Il dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia1. Bussole di inquadramentoIl delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi Il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, disciplinato dall'art. 572 c.p., è integrato dalla condotta di chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. L'attuale formulazione della norma incriminatrice è frutto degli interventi legislativi intervenuti dapprima del 2012, con l. n. 172, di recepimento della Convenzione di Lanzarote del Consiglio d'Europa, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, del 2007, e più di recente con l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, che ha elevato la cornice edittale del reato in quella vigente da tre a sette anni di reclusione. Il previgente Codice Zanardelli annoverava le condotte di maltrattamenti tra i delitti contro la persona mentre il legislatore del Codice Rocco ha collocato la fattispecie tra i delitti contro la famiglia, operando una scelta criticata da una parte della dottrina, dal momento che le condotte punite ex art. 572 c.p. non si iscrivono esclusivamente tra i rapporti familiari. Tale collocazione del delitto in esame ha altresì determinato incertezze in ordine all'individuazione del bene giuridico tutelato, che parte della dottrina riconduce alla famiglia, in un'accezione lata, che includa ogni rapporto interpersonale caratterizzato da stabilità e vicinanza. L'orientamento prevalente identifica invece il bene protetto nella persona del maltrattato, esposto alla supremazia o all'arbitrio di un familiare o di un soggetto preposto alla sua cura o educazione, ovvero di un convivente. La struttura del reato Il delitto di maltrattamenti è un reato abituale che opera in via residuale rispetto alla fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, di cui all'art. 571 c.p., e si sostanzia in una condotta a forma libera, posta in essere nei confronti di una persona con cui il soggetto agente si trovi in relazione qualificata. In merito al soggetto attivo del reato si è sostenuto che si tratti di un reato proprio, nonostante l'uso del termine “chiunque”, in ragione della relazione qualificata che deve sussistere tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, inquadrabile in uno dei rapporti individuati dal legislatore. La condotta tipica del delitto è a forma libera, potendo consistere in un qualsiasi comportamento di maltrattamento, che provochi nel soggetto passivo una sofferenza fisica o morale, mortificandolo e rendendo intollerabile il rapporto tra soggetto agente e persona offesa. Come anticipato, la condotta di maltrattamenti è qualificata come reato abituale e richiede la reiterazione degli atti di vessazione, da cui derivi una fonte di disagio che si protrae nel tempo, anche se non in maniera continuativa e permanente, sì da risultare incompatibile con le normali condizioni di vita della vittima, rendendo la relazione personale con il soggetto agente dolorosa ed avvilente (Cass. VI, n. 4015/1996). La condotte di maltrattamenti possono dunque configurarsi in termini di percosse, ingiurie, minacce o privazioni, nonché in atti di disprezzo e di offesa alla dignità della persona offesa, che le cagionino sofferenze fisiche o anche solo morali (Cass. VI, n. 44700/2013). Il delitto può essere commesso anche in forma omissiva, quando sussista un dovere giuridico di agire, come nel caso in cui un genitore venga meno ai propri obblighi nei confronti di un figlio o il coniuge nei confronti dell'altro coniuge. Possono assumere altresì rilevanza condotte di mera inerzia, in quanto possibili forme di maltrattamento, in violazione di doveri anche solo etici o morali, tali da determinare gli effetti tipici del delitto ex art. 572 c.p. Una particolare forma di maltrattamenti, nell'ambito familiare, può consistere nella c.d. violenza assistita, nel caso di “condotte di reiterata violenza nei confronti dell'altro genitore, quando i discendenti siano resi sistematici spettatori di tali comportamenti, in quanto tale atteggiamento integra una omissione connotata da deliberata indifferenza e trascuratezza verso i bisogni affettivi della prole” (Cass. VI, n. 4332/2015). L'ultimo comma dell'art. 572 c.p., introdotto con il c.d. Codice Rosso (legge n. 69/2019), prevede oggi infatti che il minore di anni diciotto che assista ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato. L'elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti consiste nel dolo generico, che si sostanzia nella coscienza e nella volontà di sottoporre in maniera sistematica e