Verbale di conferimento dell'incarico per accertamenti tecnici ripetibili (art. 359)InquadramentoNel corso delle indagini preliminari, può presentarsi l'esigenza di svolgere accertamenti che richiedano specifiche conoscenze scientifiche, tecniche o artistiche. Gli inquirenti, qualora non optino per richiedere al giudice per le indagini preliminari una perizia mediante incidente probatorio, possono espletare queste peculiari investigazioni anche nominando un ausiliario competente (il consulente tecnico del pubblico ministero). Quando l'accertamento possa essere ripetuto nelle medesime condizioni, non si presenta la necessità di procedere in contraddittorio. FormulaN..... /.... R.G.N.R. PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI.... NOMINA E CONFERIMENTO DI INCARICO PER ACCERTAMENTO TECNICO (ART. 359 C.P.P.) In data...., alle ore...., nei locali di...., davanti al pubblico ministero, dott....., assistito per la redazione del presente verbale da...., cancelliere, (OVVERO) davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G....., delegato al presente atto dal sostituto procuratore della Repubblica, dott....., con il provvedimento in data...., allegato al presente verbale e da ritenersene parte integrante [1], nel procedimento penale di cui in epigrafe, nei confronti di: 1....., nato il.... a....; 2....., nato il.... a....; per i reati previsti e puniti dagli artt..... [2] ; è comparso.... [3], che viene nominato consulente tecnico (ovvero nominato consulente tecnico con il citato provvedimento del pubblico ministero in data....) e, richiesto delle generalità, risponde: “sono...., nato il.... a...., in servizio presso.... [4] ”. Resone edotto, dichiara di non versare in situazioni di incompatibilità per l'accettazione dell'incarico. IL PUBBLICO MINISTERO (OVVERO L'UFFICIALE DI PG DELEGATO [5] ) Accertata la insussistenza delle condizioni ostative di cui all'art. 222 c.p.p.; Ritenuto che appare necessario disporre consulenza tecnica al fine di determinare le circostanze di cui al quesito sottoindicato; che trattasi, salva tempestiva indicazione contraria da parte del consulente tecnico nominato, di accertamenti su cose non soggette a modificazione, né peraltro la verifica demandata al medesimo consulente è per sua natura da considerarsi atto irripetibile; Nomina consulente tecnico...., al fine di rispondere al seguente quesito: “.... [6] ” Conferisce al consulente tecnico nominato l'incarico di rispondere per iscritto a tale quesito [7]. Il consulente accetta l'incarico e, vista la complessità e la natura del quesito, chiede per l'espletamento il termine di.... giorni. IL PUBBLICO MINISTERO (OVVERO L'UFFICIALE DI PG DELEGATO) Autorizza il consulente nominato a servirsi di strumentazioni tecniche di supporto, anche di soggetti diversi, nonché a farsi coadiuvare da tecnici specialisti, se del caso e purché sotto il suo diretto controllo, fermo restando che le relative spese dovranno essere specificamente documentate. Autorizza inoltre il consulente tecnico a servirsi del proprio automezzo, previa specifica documentazione al riguardo e con esonero di responsabilità per la Amministrazione, e concede per la risposta ai quesiti con nota scritta il termine di.... giorni. Il consulente tecnico.... Luogo e data.... Il sostituto Procuratore della Repubblica (ovvero l'Ufficiale di PG delegato) Firma.... [1]È generalmente ammessa la possibilità di delegare il conferimento dell'incarico. [2]È sufficiente, in questa sede priva di contraddittorio, un generico richiamo ai titoli di reato per cui si procede. [3]Indicare il nominativo del consulente anteponendo l'eventuale titolo accademico o di altro tipo (“dott.”, “prof.”, “col.”, etc.). [4]Indicare, se del caso, l'università, l'istituto, l'ospedale, l'articolazione di polizia giudiziaria, etc. dove presta servizio il consulente. [5]Limitatamente al solo conferimento dell'incarico. [6]Nel caso di delega alla polizia giudiziaria, il quesito sarà già ricompreso nell'originario provvedimento di nomina. [7]La possibilità di rispondere in via orale, ovvero immediatamente e senza concessione di un termine (anche per iscritto), è di fatto limitata ad attività di interpretariato o a quesiti di estrema semplicità (ad esempio, verifica della contraffazione del marchio apposto su capi di abbigliamento). CommentoL'evoluzione tecnologica e il processo penale Non c'è quasi bisogno di evidenziare al lettore la sempre crescente complessità tecnologica della società contemporanea. Anche a prescindere dalla rivoluzione