Solo la delibera assunta all’unanimità dei partecipanti può attribuire la proprietà di un bene comune ad un condomino

06 Ottobre 2023

Posto che la c.d. presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c. può essere vinta da un “titolo contrario”, rappresentato - tra gli altri - da una delibera assembleare, purchè adottata con il voto (non della maggioranza, bensì) dell'unanimità dei partecipanti al condominio, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva negato che l'effetto traslativo di una porzione dell'edificio in regime di condominio da proprietà comune a proprietà di un singolo condomino potesse conseguire alla mera annotazione a penna del nominativo del suddetto condomino accanto al cespite in questione, all'interno di una tabella millesimale.

Massima

Ai fini dell'attribuzione di un bene comune in proprietà esclusiva ad un condomino è necessaria un'espressa deliberazione dell'assemblea, assunta all'unanimità, posto che tale deliberazione, per sortire l'effetto traslativo della proprietà, deve assumere un valore contrattuale.

Il caso

La controversia - sottoposta, di recente, all'esame del Supremo Collegio - traeva origine da un'azione di rivendicazioneex art. 948 c.c., proposta da un Condominio (in persona del suo amministratore) nei confronti di un condomino, al fine di vedersi restituire un piccolo locale situato nell'androne dell'edificio, in possesso di quest'ultimo, a seguito dell'acquisto della proprietà di un'unità immobiliare sita nello stesso stabile.

Tale azione veniva esercitata sull'assunto della presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c., in quanto il locale era originariamente destinato a guardiola del portiere dello stabile.

Il convenuto contestava la domanda, evidenziando che il Condominio non avesse provato la proprietà condominiale del bene in oggetto ed eccependo in via riconvenzionale l'avvenuto acquisto per usucapione dello stesso.

Il Tribunale adìto accertava la natura condominiale del locale, e condannava il condomino a riconsegnare il locale al Condominio, e rigettava, al contempo, l'eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata da quest'ultimo

La Corte d'Appello respingeva l'appello del soccombente: in particolare - per quel che qui ancora rileva - disattendeva la censura avverso la decisione di prime cure, nella parte in cui la stessa, per un verso, aveva affermato che solo una deliberazione assunta all'unanimità da tutti i partecipanti al condominio potesse costituire titolo valido per attribuire in proprietà esclusiva di uno di essi un bene immobile già incluso tra le parti comuni dell'edificio, ritenendo la delibera assembleare, nel caso di specie, inidonea a produrre tale effetto traslativo, e, per altro verso, aveva ritenuto infondata l'eccezione di usucapioneex art. 1159 c.c., in quanto non risultano provati né il possesso ultradecennale né la buona fede dell'acquirente.

Avverso la sentenza del giudice distrettuale, il condomino aveva proposto ricorso per Cassazione

La questione

Si trattava di verificare quale atto fosse idoneo a trasformare il locale, già adibito a guardiola del portiere, in bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze del ricorrente.

In punto di fatto, era pacifico che l'assegnazione del piccolo locale - dell'estensione pari a 5 mq. - sarebbe avvenuta in occasione di una determinata assemblea, non già a mezzo della delibera, bensì mediante “l'indicazione a penna a margine delle tabelle millesimali del nome del venditore”.

In altri termini, la mancanza del carattere di condominialità del bene per successiva assegnazione in titolarità esclusiva sarebbe contenuta in una tabella millesimale, redatta in epoca imprecisata ma sicuramente successiva - quando i condomini erano 18, mentre quelli presenti a quella assemblea erano solo cinque - nella quale accanto all'unità immobiliare è stato aggiunto a mano il nome del suddetto condomino.

Al riguardo, il ricorrente aveva invocato il principio - contenuto in precedenti dello stesso giudice di legittimità proprio in tema di locale destinato a portineria e di alloggio del portiere (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7459; Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17397 anche Cass. n. 7459/2015) - secondo il quale, in tema di condominio, la trasformazione in tutto o in parte di un bene comune in bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini può essere validamente deliberata da tutti i condomini, “in mancanza di un valido titolo contrario alla presunzione di titolarità condominiale ex art. 1117 c.c.”.

Tuttavia - precisano gli ermellini - occorre una espressa deliberazione, assunta all'unanimità, di assegnazione di un bene o di una porzione in proprietà esclusiva ad uno dei condomini, posto che tale deliberazione, per sortire l'effetto traslativo della proprietà, deve assumere un valore contrattuale, e tale effetto non può certamente essere attribuito ad una mera annotazione a penna del nominativo di un condomino apposta accanto al cespite, considerando gli stessi magistrati del Palazzaccio hanno ritenuto comunque insufficiente, ad escludere la natura condominiale del bene, anche la sola inclusione dello stesso nelle tabelle millesimali relative ad un singolo condomino (Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2009, n. 6175).

