La reciprocità delle condotte nel delitto di maltrattamenti in famiglia1. Bussole di inquadramentoIl delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi Il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, disciplinato dall'art. 572 c.p., è integrato dalla condotta di chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. L'attuale formulazione della norma incriminatrice è frutto degli interventi legislativi intervenuti dapprima del 2012, con l. n. 172, di recepimento della Convenzione di Lanzarote del Consiglio d'Europa, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, del 2007, e più di recente con l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, che ha elevato la cornice edittale del reato in quella vigente da tre a sette anni di reclusione. Il previgente Codice Zanardelli annoverava le condotte di maltrattamenti tra i delitti contro la persona mentre il legislatore del Codice Rocco ha collocato la fattispecie tra i delitti contro la famiglia, operando una scelta criticata da una parte della dottrina, dal momento che le condotte punite ex art. 572 c.p. non si iscrivono esclusivamente tra i rapporti familiari. Tale collocazione del delitto in esame ha altresì determinato incertezze in ordine all'individuazione del bene giuridico tutelato, che parte della dottrina riconduce alla famiglia, in un'accezione lata, che includa ogni rapporto interpersonale caratterizzato da stabilità e vicinanza. L'orientamento prevalente identifica invece il bene protetto nella persona del maltrattato, esposto alla supremazia o all'arbitrio di un familiare o di un soggetto preposto alla sua cura o educazione, ovvero di un convivente. La struttura del reato Il delitto di maltrattamenti è un reato abituale che opera in via residuale rispetto alla fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, di cui all'art. 571 c.p., e si sostanzia in una condotta a forma libera, posta in essere nei confronti di una persona con cui il soggetto agente si trovi in relazione qualificata. In merito al soggetto attivo del reato si è sostenuto che si tratti di un reato proprio, nonostante l'uso del termine “chiunque”, in ragione della relazione qualificata che deve sussistere tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, inquadrabile in uno dei rapporti individuati dal legislatore. La condotta tipica del delitto è a forma libera, potendo consistere in un qualsiasi comportamento di maltrattamento, che provochi nel soggetto passivo una sofferenza fisica o morale, mortificandolo e rendendo intollerabile il rapporto tra soggetto agente e persona offesa. Come anticipato, la condotta di maltrattamenti è qualificata come reato abituale e richiede la reiterazione degli atti di vessazione, da cui derivi una fonte di disagio che si protrae nel tempo, anche se non in maniera continuativa e permanente, sì da risultare incompatibile con le normali condizioni di vita della vittima, rendendo la relazione personale con il soggetto agente dolorosa ed avvilente (Cass. VI, n. 4015/1996). Le condotte di maltrattamenti possono dunque configurarsi in termini di percosse, ingiurie, minacce o privazioni, nonché in atti di disprezzo e di offesa alla dignità della persona offesa, che le cagionino sofferenze fisiche o anche solo morali (Cass. VI, n. 44700/2013). Il delitto può essere commesso anche in forma omissiva, quando sussista un dovere giuridico di agire, come nel caso in cui un genitore venga meno ai propri obblighi nei confronti di un figlio o il coniuge nei confronti dell'altro coniuge. Possono assumere altresì rilevanza condotte di mera inerzia, in quanto possibili forme di maltrattamento, in violazione di doveri anche solo etici o morali, tali da determinare gli effetti tipici del delitto ex art. 572 c.p. Una particolare forma di maltrattamenti, nell'ambito familiare, può consistere nella c.d. violenza assistita, nel caso di “condotte di reiterata violenza nei confronti dell'altro genitore, quando i discendenti siano resi sistematici spettatori di tali comportamenti, in quanto tale atteggiamento integra una omissione connotata da deliberata indifferenza e trascuratezza verso i bisogni affettivi della prole” (Cass. VI, n. 4332/2015). L'ultimo comma dell'art. 572 c.p., introdotto con il c.d. Codice Rosso, l. n. 69/2019, prevede oggi infatti che il minore di anni diciotto che assista ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato. L'elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti consiste nel dolo generico, che si sostanzia nella coscienza e nella volontà di sottoporre in maniera sistematica e continuativa il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali. Non è necessario uno specifico programma criminoso, proiettato verso un determinato risultato, essendo invece sufficiente la consapevolezza e volontà di sottoporre la vittima ad un trattamento abitualmente offensivo; occorre dunque un dolo unitario, dal momento che l'agente deve rappresentarsi il