digitale, porzione significativa delle nuove tecnologie, resta impressionante il salto in avanti a cui hanno dato luogo le interazioni tra i progressi del sapere nei campi delle neuroscienze, della genetica, della biomedicina, della epidemiologia, della fisica delle particelle, della geologia e le conseguenti applicazioni concrete in qualche modo disponibili anche al di fuori della ristretta cerchia dei grandi laboratori (nanotecnologie, biotecnologie, telecomunicazioni, e così via). In primo luogo, dunque, l'evoluzione tecnologica incide direttamente sulla sfera penalistica perché include nei suoi oggetti realtà prima inesistenti e neppure sognate. Un esempio tra i mille possibili: l'accertamento di un nesso causale tra l'insorgere di patologie oncologiche e l'inquinamento elettromagnetico, derivante da dispositivi e infrastrutture diffusi solo in tempi recenti. D'altronde, questi mutamenti, quotidiani e purtuttavia epocali, che la scienza e la tecnica hanno apportato alla nostra vita, mostrano anche un coté strettamente processuale. I nuovi orizzonti scientifici e le nuove metodiche applicate a conoscenze già solidamente acquisite permettono di arrivare a conclusioni ragionevolmente certe e apparentemente impensabili nell'ottica delle investigazioni classiche: l'estrazione di un profilo genetico da un campione biologico di particolare pregnanza probatoria acquisito dagli inquirenti (ad esempio, frammenti epiteliali rinvenuti sotto le unghie della vittima, in uno scenario che tratteggia una lunga colluttazione poi sfociata in omicidio), all'esito della comparazione con quelli di soggetti sospettati ma non attinti da specifici indizi di colpevolezza, potrebbe essere di per sé stessa, in ipotesi, prova sufficiente della commissione del delitto. Proprio le potenzialità immense di questi apporti scientifici hanno creato però un terreno fertile per un equivoco increscioso ma diffuso, che demanda la soluzione di molte questioni processuali al puro e semplice intervento degli specialisti “con le tute bianche”. Come in una serie televisiva, in questo immaginario collettivo avulso dalla realtà procedimentale, gli accertamenti scientifici dovrebbero essere da soli sufficienti “a chiudere il caso”. Questa deriva paradossale tocca solo marginalmente gli operatori pratici del processo penale, pur non del tutto immuni a queste facili sirene, ma ha lasciato comunque un suo segno profondo. Alle tradizionali prove scientifiche (di tipo soprattutto dattiloscopico o grafologico) si sono affiancati elaboratissimi accertamenti genetici, medici, informatici, fonici, etc. Mentre la tradizionale esperienza processualistica vedeva nelle fonti orali il cardine di ogni istruttoria dibattimentale, è ormai saldamente diffusa la convinzione che la prova scientifica (e, a monte, le indagini scientifiche) possano, se non proprio reggere da sole il peso dell'intero onere probatorio, quanto meno soddisfarne la parte maggiore e più importante. Quanto questa convinzione, se non contemperata da adeguati pesi e contrappesi di natura epistemologica, processuale e persino di comune buon senso, sia foriera di tattiche e comportamenti procedimentali erronei e perniciosi è sotto gli occhi di ogni osservatore appena avvertito. Per spegnere una buona parte di questi facili entusiasmi, sarebbe sufficiente riflettere sulle difficoltà di conciliare paradigmi conoscitivi così diversi: la scienza, popperianamente intesa, rimane “ontologicamente fallibile” e quindi, nonostante l'apprezzabile progresso nelle tecniche di analisi e nella controllabilità galileiana dei risultati, questa malferma attendibilità non sempre risolve lo stato di incertezza probatoria con quel grado di certezza richiesto dal criterio del “ragionevole dubbio” (cfr. anche Spangher, Ragionamenti sul processo penale, Milano, 2018, 105 ss. e Rivello, La prova scientifica, Milano, 2014). La prova scientifica La prima implicazione, di ordine pratico-processuale, della tendenziale aspettativa di risolutività degli accertamenti tecnico-specialistici, ai quali è (o perlomeno sembra) devoluta la gran parte delle questioni rilevanti, è una sorta di de profundis che accompagna l'antico principio del giudice peritus peritorum: di fronte alla sottilissima necessità di specializzazione di molte delle materie che si affacciano prepotentemente alla ribalta penale, il magistrato giudicante oscilla tra l'accettazione supina delle conclusioni degli esperti e una incauta “accettazione del contraddittorio” su materie extragiuridiche di