Quesito in tema di accertamenti genetici (tipizzazione del Dna e comparazione)

Angelo Salerno
Alessandro Leopizzi

Inquadramento

Le indagini di natura biologica, dirette a trarre ogni utile informazione dal corredo cromosomico e mitocondriale estratto dai campioni biologici acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, hanno assunto un ruolo di indiscusso rilievo in moltissimi procedimenti. Il profilo ricavabile dal Dna è infatti unico e irripetibile per ogni individuo (fatta eccezione per i gemelli omozigoti), al pari delle impronte papillari: si parla infatti anche di “impronta genetica” (Dna fingerprint). Tenuto conto delle delicatissime questioni derivanti dalla rilevanza delle informazioni che si potrebbero trarre accedendo al genoma umano e in genere alla profilazione genetica, la legge disciplina in maniera rigorosa la procedura di prelievo da soggetto vivente e la gestione e il trattamento dei dati relativi.

Formula

n..... /.... r.g.n.r.

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI....

Proceda il consulente tecnico [1], presa visione degli atti del fascicolo e dei reperti meglio descritti nel verbale di sequestro in data.... [2],

– ad accertare la presenza di residui organici utilmente analizzabili nei suddetti reperti, verificando se la quantità e la disposizione di tali residui consenta la ripetibilità delle operazioni (e, viceversa, in caso di materiale sufficiente per un solo esame e comunque in caso di irripetibilità, anche per uno solo dei reperti, arrestando le operazioni e dandone tempestiva comunicazione a questo Ufficio) [3] ;

– solo in caso di accertata ripetibilità, alla tipizzazione del Dna nucleare e se del caso mitocondriale estratto dal materiale biologico eventualmente prelevato dai suddetti reperti;

– a riscontrare poi la compatibilità dei profili così ottenuti con reperti biologici sicuramente riconducibili a.... (riservando sin d'ora, se del caso, l'invio del necessario materiale di comparazione);

– a verificare eventuali positività con i profili presenti nella banca dati nazionale del Dna del ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

Per il compimento degli accertamenti suddetti il consulente sarà autorizzato a ritirare e trasportare i reperti sopra descritti e ad esperire ogni necessario esame specialistico e di laboratorio, ad utilizzare la necessaria strumentazione e a farsi coadiuvare da tecnico specialista.

Riferisca, infine, di ogni ulteriore elemento egli ritenga necessario per l'accertamento dei fatti e comunque utile ai fini di giustizia.

[1]Il quesito, oltre che a un consulente tecnico, può essere anche posto direttamente a competente personale della polizia giudiziaria, non necessariamente con le forme degli accertamenti ex art. 359 c.p.p.

[2]La successiva attività di comparazione avrà per oggetto i profili genetici estratti da materiale biologico.

[3]La ripetibilità dell'accertamento consente agli inquirenti di mantenere il riserbo sulle investigazioni in atto, laddove la doverosità di avviso in caso di accertamenti non ripetibili impone loro al contempo una almeno parziale discovery degli atti e delle strategie.

Commento

La genetica forense

L'evoluzione scientifica e tecnologica ha ampliato enormemente anche la rilevanza delle indagini genetiche (cfr., sull'intera materia, Felicioni, La prova del DNA nel procedimento penale, Milano, 2018).

Tenuto conto dell'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, gli esiti dell'indagine condotta sul Dna presentano natura di prova idonea ad affermare la responsabilità dell'indagato e non di mero elemento indiziario, sicché sulla loro base può essere affermata la penale responsabilità dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti, ai sensi dell'art. 192, comma 2, c.p.p. (Cass. II, n. 38184/2022; Cass. II, n. 43406/2016).

Peraltro, nei casi in cui l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita almeno una valenza indiziaria (Cass. II, n. 8434/2013).

Con l'ausilio dei migliori specialisti di genetica forense, d'altronde, è ormai possibile acquisire una “impronta biologica” lasciata semplicemente toccando oggetti o persone (cosiddetto “touch Dna”).

Le peculiarità di questi accertamenti, in particolare quando le attività tecniche presuppongono un prelievo, volontario o coattivo, sull'indagato o su un terzo soggetto per acquisire materiale di comparazione con altri reperti biologici già acquisiti sulla scena del crimine, hanno indotto il legislatore a regolare nel dettaglio l'intera materia, in considerazione della natura invasiva di queste indagini e dei diritti inviolabili alla salute e alla riservatezza exartt. 2,13 e 32 Cost., che potrebbero essere lesi in occasione della transitoria restrizione della libertà durante l'accertamento coattivo, che coinvolge direttamente la persona fisica dell'interessato, della successiva disponibilità dei dati.