Per il resto, l'accertamento della mancanza della buona fede nel possesso, quale motivo escludente l'usucapione decennale di cui all'art. 1159 c.c., costituiva un apprezzamento incensurabile di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile se immune - come nella specie - da vizi logici e da errori di diritto, sicché il ricorso per cassazione veniva nel complesso rigettato.

Osservazioni

I rilievi di cui sopra offrono lo spunto per brevi riflessioni in ordine al “titolo contrario” che, ai sensi dell'art. 1117 c.c., è idoneo a superare la c.d. presunzione di condominialità (in disparte, quindi, l'istituto dell'usucapione).

Innanzitutto, si è concordi nel ritenere che tale titolo, che possa comportare l'attribuzione della proprietà esclusiva a cose che, altrimenti, sarebbero comuni, deve consistere in un atto scritto di inequivoca interpretazione; trattandosi di atto per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, in quanto incidente sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare, non potrebbe, ad esempio, il condomino dimostrare con la prova testimoniale che una porzione immobiliare non sia stata annoverata tra le parti comuni dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 1982, n. 2256), e, a fortiori, il semplice silenzio nel titolo non è idoneo a vincere la presunzione di comunione.

Non è necessario che il suddetto atto scritto contenga un'espressa dichiarazione di volontà avente ad oggetto l'esclusione delle cose indicate nell'art. 1117 c.c. dal novero delle cose comuni, essendo sufficiente che dall'atto - costitutivo o successivo, perché di natura convenzionale (v. appresso) - emergano, in modo chiaro ed inequivoco, elementi tali da dimostrare che la cosa, diversamente da quanto desumibile dalla sua destinazione, di fatto, sia di proprietà esclusiva del singolo condomino; si tratterà, in buona sostanza, di verificare, caso per caso, quale è stata la volontà dei contraenti, ossia di restringere o meno l'àmbito delle parti comuni elencate nella suddetta norma.

Al fine di stabilire, dunque, se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento principalmente all'atto costitutivo del condominio (v., ex multis, Cass. civ., sez. II,  27 maggio 2011, n. 11812), e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto, atto dal quale, peraltro, devono risultare in modo chiaro ed inequivocabile elementi rivelatori dell'esclusione della condominialità del cortile (v., in particolare, Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2002, n. 11877: nella specie, si era cassata la decisione di merito che aveva tratto il convincimento della riserva di proprietà dei cortili da parte degli originari proprietari dell'intero fabbricato, non già all'esito di una valutazione completa ed esauriente del contratto di vendita costitutivo del condominio, ma sulla base di una singola espressione in esso contenuta, riferita al “restante terreno” di cui i venditori si erano riservata la proprietà, senza chiarire se detto terreno si identificasse o meno con l'area cortilizia oggetto della controversia).

Pertanto, al fine di vincere in base al titolo contrario la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate dall'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti e se, dunque, da esso emerga o meno l'inequivocabile volontà delle parti di riservare al costruttore-venditore la proprietà di quei beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all'uso comune; pertanto - proprio perché la questione relativa alla superabilità o meno della presunzione di proprietà comune su un'area destinata a verde antistante la facciata di un edificio condominiale, implica l'interpretazione della volontà contrattuale - essa si colloca in relazione agli artt. 1362 ss. c.c. (v., soprattutto, Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2002, n. 16022).

Orbene, l'atto scritto di cui sopra è rappresentato, segnatamente, dall'atto in base al quale il condominio è venuto, a suo tempo, ad esistenza, e cioè il primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto (in ordine al rogito di acquisto, v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2002, n. 12340; Cass. civ., sez. II, 4 novembre 1994, n. 9062; Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318; Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2451); tuttavia, può ritenersi valido titolo per superare la presunzione di comproprietà anche il negozio giuridico con cui tutti i partecipanti (nessuno escluso), in un momento “successivo” alla nascita del condominio, modifichino il regime stabilito dal titolo costitutivo del condominio stesso (v., segnatamente, Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1999, n. 1568).

In quest'ordine ci concetti, si pone una pronuncia - v.  Cass. civ., sez. II, 3 maggio 2002, n. 6359; cui addeCass. civ., sez. II, 22 febbraio 1988, n. 1859; Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, in ordine alla proprietà di alcuni scantinati - secondo la quale, al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto; pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'àmbito dei beni comuni è attribuita al condominio, deve escludersi che un singolo condomino abbia potuto acquisirne con atto successivo la proprietà esclusiva dall'originario unico proprietario, seppure il bene, per la conformazione dei luoghi, sia di fatto goduto ed utilizzato più proficuamente e frequentemente da tale condomino piuttosto che dagli altri.

