Prevale il diritto di cronaca sul pericolo di influenzare i testimoni

01 Settembre 2023

Legittima la diffusione in diretta via radio delle udienze dibattimentali nel maxiprocesso per il reato di tortura nei confronti dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Massima

Nel conflitto tra un interesse attuale e concreto, quale quello alla piena informazione su un processo di rilevante interesse sociale, e un interesse ipotetico, quale la tutela della genuinità della prova testimoniale, espressione dell'inviolabilità del diritto di difesa, non può non prevalere il diritto attuale e concreto, sicché deve ritenersi legittima la diffusione via radio integrale e in diretta delle udienze dibattimentali.

Il caso

Il difensore di uno degli imputati del maxi processo per il reato di tortura ed altri reati nei confronti dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere (105 tra agenti e ufficiali di polizia penitenziaria, funzionari del DAP e medici), in occasione di una perquisizione straordinaria in data 6 aprile 2020, durante l'emergenza pandemica, si opponeva alla trasmissione integrale e in diretta delle udienze dibattimentali da parte dell'emittente «Radio Radicale» sul proprio sito internet, chiedendo che la Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere autorizzasse la diffusione delle registrazioni soltanto al termine dell'istruttoria dibattimentale. Ciò in base all'argomentazione che una diffusione integrale e in diretta delle udienze avrebbe potuto compromettere la genuinità delle successive deposizioni testimoniali. Tale tesi – alla quale aderivano altri difensori degli imputati – veniva contestata sia dal pubblico ministero che dai difensori delle parti civili.

La questione

La questione sollevata involge il tema dei limiti alla pubblicità del dibattimento. Il processo penale, com'è noto, è improntato al canone della pubblicità delle udienze dibattimentali, prevista dall'art. 471 comma 1, c.p.p. a pena di nullità; solo nei casi tassativamente previsti dall'art. 472 c.p.p. la pubblicità può essere sacrificata, procedendosi (in tutto o in parte) a porte chiuse per tutelare altri interessi ritenuti meritevoli di tutela rispetto alla garanzia di trasparenza delle decisioni giudiziarie. La Costituzione, invero, non detta un esplicito precetto di pubblicità dell'e sercizio della giurisdizione, né specificamente del processo penale o di una qualche sua fase, ma è pacifico che l'art. 101 comma 1, Cost., con lo stabilire che «la giustizia è amministrata in nome del popolo», garantisce a quest'ultimo – titolare della sovranità ex art. 1 comma 2, Cost. –, il diritto di conoscere come la giustizia viene amministrata, in particolare nel processo penale, a causa della speciale rilevanza dei beni che qui vengono dibattuti. Del resto, già nella vigenza del c.p.p. 1930, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12/1971, aveva sottolineato che la pubblicità è «coessenziale» ai princìpi cui, «in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare» e nel quale la giustizia è amministrata «in nome del popolo» –, «deve conformarsi l'amministrazione della giustizia, che in quella sovranità trova fondamento», ritenendo, quindi, indispensabili dei meccanismi di controllo sull'esercizio della giurisdizione.

Il principio di pubblicità delle udienze è, peraltro, espressamente formulato nelle fonti internazionali di tutela dei diritti umani – segnatamente nell'art. 6 § 1, Cedu e nell'art. 14 § 1, P.i.d.c.p. – come uno dei presupposti indefettibili del «giusto processo». E la Corte EDU ha costantemente affermato che la pubblicità della procedura degli organi giudiziari «protegge le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico» e «attraverso la trasparenza che conferisce all'amministrazione della giustizia essa aiuta a realizza re lo scopo dell'art. 6 § 1, C.e.d.u.: l'equo processo, la cui garanzia è annoverata tra i princìpi di ogni società democratica ai sensi della Convenzione» (v. per tutte Corte EDU, 13 novembre 2007, Boccellari e Rizza c. Italia).

Secondo una tradizionale distinzione, la pubblicità può essere «immediata» o «mediata». Per «pubblicità immediata» si intende la facoltà attribuita al quisque de populo di accedere alle aule di udienza e di assistere ai dibattimenti che si svolgo no, senza che vi sia la necessità di dimostrare al riguardo uno specifico interesse giuridico, salvo le deroghe espressamente previste dalla legge: ed è proprio a tale pubblicità che allude direttamente l'art. 471 comma 1, c.p.p. allorché prescrive, a pena di nullità, la pubblicità dell'udienza dibattimentale.

La «pubblicità mediata» è, invece, definibile come la conoscenza dell'attività relativa a un determinato dibattimento che è data alla generalità dei cittadini attraverso il filtro dell'informazione fornita da un qualsiasi mezzo di comunicazione.

Questa distinzione trova preciso riscontro nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici: viene, in fatti, menzionata la presenza sia del «pubblico» che della «stampa» come oggetto di diritto fondamentale dell'accusato.

