Identità personale dell'adottato e automatismo dell'ordine dei cognomi

06 Settembre 2023

La Corte Costituzionale, a distanza di oltre venti anni dall'ordinanza con cui aveva dichiarato inammissibile la questione volta a sostituire all'automatismo dell'anteposizione del cognome dell'adottante l'opposta regola della aggiunta dello stesso a quello dell'adottato, con la pronuncia in commento ravvisa, nel rigido ordine di attribuzione codicisticamente previsto, una irragionevole lesione del diritto all'identità personale del “figlio”.
Massima

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 299, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto. Va riconosciuta l'importanza, nell'adozione della persona maggiore d'età, della trasmissione all'adottato del cognome dell'adottante, nonché della regola generale dell'anteposizione di quest'ultimo cognome, quale segno identificativo del vincolo adottivo. Tuttavia deve considerarsi lesivo degli artt. 2 e 3 Cost. che, in considerazione degli interessi implicati, l'ordine dei cognomi non possa essere invertito dalla sentenza di adozione, quando sia l'adottando maggiore d'età sia l'adottante si siano espressi in tal senso.

Il caso

La vicenda trae origine dal provvedimento con cui la Corte di Appello di Salerno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 1, c.c., nella parte in cui preclude all'adottando maggiore d'età la possibilità di anteporre il suo originario cognome a quello dell'adottante.

La pronuncia di rimessione alla Corte Costituzionale concerneva, in particolare, la legittimità dell'automatismo circa l'applicazione del regime di collocazione dei cognomi nel caso in cui l'adottando, in ragione della propria età (39 anni) e dei già formati rapporti sociali, e in presenza del consenso dell'adottante, avesse avuto una «esigenza di veder tutelato il suo diritto all'identità personale».

La questione

Il quesito su cui occorre interrogarsi è il seguente: l'automaticità e rigidità del meccanismo per cui l'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio può determinare una irragionevole compressione del diritto all'identità personale? È costituzionalmente legittimo – in altri termini – l'articolo 299, comma 1, c.c. nella parte in cui impedisce che con la sentenza di adozione, il cognome dell'adottante possa essere aggiunto, anziché anteposto, a quello dell'adottato maggiore d'età, pure laddove entrambi i soggetti si siano espressi a favore di tale effetto?

La questione problematica così posta, si intreccia, evidentemente, con la funzione dell'istituto dell'adozione del maggiorenne e con il modo di intendere il diritto al nome (comprensivo del prenome e del cognome): in particolare, quel segno distintivo ed il conseguente ordine di attribuzione dei cognomi, peraltro mutato nel corso del tempo, in che misura può riflettersi sulla identità personale dell'adottato?

Le soluzioni giuridiche

Per rispondere, unitariamente, agli interrogativi, punto di partenza non può che essere il modo di intendere, nel tempo, l'istituto dell'adozione del maggiorenne.

Il giudice remittente rammenta, a tal riguardo, come l'istituto de quo nato nella cultura giuridica «con lo scopo di tutelare il patrimonio dell'adottante dando a questi la possibilità di farlo confluire, sia in vita che in morte, al soggetto ritenuto degno», si sia progressivamente allontanato, a partire dalla Riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151) da quella finalità (App. Salerno, 12 maggio 2022, n. 130).

La «modificazione sociale dei rapporti familiari, dei legami e delle ripartizioni delle responsabilità genitoriali», infatti «ha avuto incidenza anche sulla normativa prevista per l'adozione dei maggiorenni che può continuare a essere applicata anche se l'interesse dell'adottante ha solo indirettamente finalità patrimoniali» (che, dunque, assurgono a mera conseguenza rispetto agli obblighi di solidarietà che sono a carico del genitore adottivo), in quanto ciò che emerge sarebbe piuttosto la valorizzazione del «riconoscimento di un rapporto umano di tipo familiare», quale «fine lecito e tutelabile, ai sensi degli articoli 2, 31 e 32 della Costituzione» (App. Salerno, 12 maggio 2022, n. 130).

Alla evoluzione sociale, pertanto, avrebbe in un primo momento fatto seguito la riformulazione dell'art. 299 c.c. (l. 4 maggio 1983, n. 184), il quale nel prevedere (così invertendo l'originaria soluzione codicistica, e risalente all'art. 210 del Codice civile del 1865) che il cognome dell'adottante fosse anteposto a quello dell'adottato rendeva pubblicamente palese il rapporto, cioè pubblico e certo il nuovo stato dell'adottato per finalità patrimoniali e successorie.