enorme complessità, inserendosi con il solo ausilio del buon senso in un dialogo tra chierici che presuppone tutt'altro bagaglio professionale. Il vecchio modello culturale è decisamente anacronistico, nella misura in cui pretende di assegnare al giudice una reale capacità di governare il flusso di conoscenze scientifiche che le parti riversano nel processo. Questo stato di legittima ignoranza del giudice, e dunque della sua incapacità di governare “autonomamente” la prova scientifica, non può però risolversi nell'acritico affidamento, mediante fideistica accettazione, nel contributo peritale, cui delegare la soluzione del giudizio e la responsabilità della decisione. D'altronde, in presenza di un apporto tecnico-scientifico proveniente da una sola delle parti processuali ovvero disposto d'ufficio, è possibile riportarsi direttamente all'elaborato, ma di fronte a contrapposti contributi scientifici, la questione si complica (e non solo per il giudicante, ma prima di lui per le altre parti processuali, ciascuna nella rispettiva ottica). La giurisprudenza di legittimità rifugge dall'astratta rivendicazione di un primato della scienza sul diritto o viceversa, predicando invece che la soluzione non possa che trovarsi nelle regole generali che informano il nostro sistema processuale in tema di acquisizione e formazione della prova e dei criteri che presiedono alla sua valutazione. Alla prova scientifica non può riconoscersi un credito incondizionato di affidabilità autoreferenziale, per il fatto stesso che il processo penale ripudia ogni idea di prova legale. D'altro canto, è noto che non esiste una sola scienza, portatrice di verità assolute e immutabili nel tempo, ma molte scienze o pseudoscienze, tra quelle ufficiali e quelle non validate dalla comunità scientifica, in quanto espressione di metodiche di ricerca non universalmente riconosciute. Le coordinate di riferimento dovranno allora essere quelle del principio del contraddittorio e del controllo del giudice sul processo di formazione della prova. Il risultato di una prova scientifica può essere dunque ritenuto attendibile solo quando sia controllato dal giudice, quantomeno con riferimento – all'attendibilità soggettiva di chi lo sostenga, – alla scientificità del metodo adoperato, – al margine di errore più o meno accettabile, – all'obiettiva valenza e attendibilità del risultato conseguito. Questo metodo di approccio critico in realtà non è dissimile concettualmente da quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie, esaltando quanto più possibile il grado di affidabilità della “verità processuale” e riducendo a margini ragionevoli l'ineludibile scarto con la “verità sostanziale” (Cass. V, n. 36080/2015). D'altra parte, è oramai un dato acquisito nel comune patrimonio professionale della dottrina e degli operatori come il processo penale, “passaggio cruciale ed obbligato della conoscenza giudiziale del fatto di reato”, sia sorretto da ragionamenti probatori di tipo prevalentemente inferenziale-induttivo: essi partono dal fatto storico nel suo concreto verificarsi (e dalla formulazione della ipotesi ricostruttiva più probabile, secondo lo schema argomentativo della “abduzione”), per giungere a conclusioni che si fondano su dati informativi e giustificativi della conclusione non contenuti per intero nelle premesse, dipendendo (a differenza del metodo “deduttivo”) da ulteriori elementi conoscitivi. Nel valutare i risultati di una perizia o di una consulenza tecnica, il giudice ha l'onere di verificare soltanto la validità scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati, quale imprescindibile premessa per raggiungere esiti attendibili. Quando le metodiche in questione presentino carattere di novità e perdurante sperimentalità (e non siano state perciò sottoposte al vaglio di una pluralità di casi e al confronto critico tra gli esperti del settore, così da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica) la valutazione dovrà essere particolarmente stringente (Cass. II, n. 40611/2012, in merito a una metodologia automatica di identificazione vocale denominata speaker recognition system). Se questo scrutinio si conclude positivamente, gli esiti non potranno essere disattesi sulla base della generica contestazione di una parte, non supportata da argomenti o elaborati scientifici, in merito all'esistenza di una diversa metodologia che avrebbe permesso di conseguire risultati diversi (Cass. III, n. 44627/2015, relativa alla metodica step wise interview, utilizzata dal perito