È utile sottolineare sin d'ora come, oltre al necessario rigoroso rispetto delle norme procedurali, l'analisi comparativa del Dna svolta in violazione delle regole operative prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante e costituiscano un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Cass. V, n. 36080/2015). Al contrario, la mancanza del nulla osta del pubblico ministero all'inserimento nella banca dati nazionale del DNA del profilo genetico tipizzato da reperti biologici mediante accertamento tecnico non rende inutilizzabili, per violazione dell'art. 10 l. n. 85/2009, la raccolta dei dati e le comparazioni operate, atteso che tale norma non pone divieti probatori, ma attiene alle sole modalità formali di trasmissione del risultato dell'accertamento, legittimamente acquisito al procedimento penale, e neppure dà luogo ad alcuna nullità processuale, in difetto di una espressa previsione in tal senso ex art. 177 c.p.p. (Cass. II, n. 11622/2020).

Gli accertamenti biologici su persone viventi

Ai sensi dell'art. 359-bis c.p.p., il pubblico ministero, quando deve eseguire accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del Dna (come il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale) ovvero comunque accertamenti medici e non vi sia il consenso della persona interessata, non può agire in via autonoma. Egli deve richiedere una specifica autorizzazione al giudice per le indagini preliminari, che provvede con ordinanza. La stessa lettera della norma distingue questi specifici atti di indagine, diretti alla ricerca di elementi potenzialmente probatori, dagli accertamenti biologici diretti alla sola identificazione dell'indagato ai sensi dell'art. 349, comma 2-bis c.p.p.

L'ordinanza deve contenere la nomina del perito, nonché, a pena di nullità:

– le generalità della persona da sottoporre all'esame e quanto altro valga ad identificarla;

– l'indicazione del reato per cui si procede, con la descrizione sommaria del fatto;

– l'indicazione specifica del prelievo o dell'accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti;

– l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia;

– l'avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l'accompagnamento coattivo;

– l'indicazione del luogo, del giorno, e dell'ora stabiliti per il compimento dell'atto e delle modalità di compimento.

Nei casi di urgenza, quando dal ritardo possa verosimilmente derivare un grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero procede alle necessarie operazioni con un proprio decreto motivato dall'analogo contenuto, disponendo l'accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, ovvero l'esecuzione coattiva del prelievo o degli accertamenti, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive deve essere richiesta al giudice la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive (art. 359-bis, comma 2 c.p.p.).

La violazione delle procedure sopra descritte comporta la nullità delle operazioni e l'inutilizzabilità delle informazioni illegittimamente acquisite.

Le operazioni devono comunque essere eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. In ogni caso, a parità di risultato, sono prescelte le tecniche meno invasive.

Quando l'indagato abbia prestato il proprio consenso, il prelievo può avvenire anche in assenza del difensore, in ragione della specifica e limitata finalità dell'atto investigativo, che non implica speciali competenze tecniche comportanti l'esigenza di osservare precise garanzie difensive, necessarie invece per la successiva attività di valutazione dei risultati (Cass. III, n. 25426/2015; Cass. V, n. 12800/2017 ha poi precisato che in questo caso può procedersi de plano, senza applicare la procedura garantita exartt. 224-bis e 359-bis c.p.p.).

La procedura regolata dall'art. 359-bis c.p.p., al pari di ogni accertamento tecnico in senso stretto, è riservata al pubblico ministero. L'art. 354, comma 3 c.p.p. prevede però l'ulteriore ipotesi che, in presenza di una situazione di urgenza per il rischio di alterazione o di dispersione delle fonti di prova, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono compiere “i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale”.

A fronte delle articolate garanzie previste per il prelievo forzoso, l'art. 72-quater disp. att. c.p.p. prevede esplicitamente l'obbligo di distruzione dei campioni biologici, “all'esito della perizia” ai sensi dell'art. 224-bis e a cura del medesimo perito, salvo che il giudice non ritenga assolutamente indispensabile la loro ulteriore conservazione. Dopo la definizione del procedimento con decreto di archiviazione o dopo il passaggio in giudicato della sentenza, procede in tal senso la cancelleria, “in ogni caso e senza ritardo”, anche per i campioni prelevati ai sensi dell'art. 359-bis c.p.p.

Si tratta evidentemente di una forma minimale di tutela rispetto a dati personali e identificativi (e in parte qualificabili altresì come dati sensibili) ex art. 4, d.lgs. n. 196/2003 (cosiddetto Codice della privacy). D'altra parte, l'obbligo di distruzione ha per oggetto il solo materiale biologico, mentre i dati relativi resteranno negli atti del procedimento e saranno altresì trasmessi alla Banca nazionale del Dna.