E, tuttavia – secondo il giudice remittente – allo stato, altre previsioni normative (art. 33, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) e l'esame di parte della giurisprudenza, anche costituzionale, segnalerebbero un ulteriore mutamento, tale per cui il cognome, avendo «perduto il suo carattere indicativo della stirpe familiare» (App. Salerno, 12 maggio 2022, n. 130), non identificherebbe più quel rapporto, bensì avrebbe la funzione di incarnare la rappresentazione sintetica della personalità individuale.

È questo il punto in cui il discorso sull'adozione (e, conseguentemente, sul cognome che l'adottato assume) si intreccia con il tema dell'identità personale: il modo di intendere il diritto al nome non potrebbe che riflettersi, infatti, sulla ampia “latitudine” di un istituto (l'adozione del maggiore di età) che abbraccia, come si vedrà nel prosieguo, diverse ipotesi.

In particolare, la stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare, anche di recente, come «il cognome, insieme con il prenome, rappresenta il nucleo dell'identità giuridica e sociale della persona»: è il nome, quindi, che – attraverso il cognome – «le conferisce identificabilità» (Corte cost. 31 maggio 2022, n. 131) nei diversi rapporti sociali, giuridici ed economici; e che – attraverso il prenome – la individua e distingue da tutte le altre persone «sul piano familiare» (L. Ghidoni, Adozione del maggiore di età e posposizione del cognome acquisito, in Fam. Dir., 2023, pp. 472 ss).

Il nome – vi si legge ancora – è «autonomo segno distintivo della … identità personale» (Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297), nonché «tratto essenziale della … personalità» (Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286), «riconosciuto come un bene oggetto di autonomo diritto dall'art. 2 Cost.» e, dunque, come «diritto fondamentale della persona umana» (Corte cost., 24 giugno 2002, n. 268).

Il cognome, dunque, accanto alla tradizionale funzione di «segno identificativo della discendenza familiare», gode di «una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona», da intendere «come rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo» (Corte cost., 03 febbraio 1994, n. 13).

La materia trattata, in seguito, ha altresì subito un rilevante cambiamento, tanto che si afferma l'esistenza di un principio per cui il cognome «riflette il tratto identitario costituito dal doppio vincolo genitoriale» (Corte cost. 31 maggio 2022, n. 131).

La sintetica formulazione, del resto, già in un primo momento (art. 262 c.c., nella versione introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) si esplicava, ove fossero subentrati l'accertamento giudiziale o il riconoscimento in via successiva del rapporto di filiazione nei confronti di chi precedentemente non aveva riconosciuto il figlio, nella possibilità per quest'ultimo di determinarsi (se maggiorenne ovvero, se minore di età, di essere comunque ascoltato dal giudice) in ordine alla assunzione del nuovo cognome e alla scelta relativa all'aggiunta, all'anteposizione o alla sostituzione di quello originario; mentre, solo successivamente, si manifesterà ulteriormente (Corte cost. 31 maggio 2022, n. 131) mediante la creazione (derogabile incondizionatamente da parte dei genitori di comune accordo) della regola della generalizzata attribuzione del doppio cognome o, più precisamente di un cognome unico derivante dalla unione dei cognomi del padre e della madre (M. Sesta, Le nuove regole di attribuzione del doppio cognome tra eguaglianza dei genitori e tutela dell'identità del figlio, in Fam. Dir., 10/2022, p. 877).

Ecco la correlazione tra quei due diritti, perché è intorno a quel primo segno distintivo (il nome) che si stratifica e consolida l'identità personale di ogni individuo; questi – e, in particolare, il minore – ha infatti il diritto di vedere traslato sulla propria identità giuridica e sociale il duplice legame genitoriale, quale indiscutibile caratteristica originaria (così A. Diurni, La competizione tra valori identitari nell'attribuzione del cognome alla nascita, in Giur.it., 2022, pp. 2335 ss.; B. Sirgiovanni, Una pronuncia storica: l'attribuzione al figlio del cognome di entrambi genitori (salvo diverso accordo), in Giur.it., 2022, pp. 2348 ss.).

Tale profilo, ovviamente, rileva anche nel contesto della adozione di persona maggiorenne in quanto – come ebbe a specificare la Consulta in una sentenza dei primi anni di questo secolo (Corte cost. 11 maggio 2001, n. 120) – nella misura in cui il nome si è radicato nel contesto sociale in cui un soggetto si trova a vivere, precludere la possibilità di mantenerlo si risolve in un'ingiusta privazione di un elemento della personalità dell'adottato, cioè del diritto «ad essere se stessi».