per valutare la capacità a testimoniare di un minore). Al contrario, gli accertamenti tecnico-scientifici espletati in difformità dalle regole procedurali prescritte da protocolli, linee guida e regole dell'arte generalmente riconosciute non avranno il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza probatoria, costituendo un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori. La Corte di Cassazione ha tuttavia precisato che la violazione o l'errata applicazione di protocolli di indagine in materia di repertazione e analisi degli elementi di prova, che contengono regole condivise di carattere tecnico-scientifico, “non costituisce motivo di nullità o inutilizzabilità della prova acquisita, potendo, al più, incidere sull'attendibilità degli esiti della stessa” (Cass. V, n. 8893/21). In altri casi, invece, agli esiti delle attività di investigazione scientifica, ritualmente portati avanti ma che non abbiano dato comunque risultati assolutamente certi, potrà comunque essere attribuita la natura di indizi (Cass. II, n. 8434/2013). Le indagini scientifiche Sulla scorta di queste premesse, può intuirsi come dovranno collocarsi le indagini scientifiche nel complessivo contesto delle investigazioni portate avanti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria: strumento imprescindibile in moltissimi casi e talora persino risolutivo, ma connotato da un'estrema delicatezza, per la facilità di dispersione di fondamentali elementi di prova in caso di scelte errate da un punto di vista tecnico-scientifico o schiettamente processuale. Le scienze forensi, in altre parole, rappresentano un irrinunciabile supporto delle investigazioni di tipo tradizionale, che non può però mai essere slegato dal contesto procedimentale in cui si colloca e dai verosimili sviluppi processuali. Sarà quindi onere del pubblico ministero curare che ogni necessaria analisi tecnico-scientifica sia comunque condotta nel rispetto delle più adeguate forme procedimentali e delle garanzie nei confronti dell'indagato (e delle controparti), anche esercitando un opportuno controllo su quanto espletato dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa o comunque in assenza di specifiche deleghe. Il prezzo per una direzione delle indagini connotata sul punto da superficialità e leggerezza (anche senza il retropensiero malizioso di conculcare i diritti di difesa, per un frainteso senso di speditezza procedimentale) potrebbe essere non solo la verosimile demolizione del castello accusatorio nella fase processuale, ma anche la possibile perdita degli elementi di prova in grado di condurre con ragionevole certezza all'accertamento della verità. La possibilità di esperire accertamenti di natura tecnico-scientifica nel corso delle indagini preliminari non costituisce prerogativa del pubblico ministero. La polizia giudiziaria ha il dovere di compiere, anche di propria iniziativa, tutti gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (art. 55, comma 1, c.p.p.) e, anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere questa funzione, raccogliendo ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole (art. 348, comma 1 c.p.p.). Quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, deve compiere “atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche”, può avvalersi dell'ausilio di competenti soggetti. La stessa chiara lettera del codice sgombra dunque il campo da ogni equivoco, riconoscendo la piena facoltà della polizia giudiziaria di procedere ad “operazioni tecniche”, anche in difetto di direttive o formali deleghe del pubblico ministero, in forza del principio di atipicità dei propri atti di indagine. La portata della norma è assai ampia e non si rilevano valide ragioni per restringerla ai soli accertamenti e rilievi di cui all'art. 354, comma 2 c.p.p. Sarebbe peraltro scorretto e fuorviante distinguere tra la natura meramente “tecnica” di queste operazioni rispetto al carattere “scientifico” che andrebbe riconosciuto alle investigazioni espletate dal pubblico ministero, per il tramite di propri consulenti. E ciò non solo per l'assoluta parificazione lessicale del codice (che usa anche per gli accertamenti del magistrato la medesima espressione, riservata peraltro anche ai suoi consulenti), ma soprattutto per la sovrapponibilità concettuale delle due attività. Entrambe infatti prevedono la necessità di ricorrere a conoscenze professionali metagiuridiche, laddove la linea di confine tra scienza pura e scienza applicata è oramai quasi evanescente, in