Il requisito della “buona condotta”, già richiesto dalla l. n. 327/1988, art. 15, ai fini della riabilitazione, non consiste soltanto nella mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato, ma richiede l'instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto (senza la previsione di alcun genere di sanzione giuridica) da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale (Cass. I, n. 196/2002). Tornando sul tema, la Corte ha affermato che la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell'interessato a un corretto modello di vita (Cass. VI, n. 5164/2014). In riferimento a soggetti appartenenti alle cd. “mafie storiche” la Suprema Corte ha chiarito alcuni importanti principi: per un verso (Cass. VI, n. 3494/2020)il soggetto di cui sia stata ritenuta la pericolosità qualificata, in quanto appartenente ad una “mafia storica”, può ottenere la riabilitazione solo qualora, oltre alla prova positiva dell'avvenuta rescissione del vincolo associativo, non emergano ulteriori condizioni ostative alla prova di effettiva e costante buona condotta, quali il mancato versamento da parte del soggetto della cauzione, lo stato di perdurante inoccupazione, la mancata denuncia di redditi leciti ed i rapporti con imprese dedite ad attività criminose; per altro verso (Cass. V, n. 5530/2019) l'accertamento della buona condotta, necessario per la concessione della riabilitazione, deve essere correlato alle concrete caratteristiche della pericolosità sociale che aveva giustificato la misura e, pertanto, nel caso di soggetto sottoposto a misura di prevenzione in ragione della sua “pericolosità qualificata” derivante dall'appartenenza ad una “mafia storica”, richiede la prova positiva dell'avvenuta rescissione del vincolo con l'associazione criminale. Altrove si è osservato che per l'accoglimento della relativa domanda non è richiesta necessariamente l'esistenza di fatti positivi che dimostrino la redenzione ed il riscatto del soggetto dal passato, ma è sufficiente un comportamento che denoti il suo ravvedimento e l'adozione di un sistema di vita improntata al rispetto della legge e delle regole comuni di convivenza (Cass. VI, n. 29077/2001) che faceva però riferimento al caso particolare del soggetto divenuto collaboratore di giustizia, ove la Corte aveva ritenuto sufficiente di per sé sola, la scelta di collaborazione con la giustizia, effettiva ed incompatibile con la persistenza di legami con l'ambiente criminale in cui erano maturati i precedenti comportamenti antigiuridici e non contraddetta da comportamenti contrastanti con l'impegno collaborativo o dalla commissione di reati in epoca successiva. Il procedimento di riabilitazione segue la disciplina generale dell'art. 666 c.p.p. e, dunque, degli incidenti di esecuzione. Secondo la disciplina di cui all'art. 678 c.p.p., andrà fissata l'udienza camerale, con avviso alle parti e partecipazione necessaria di P.M. e difensore. Egualmente sarebbe possibile l'audizione del soggetto che ne facesse richiesta. Deve, di converso, escludersi l'adozione di provvedimenti de plano che risulterebbero affetti da nullità assoluta. Il provvedimento conclusivo è un'ordinanza, giacché con quel tipo di provvedimento si chiude l'incidente di esecuzione. L'ordinanza è ricorribile per cassazione, dal P.M. dal difensore e dall'interessato. Qualche tempo fa la Suprema Corte (I, ordinanza n. 700/2019) ha stabilito che il provvedimento con cui la corte di appello decide sull'istanza di riabilitazione all'esito di misura di prevenzione personale ex art. 70 del d.lgs. n. 159/2011, è impugnabile mediante opposizione innanzi alla medesima corte; in applicazione del principio, la Corte ha riqualificato il ricorso presentato avverso detto provvedimento come opposizione ritrasmettendo conseguentemente gli atti al giudice “a quo”. In motivazione si legge che il ricordato art. 70, dopo aver fissato i presupposti a cui è condizionata la riabilitazione all'esito della cessazione della misura di prevenzione, stabilisce al comma 3 che si osservano, in quanto compatibili le disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione. Il richiamo va riferito – essendo da svolgersi positivamente la valutazione di compatibilità, in carenza dell'emersione di controindicazione alcuna – anche all'applicazione al procedimento in esame della disposizione