La Corte costituzionale riconosce l’adozione aperta

23 Ottobre 2023

La sentenza che dichiara l’adozione piena di un minore in stato di abbandono può prevedere che questi mantenga rapporti di fatto con alcuni parenti della famiglia d’origine, una volta recisi i rapporti giuridico-formali?

Massima

In ordine all’art. 27, terzo comma, della l. 4 maggio 1983, n. 184, va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata per dedotto contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; vanno poi dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate per dedotto contrasto con l'art. 3 Cost. e gli artt. 2,30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e gli artt. 3, 20, comma 3, e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 20 maggio 1991, n. 176.

Il caso

Constatato lo stato di abbandono di due minori, la Corte d'appello conferma la loro dichiarazione di l'adottabilità, ma stabilisce che essi possano conservare relazioni con la nonna materna e con alcuni familiari del ramo paterno. La Corte di Cassazione, richiesta dal Procuratore Generale di una pronuncia nell'interesse della legge, non condividendo quanto affermato dal giudice a quo, solleva una duplice questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 comma terzo l. 184/1983, là dove prevede che l'adozione determina la cessazione dei rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine. I giudici della Consulta dichiarano inammissibili ed infondate le censure sollevate, fornendo un'interpretazione della norma sottoposta al loro esame, coerente con i precetti costituzionali.

La questione

La sentenza che dichiara l’adozione piena di un minore in stato di abbandono può prevedere che questi mantenga rapporti di fatto con alcuni parenti della famiglia d’origine, una volta recisi i rapporti giuridico-formali?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, l'art. 27 della legge n. 184/1983 regola gli effetti dell'adozione piena. Per effetto di essa il minore adottato acquista lo status di figlio nato nel matrimonio degli adottanti (primo comma); nel contempo l'adozione determina la cessazione dei «rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali» (terzo comma). L'adozione mira infatti a realizzare con la massima fedeltà possibile, gli effetti propri della filiazione che scaturisce con la nascita; l'istituto realizza una sorta di “rinascita” per il minore dichiarato in stato di abbandono, cui è garantito l'inserimento, a pieno titolo, in una nuova famiglia, ritenuta idonea a crescerlo e ad educarlo. Coerentemente, l'art. 28 della l. cit. esclude, nelle attestazioni di stato civile concernenti l'adottato, ogni possibile riferimento alla paternità o alla maternità biologiche o all'avvenuta adozione; la tutela è rafforzata dalla sanzione penale di cui all'art. 73.

L'evoluzione normativa, favorita dagli interventi della Corte EDU, ha condotto ad un'erosione del principio per cui l'adozione, quale “rinascita”, debba necessariamente comportare una radicale cancellazione del passato. Particolare importanza rivestono all'uopo le modifiche alla l. 184/1983, introdotte con l. 173/2015, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. Il nuovo comma 5-bis dell'art. 4 della legge n. 184 del 1983 prevede che la coppia affidataria, avente i requisiti richiesti dall'art. 6, possa chiedere di adottare il minore che le è stato affidato e che sia stato dichiarato nel frattempo in stato di abbandono. A sua volta, il comma 5-quinquies, sin dalla fase dell'eventuale affidamento, dispone che, nel “caso in cui vi siano fratelli o sorelle”, il tribunale provveda “assicurando, per quanto possibile, la continuità affettiva tra gli stessi”: la legge mira a facilitare il più possibile l'adozione congiunta di fratelli e sorelle; ciò comporta da un lato l'elisione dell'originario vincolo di parentela, ma dall'altro assicura che venga, invece, preservata la continuità della relazione socio-affettiva, sulla quale si va a innestare un nuovo rapporto di parentela, fondato sul vincolo adottivo.

Viene così tutelata la continuità degli affetti ed introdotta nel contempo una breccia nella pregressa rigorosa linea di demarcazione tra affidamento eterofamiliare ed adozione. Ciò è vieppiù confermato dal comma 5-ter del cit. art. 4, che tutela la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento, qualora il minore faccia ritorno nella famiglia di origine, sia dato in affidamento ad altra famiglia ovvero sia adottato da altra coppia. In definitiva, come correttamente osserva la sentenza in commento, “anche a livello legislativo, si è affermata l'idea che lo sviluppo della personalità del minore abbandonato non richieda, sempre e di necessità, una radicale cancellazione del passato, per quanto complesso e doloroso”.