considerazione delle conoscenze astratte necessarie per operazioni pratico-esecutive e della tecnologia indispensabile anche per le ricostruzioni più teoriche. Gli operanti, qualora le circostanze lo rendessero necessario (e apparisse difficile ottenere una tempestiva presa di posizione del pubblico ministero), potranno dunque ritualmente espletare attività non solo di mero repertamento o comunque di tipo esclusivamente materiale, ma anche di natura valutativa e concettuale (Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993). Contingenze di ordine schiettamente pratico, unitamente a questioni di etichetta, rendono nondimeno raro che il luminare cattedratico presti la propria opera al di fuori delle attività espletate o comunque gestite dal magistrato. La natura delle investigazioni tecnico-scientifiche portate avanti dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e comunque autonomamente impone nondimeno di assimilarle agli accertamenti tecnici del pubblico ministero, quale atto funzionalmente omologo a questi ultimi. Peraltro, la stessa polizia giudiziaria può nominare senza formalità propri ausiliari (figure distinte dal consulente tecnico del pubblico ministero), ritualmente poi riferendo in dibattimento anche sull'attività svolta da costoro, a meno che non vengano successivamente nominati consulenti tecnici dalla procura (Cass. III, n. 38642/2017). Il punto nodale sarà allora costituito dalla ripetibilità o irripetibilità della specifica attività di indagine, dato che le attività previste dall'art. 348 c.p.p. non richiedono il preventivo avviso al difensore (Cass. VI, n. 50033/2015): mentre può ammettersi, sia pure in casi particolarissimi, l'espletamento di operazioni tecniche sostanzialmente analoghe agli accertamenti tecnici ripetibili ex art. 359 c.p.p., deve invece recisamente escludersi ogni possibilità che, nell'ambito di indagini segrete e comunque in assenza di qualsiasi pur limitato contraddittorio, gli operanti possano “consumare” integralmente un elemento di prova, senza che poi il sistema processuale fornisca loro un lecito strumento per veicolare al giudice del merito gli esiti di questa attività. Gli atti irripetibili sono infatti un numerus clausus. Nella pratica, le operazioni tecniche (di natura non valutativa) espletate più comunemente in autonomia dalla polizia giudiziaria sono: – le analisi chimico-tossicologiche su sostanze ritenute stupefacenti di carattere meramente qualitativo (esami colorimetrici, cosiddetti narcotest o droptest, che permettono di accertare la natura della sostanza tramite reagenti, ma nulla dicono in merito alla percentuale di principio attivo e di sostanze da taglio. Cfr. Cass. VI, n. 6069/2016); – le prove alcolemiche per la verifica dell'eventuale stato di ebbrezza alla guida; – la localizzazione e il controllo dei movimenti di un soggetto attraverso sistemi di rilevamento satellitare; – la rilevazione di dati dalla memoria di un cellulare o di un altro dispositivo elettronico, mediante diretto esame dell'apparecchio. Le annotazioni e le relazioni di servizio della polizia giudiziaria che attestano quanto compiuto nel corso delle operazioni tecniche non possono essere acquisite al fascicolo per il dibattimento senza il consenso, sia pure tacito, delle parti (Cass. IV, n. 23305/2015). Per finalità completamente diverse (investigazione e prevenzione, mediante raccolta ed elaborazione dei dati rinvenibili “su strada”), l'art. 77 disp. att. c.p.p. prevede che il dirigente del servizio di polizia giudiziaria, dopo l'espletamento della perizia, possa essere autorizzato dal giudice a prelevare armi, munizioni ed esplosivi in sequestro o comunque acquisiti dagli operanti, sempre che questa attività non ne comporti la modifica o l'alterazione. Analoga autorizzazione può essere concessa anche dopo che è stata disposta la confisca e la distruzione ovvero dopo la chiusura del giudizio di primo grado, quando non è stata espletata perizia. Dopo l'archiviazione contro ignoti ovvero dopo il passaggio in giudicato della sentenza, divengono leciti anche accertamenti tecnici tali da incidere sulla consistenza di quanto esaminato. In ogni stato e grado del processo, per i medesimi fini, possono essere prelevati campioni di sostanze stupefacenti sequestrate, se il quantitativo lo consente. Accertamenti tecnici e consulenza tecnica Lo strumento previsto dal codice per analoghe attività di indagine poste in essere direttamente dal pubblico ministero, di persona o mediante delega alla polizia giudiziaria, è