Madre e figlia conviventi: la collazione in assenza di relictum

Monica Laudisio
14 Settembre 2023

Sussiste un obbligo di collazione per le donazioni eseguite in vita dal de cuius in favore della figlia convivente che gli ha prestato assistenza?

Massima

Al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità.

Il caso

Il Tribunale di Teramo statuiva, in primo grado, la lesione della quota di legittima spettante agli attori in ordine all'eredità della defunta madre, per effetto delle donazioni dalla stessa effettuate in vita in favore della figlia, con lei convivente sino alla morte, condannando quest'ultima al pagamento in favore dei fratelli di una determinata somma di danaro.

Avverso la suddetta sentenza veniva proposto appello alla Corte di L'Aquila, la quale rigettava il proposto gravame ritenendo che - esclusa la riconducibilità della percentuale dei redditi elargiti dalla de cuius a donazione remuneratoria o ad obbligazione naturale - la de cuius avesse dato luogo, in favore dell'appellante, ad un complesso di donazioni lesive della quota di riserva degli altri legittimari.

Proponeva, dunque, ricorso in Cassazione la soccombente, denunciando la violazione degli artt. 769, 737 e 2729 c.c., per avere erroneamente la sentenza impugnata ritenuto configurabile una donazione soggetta all'obbligo di collazione, senza tenere conto della circostanza decisiva per il giudizio, consistente nella convivenza tra la de cuius e la ricorrente, tale da impedire ontologicamente la configurabilità di una donazione, atteso che gli apporti tra conviventi, lungi dal costituire donazioni, si concretano in conferimenti vicendevoli.

Investita della questione, la Corte di legittimità accoglieva il proposto ricorso, ritenendo mancante, nel ragionamento presuntivo operato nella sentenza di secondo grado i requisiti di gravità e concordanza, di cui all'art. 2729 c.c., per la configurabilità dell'esclusivo spirito di liberalità sottostante ogni dazione di danaro dalla madre alla figlia, potendosi ragionevolmente presumere, nello stesso senso, che le elargizioni effettuate dalla madre in favore della figlia convivente venissero compiute in adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale tra le stesse intercorrente.

La questione

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, principalmente, l'applicazione dell'obbligo di collazione e di riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari alle elargizioni di danaro effettuate in vita dal de cuius in favore di persona con esso convivente, legata da vincolo parentale.

La Corte di legittimità è, quindi, chiamata ad accertare se siano configurabili quali donazioni soggette a collazione e a riduzione gli apporti tra conviventi legati da vincoli di parentela ovvero se la convivenza fra de cuius e beneficiario sia tale da impedire ontologicamente la configurabilità di una donazione, atteso che gli apporti tra conviventi, lungi dal costituire donazioni, si concretano in conferimenti vicendevoli.

Le soluzioni giuridiche

Alla questione proposta, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18814 del 4 luglio 2023, ha dato risposta negativa, rilevando che, a norma dell'art. 742 c.c., non sono comunque soggette a collazione, tra le altre, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, nè le liberalità d'uso di cui all'art. 770 comma 2 c.c..

Per la Corte, presupposto dell'obbligo di collazione è, dunque, che il coerede ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal de cuius, direttamente o indirettamente, tramite esborsi effettuati da quest'ultimo.

Non sono, peraltro, soggette a collazione e riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente (nella specie, si assume, fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni), ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.

Sono, viceversa, soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte da un genitore ad un figlio, non operando al riguardo l'eccezione delineata per il coniuge dall'art. 738 c.c. (Cass. n. 2700/2019).

Ciò detto, nel caso di specie la Corte ha concluso nel senso di ritenere che “la convivenza per ventiquattro anni fra l'anziana madre e la figlia rende altrettanto normale ipotizzare pure l'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale”, non necessariamente concretantesi in donazioni soggette a collazione, posto, inoltre, il mancato accertamento, nel merito, dello spirito di liberalità sottostante le intervenute elargizioni di danaro.

Osservazioni

La questione esaminata in sede di legittimità consente di promuove le seguenti riflessioni relative all'istituto della collazione, la cui definizione è contenute nell'art. 737 c.c., si sensi del quale “I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati. La dispensa dalla collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile”.

La collazione si configura come istituto che si riferisce alla fase della divisione ereditaria, essendo la stessa norma dell'art. 737 c.c. a prevedere che, in sede di divisione, si tenga conto delle donazioni effettuate in vita dal de cuius.