Del pari, la stessa declaratoria di stato di abbandono, sulla scorta della giurisprudenza EDU, viene sempre più interpretata come una misura estrema alla quale fare ricorso solo in ultima istanza, quando consti l'irrecuperabilità delle capacità genitoriali in tempi ragionevoli (art. 15 della l. 184/1983, come novellato nel 2013); si deve infatti valorizzare il fondamentale diritto del minore a crescere nella propria famiglia d'origine. Proprio per offrire adeguata protezione al minore in situazioni di c.d. semiabbandono, tali da escludere una dichiarazione di adottabilità, la giurisprudenza di merito, inaugurata dalle note decisioni del Tribunale minorile di Bari, ha elaborato la tipologia dell'adozione c.d. “mite”, strutturata nelle forme di quella in casi particolari ex art. 44 lett. d) l. 184/1983: l'impossibilità di un affidamento preadottivo è diretta conseguenza del difetto di uno stato di abbandono pieno. Detta forma di adozione, caldeggiata dai giudici di Strasburgo, ha trovato importanti conferme anche da parte della Corte di cassazione (cfr., tra le più recenti pronunce, Cass. 31 luglio 2023, n. 23173; Cass. 1° marzo 2023, n. 6188; Cass. 1° luglio 2022, n. 21024; Cass. 23 giugno 2022, n. 20322).

L'adozione “mite”, diversamente da quella piena non recide i rapporti tra adottanti e minore, ed in questo senso potrebbe non realizzare del tutto i desideri dell'aspirante coppia adottiva, che miri ad avere un figlio esclusivamente proprio, onde le due forme di adozione non sono fungibili, se non con l'espresso consenso degli adottanti. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 79/2022, l'adozione in casi particolari viene a costituire un vincolo di parentela del minore non solo con gli adottanti, ma anche con i componenti dei rispettivi rami parentali, così differenziandosi dalla normativa di riferimento, rappresentata dall'adozione di maggiorenni, rispondente ad esigenze e finalità ben diverse. Proprio per le sue peculiarità, la disciplina dell'adozione “mite”, pur generando una filiazione adottiva, non può rappresentare un adeguato parametro di confronto per supportare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della l. 184/1983 nei termini espressi dall'ordinanza di rinvio; di tanto dà ampia ragione la sentenza qui annotata,

In una direzione distinta dall'adozione “mite”, ma sempre in un percorso funzionale alla ricerca di soluzioni più aderenti alla complessità del reale, si è poi sviluppata nella giurisprudenza minorile l'ipotesi di una adozione c.d. “aperta”, come ricorda la Consulta, richiamando diverse pronunce di merito. Essa nasce dall'esigenza di coniugare l'istituto dell'adozione piena, in presenza di un effettivo stato di abbandono del minore, con la necessità di preservare (e mantenere dunque aperte) alcune relazioni di tipo socio-affettivo con componenti della famiglia biologica, con i quali il minore abbia avuto positive relazioni personali. Secondo la Corte di Cassazione peraltro questa prassi virtuosa avrebbe potuto non essere consentita dall'art. 27 della l. 184/1983, che, come si è visto, prevede quale effetto dell'adozione la recisione dei rapporti del minore con la famiglia d'origine, tanto da sollevare questione di legittimità costituzionale.