Il legame tra nome ed identità personale, già sentito ed altamente valorizzato nell'ambito dei diritti della personalità (A. De Cupis, I diritti della personalità, Giuffrè, 1982), ampliava così i propri orizzonti; il nome, infatti, e con l'efficacia propria di ogni sintesi lessicale, è stato persuasivamente definito come «l'appellativo che identifica socialmente la persona» e che soddisfa l'interesse del soggetto a godere della propria identità nel contesto sociale (C.M. Bianca, Diritto civile. La norma giuridica, i soggetti, Milano, 2002, p. 189).

Le basi erano poste, ma i tempi non erano ancora maturi per quell'ulteriore evoluzione che sarebbe arrivata con la pronuncia in commento; la questione (già percepita come problematica) della anteposizione del cognome dell'adottante veniva infatti liquidata come «non … irrazionale», affermandosi come nessuna violazione del diritto all'identità personale si sarebbe potuta evincere dal fatto che il cognome adottivo avesse preceduto o seguito quello originario, in quanto la lesione di tale identità si sarebbe potuta ravvisare solamente nella soppressione di quel segno distintivo: la diversa collocazione dopo il cognome dell'adottante non assumeva, pertanto, in quella vicenda, profili di illegittimità costituzionale (Corte cost. 11 maggio 2001, n. 120) e testimoniava «il prevalente favore della legge per lo stato adottivo» (F. Vessichelli, La nuova legge sull'adozione, in C.M. Bianca, F.D. Busnelli, S. Schipani (a cura di), Legge 4 maggio 1983, n. 1984. Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori. Commentario, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, Milano, 1984, p. 201).

Eppure, l'ordine dei cognomi non appare certo marginale, in quanto la ratio dell'art. 299 c.c. «risiede … nell'esigenza di dare visibilità al legame giuridico che si viene a instaurare con l'adottante, preservando, al contempo, il cognome originario dell'adottato, che reca oramai un tratto non obliterabile della sua identità personale» (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135).

In tale contesto, la Corte Costituzionale, nel dialogo con il proprio precedente, si interroga sulla opportunità di ogni forma di automatismo in materia; perché, se in passato si è esclusa la possibilità di sostituire all'automatismo dell'anteposizione del cognome dell'adottante un eguale e inverso automatismo (con un ritorno alla regola prevista nel Codice civile del 1865 e riprodotta nella formulazione originaria dell'art. 299 c.c.), vale a dire l'aggiunta del cognome dell'adottante a quello dell'adottato, il vero punto fondamentale deve essere individuato nella rigidità del meccanismo legislativo.

Pur riconoscendosi, infatti, come l'anteposizione del cognome dell'adottante a quello dell'adottando risponde (secondo la scelta di fondo operata dalla Legge del 4 maggio 1983, n. 184) all'esigenza di «dare maggiore visibilità alla riconoscibilità sociale dell'adozione del maggiore d'età», occorre ciononostante domandarsi se tale ordine, così immutabilmente fissato, sacrifichi aprioristicamente il diritto all'identità personale di un soggetto (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135).

Ebbene, il rigido automatismo, nella ricostruzione della Corte Costituzionale, non appare giustificato per due ordini di ragioni.

L'impianto ed articolazione dell'adozione del maggiorenne (F. Astiggiano, Adozione di persone maggiori di età, in Ius Famiglie, 2022) si basano, invero, sul consenso di entrambi i soggetti (art. 296 c.c.), onde se l'adottato «ha esigenza di veder tutelato il suo diritto all'identità personale attraverso l'aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome dell'adottante al proprio e se anche l'adottante è favorevole a tale ordine, che non incide sul suo consenso all'adozione, è irragionevole non consentire che la sentenza di adozione possa disporre il citato effetto» (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135).

Quella esigenza, quell'interesse, si spiegano in ragione delle funzioni che l'adozione, con l'evoluzione dei costumi sociali, concretamente svolge; non si tratta, evidentemente, di negare un aspetto personalistico (cioè un imprescindibile movente personalistico) bensì di prendere in considerazione tutte le ipotesi, ed istanze di tipo solidaristico, cui l'istituto – in una realtà che vede affermarsi, più in generale, una pluralità di modelli familiari – può assolvere.

L'adozione invero non ha più o, almeno, non risponde soltanto allo scopo di assicurare la continuità del nome e del patrimonio di famiglia (in quanto «tale finalità è sembrata insufficiente a giustificare la conservazione dell'istituto nell'attuale contesto sociale»: C.M. Bianca, Diritto civile. La famiglia, Milano, 2017, p. 518) ovvero di garantire «la sola costituzione di una discendenza» (L. Ghidoni, Adozione del maggiore di età e posposizione del cognome acquisito, cit.) potendo contribuire, come anticipato, sia ad esigenze di solidarietà sia alla realizzazione di un rapporto di stabile assistenza tra persone adulte.