continuativa il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali. Non è necessario uno specifico programma criminoso, proiettato verso un determinato risultato, essendo invece sufficiente la consapevolezza e volontà di sottoporre la vittima ad un trattamento abitualmente offensivo; occorre dunque un dolo unitario, dal momento che l'agente deve rappresentarsi il fatto che la singola sopraffazione è espressione di una condotta abusiva già reiterata in altre occasioni (Cass. VI, n. 15146/2014). La consumazione del delitto può non coincidere con il suo perfezionamento, per il quale è necessario il compimento di quell'atto che, sorretto da dolo unitario e unendosi alle precedenti condotte, realizzi l'evento lesivo. Qualora quest'ultimo risulti successivamente aggravato da nuove e ulteriori condotte poste in essere dal soggetto agente, quando il reato sia già perfezionato, la consumazione del delitto dovrà individuarsi nel momento dell'ultimo atto di maltrattamenti ovvero nel momento in cui sia venuta meno la relazione qualificata tra soggetto agente e persona offesa, necessaria per l'integrazione del delitto (es. cessazione della convivenza o del rapporto di affidamento, ecc.). Secondo l'orientamento prevalente deve escludersi la configurabilità del tentativo, in quanto incompatibile con la struttura del delitto abituale. Circostanze e trattamento sanzionatorio Trovano applicazione in relazione al delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi le circostanze aggravanti speciali di cui ai commi 2 e 3. Il comma 2 dell'art. 572 c.p. disciplina una prima serie di circostanze aggravanti ad effetto speciale, che determinano l'aumento della pena fino alla metà e ricorrono se il fatto è alternativamente commesso in presenza o ai danni di un minore, ovvero contro una donna in stato di gravidanza o un disabile o infine con armi. Ai sensi del comma 3, inoltre se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Ricorre dunque lo schema del delitto aggravato dall'evento, quando quest'ultimo sia riconducibile sul piano causale alla condotta del reo e ne costituisca una conseguenza da esso non voluta, neanche a titolo di dolo eventuale, ricorrendo altrimenti le ipotesi criminose dell'omicidio e delle lesioni personali dolose (Cass. I, n. 21329/2008). È stato tuttavia ritenuta necessaria, secondo una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie, la prevedibilità in concreto della morte o delle lesioni della persona offesa, quale conseguenza della condotta criminosa di base (Cass. VI, n. 44492/2009). Tale requisito è inoltre richiesto dall'art. 59, comma 2, c.p., in relazione all'imputazione delle circostanze aggravanti, valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. La pena irrogata a fronte della commissione del fatto nella sua forma semplice ovvero in presenza delle esaminate aggravanti potrà essere condizionalmente sospesa, ex art. 163 c.p., solo subordinando la sospensione alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannai per i reati cc.dd. di violenza di genere, come previsto dall'art. 165 c.p., novellato sul punto dalla l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la norma, pur avendo natura sostanziale, si applica anche a fatti di maltrattamenti in famiglia perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, ma protrattisi – senza significative cesure temporali – in epoca successiva, stante l'unitarietà strutturale del reato (Cass. VI, n. 32577/2022). Va infine rilevato che, ai sensi dell'art. 34, comma 2, c.p., la condanna per il delitto di maltrattamenti contro familiari, nello specifico caso di abuso della responsabilità genitoriale da parte del soggetto agente, comporta la sospensione dall'esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali caratteristiche richiede il dolo del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione Il dolo del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi è unitario e programmatico e funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima, senza richiedere – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, essendo invece sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice. La natura di reato abituale del delitto di maltrattamenti in famiglia ha determinato dubbi interpretativi in ordine all'elemento soggettivo del reato, legati alla necessità che tanto l'elemento rappresentativo quanto l'elemento volitivo del dolo ricomprendano la pluralità di condotte in cui la fattispecie criminosa si sostanzia. In primo luogo, la Corte di Cassazione ha chiarito che per la configurabilità