Di contro, atteso che, al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto, qualora, in occasione della prima vendita, la proprietà di un bene, potenzialmente rientrante nell'àmbito dei beni comuni, risulti espressamente riservata, invece, ad un solo dei contraenti, va escluso che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (v.  Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1997, n. 11844, riguardo ad un piano terreno a pilotis).

L'esclusione della condominialità, spesso, risulta contenuta nel regolamento contrattuale, ossia quello predisposto dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto, ove si dovrà indagare se da esso emerga o meno la volontà delle parti di “riservare” ad uno o più condomini la proprietà di beni che, per ubicazione e struttura, sono destinati all'uso comune; qualora, in caso di successive vendite di appartamenti dell'edificio, nulla si stabilisca sul punto, non potrà scattare la presunzione di comunione, in quanto esclusa dal titolo contrario già all'atto di nascita del condominio; se, invece, il regolamento ripete pedissequamente la formulazione dell'art. 1117 c.c., la fonte del regime condominiale rimane pur sempre la legge.

Invece, non può costituire “titolo”, nel senso sopra indicato, il regolamento assembleare, ossia approvato a maggioranza (e non all'unanimità) dei condomini; ad avviso della magistratura di vertice, infatti, la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento assembleare (Cass. civ., sez. II, 20 settembre 2012, n. 15848;  Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5633).

Stesse considerazioni valgono, a fortiori, per quanto riguarda la delibera assembleare adottata a mera maggioranza - com'è il caso affrontato nella sentenza in commento - sicché, ad esempio, la trasformazione in tutto o in parte, nell'àmbito di un condominio, di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini può essere validamente deliberata solo all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale (Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1994, n. 8777: nella specie, si è confermata la decisione la quale aveva dichiarato la nullità della delibera assembleare, presa a maggioranza, con cui un condomino era stato autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo).

Idem, dicasi per le tabelle millesimali, poichè la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune; da ciò consegue che chi voglia vincere tale presunzione ha l'onere di fornire la prova della proprietà esclusiva, non essendo determinanti, a questo proposito, l'eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali, come proprietà esclusiva del singolo condomino (Cass. civ., sez. II, 23 agosto 2007, n. 17928).

Qualche perplessità è sorta riguardo al testamento: sembra possibile che il testatore attribuisca unità immobiliari a più persone e regoli tra loro la distribuzione delle cose comuni, escludendone alcune dalla contitolarità - Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1969, n. 2328, con riferimento al comportamento del testatore, essendo irrilevante quello degli eredi - precisando, però, che, se il condominio si è già costituito, il testamento non può considerarsi come titolo contrario, perché il de cuius può attribuire all'erede i diritti di cui è titolare in vita, ma non può sottrarre agli altri condomini parti che sono comuni per legge o per convenzione.

Nel medesimo ordine di concetti, non costituisce “titolo”, nel significato sopra delineato, il solo atto di frazionamento eseguito dall'originario costruttore (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1991, n. 1915); infatti, per vincere in base al titolo la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c., non è sufficiente il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione eseguiti a domanda del venditore-costruttore della parte dell'edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendo riconoscersi tale effetto soltanto al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà di entrambi i contraenti (v., altresì, Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2010, n. 11195; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2001, n. 2670).

Parimenti, è stato affermato che le mappe catastali, essendo il catasto preordinato a fini essenzialmente fiscali, non possano fornire la prova dell'esistenza di un “titolo” idoneo a comportare la sottrazione di determinati beni al regime della condominialità, in quanto le mappe de quibus non hanno rilievo decisivo in materia di rivendicazione o di accertamento della proprietà, e non dispensano dall'onere di fornire la dimostrazione del titolo da cui si assume derivare il diritto reale (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2014, n. 9523, riguardo al corridoio di accesso alle cantine, al vano sottoscala ed al locale caldaia; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1498, con riferimento alle scale).

Riferimenti

Poccia, La presunzione di condominialità della cosa comune non basta per ottenere la tutela di reintegra nel possesso, in Riv. giur. edil., 2018, I, 360;

Criscuoli, Testamento e condominio: presunzione ex art. 1117 c.c. e “titoli” idonei a superarla, in Immob. & proprietà, 2017, 559;

Cappai, La “presunzione di comunione” ex art. 1117 c.c.: ambito applicativo, titolo contrario e natura giuridica della regola, in Riv. giur. sarda, 2013, I, 560;

Petri, La presunzione della proprietà comune non è vinta dal regolamento assembleare, in Giur. it., 2005, 1623;

Celeste, Il c.d. condominio parziale tra presunzione di comunione, titolo contrario e destinazione particolare del bene, in Rass. loc. e cond., 2003, 469;

De Tilla, Sul titolo contrario alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., in Rass. loc. e cond., 1994, 240.

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