Derogabilità della disciplina codicistica in tema di acquisizione dei campioni

Questa minuziosa disciplina (unitamente a quella, quasi sovrapponibile dettata dall'art. 224-bis c.p.p. per le perizie di analogo contenuto) lascerebbe intendere che siano escluse dal sistema quelle indagini dirette ad acquisire in altro modo dati utili alla determinazione del profilo genetico. La prassi investigativa precedente conosceva infatti strumenti assai più discreti per raggiungere un simile obiettivo, senza necessità di porre l'indagato a conoscenza delle mosse degli inquirenti (ad esempio, estrazione del Dna dalla saliva depositata su un mozzicone di sigaretta o su una tazzina, sequestrati all'insaputa del titolare del materiale biologico). La giurisprudenza di legittimità continua nondimeno ad ammettere la perdurante validità di simili tecniche operative: durante le indagini preliminari, il prelievo del Dna di una persona, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici, è lecito e qualificabile come rilievo tecnico (in quanto tale, delegabile ai sensi dell'art. 370 c.p.p., senza la necessità per il suo espletamento dell'osservanza delle garanzie difensive). Si esclude quindi la natura di atto invasivo o costrittivo, che richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono essere invece assicurate nella distinta e successiva operazione di identificazione biologica della persona, attraverso l'analisi del materiale genetico repertato (che costituisce accertamento tecnico in senso stretto), quando l'operazione debba qualificarsi irripetibile in base a una valutazione tecnico-fattuale, in ragione sia della scarsa quantità della traccia genetica sia della scadente qualità del Dna disponibile. La successiva attività di comparazione tra il profilo genetico così tipizzato ed altro materiale di raffronto non presenta con ogni evidenza carattere di irripetibilità (Cass. I, n. 18246/2015; Cass. II, n. 2087/2012).

La disciplina speciale in materia di omicidio stradale e lesioni stradali

L'art. 1, comma 4, lett. b) l. n. 41/2016 ha inserito in coda all'art. 359-bis c.p.p. un ulteriore comma 3-bis, a mente del quale, nei procedimenti per i reati di omicidio stradale e lesioni stradali, quando il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica ovvero di alterazione correlata all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, in presenza di un fondato motivo per ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini (cioè sempre, tenuto conto della natura transitoria delle alterazioni psicofisiche), il decreto di urgenza del pubblico ministero e gli ulteriori provvedimenti possono essere adottati anche oralmente, con successiva conferma per iscritto. Gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e si procede all'esecuzione coattiva delle operazioni se la persona oppone un rifiuto.

Il difensore dell'interessato (o, più tecnicamente, dell'indagato) deve essere tempestivamente avvisato del decreto e delle operazioni da compiersi, nonché della sua facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio per gli accertamenti. Alla persona priva di difensore di fiducia ne è nominato uno di ufficio. Entro le quarantotto ore successive, il pubblico ministero richiede la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive.

La banca dati nazionale del Dna

Problemi ulteriori, ancora più complessi, pone il successivo utilizzo dei dati estrapolati dal materiale biologico acquisito, coattivamente o consensualmente, anche in occasione di altre, distinte indagini.

Si è parlato, in proposito, di “schedatura genetica” dell'indagato.

I nostri giudici costituzionali diedero a suo tempo prova di grande lungimiranza, ipotizzando la astratta possibilità, in un futuro prossimo (che è il nostro presente), di vulnerare i diritti all'integrità fisica, alla libertà personale e alla salute: “i rilievi descrittivi, fotografici e antropometrici possono richiedere talvolta complesse indagini che potrebbero incidere sulla libertà fisica o morale della persona: si pensi ai casi, non cervellotici di fronte allo sviluppo della scienza e della tecnica, di rilievi che richiedessero prelievi di sangue” (Corte cost. n. 30/1962). Nei decenni successivi si è invece registrato un prolungato disinteresse per il tema da parte del legislatore, ma anche della dottrina e degli operatori pratici, soffermatisi per lungo tempo sulla questione della valutazione della ritualità dell'acquisizione del reperto.

Le molteplici possibilità di tensione tra l'analisi del patrimonio genetico a fini investigativi e i diritti fondamentali della persona sono infine salite al centro della riflessione giuridica sovranazionale. La giurisprudenza di Strasburgo ha recisamente affermato che la conservazione di profili genetici per finalità di indagine penale costituisce un'ingerenza nella vita privata delle persone, restando così necessariamente soggetta ai limiti e alle garanzie prescritte dall'art. 8, CEDU (Corte EDU, 4 dicembre 2008, Marper c. Regno Unito).

L'istituzione di banche dati del Dna rappresenta dunque un formidabile strumento investigativo (difficilmente rinunciabile, in particolare nell'odierno contesto socio-culturale) e una altrettanto vigorosa modalità di invasione della sfera di riservatezza di un numero indeterminato di persone, anche estranee alla commissione di fatti di reato, in considerazione della mole di informazioni ottenibili dai dati biologici allo stato attuale delle conoscenze scientifiche.

