Il diritto di abitazione spetta anche al coniuge separato senza addebito

Nicola Frivoli
04 Agosto 2023

I diritti di abitazione ed uso della casa coniugale, assegnati al coniuge superstite, ex art. 540, comma 2, c.c., spettano anche al coniuge separato senza addebito, salvo il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi, o abbia perso ogni collegamento con l'originaria destinazione familiare.

Il caso. Il Tribunale competente si era pronunciato sulla divisione giudiziale derivante dalla successione legittima, in virtù del decesso del coniuge, lasciando al coniuge e figli l'eredità. La sentenza di primo grado che aveva riconosciuto che la divisione, stante indivisibilità dell'immobile (appartamento), dovesse essere fatta tramite vendita, non riconosceva il diritto di abitazione al coniuge superstite. Avverso tale sentenza, la Corte di appello competente confermava la pronuncia di prime cure, negando che vii fossero i presupposti per il riconoscimento in favore del coniuge superstite del diritto di abitazione e di uso sull' immobile adibito a residenza familiare, essendo la stessa separata da tempo e avendo lasciato la casa da diversi anni. Avverso tale provvedimento veniva proposto dall'appellante ricorso per cassazione sulla scorta di dodici motivi; resistevano con controricorso gli appellati.

Disamina dei motivi di censura . Con il primo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 540, comma 1, 150, comma 2, 157 e 193 c.c., perché la corte territoriale aveva attribuito alla ricorrente lo status di coniuge separato, nonostante la stessa non fosse tale al momento della morte del de cuius. Fino a quel momento erano stati emessi solamente i provvedimenti presidenziali provvisori, i quali, secondo le norme applicabili ratione temporis, non avevano effetto anticipatorio. Al netto degli ulteriori motivi, assorbiti e dichiarati inammissibili, la Suprema Corte riteneva il primo motivo di doglianza fondato, considerando applicabile un principio giurisprudenziale differente rispetto a quello indicato dalla Corte territoriale, posto che la fattispecie non afferiva ad una ipotesi di separazione consensuale, bensì ad una causa di separazione giudiziale ancora in corso al momento del decesso del coniuge. In altri termini, il provvedimento presidenziale, anche secondo la disciplina attuale, anticipa solo l'effetto dello scioglimento della comunione legale, ma non attribuisce ai coniugi la qualità di coniugi separati.

Gli Ermellini ritengono (come evidenziato dalla dottrina) che l'abitazione della casa a residenza familiare non deve essere necessariamente in atto nel momento di apertura della successione e, pertanto, non viene meno per il solo fatto della separazione legale. La norma, infatti, non annovera fra i presupposti per l'attribuzione dei diritti la convivenza fra coniugi e, d'altra parte, la lettera dell'art. 548 c.c. è chiara nel parificare i diritti successori del coniuge separato senza addebito a quelli del coniuge non separato. Posto ciò, i presupposti per la nascita del diritto mancherebbero solo qualora, dopo la separazione, la casa coniugale fosse stata abbandonata da entrambi i coniugi o avesse perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l'originaria destinazione familiare. Ne consegue che i diritti di abitazione e di uso non sorgerebbero per difetto del presupposto oggettivo, di contro, i presupposti continuerebbero a sussistere anche quando la successione si sia aperta in favore del coniuge allontanato, lasciando a viverci l'altro coniuge defunto.

In tal senso, con la pronuncia in disamina, la Cassazione cassa la sentenza e il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

«I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall'art. 540, comma 2, c.c. spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l'originaria destinazione familiare».

In conclusione. La Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti i motivi dal secondo al sesto; dichiarava inammissibili i motivi dal settimo al decimo; dichiarava assorbiti l'undicesimo e il dodicesimo motivo; cassava la sentenza impugnata limitatamente al primo motivo, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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