In linea generale rientrano nell'obbligo di collazione tutte le donazioni, dirette o indirette, aventi ad oggetto beni immobili, mobili o somme di denaro, effettuate durante la vita del de cuius.

Relativamente alle donazioni indirette, in ragione della mancata coincidenza tra ciò di cui si impoverisce il donante – nella specie, il denaro – e ciò che entra nel patrimonio del donatario – l'immobile – occorre precisare che oggetto di collazione dovrà essere, non il denaro corrisposto dal donante, ma l'immobile acquistato con tale mezzo dal donatario (Cass. S.U. n. 9282/1992).

La collazione opera con riguardo a soggetti qualificati, ossia di coloro che, in qualità di coniuge (o unito civile), figli o discendenti del de cuius, abbiano già accettato l'eredità (Cass. n. 11831/1992); restando esclusi dal relativo obbligo, i meri chiamati all'eredità ovvero i soggetti rinuncianti.

Si ritiene che la ratio dell'istituto vada rinvenuta nella presunta volontà di pari di trattamento dei coeredi da parte del disponente (Cass. n. 21896/2004), nel senso di ritenere che, ove non diversamente disposto, le attribuzioni effettuate dal donante a titolo di donazione in favore di determinati soggetti siano effettuate in conto di futura successione.

L'istituto della collazione consente, in assenza di dispensa, di mantenere equilibrato il rapporto tra le quote ereditarie anche in presenza di donazioni anteriori, mediante l'adempimento, da parte dell'erede, dell'obbligo d'imputazione alla propria quota ereditaria di quanto dal medesimo ricevuto in vita dal de cuius a titolo di donazione. In tal senso la collazione è istituto che consente di mantenere inalterata la parità di trattamento tra coeredi in sede divisionale, mediante l'aggiunta al relictum ereditario del donatum disposto in vita dal de cuius.

Posto l'obbligo di collazione in capo ai donatari qualificati, è possibile per il donante, nello stesso atto di donazione, o anche successivamente, in sede testamentaria, dispensare il donatario dall'obbligo di collazione, in modo da alterare volontariamente la parità di trattamento tra coeredi prevista, in prima battuta, dalla legge. Tale volontaria alterazione delle quote ereditarie è concessa al disponente solo nei limiti della quota disponibile, in quanto non lesiva dei diritti di legittima spettanti ai legittimari. Trattasi di liberalità supplementare, costituente, per certa dottrina, un negozio autonomo ovvero, per altra impostazione, una clausola accessoria del negozio cui essa è apposta (Cass. n. 14590/2003).

A livello pratico, in caso di donazione senza dispensa dalla collazione, essa sarà computata, in sede divisionale, nella quota del coerede/donatario; in caso di donazione con dispensa dalla collazione, la donazione non andrà computata nella quota del coerede/donatario, ma andrà ad aggiungersi ad essa, sempre nei limiti della disponibile e, quindi, nel rispetto delle quote di legittima spettanti agli altri legittimari.

Si discute circa la possibilità per il donante di disporre la collazione volontaria del bene donato, al di là, cioè, delle ipotesi legislativamente previste. Alcuni autori si esprimono in senso negativo, ritenendo il disponente legittimato solo alla dispensa da collazione; la giurisprudenza (Cass. n. 1/1997) e la dottrina dominante la ritengono possibile nei limiti e nel rispetto dei diritti dei legittimari (art. 737 comma 2 c.c.).

Ai sensi degli artt. 746 e 747 c.c. l'obbligo di collazione può essere dall'erede adempiuto secondo due differenti modalità: per imputazione ovvero in natura.

La collazione per imputazione costituisce la regola generale, applicabile e a prescindere dalla natura del bene donato (beni immobili, mobili e somme di danaro), in forza della quale, per una sorta di fictio juris, il coerede/donatario imputa alla propria quota ereditaria il valore di quanto ricevuto per donazione in vita dal de cuius. Effettuata tale imputazione, il coerede avrà diritto di prelevare dal relictum ereditario solo la differenza residuante tra il valore della donazione e quanto ancora necessario a formare la propria quota di eredità.

Per i beni mobili o immobili, il valore da imputare in sede di collazione è quello del bene esistente al tempo di apertura della successione, e non al tempo di perfezionamento della donazione, comprensivo, pertanto, di un'eventuale rivalutazione; la collazione delle donazioni di denaro verrà effettuata, invece, in base al valore nominale dello stesso al tempo della donazione.