di cui all'art. 678, comma 1-bis, c.p.p. (comma introdotto dal d.l. n. 146/2013, conv., con modificazioni, dalla l. n. 10/2014), secondo cui il giudice competente (in quel caso, il tribunale di sorveglianza, in questo caso la corte di appello), nella materia relativa all'istanza di riabilitazione, procede a norma dell'art. 667, comma 4, c.p.p.; il riferimento è al rito nel quale i relativi provvedimenti vanno adottati dal giudice dell'esecuzione de plano, senza formalità e senza che venga fissata l'udienza di comparizione delle parti per l'espletamento del contraddittorio (v. con riguardo alla riabilitazione di cui agli artt. 178 e ss. c.p., Cass. I, n. 13342/2015, e, con specifico riguardo alla riabilitazione di prevenzione di cui all'art. 70 d.lgs. n. 159/2011, Cass. I, ord., n. 13126/2016, dep. 2017). In questo ambito – quando il giudice dell'esecuzione abbia reso il provvedimento de plano, ma anche lì dove abbia irritualmente anticipato il contraddittorio a tale prima fase (v., fra le altre, Cass. III, n. 49317/2015) – gli interessati possono proporre solo opposizione innanzi allo stesso giudice dell'esecuzione, che dovrà però trattare le relative questioni in procedimento partecipato, regolato dalle forme dell'incidente di esecuzione, di cui all'art. 666 c.p.p., previa convocazione delle parti e dei difensori per un'udienza camerale. Nel caso in esame, dopo che è stata formulata l'istanza di riabilitazione, la Corte di appello ha emesso il provvedimento di diniego, poi impugnato dal difensore in cassazione, senza che si sia svolta la fase dell'opposizione con ciò privando le parti della fase della rivalutazione del provvedimento da parte del giudice dell'originario provvedimento che, a differenza del giudice di legittimità, ha cognizione piena della doglianza; pertanto, il ricorso non va dichiarato inammissibile, ma va qualificato come opposizione, per il principio di conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis, in applicazione dell'art. 568, comma 5, c.p.p., dovendo ritenersi consentita la qualificazione dell'atto di impugnazione per la piena osservanza dell'indicato principio generale, di cui la norma pure citata costituisce espressione (Cass. I, n. 33007/2013), non apparendo consentaneo al principio stesso far discendere la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione dalla constatazione dell'erronea qualificazione della medesima. Si segnala un recente arresto della Corte costituzionale nella materia della rilevanza penale delle condotte del soggetto sottoposto a misure di prevenzione: con la sentenza n. 116 del 2 luglio 2024 il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 73 del Codice Antimafia per contrasto con gli articoli 3 e 25 della carta costituzionale “nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni del codice della strada”. La Corte ha ritenuto fondata la questione dedotta dal Tribunale di Nuoro con riferimento all'art. 25 citato, affermando che la disposizione censurata - incriminando colui che, sottoposto a misura di prevenzione definitiva, guidi senza patente anche nei casi in cui la revoca o la sospensione conseguano non già all'applicazione della misura di prevenzione, ma alla precedente violazione del codice della strada - non è compatibile con il principio di offensività dopo che, in generale, il reato di guida senza patente o con patente sospesa o revocata è stato depenalizzato e trasformato in illecito amministrativo. La previsione di una fattispecie penale, si sottolinea, che abbia come presupposto una qualità della persona che non si riflette su una maggiore pericolosità o dannosità della condotta, dà luogo ad una inammissibile responsabilità penale cd. di autore; nemmeno si rinviene alcuna giustificazione, sotto il profilo del principio di eguaglianza, che possa ascriversi a un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello stabilito oggi per tutti gli altri soggetti, per i quali la condotta integra solo un illecito amministrativo, salvo il caso della recidiva nel biennio. Ne consegue che si riespande la fattispecie prevista dal codice della strada, all'art. 116 comma 5, con l'applicazione della sola sanzione ammnistrativa; ne consegue, altresì, la possibilità di ottenere la revoca di eventuali sentenze di condanna irrevocabili per il delitto di cui all'art. 73 citato. |