costituito in primo luogo dagli accertamenti tecnici, suscettibili di essere espletati direttamente da personale specializzato della polizia giudiziaria ovvero da uno o più consulenti tecnici. Il pubblico ministero e le parti private possono essere coadiuvati, sin dalla fase delle indagini, da esperti in determinate scienze, arti o professioni. In maniera esattamente opposta a quanto prevede il lessico della procedura civile, gli ausiliari delle parti sono denominati consulenti tecnici, mentre l'esperto nominato dal giudice è detto perito. Gli accertamenti tecnici presentano molteplici sfaccettature procedimentali. Innanzi tutto essi possono avere luogo soltanto durante le indagini preliminari (ovvero, quando non sia imposto il contraddittorio con le parti, anche nelle investigazioni successive all'esercizio dell'azione penale). È però prevista anche la nomina di consulenti tecnici nella fase processuale, con la diversa finalità di veicolare al giudice le proprie specifiche conoscenze tecniche, nell'interesse della parte pubblica, nella ricostruzione delle dinamiche fattuali dei reati per cui si procede. Una simile diversità di funzioni non può che riflettersi nella differente normativa che disciplina i due istituti. Il codice di rito incentra il discrimine fondamentale in tema di accertamenti tecnici sulla possibilità di ripetere o meno successivamente le operazioni compiute dagli inquirenti durante le indagini preliminari. Il principio di parità delle armi, la qualità di parte del pubblico ministero e la formazione della prova tendenzialmente riservata alla sola sede dibattimentale impediscono ogni attività investigativa unilaterale che non possa poi essere ripetuta negli stessi termini, e giungendo agli stessi esiti, di fronte a un giudice, nel contraddittorio delle parti. Se gli accertamenti siano tali da non incidere sulla ripetibilità della prova (ad esempio, accertamenti di natura contabile sul bilancio di una società o di natura medica sul contenuto di una cartella clinica), le indagini tecniche avranno natura di atto riservato: l'indagato non ne avrà alcuna formale comunicazione, ma il suo diritto di difesa potrà essere ampiamente esercitato al termine delle indagini, allorquando egli potrà avere piena contezza di quanto sino ad allora svolto dal pubblico ministero, procedere ad una rilettura degli atti anche con l'ausilio di propri consulenti e soprattutto contraddire le tesi dell'accusa davanti al giudice. Completamente diverso è il caso in cui, per varie ragioni, l'accertamento non possa essere ripetuto una seconda volta, di modo che il sistema deve garantire la posizione dell'indagato (e della persona offesa), apprestando loro, con varie modalità procedurali alternativamente percorribili, il diritto di partecipare alle operazioni tecniche portate avanti dal pubblico ministero ovvero di richiedere che alla verifica si proceda di fronte a un giudice terzo e imparziale. In ogni caso, occorre sempre avere ben presente la netta distinzione tra le operazioni di natura meramente materiale, sia pure urgenti e non ripetibili (quali, ad esempio, il rilevamento di impronte digitali o l'estrapolazione di fotogrammi da un video, che restano disciplinate dall'art. 354, comma 2, c.p.p.) e gli accertamenti tecnici, i quali invece presuppongono attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica (Cass. II, n. 45751/2016). Accertamenti tecnici non ripetibili Secondo l'art. 359 c.p.p., il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera. Il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine e ad essere coadiuvato nella propria opera da ausiliari, per particolari operazioni materiali (ad esempio, l'addetto alle misurazioni in loco nell'ambito di accertamenti urbanistici, geologici, ambientali, etc.) o per questioni attinenti a particolari discipline scientifiche (ad esempio, il tossicologo che assiste il chimico incaricato dell'analisi di rifiuti pericolosi). Questi accertamenti tecnici restano atti riservati degli inquirenti, ogni qualvolta possano essere ripetuti nei medesimi termini in un momento successivo e in particolare nella fase processuale (ad esempio, consulenza contabile, accertamenti medici effettuati in base alla lettura della sola documentazione medica, verifica della funzionalità di un'arma da fuoco o di un macchinario industriale sotto sequestro, analisi chimiche o biologiche su sostanze acquisite in quantità sufficiente per plurime operazioni di tal fatta, verifica della concreta conformità di un grande complesso