del delitto di maltrattamenti ex art. 582 c.p. è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di commettere una serie di condotte lesive della integrità fisica o della libertà o del decoro della persona offesa (Cass. VI, n. 27048/2008; Cass. VI, n. 11476/1997; Cass. II, n. 727/1966). Non è invece richiesto alcun dolo specifico né sono necessarie particolari finalità da parte del soggetto agente (Cass. III, n. 1508/2019; Cass. VI, n. 4933/2004), che abbia agito con consapevolezza e volontà di realizzare in modo continuativo condotte tali da sottoporre la persona offesa ad una serie di sofferenze fisiche o morali (Cass. VI, n. 1067/1991). Stante la struttura del reato, costituito da una condotta plurima che si sostanzia in una serie di fatti che si estrinsecano in momenti successivi, il dolo deve comprendere tale pluralità di fatti in modo da costituire l'elemento subbiettivo unificatore dei medesimi (Cass. VI, n. 1159/1969). Le condotte reiterate, tali da determinare un regime di vita familiare caratterizzato dalla sopraffazione di un soggetto a danno ed offesa di uno o più componenti di essa, rendendo abitualmente dolorose e insopportabili le relazioni tra il soggetto agente e la persona offesa, devono essere dunque sorrette da una medesima intenzione, prolungata nel tempo (Cass. VI, n. 1518/1969). Al riguardo grava sul giudice un obbligo di motivazione particolarmente rigoroso in ordine alla dimostrazione che tutti i fatti sono tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile dalla volontà unitaria, persistente e ispiratrice delle plurime condotte in cui si sostanzia il delitto, da prendere in considerazione complessivamente. Deve dunque escludersi in maniera categoria la rilevanza di comportamenti caratterizzati da mera occasionalità e realizzati con dolo d'impeto, isolato e frammentario (Cass. VI, n. 3032/1987). La Corte di Cassazione ha tuttavia evidenziato che, sebbene il dolo deve investire la pluralità dei fatti, in modo da costituirne l'elemento subbiettivo unificatore e il nesso psicologico comune, non è richiesta l'unicità di un disegno criminoso che caratterizza invece l'istituto del reato continuato (Cass. VI, n. 15146/2014; Cass. VI, n. 13032/1986). Non occorre cioè la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte aggressive e lesive, sin dalla loro rappresentazione iniziale (Cass. I, n. 13013/2020; Cass. VI, n. 33106/2003). È invece sufficiente la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria e prevaricatoria, già posta in essere altre volte, la quale riveli, attraverso l'accettazione dei singoli episodi, una inclinazione della volontà a maltrattare una o più persone conviventi (Cass. VI, n. 6319/1994). Il dolo del delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. è dunque unitario, sicché non deve confondersi o sovrapporsi alla coscienza e volontà di ciascun frammento della condotta abituale (Cass. VI, n. 3965/1994). Non è tuttavia richiesta la programmatica e preventiva finalizzazione di ogni episodio al raggiungimento del risultato, che è quello di sottoporre la parte lesa ad un intollerabile regime di vita attraverso violenze fisiche e morali (Cass. VI, n. 2800/1995). Non occorre pertanto che debba essere fin dall'inizio presente una rappresentazione della serie degli episodi, richiedendo la norma incriminatrice che sussista la coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o del decoro della persona offesa in modo abituale (Cass. VI, n. 3965/1994). La volontà e la rappresentazione della condotta abituale, mediante comportamenti che solo progressivamente sono in grado di realizzare il risultato offensivo del bene giuridico tutelato, possono dunque realizzarsi in modo graduale, travalicando le singole parti della condotta e venendo così a costituire un elemento unificatore dei singoli episodi in cui si sostanzia (Cass. VI, n. 2800/1995; Cass. VI, n. 3965/1994). La Corte di Cassazione ha infatti definito il dolo del delitto ex art. 572 c.p. “unitario e programmatico” (Cass. VI, n. 6541/2004), chiarendo che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte (Cass. VI, n. 16836/2010; Cass. VI, n. 6541/2004), e tale da sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (Cass. VI, n. 25183/2012; Cass. VI, n. 15680/2012). Tale valutazione è rimessa necessariamente al prudente apprezzamento del giudice di merito il quale deve fornire del suo convincimento una motivazione priva di vizi logici e ancorata a dati di fatto che costituiscano chiara manifestazione della intima volizione dell'imputato (Cass. VI, n. 2800/1995).