È quindi la latitudine dell'istituto che abbraccia una eterogenea casistica che rende «ulteriormente palese l'irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità» (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135). Casistica che passa per la possibilità di dare una forma giuridica al rapporto vuoi tra il figlio maggiore d'età e il coniuge, o il convivente, del genitore; vuoi tra chi viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento non temporaneo deciso nel momento in cui era minorenne; o, ancora, che consente a talune persone, spesso anziane, quel rafforzamento del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l'adottando, ovvero di dare continuità al proprio cognome e al proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l'adottando, con cui, di norma, hanno già consolidato un rapporto affettivo.

L'identità personale, poi, potendosi riassumere nella immagine che ciascuno riesce a creare di sé agli occhi degli altri (così P. Gallo, Le Fonti, i soggetti, Giappichelli, 2020, p. 224), può essere fortemente correlata al cognome originario dell'adottando (non di rado già trasmesso ai propri figli), incidendo sulla sua identificabilità nel mondo professionale e nei rapporti sociali.

Ecco che «la rigidità di una previsione insensibile alle esigenze di tutela del diritto alla identità personale dell'adottando», la quale «rischia di frapporre irragionevoli ostacoli a talune delle funzioni che l'istituto svolge a livello sociale, oltre chiaramente a ledere la stessa identità personale», non poteva che portare il giudice delle leggi a dichiarare «l'illegittimità costituzionale dell'art. 299, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto» (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135).

Osservazioni

La pronuncia in commento (che, tra l'altro, era stata in parte anticipata da talune sentenze di merito: Trib. Torino, sez. VII, 27 maggio 2022; Trib. Parma, 27 febbraio 2019; App. Napoli, 04 luglio 2018) appare fondamentale in quanto rafforza, anche nel campo della adozione di persone maggiori di età, il legame tra diritto al nome (inteso come «patrimonio morale di ogni individuo») ed identità personale (che «tutela l'interesse del soggetto a non vedere alterato il proprio patrimonio etico, professionale, religioso … il modo di essere che distingue il singolo nell'insieme») (A. Barba, I soggetti di diritto, in E. Gabrielli (a cura di), Diritto Privato, Torino, 2020, p. 146).

Non è facile individuare, nell'era delle nuove tecnologie e della identità digitale, gli eventuali sviluppi della vicenda ed i valori condivisi della società che andranno emergendo.

Ma, già allo stato attuale, il pensiero corre veloce alle parole di una illustre Dottrina che, da sempre sensibile a quel settore del diritto privato che disciplina i rapporti familiari, scriveva: «l'adozione [civile] è consentita ad una sola persona o ad una coppia di coniugi, con esclusione, quindi, degli uniti civili e delle coppie di fatto»; eppure, con locuzione parentetica, aggiungeva immediatamente come una tale «esclusione» sarebbe «prevedibilmente destinata a cadere» C.M. Bianca, Diritto civile. La famiglia, cit., p. 518).

Ancora non è arrivato quel momento; si pone così in rilievo la diversità con l'adozione del minore in casi particolari (che, a sua volta, impone particolare ed ulteriore sensibilità), in quanto la finalità della adozione civile «non è quella di garantire le esigenze della prole e di proteggere l'interesse superiore del minore … ma di tramandare il patrimonio e consentire all'adottante la continuazione della stirpe» (Trib. Bari, 04 febbraio 2020); e, pertanto, si conclude che laddove la legge sulle unioni civili «avesse voluto consentire l'adozione di maggiorenni anche alle coppie unite civilmente, avrebbe potuto e dovuto richiamare espressamente gli articoli del codice civile in subiecta materia, come espressamente stabilito dall'art. 1, 20 comma» (Trib. Bari, 04 febbraio 2020).

Ci si potrebbe chiedere, allora, se le ulteriori finalità solidaristiche, di valorizzazione di un rapporto stabile tra persone adulte (consacrate nella pronuncia della Corte Costituzionale) e, quindi, non ancorate al mero profilo patrimonialistico, siano in grado di scalfire perfino l'art. 294 c.c. nella parte in cui prevede che, laddove vi siano più adottanti, questi debbono necessariamente essere «marito e moglie»: ben potrebbe presentarsi, del resto, ed oggi più di ieri, un contesto familiare in cui il forte e consolidato legame affettivo, già instaurato tra due adottanti non coniugati ed un adottando, chieda di assumere una veste anche giuridica.

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