immobiliare sotto sequestro al vigente strumento urbanistico, accertamenti grafologici con scritture di comparazione reperite presso uffici pubblici o terzi, etc.). In questo caso, le modalità procedurali sono estremamente snelle: il pubblico ministero individua per le vie brevi la figura professionale più adatta nel caso di specie, ne verifica informalmente la serietà personale e la capacità tecnica, nonché la mancanza di cause di incompatibilità e gli conferisce l'incarico di consulenza con atto scritto, assegnando un termine congruo per la risposta (anche questa per iscritto) ai quesiti specificamente propostigli. L'elaborato depositato successivamente dal consulente sarà inserito nel fascicolo del pubblico ministero e potrà essere utilizzato nell'ambito delle indagini preliminari (cosiddetto “valore endoprocessuale”, ad esempio, per motivare, in parte qua, una richiesta cautelare personale o reale). Per veicolare in dibattimento i risultati dell'accertamento tecnico sarà però necessaria l'escussione del consulente, al pari di ogni altra fonte dichiarativa (potendosi però, all'esito, produrre nel fascicolo del dibattimento anche copia della consulenza di parte). L'adozione delle forme non garantite postula con ogni evidenza un severo scrutinio della possibilità di futura reiterazione dell'accertamento, nei termini sopra descritti. Accertamenti tecnici senza consulenza L'art. 359 c.p.p., che disciplina in via generale le indagini caratterizzate da accertamenti ed operazioni di natura tecnica, è formalmente rubricato “Consulenti tecnici del pubblico ministero”. Questa titolazione è però impropria (e peraltro priva di ogni efficacia normativa). La disposizione, invero, prevede una mera facoltà per il magistrato inquirente di “nominare e avvalersi di consulenti”. In alcuni casi il ricorso a specialisti provenienti dall'accademia o dalla libera professione potrà rivelarsi una scelta pressoché obbligata, come nel caso, ad esempio, di un accertamento che involga complesse questioni di neurologia o ginecologia o di altre branche della medicina. Spesso, però, le professionalità adeguate per la tipologia di accertamenti da espletare sono già disponibili negli organici delle Forze dell'Ordine, nelle loro articolazioni più specializzate. Al pubblico ministero si prospetteranno allora due opzioni ulteriori rispetto alla nomina di un consulente tecnico individuato all'esterno del personale di polizia giudiziaria: – nominare consulente tecnico un soggetto in forza alla polizia giudiziaria, ricalcando la medesima procedura sopra descritta, vuoi per gli accertamenti ripetibili, vuoi per gli accertamenti irripetibili (di modo che l'unica differenza con la previsione ordinaria sarà costituita dall'estrazione professionale del consulente, dovendo prestare attenzione ad evitare incompatibilità per pregresse attività investigative o per eccessiva contiguità operativa e territoriale alla polizia giudiziaria operante); – procedere agli accertamenti tecnici, ripetibili o irripetibili, semplicemente demandandoli a un reparto specializzato impersonalmente inteso (ad esempio, il gabinetto di polizia scientifica ovvero il reparto investigazioni scientifiche o l'omonima sezione dei carabinieri), applicando per il resto le disposizioni dettate dagli artt. 359 e 360 c.p.p., solo in quanto compatibili. Procedendo secondo queste ultima modalità, infatti, non avrà più ragion d'essere il momento procedimentale riservato al formale conferimento dell'incarico (ovvero comunque avrà connotazioni del tutto particolari). Cionondimeno, resta evidentemente impossibile sottrarre alla difesa la sede deputata al confronto tra inquirenti e indagato in merito agli espletandi accertamenti tecnici (i quali, ripetiamolo, potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel prosieguo delle indagini e nella successiva fase processuale). Occorre dunque, quanto meno per gli accertamenti non ripetibili, “tradurre” in termini spendibili questo necessario contraddittorio, previsto a pena di inutilizzabilità degli esiti delle indagini tecnico-scientifiche, anche quando non si sia proceduto mediante nomina di un consulente tecnico in senso stretto (ad esempio, equiparando il momento immediatamente precedente l'inizio degli accertamenti delegati, ai fini del suddetto art. 360 c.p.p., al conferimento dell'incarico, contando anche sul permanente obbligo di dare tempestiva comunicazione all'indagato, alla persona offesa e ai loro difensori del giorno, dell'ora e del luogo di inizio dei suddetti). |