Domanda
Qual è la rilevanza del movente del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi ai fini dell'accertamento del dolo del soggetto agente?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione Il movente non esclude il dolo, alla cui nozione è estraneo, ma lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi. La Corte di Cassazione ha in più occasioni ribadito che il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi è punito a titolo di dolo generico, non richiedendo alcuna specifica finalità della condotta ma la volontà delle condotte di maltrattamenti, nella consapevolezza di persistere in un'attività vessatoria (da ultimo, Cass. I, n. 13013/2020). I giudici di legittimità hanno evidenziato che, a fortiori, non può essere riconosciuta alcuna rilevanza al movente della condotta delittuosa, in quanto si tratta di un profilo che è estraneo alla nozione di dolo e che non può escluderlo, consentendo, al contrario, di evidenziare la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi in sede di accertamento del dolo (Cass. VI, n. 5531/1996). È stato pertanto ravvisato l'elemento soggettivo del delitto a fronte delle condotte realizzate senza il fine di arrecare sofferenze fisiche o morali alla persona offesa (dolo specifico) ma con consapevolezza e volontà delle condotte abituali di maltrattamenti (dolo generico) realizzate per gelosia morbosa (Cass. II, n. 357/1966), per risentimento da parte del soggetto agente nei confronti della stessa (Cass. III, n. 14742/2016) ovvero per finalità educative nel caso di maltrattamenti ai danni dei figli minori (Cass. VI, n. 39927/2005).
Domanda
Lo stato di tossicodipendenza o di dipendenza da alcolici esclude il dolo nel delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione L'ubriachezza o lo stato di tossicodipendenza del soggetto agente non escludono il dolo del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi. La Corte di Cassazione ha escluso che le condotte di maltrattamenti contro familiari o conviventi realizzate da una soggetto che versi in stato di ubriachezza possano escludere la coscienza e volontà della condotta e quindi il dolo del delitto, evidenziando che non occorre il dolo specifico, né che la condotta sia posta in essere con un particolare sentimento di odio o sia caratterizzata da una speciale finalità di danno, incompatibili con l'alterazione da assunzione di alcool da parte del reo (Cass. II, n. 168/1967). È dunque irrilevante che i singoli episodi costituenti, nel loro complesso, la condotta criminosa siano commessi durante lo stato di ubriachezza, posto che l'elemento psicologico del reato è costituito dal dolo generico e che questo non è escluso dall'ubriachezza (Cass. III, n. 3141/1994). Tantomeno rileva il movente del delitto, quand'anche legato alla necessità di procurarsi sostanza stupefacente o il danaro per soddisfare tale necessità, essendo estraneo all'elemento soggettivo del reato, che tuttavia viene dal movente evidenziato, dimostrando altresì la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi finalizzati a soddisfare il bisogno derivante dalla tossicodipendenza del soggetto agente (Cass. VI, n. 8557/1987). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). ProcedibilitàIl delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, ai sensi dell'art. 572 c.p., è sempre procedibile d'ufficio. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, nelle forme non aggravate di cui al comma 1, è pari a quattordici anni, in forza del comma 6 dell'art. 157 c.p. (in vigore dal 23 ottobre 2012), che prevede il raddoppio del termine ordinario di prescrizione (pari a sette anni, in ragione della pena edittale detentiva massima). In presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, tale termine può essere aumentato nella misura di un quarto, fino ad un massimo di diciassette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Qualora ricorrano le circostanze aggravanti ad effetto speciale, di cui al comma 2 dell'art. 572 c.p., il termine base di prescrizione è di ventuno anni, per effetto del raddoppio ex art. 157, comma 6, c.p., del termine ordinario pari alla pena detentiva massima di dieci anni e sei mesi di reclusione, ai sensi dell'art. 572, comma 2, c.p.; anche in questo caso il termine-base è suscettibile di aumento, nella misura di un quarto, in presenza di eventi interruttivi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), fino