La questione ha trovato una soluzione normativa, pur non immune da perplessità, con l'adesione dell'Italia al cosiddetto Trattato di Prüm sulla cooperazione transfrontaliera per il contrasto al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e alla migrazione illegale, sottoscritto il 27 maggio 2005 e ratificato con l. n. 85/2009 (formalmente incorporato nel quadro giuridico dell'Unione europea dalla decisione del Consiglio 2008/615/GAI).

Per facilitare l'identificazione degli autori dei delitti, è stata così istituita presso il dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'interno, la banca dati nazionale del Dna, concretamente entrata in funzione nel febbraio 2017 (cfr. Marafioti-Luparia, Banca dati del DNA e accertamento penale, Milano, 2010).

Questo importantissimo database genetico provvede alle seguenti attività:

– cosiddetto “prelievo istituzionale”, raccolta del profilo del Dna, quando si procede per delitti non colposi per i quali è consentito l'arresto facoltativo in flagranza (con cospicue eccezioni, per molti reati non connotati da violenza fisica) di soggetti:

• ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari;

• arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto;

• detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;

• nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;

• ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva;

– raccolta dei profili del Dna relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali (all'esito di un cosiddetto “prelievo mirato”);

– raccolta dei profili del Dna di persone scomparse o di loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati;

– raffronto dei profili del Dna a fini di identificazione.

Secondo il Trattato, gli schedari devono contenere solo informazioni provenienti dalla parte non codificante del Dna (così da non fornire informazioni sulle “proprietà funzionali dell'organismo”) e non possono consentire l'identificazione immediata dell'interessato.

Le operazioni di prelievo sono eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto, a cura di personale specificamente addestrato delle forze di polizia o di personale sanitario ausiliario della polizia giudiziaria. Il d.lgs. n. 162/2010 ha istituito a tale scopo i ruoli tecnici del corpo della polizia penitenziaria.

I campioni prelevati sono immediatamente inviati al laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA istituito presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. Il laboratorio centrale provvede alla tipizzazione dei suddetti profili genetici (cioè della “sequenza alfa numerica ricavata dal Dna e caratterizzante ogni singolo individuo”) e, fungendo di fatto da “magazzino centrale” (soluzione non obbligata in base alla normativa pattizia), alla conservazione dei campioni biologici dai quali è stata effettuata la suddetta tipizzazione.

Il contenuto della banca dati si presenta, come facilmente intuibile, di enorme delicatezza. Particolare attenzione è dunque riservata al trattamento delle informazioni, all'accesso al database e alla tracciabilità dei campioni. I profili del Dna non contengono le informazioni che consentono l'identificazione diretta del soggetto cui sono riferiti (possibile solo, mediante una cosiddetta “doppia chiave”, tramite il sistema Afis) e l'accesso ai dati è consentito alla polizia giudiziaria e all'autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia. Il trattamento e l'accesso ai dati devono essere effettuati esclusivamente da parte del personale espressamente autorizzato (tenuto a un rigido segreto di ufficio: ai sensi dell'art. 14, l. n. 85/2009, il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni di legge, o al di fuori dei fini ivi previsti, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi).

In altri termini, gli operatori delle varie forze di polizia europee possono avere direttamente ogni utile informazione in merito alla positività o meno della comparazione, ma non possono accedere ai dati identificativi, che devono essere richiesti secondo gli ordinari strumenti di cooperazione e assistenza internazionale.

A seguito dell'identificazione del cadavere o del ritrovamento della persona scomparsa ovvero di assoluzione con sentenza definitiva (ad eccezione di quelle pronunciate perché il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra causa), è disposta d'ufficio la cancellazione dei profili e la distruzione dei campioni biologici. Analogamente si procede quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione della normativa di settore. In ogni altro caso, le informazioni restano inserite nella banca dati non oltre quaranta anni dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento (i campioni biologici sono conservati non oltre venti anni).

Il controllo sulla banca dati nazionale spetta al Garante per la protezione dei dati personali, mentre il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita garantisce l'osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale, eseguendo verifiche e formulando suggerimenti.

La disciplina transitoria prevede che i profili del Dna ricavati da reperti precedentemente acquisiti siano trasferiti dalle forze di polizia alla banca dati nazionale. La polizia penitenziaria provvederà d'ora in avanti al prelievo di campioni biologici nei confronti dei soggetti sopra specificati, già detenuti o internati.

La legge tace, suscitando severe critiche da parte della dottrina, in merito al diritto di accesso dei privati al database (anche a fini difensivi). Sembra corretto sul punto il richiamo all'art. 253, comma 1-bis c.p.p.

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