Con la collazione in natura, ammissibile solo nel caso in cui la donazione abbia ad oggetto beni immobili, si verifica un vero e proprio trasferimento in natura del bene donato dal donatario alla massa ereditaria oggetto di divisione, con tutte le conseguenze che ne derivano relativamente al rispetto delle prescrizioni di forma previste per i trasferimenti immobiliari, diversamente da quanto accade nella collazione per imputazione, in cui, come visto, il bene resta nel patrimonio del donatario e solo il controvalore dello stesso viene ad essere imputato alla quota ereditaria.

L'effetto traslativo che consegue alla collazione in natura comporta, ovviamente, l'impossibilità di procedervi nel caso in cui il donatario abbia, medio tempore, alienato ovvero ipotecato il bene ricevuto. Per dottrina e giurisprudenza, anche la costituzione di diritti reali di godimento sul bene ricevuto in donazione costituisce causa ostativa alla collazione in natura (Cass. n. 2178/1971), perdendo il coerede la piena disponibilità del bene.

Quanto agli effetti della collazione, una prima teoria ritiene che essa determini l'automatica risoluzione della donazione che ne costituisce oggetto; per la teoria dominante, la collazione comporterebbe la nascita, in capo ai coeredi/donatari, all'apertura della successione, di un'obbligazione con facoltà alternativa, consistente nella scelta tra effettuare la collazione per imputazione ovvero in natura. Con riguardo, in particolare, alla collazione in natura, parte della dottrina ritiene che con essa si verifichi la revocazione (caducazione) dell'originario atto di donazione, per alcuni autori con effetto retroattivo, per altri con efficacia ex nunc. Contro tale impostazione, la dottrina preferibile osserva come la donazione originaria produca integralmente i propri effetti giuridici, i quali non vengono caducati dalla successiva collazione, come dimostrato dalla legittimazione del donatario all'alienazione del bene ricevuto, con il solo obbligo, a suo carico, di procedere, in sede divisionale, alla collazione del bene per imputazione e non più in natura. In tal senso, poiché il contratto di donazione resta valido ed efficace tra le parti, la collazione finisce per incidere sul solo oggetto dello stesso, che dal donatario viene trasferito alla massa ereditaria. Autorevole autore si è espresso in termini di prelegato anomalo ex lege, consistente nel diritto degli altri coeredi di ottenere la collazione del bene donato da parte del solo coerede/donatario.

Poiché, come detto, la collazione è istituto che consente di mantenere inalterata la parità di trattamento tra coeredi in sede divisionale, mediante l'aggiunta al relictum ereditario del donatum disposto in vita dal de cuius, occorre chiedersi se essa operi anche in assenza di relictum, ossia nel caso in cui il de cuius abbia disposto in vita di tutti i suoi beni, senza lasciare nulla per successione. Secondo parte della dottrina, la collazione opererebbe anche in tal caso, con la conseguenza che, operando la collazione, le quote ereditarie dovranno essere ricalcolate. Secondo la giurisprudenza (Cass. n. 509/2021; Cass. n. 41132/2021) e altra dottrina, invece, essendo la collazione una fase del procedimento divisionale, essa presuppone una comunione ereditaria e, quindi, un asse da dividere, in assenza del quale, avendo i coeredi già ricevuto beni determinati con donazioni o legati, la collazione non avrebbe margine di operatività e ragione di esistere. In tal caso le donazioni lesive della quota di legittima potranno essere impugnate dai legittimari con l'azione di riduzione.

Nel caso sottoposto alla Corte di Cassazione non viene in rilievo un'operazione divisionale tra coeredi, ma l'azione di accertamento della lesione della quota di legittima promossa dagli attori in ordine all'eredità materna, in seguito alle elargizioni effettuate dalla suddetta de cuius in favore della figlia convivente. Afferma, a proposito, la Corte che “In caso di asserita lesione della quota di legittima, ed ai fini dell'obbligo di collazione tra i soggetti indicati dall'art. 737 c.c., come in caso di esercizio dell'azione di riduzione verso il coerede donatario, rilevano le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius”. Da tale assunto i giudici di legittimità lascerebbero trasparire l'adesione per l'operatività della collazione anche in assenza di operazioni divisionali e, quindi, anche in assenza di un relictum da dividere, al solo fine di rideterminare quantitativamente le quote di riserva spettanti ai coeredi legittimari. Il donatum, in tale prospettiva, non cadrebbe in comunione per essere diviso, ma sarebbe direttamente attribuito a ciascun coerede in modo da concretare l'apporzionamento proporzionale delle quote dei legittimari.