al termine massimo di ventisei anni e tre mesi, oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Nei casi di cui al comma 4 dell'art. 572 c.p., infine, che prevede le circostanze aggravanti indipendenti ad effetto speciale in caso di lesioni personali gravi o gravissime ovvero di morte della persona offesa, derivate dal fatto, il termine ordinario di prescrizione, raddoppiato ai sensi dell'art. 157, comma 6, c.p., è rispettivamente pari a diciotto (lesioni personali gravi), trenta (lesioni personali gravissime) e quarantotto anni (morte della persona offesa). I medesimi termini sono suscettibili di aumento, nella misura di un quarto, in presenza di eventi interruttivi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), fino al termine massimo rispettivamente di ventidue anni e sei mesi, trentasette anni e sei mesi e sessant'anni, oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al delitto di maltrattamenti in famiglia: – è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380, comma 1, lett. l-ter, c.p.p.); – è sempre consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Nei casi di maltrattamenti contro familiari o conviventi, aggravati o meno, essendo il delitto, anche nella sua forma base, punito con pena edittale massima superiore ai tre anni di reclusione, sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; è sempre applicabile altresì la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 572 c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica nei casi di cui al comma 1, non aggravati, e di cui al comma 4, primo periodo (se dal fatto deriva una lesione personale grave), mentre decide in composizione collegiale nei casi aggravati di cui al comma 2, nonché nel caso di cui al comma 4, secondo periodo (se ne deriva una lesione gravissima) (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). È invece competente per materia la corte d'assise (cfr. art. 5 c.p.p.) nei casi di cui all'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 572 c.p., se dal fatto deriva la morte della persona offesa, essendo il delitto in questo caso punito con la pena della reclusione non inferiore ai ventiquattro anni (da dodici a ventiquattro anni). La competenza per territorio va invece individuata, stante la natura di reato abituale, nel luogo di realizzazione dell'ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato (Cass. VI, n. 24206/2019). Citazione a giudizio Per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi è sempre prevista l'udienza preliminare. Composizione del tribunale Della configurabilità o meno delle circostanze aggravanti di cui all'art. 572, comma 2 e comma 4, secondo periodo, c.p., si deve tenere conto agli effetti previsti dall'art. 33-bis, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica): il processo per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi di cui al comma 1 e i casi aggravanti ai sensi del comma 4, primo periodo (se dal fatto deriva una lesione personale grave), si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica mentre aggravati ai sensi del comma 2, nonché nel caso di cui al comma 4, secondo periodo (se ne deriva una lesione gravissima), dinanzi al tribunale in composizione collegiale, in ragione dell'aumento di pena oltre i dieci anni di reclusione. 4. ConclusioniLa peculiare struttura del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi si riflette sull'elemento soggettivo del delitto, il cui oggetto è la condotta abituale di maltrattamenti, complessivamente considerata. Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, il dolo travalica i singoli episodi in cui si sostanzia la condotta abituale di maltrattamenti e funge da elemento unificatore delle stesse, qualificandosi in tal senso come dolo unitario. Non è tuttavia necessario, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità con un orientamento costante, che il soggetto agente si sia rappresentato fin dal primo momento ciascuna delle singole condotte realizzate, né che le stesse siano finalizzate ad uno specifico scopo. È invece sufficiente che il soggetto agente abbia posto in essere ciascun comportamento con dolo generico e nella consapevolezza dell'abitualità della condotta, con una formazione graduale della volontà unitaria di maltrattamenti che consente di definire l'elemento soggettivo del reato come dolo unitario e programmatico. |