Elezione di domicilio (rifiutata) presso il difensore d’ufficio e abnormità della restituzione degli atti al P.M.

23 Ottobre 2023

Elezione di domicilio (rifiutata) presso il difensore d'ufficio, notifica degli atti, abnormità della restituzione al p.m. dell'atto di citazione dichiarato nullo per vizi del procedimento notificatorio: le Sezioni Unite si destreggiano su varie questioni.

Massima

Il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla notificazione e disponga la trasmissione degli atti al p.m. è abnorme, perché avulso dal sistema processuale. 

Il caso

Il giudice di pace dichiarava la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti degli imputati, dal momento che la notifica era stata effettuata presso il difensore di ufficio, per effetto della elezione di domicilio, sebbene lo stesso avesse rifiutato l'indicazione di domiciliatario.

Dichiarata la nullità della notificazione dell'atto di citazione, era ordinata la trasmissione degli atti al p.m.

Il p.m. proponeva ricorso per cassazione, deducendo l'abnormità della ordinanza che, dichiarata la nullità, determinava la regressione del procedimento.

Investita del ricorso, la Cassazione con ordinanza del 2 marzo 2023, n. 9038, ha rimesso alle sezioni unite le seguenti questioni: a) se, nella vigenza della normativa antecedente il d.lgs. n. 150/2022 , qualora l'imputato elegga domicilio presso il difensore d'ufficio e quest'ultimo non accetti la elezione, possa ugualmente effettuarsi la notificazione dell'atto di citazione a giudizio al medesimo difensore a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p., ovvero la stessa sia nulla, dovendo procedersi alla notificazione con le modalità di cui agli artt. 157  ed eventualmente 159 c.p.p.; b) se il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla sua notificazione e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero sia abnorme, perché avulso dal sistema processuale e, comunque, idoneo a determinare la stasi del procedimento ovvero costituisca invece espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento processuale; c) se sia abnorme il provvedimento con il quale il giudice di pace ,  ritenuta la nullità della notificazione della citazione a giudizio nelle forme della presentazione immediata a norma dell'art. 20-bis d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la rinnovazione della notificazione stessa.

La questione

La questione in esame è la seguente: quando è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla sua notificazione e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione a sezioni unite, con la pronuncia che qui brevemente si annota, ha risolto il quesito se sia abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità della citazione a giudizio, per vizi inerti la notificazione, disponendo la restituzione degli atti in favore del P.M.

Per fornire una risposta alla domanda, il Collegio transita per la risoluzione della questione pregiudiziale se, intanto, nel caso di elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, senza che quest'ultimo abbia prestato assenso alla domiciliazione ex art. 162, comma 4-bis, c.p.p., la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio debba effettuarsi ai sensi del combinato disposto degli artt. 157 e 159 c.p.p., ovvero debba effettuarsi la notificazione allo stesso difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p.

Quanto a questo aspetto, la Corte di cassazione muove la constatazione che il nuovo art. 162, comma 4-bis, c.p.p. è ispirato alla necessità di assicurare la piena conoscenza dell'accusa da parte dell'imputato.

In particolare, tutti gli interventi legislativi in materia sono stati finalizzati ad assicurare che l'accusato abbia conoscenza del processo, e non soltanto dell'esistenza di un'indagine penale a suo carico, e perciò che egli sia destinatario di un provvedimento formale di vocatio in iudicium, il quale contenga l'indicazione dell'accusa formulatagli nonché della data e del luogo di svolgimento del giudizio.

Il processo può ritenersi, pertanto, legittimamente celebrato in assenza dell'imputato soltanto nel caso in cui egli, consapevolmente informato della citazione in giudizio e dell'accusa penale a lui rivolta, abbia rinunciato a comparire; oppure qualora si sia deliberatamente sottratto alla conoscenza del processo.