La Consulta viene a dissipare i dubbi sollevati dall'ordinanza di rimessione, con un'interpretazione della norma censurata pienamente aderente alla Carta costituzionale. In buona sostanza, la sentenza annotata, sulla scorta di un'ampia ricognizione normativa e giurisprudenziale, tiene a precisare come nella generica formulazione dell'art. 27 cit., rientrino sia i rapporti giuridici-formali intercorsi tra il minore e la famiglia d'origine, sia i rapporti di fatto. Solo per i primi sussiste una presunzione assoluta di recisione, che consente al minore di entrare a pieno titolo quale figlio “esclusivo” della coppia che lo ha adottato; per i secondi invece si configura una presunzione juris tantum, suscettibile di superamento da parte del giudice minorile. Ciò potrà avvenire solo quando il minore abbia instaurato significative relazioni affettive con familiari, certamente non in grado di garantirgli cura, educazione ed assistenza nei termini tali da ovviare ad un conclamato stato di abbandono, la cui recisione potrebbe peraltro essere contraria al suo interesse, se non pregiudizievole. Come precisa la sentenza in esame, gli artt. 2 e 30 Cost. unitamente alle fonti internazionali di riferimento, “mettono in luce la funzione che riveste, ai fini di un equilibrato sviluppo della personalità del minore, la tutela della sua identità che, oltre a costruirsi nel presente e nel rapporto con le nuove relazioni affettive che sorgono dal vincolo adottivo inevitabilmente si radica anche nel passato, ciò che richiede una consapevolezza delle proprie radici e la necessità di preservare una continuità rispetto a pregresse e positive relazioni di tipo socio-affettivo”. Si vuole così preservare nel minore una linea di continuità con il mondo degli affetti, che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità personale.

Ovviamente, ogni accertamento è demandato al giudice minorile, che dovrà procedere con la necessaria prudenza ad una valutazione caso per caso, tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie (l'età del minore, il tipo ed il grado di rapporti che si sono instaurati con i parenti, le effettive risorse di costoro), preservando comunque la segretezza dell'identità della famiglia adottiva.

Osservazioni

La sentenza in commento conferma come l'adozione di minori oggi non sia più strutturata sulla base di un modello unitario. Coesistono infatti almeno tre forme diverse di adozione, che si distinguono fra loro sotto l'aspetto giuridico-formale, ovvero relazionale. L'adozione “piena” è quella più aderente al paradigma tradizionale: il minore, dichiarato in stato di abbandono, acquisisce un nuovo status filiationis, come fosse figlio matrimoniale della coppia adottiva e recide tutti i rapporti di diritto e di fatto con i componenti della famiglia d'origine (v. al riguardo Cass. 22 novembre 2021, n. 35840). L'adozione “aperta”, qui in esame, pur muovendo sempre dall'accertamento di uno stato di abbandono, consente al minore di mantenere una relazione affettiva con taluni parenti, per lui significativi, nel rigoroso ambito individuato dal giudice, fatta salva la recisione di ogni rapporto giuridico-formale. L'adozione “mite”, a sua volta, presuppone l'esistenza di uno stato di semi-abbandono (e quindi la presenza di familiari dotati di un certo grado di risorse), non recide i rapporti giuridico-formali di parentela (con la conseguenza che il minore avrà doppi legami di parentela, acquisendo anche quelli relativi ai genitori adottivi) e non esclude il mantenimento di rapporti con i familiari, a cominciare dai genitori biologici.

Palese è l'evoluzione che l'adozione di minori ha fatto registrare dal lontano 1967, allorquando venne introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento sotto forma di “adozione speciale”, per differenziarla del tradizionale e consolidato istituto dell'adozione di maggiorenni, finalizzato alla trasmissione del cognome e del patrimonio. Potrebbe essere allora il momento opportuno per una riflessione di più ampia portata, in funzione della costruzione di uno schema unico di adozione, quantomeno sotto il profilo processuale, pur nell'imprescindibile diversità dei presupposti e degli effetti. Va infatti rammentato come la Corte di cassazione abbia tenuto a ribadire che il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore. in ragione della sua condizione di abbandono, e quello volto a disporre un'adozione mite, costituiscono due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro, tanto da non potersi configurare la conversione dell'uno nell'altro (Cass. 1° luglio 2022, n. 21024: Cass. 19 settembre 2023, n. 19739).

In un contesto futuro si potrebbe pensare anche ad uniformare i requisiti soggettivi degli aspiranti genitori adottivi, atteso che l'adozione in casi particolari non presuppone necessariamente l'esistenza di una coppia coniugata, né di una coppia, essendo accessibile anche alle persone singole. Il tutto ovviamente, tenendo sempre ben presente che l'adozione è strumento che in primis realizza il diritto del minore ad una famiglia e che dunque le pur legittime aspettative degli adottanti sono ad esso recessive.

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