Premesso che è inequivocabile il declino della pubblicità immediata a favore di quella mediata, non è difficile cogliere, con riferimento a questa seconda prospettiva, i profili di “conflitto” del principio di pubblicità con altri interessi di rilievo costituzionale, soprattutto in un'epoca in cui più pressanti si fanno i bisogni di conoscenza e più efficienti, ma anche «invasivi», gli strumenti d'informazione a causa del progresso tecnologico. Tale progresso e le nuove esigenze del c.d. «villaggio globale» hanno, infatti, modificato le regole e il costume in materia di «pubblicità mediata», tanto che è invalso fra gli operatori l'utilizzo della formula «pubblicità mediata tecnologica»per definire le forme comunicative che fanno uso dei mezzi audiovisivi (cfr., per tutti, Di Chiara, Televisione e dibattimento penale. Esperienze e problemi della pubblicità mediata tecnologica in Italia, in Foro it., 1998, V, c. 278).

Il legislatore ha cercato di contemperare i vari interessi in gioco con la discipli na contenuta nell'art. 147, disp. att. c.p.p., che prescrive un regime autorizzatorio per l'esercizio delle riprese e trasmissioni audiovisive del dibattimento: la prospettiva, dunque, è opposta rispetto a quella che informa la presenza dei giornalisti della carta stampata al dibattimento, giacché questi sono autorizzati ex lege ad accedere, come qualsiasi cittadino, all'udienza pubblica. L'art. 147, disp. att. c.p.p., nell'articolazione dei suoi vari commi, viene, dunque, a tutelare interessi processuali e interessi extraprocessuali: l'interesse alla corretta amministrazione della giustizia, il diritto alla riservatezza e all'onore, il diritto di cronaca giudiziaria.

Occorre evidenziare che l'art. 147, disp. att. c.p.p. distingue la «ripresa» dalla «trasmissione». In effetti, si tratta di nozioni distinte e di attività destinate a influire sugli interessi individuali con diversa incisività: la «ripresa» consiste nella fissazione delle immagini e dei suoni, poi riproducibili; la «trasmissione» è, invece, la divulgazione delle immagini o dei suoni oggetto della ripresa e può essere contestuale allo svolgimento dell'udienza (diretta) oppure successiva a questa (differita) (Tonini-Conti, Manuale di procedura penale, 24a ed., Giuffrè, 2023, p. 752, nt. 12).

Premesso che, in caso sussista un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento, si può prescindere dal consenso delle parti alla diffusione delle riprese audiovisive delle udienze (requisito di regola indispensabile per la ripresa), nel caso di specie, il difensore di uno degli imputati chiedeva che la diffusione delle riprese audio fosse posticipata alla conclusione dell'istruttoria, al fine di scongiurare il rischio di inquinamento nell'assunzione della prova testimoniale. A sostegno della propria richiesta, il difensore invocava una lettura sinottica dell'art. 147, disp. att. c.p.p., che consente, al comma 1, di vietare la divulgazione integrale dell'udienza ogniqualvolta ciò possa incidere sul suo regolare svolgimento, e dell'art. 149, disp. att. c.p.p., che vieta ai testimoni citati a comparire in udienza di comunicare con le parti, i difensori o i consulenti tecnici, nonché di assistere agli esami degli altri testimoni o di vedere o udire o essere altrimenti informati su ciò che accade in udienza.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte d'Assise il ventilato conflitto tra il diritto di difesa, potenzialmente leso in casi di interferenze esterne sulla prova testimoniale, derivante dalla diffusione via radio integrale e in diretta delle udienze, e il diritto di cronaca non può ritenersi allo stato attuale e non può, quindi, legittimare una limitazione del diritto all'informazione, costituzionalmente tutelato dall'art. 21, Cost.

La Corte osserva altresì che la possibilità di adottare il provvedimento richiesto dalle difese richiederebbe la prova che sia proprio la messa in onda dello svolgimento dell'udienza a determinare l'alterazione della genuinità della prova testimoniale successivamente assunta. Ma tale prova non è stata offerta dalle difese, né avrebbe potuto in realtà essere offerta, attesa la molteplicità di forme e modalità attraverso le quali i testi possono venire a conoscenza del contenuto dichiarativo di chi ha deposto prima, essendo diverse le fonti di informazione dotate della medesima valenza conoscitiva delle trasmissioni di «Radio Radicale» (ad esempio articoli di giornale e siti intenet). Senza dire del diritto dei testimoni-persone offese dal reato costituitisi parte civile ad ottenere copia del verbale delle udienze precedenti, così venendo legittimamente a conoscenza delle dichiarazioni testimoniali precedentemente rese.