Tale tesi, nel negare alla comunione ereditaria il rango di presupposto indefettibile del fenomeno divisionale, appare oggi coerente con l'effettuata revisione critica della natura dichiarativa della divisione, in favore della natura costitutiva della stessa (Cass. S.U. sent. n. 25021/2019). Ne discende che, in presenza di plurime donazioni di somma di danaro, non essendo possibile collazione in natura, ma solo per imputazione, sorgerà in capo al donatario, che si sia visto imputare per donazione un valore superiore a quello spettantegli, un'obbligazione di corrispondere agli altri legittimari una somma di danaro corrispondente a quanto necessario per la reintegrazione della quota di riserva loro spettante ai sensi di legge.

Sul punto si osserva che, secondo la dottrina, collazione e riduzione delle donazioni costituiscono istituti diversi, non coincidenti quanto a legittimazione soggettiva e interessi sottostanti, in quanto, mentre la prima appare diretta a consentire la parità di trattamento tra coeredi in sede divisionale mediante la messa in discussione delle donazioni effettuate; la seconda - mediante la c.d. riunione fittizia, costituente una mera operazione matematica diretta all'accertamento delle quote di riserva spettanti ai legittimari – mira a tutelare l'integrità della legittima al di là di operazioni divisionali. Presupposta la distinzione teorica tra i due istituti, a livello disciplinare, l'art. 556 c.c., dettato in tema di riunione fittizia, espressamente rinvia, per la determinazione del valore dei beni donati, alle regole sulla collazione; detto rinvio viene dalla dottrina esteso, non solo ai criteri valutativi, ma all'oggetto della collazione stessa, posto il testuale richiamo che l'art. 564 ult. comma c.c., in tema di imputazione ex se, effettua alle norme sulla collazione. Ne consegue l'equiparazione pratica dei due istituti, come efficacemente evidenziato dalla Corte di legittimità nel far discendere l'applicazione dei principi da essa espressi sia dalla disciplina dell'obbligo di collazione tra i soggetti indicati dall'art. 737 c.c. sia da quella dell'azione di riduzione nei confronti del coerede donatario.

Pertanto, poiché la fattispecie rimessa all'esame della Corte ha ad oggetto l'azione di riduzione proposta dai legittimari al di fuori di operazioni divisionali, occorre rilevare come la Corte utilizzi il medesimo criterio discretivo al fine di individuare le donazioni soggette sia a collazione ereditaria che a riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari.

Ciò detto sul piano teorico, sul presupposto dal mancato accertamento di fatto dello spirito di liberalità, ritiene la Corte che non sono soggette a collazione né a riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente; nella specie, quelle fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia, con lei unica convivente, nel corso di ventiquattro anni, in adempimento delle obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale. Ne consegue, in punto di diritto, che al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità.

Nel caso in esame, il rilevante valore del capitale incassato dalla figlia convivente – quantificato nella complessiva somma di euro 114.659,40 - osta alla configurazione della donazione di modico valore prevista dall'art. 783 c. c. - tra l'altro inapplicabile ai figli - ma potrebbe astrattamente essere compatibile con la nozione di liberalità d'uso risultante dall'art. 770, comma 2, c.c. - non costituente donazione in senso tecnico e, quindi, non soggetta alla forma scritta e alla disciplina della collazione - quando le elargizioni (anche non modiche) si uniformino, come nel caso di specie, alle condizioni economiche della donante e corrispondano agli usi e costumi propri di una determinata occasione, tenuto conto dei rapporti di convivenza e parentela tra le parti e della loro posizione sociale (Cass. civ., n. 6720/1988; Trib. Padova n. 1908/2021).

Nonostante la causa di siffatte attribuzioni non appaia, prima facie, diversa da quella del negozio di liberalità donativa, comportando impoverimento del donante e arricchimento del donatario, il particolare motivo delle elargizioni, rappresentato dall'intento del disponente di compensare un soggetto per i servizi da costui ricevuti, nel rispetto di un uso diffusisi in una determinata località e in un determinato periodo di tempo, finisce per mutare la causa dell'attribuzione, non più spontanea – e quindi donativa – ma eseguita in osservanza di determinate obbligazioni indotte dalla convivenza reciproca tra le parti e dal legame di parentela tra esse intercorrente.

Riferimenti

Capozzi, Successioni e donazioni, Terza ed. a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, 2009;

Torrasi, Successioni e contenzioso ereditario, Milano, 2022;

Busani, La successione mortis causa, Milano, 2020;

Andrini, La collazione. Il fondamento e la natura giuridica, in Successioni e donazioni a cura di Rescigno, II, Padova, 1994.

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