E, a tal ultimo proposito, in caso di inottemperanza all'onere di informazione che deriva dalle situazioni tipizzate 420-bis c.p.p., deve ritenersi operante una presunzione relativa di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo, come desumibile agevolmente dal disposto simmetrico dell'art. 420-bis comma 4 c.p.p. e art. 629-bis comma 1 c.p.p. che onerano l'interessato (rispettivamente, imputato o condannato) della dimostrazione di una sua incolpevole mancata conoscenza del processo.

Per orientamento consolidato di legittimità (Cass. pen., sez. II, n. 3404/2020), il regime del procedimento in assenza, coerente con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani (tra le altre proprio Corte Edu, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia), esclude l'ignoranza incolpevole se vi è prova che l'imputato abbia conosciuto l'esistenza del procedimento, sia pure in una fase iniziale.

La presunzione di conoscenza opera allorché si manifesti la volontà partecipativa, con l'elezione di domicilio e/o con la nomina del difensore di fiducia, e ancor di più quando ciò avvenga al momento del fermo, o dell'arresto, o della sottoposizione a un provvedimento cautelare restrittivo della libertà, poiché ciò rende evidente senza margine di dubbio la conoscenza del procedimento. Con specifico riferimento all'elezione di domicilio, i giudici di legittimità hanno stabilito che da esso deriva una presunzione di conoscenza del processo, che legittima il giudice a procedere in assenza dell'imputato: su costui grava poi l'onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento (Cass. pen., sez. V, n. 36855/2016).

Lo stato di ignoranza "incolpevole" rilevante ai fini della norma convenzionale Europea non può pertanto ravvisarsi quando l'imputato non abbia adempiuto agli oneri di diligenza generati dalla conoscenza dell'esistenza del processo: condizione desumibile, come si è detto e secondo quanto prevede l'art. 420-bis c.p.p., sia dalla elezione di domicilio, sia dalla nomina del difensore di fiducia, oltre che dall'arresto, dal fermo, o dalla sottoposizione a una misura cautelare.

L'ignoranza incolpevole non deve pertanto valutarsi in relazione ai singoli atti della progressione processuale, dato che la conoscenza della esistenza del procedimento, se pur provata in relazione alla fase iniziale di esso, genera un onere di diligenza che si esprime anche nel dovere di mantenere i contatti con il difensore, ancor di più se nominato di fiducia.

A tale proposito deve ricordarsi, infatti, che la nomina del difensore di fiducia, lungi dal rappresentare un mero dato formale, risulta elemento idoneo a dimostrare con certezza che l'imputato abbia avuto conoscenza del processo e, proprio per difendersi nel corso dello stesso, abbia nominato un soggetto professionale di sua fiducia, nel pieno rispetto delle garanzie informative di matrice europea (Cass. pen., sez. III, n. 49800/2018, che ha evidenziato come siano irrilevanti che i tempi processuali sono stati lunghi o che il difensore non ha più avuto rapporti con l'imputato, dal momento che l'imputato, proprio perché consapevole dell'instaurazione di un processo a suo carico, si sarebbe dovuto preoccupare degli sviluppi dello stesso, a nulla rilevando, in termini processuali, la sua inerzia in tal senso).

Mentre, invece, qualora, la notifica dell'atto di citazione a giudizio avvenga, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, presso un difensore d'ufficio e diverso da quello di fiducia precedentemente nominato, presso cui è oramai divenuta impossibile la notifica, stante la cancellazione dall'albo, la notificazione risulta eseguita pur sempre in un luogo diverso da quel domicilio già indicato e "qualificato" dalla nomina difensiva fiduciaria, sicché alcuna presunzione di conoscenza può dirsi formata.

L'ultima decisione delle Sezioni Unite in tema di processo in assenza ha ribadito, e ulteriormente chiarito, l'opzione volta ad adottare un criterio ineludibilmente effettivo della conoscenza del processo da parte dell'imputato (Cass. pen., sez. un., n. 23948/2019).

In particolare, partendo dal presupposto logico-giuridico che il processo in assenza non nasce come forma di sanzione per l'imputato, ha, infatti, stabilito che, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.