Per la Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere non risulta pertinente il richiamo all' art. 149, disp. att. c.p.p., che inibisce il contatto in udienza tra il teste e altri testimoni. Ciò in quanto tale articolo va letto in combinato disposto con l'art. 21 comma 2, reg. es. c.p.p., secondo il quale l'ufficiale giudiziario è tenuto durante l'udienza ad adottare tutte le cautele necessarie ad evitare qualsivoglia forma di comunicazione tra i testimoni esaminati e quelli da esaminare nonché tra questi ultimi e gli estranei, fine di non alterare la genuinità delle deposizioni: questo significa che il principio è stato concepito nella utopistica prospettiva che il processo dovesse celebrarsi e concludersi in una sola udienza, risultando inapplicabile in processi complessi per il numero degli imputati e delle imputazioni, processi che non possono evidentemente concludersi in una sola udienza. Le citate disposizioni, insomma, conservano la loro validità in concomitanza con la celebrazione delle singole udienze, ma non possono certamente risultare operative nell'intervallo di tempo tra una udienza e l'altra, non avendo l'ufficiale giudiziario alcun potere di controllo in tal senso.

Alla luce di queste argomentazioni, la Corte d'Assise ha autorizzato «Radio Radicale» alla pubblicazione integrale e in diretta delle udienze dibattimentali.

Osservazioni

Ora, premesso che un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che la violazione dell'art. 149 disp. att., c.p.p. non comporti comunque l'inutilizzabilità della testimonianza (v. Cass. pen, sez. IV, 29 ottobre 2003, B.; Cass. pen., sez. I, 3 luglio 1998, Dose; Cass. pen., sez. I, 15 dicembre 1997, Builardi; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 1992, Rendina), non c'è dubbio che nel caso di diffusione in diretta delle attività di udienza – ma, invero, anche a breve distanza di tempo dalla ripresa – il rischio, non remoto, sia quello di uniformare le deposizioni (in tal senso v., da ultimo, Mittica, Mezzi di diffusione dell'istruttoria dibattimentale e genuinità della testimonianza, in Proc. pen. giust., 2021, p. 1466 s.).

Ma, come correttamente si dà atto nell'ordinanza della Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere (e come già in passato osservato in dottrina: v. Ciappi, Riprese audiovisive dei dibattimenti, in Dig. disc. pen., vol. XII, Utet, 1997, p. 355 s.), la conoscenza del contenuto delle testimonianze precedentemente rese in udienza da parte dei testimoni che debbono ancora essere escussi potrebbe avvenire indipendentemente dalla diffusione via radio dell'udienza, attraverso i resoconti di cronaca da parte dei giornalisti presenti in aula o che abbiano comunque diffuso notizie in merito (come pure da parte di chiunque, presente nel pubblico, abbia diffuso in qualsiasi forma le notizie). Sicché, a voler seguire fino in fondo le conseguenze della prospettata tesi difensiva, si arriverebbe all'assurda conseguenza di non poter diffondere in alcun modo le notizie relative allo svolgimento dell'udienza dibattimentale fino alla conclusione del processo (almeno) di primo grado.

Peraltro, occorre sottolineare come, da tempo la dottrina abbia indicato le registrazioni e le trasmissioni radiofoniche come lo strumento migliore per l'informazione sullo svolgimento del dibattimento, sottolineando che la radio è uno strumento che assicura la diffusione più ampia ed esauriente dell'evento giudiziario e che lo trasmette nel modo più fedele possibile, risultando assai meno invasivo rispetto al mezzo televisivo: la presenza dei microfoni in aula è certamente discreta e molto poco incidente sui comportamenti degli attori processuali. La diffusione sonora risulta inoltre maggiormente funzionale al soddisfacimento dell'interesse a una corretta informazione, dal momento che l'ascoltatore, impegnato in uno solo dei cinque sensi, è spinto a partecipare in modo critico agli eventi trasmessi e non è attratto dalle componenti spettacolari, tipiche della ripresa video (in questi termini, Gianaria-Mittone, Giudici e telecamere. Il processo come spettacolo, Einaudi, 1994, p. 95 s.).

Anche la giurisprudenza ritiene generalmente le riprese e le trasmissioni fono grafiche meno intrusive rispetto a quelle televisive, negando che incidano sullo svolgimento dell'udienza. Su questo presupposto sono state autorizzate in numerosi casi trasmissioni radiofoniche anche integrali e dirette dei processi (cfr., ad es. Ass. Milano, 19 maggio 1998, Reggiani Martinelli; Trib. Milano, sez. VIII, ord. 17 gennaio 1996, Berlusconi; Trib. Palermo, ord. 26 settembre 1995, Andreotti). In particolare, si è statuito che, dovendo la disciplina in materia di riprese audiovisive del dibattimento ispirarsi a un criterio di contemperamento delle esigenze di riservatezza delle parti e di pubblicità dei giudizi penali, tale bilanciamento deve necessariamente tener conto delle diverse caratteristiche e della diversa invasività dei mezzi di ripresa, sicché in una data situazione ben può ammettersi il collegamento radiofonico, ma non la ripresa televisiva (Trib. Milano, sez. II, ord. 19 febbraio 1999).

Riferimenti

Triggiani, Dalla «pubblicità immediata» alla «pubblicità mediata tecnologica»: le riprese audiovisive dei dibattimenti, in Triggiani (a cura di), Informazione e giustizia penale. Dalla cronaca giudiziaria al «processo mediatico», Cacucci, 2022, p. 379 ss.

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