Il fondamento del sistema è incentrato sull'effettività della conoscenza; sull'accertamento che la parte sia personalmente informata del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell'imputato (sicché, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica personalmente ad opera della polizia giudiziaria: richiamando l'art. 420-quater c.p.p.

Partendo da tali presupposti, la pronuncia in commento conclude che nel caso di mancato perfezionamento dell'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio – come sviluppo procedimentale, necessitante per il suo perfezionamento dell'assenso del difensore di ufficio – deve procedersi alla rinnovazione della notificazione ai sensi degli artt. 157 e 159 c.p.p.

L'art. 420-bis comma 2 c.p.p. indica i casi in cui, sul presupposto ovviamente della regolarità delle notifiche, il giudice in fase di costituzione delle parti, verificati gli avvisi, possa procedere al processo ritenendo che vi sia assenza "volontaria".

Il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, in necessaria applicazione dei principi sopra richiamati, il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell'imputato. Questa, del resto, è la ragione per la quale il sistema, introducendo la regola di certezza della conoscenza del processo, ha escluso il diritto "incondizionato" al nuovo giudizio di merito in favore del soggetto giudicato in assenza.

L'art. 420-quater c.p.p. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica "personalmente ad opera della polizia giudiziaria". La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività di tale conoscenza, senza alcuna presunzione.

Non si tratta, quindi, di una presunzione che consenta di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l'imputato abbia effettivamente conosciuto l'atto regolarmente notificato secondo le date modalità". Infine, al paragrafo 14 viene precisato: "si rammenta come la disposizione, per la difesa dai “finti inconsapevoli”, valorizzi, quale unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la volontaria sottrazione “alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento”. Evidentemente, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta (Cass. pen., sez. II, n. 13802/2021).

Superato questo primo nodo interpretativo, le Sezioni unite passano così a esplorare il nodo centrale della questione assegnata: l'abnormità degli atti processuali, categoria non precisata dal legislatore e per la quale non sono stati espressamente previsti rimedi, a cagione della difficoltà di tipizzare tutti quei casi di eclatante sviamento del potere in grado di violare in maniera significativa la legalità della sequela procedimentale, alterandone lo svolgimento e incidendo inevitabilmente sulle istanze di difesa. In questi casi, in deroga al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, la giurisprudenza ha ammesso il ricorso per cassazione.

Invero, insieme ad altre forme tipiche di invalidità (per esempio, la nullità e l'inutilizzabilità), il sistema processualpenale, in cui la ricorribilità per cassazione delle sentenze e dei provvedimenti sulla libertà personale è espressamente codificata (art. 568, comma 2 c.p.p.), conosce non solo quella dell'inesistenza, ma anche quella dell'abnormità. Entrambe sono atipiche e fanno eccezione al principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568, comma 1 c.p.p.).

Le pronunce giurisprudenziali hanno cercato di definire i caratteri specifici del concetto di “atto abnorme” talvolta indicandolo come «atto insuscettibile di qualsiasi inquadramento normativo tale da risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli atti indicata dal legislatore» (Cass. pen., sez. III, 9 luglio 1996, P.M. in proc. Cammarata), talaltra indicandolo come atto che «pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite» (Cass. pen., sez. III, 21 febbraio 1997, Cazzaniga e altro).

Con specifico riguardo ai rapporti fra giudice e pubblico ministero, le sezioni unite hanno chiarito che si ha abnormità strutturale in caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto); si ha abnormità funzionale nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, limitatamente all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo (trattandosi negli altri casi di un regresso consentito).

L'abnormità dell'atto processuale può riguardare, tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Cass. pen., sez. un., n. 25957/2009).

Pertanto, la corretta applicazione dei principi processuali ai rapporti tra giudice e pubblico ministero impone di limitare l'ipotesi di abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L'abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va, invece, limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.

Si tratta, ad ogni modo, di un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell'atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall'art. 606 comma 1 c.p.p. quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge.

Osservazioni

La pronuncia in commento ha dato atto delle difficoltà concettuali relative alla perimetrazione del concetto di abnormità, dando luogo a due possibili filoni.

Il primo è noto come “abnormità strutturale” che si verifica quando l'atto, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell'ordinamento processuale (c.d. carenza di potere in astratto), nonché quando esso, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (c.d. carenza di potere in concreto); la categoria, in sintesi, come evidenziato anche da accreditata giurisprudenza, nasce per porre rimedio a comportamenti procedimentali posti in essere dall'organo giudicante da cui derivino atti non altrimenti impugnabili e al contempo espressivi, in concreto, di uno sviamento della funzione giurisdizionale, non più rispondente al modello previsto dalla legge (Cass. pen., sez. V, n. 15691/2020).

Occorre però precisare, quanto ai casi di abnormità strutturale per carenza di potere in concreto, che, al fine di meglio tracciare la linea di demarcazione tra questo fenomeno (atto extra legem) e quello, limitrofo, di violazione della legge processuale (atto contra legem), si è meglio argomentato nel senso che il primo deve sostanziarsi nell'esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite.

Deve trattarsi dunque di atti che, ancorché riconducibili ad uno schema normativo, non sono previsti in riferimento ad un determinato segmento procedimentale.

Il secondo tipo di abnormità è noto come “abnormità funzionale”, e si concretizza quando, pur non essendo estraneo al sistema normativo, l'atto determini la stasi del procedimento e la impossibilità di proseguirlo. All'interno dell'abnormità funzionale viene tradizionalmente ricondotto il fenomeno della regressione anomala o indebita del procedimento. Essa, rientra tra gli atti abnormi in quanto il potere, seppur riconosciuto, viene esercitato oltre i limiti; sicché ogni indebita regressione costituisce un serio vulnus all'ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell'efficienza e della ragionevole durata del processo (Cass. pen., sez. un., n. 5307/2007).

La giurisprudenza successiva ha ridimensionato tale approdo.

Le sezioni unite (Cass. pen., sez. un., n. 25957/2009) si sono pronunciate sulla diversa ipotesi in cui il giudice del dibattimento, ritenuto – per errore – non correttamente notificato l'avviso ex art. 415 bis c.p.p., dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio e restituisca gli atti alla Procura; in questo caso, la Corte non ha ravvisato l'abnormità dell'atto, in quanto, da un lato, esso costituisce espressione di un potere assegnato dal sistema normativo e, dall'altro, pur determinando una regressione anomala o indebita, non è in grado di cagionare la stasi del procedimento – al più un suo rallentamento che incide sulla ragionevole durata del processo – potendo il pubblico ministero notificare nuovamente l'avviso di conclusione indagini senza incorrere in irregolarità di sorta.

Si è dunque iniziato a maneggiare con maggiore cautela la nozione di regressione anomala del procedimento, consentendole di rifluire nell'alveo dell'abnormità non secondo meri automatismi, bensì soltanto allorquando la regressione stessa abbia cagionato una stasi irreversibile del procedimento, per essere il pubblico ministero posto nella inestricabile condizione di ottemperare all'ordine del giudice compiendo un atto nullo (Cass. pen., sez. V, n. 36028/2022).

La pronuncia in epigrafe opta per la soluzione a mente della quale l'ordinanza di restituzione degli atti pronunciata dal giudice è abnorme, poiché, tale provvedimento è adottato in carenza di potere, perché il giudice deve rinnovare la notificazione e non già ordinare la restituzione degli atti al P.M., giacché così agendo determina la indebita regressione del procedimento, imponendo al pubblico ministero il compimento di un atto nullo.

In altri termini, le Sezioni unite rilevano un'alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale violativa dei principi di efficienza e ragionevole durata, ma anche una stasi derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall'imposizione al pubblico ministero di un adempimento contra legem , che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio.

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