fatto che la singola sopraffazione è espressione di una condotta abusiva già reiterata in altre occasioni (Cass. VI, n. 15146/2014). La consumazione del delitto può non coincidere con il suo perfezionamento, per il quale è necessario il compimento di quell'atto che, sorretto da dolo unitario e unendosi alle precedenti condotte, realizzi l'evento lesivo. Qualora quest'ultimo risulti successivamente aggravato da nuove e ulteriori condotte poste in essere dal soggetto agente, quando il reato sia già perfezionato, la consumazione del delitto dovrà individuarsi nel momento dell'ultimo atto di maltrattamenti ovvero nel momento in cui sia venuta meno la relazione qualificata tra soggetto agente e persona offesa, necessaria per l'integrazione del delitto (es. cessazione della convivenza o del rapporto di affidamento, ecc.). Secondo l'orientamento prevalente deve escludersi la configurabilità del tentativo, in quanto incompatibile con la struttura del delitto abituale. Circostanze e trattamento sanzionatorio Trovano applicazione in relazione al delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi le circostanze aggravanti speciali di cui ai commi 2 e 3. Il comma 2 dell'art. 572 c.p. disciplina una prima serie di circostanze aggravanti ad effetto speciale, che determinano l'aumento della pena fino alla metà e ricorrono se il fatto è alternativamente commesso in presenza o ai danni di un minore, ovvero contro una donna in stato di gravidanza o un disabile o infine con armi. Ai sensi del comma 3, inoltre se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Ricorre dunque lo schema del delitto aggravato dall'evento, quando quest'ultimo sia riconducibile sul piano causale alla condotta del reo e ne costituisca una conseguenza da esso non voluta, neanche a titolo di dolo eventuale, ricorrendo altrimenti le ipotesi criminose dell'omicidio e delle lesioni personali dolose (Cass. I, n. 21329/2008). È stato tuttavia ritenuta necessaria, secondo una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie, la prevedibilità in concreto della morte o delle lesioni della persona offesa, quale conseguenza della condotta criminosa di base (Cass. VI, n. 44492/2009). Tale requisito è inoltre richiesto dall'art. 59, comma 2, c.p., in relazione all'imputazione delle circostanze aggravanti, valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. La pena irrogata a fronte della commissione del fatto nella sua forma semplice ovvero in presenza delle esaminate aggravanti potrà essere condizionalmente sospesa, ex art. 163 c.p., solo subordinando la sospensione alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannai per i reati cc.dd. di violenza di genere, come previsto dall'art. 165 c.p., novellato sul punto dalla l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la norma, pur avendo natura sostanziale, si applica anche a fatti di maltrattamenti in famiglia perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, ma protrattisi – senza significative cesure temporali – in epoca successiva, stante l'unitarietà strutturale del reato (Cass. VI, n. 32577/2022). Va infine rilevato che, ai sensi dell'art. 34, comma 2, c.p., la condanna per il delitto di maltrattamenti contro familiari, nello specifico caso di abuso della responsabilità genitoriale da parte del soggetto agente, comporta la sospensione dall'esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
La reciprocità delle condotte di maltrattamenti tra soggetto agente e persona offesa escluse la sussistenza del delitto?
Orientamento meno recente della Corte di Cassazione Il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti. Perché possa configurarsi il delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p., è necessaria una condotta abituale consistente nell'infliggere vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante. La Corte di Cassazione ha evidenziato che l'oggetto giuridico tutelato dal delitto in esame non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma incriminatrice, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari. I giudici di legittimità hanno tuttavia ritenuto che debba escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (Cass. VI, n. 37019/2003). Secondo la Corte, dunque, il delitto ex art. 572 c.p. postula il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima. Ne discende che, ai fini della integrazione della fattispecie, è pertanto necessario – dal punto di vista fenomenologico – che il soggetto agente infligga abitualmente vessazioni e sofferenze fisiche o morali in danno di un altro, il quale ne rimanga succube. Pertanto, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità equivalenti, non può ritenersi che vi sia un soggetto che maltratta e uno che è maltrattato, né che l'agire dell'uno sia teso – anche dal punto di vista soggettivo – ad imporre all'altro un regime di vita persecutorio ed umiliante (Cass. VI, n. 4935/2019). Orientamento più recente della Corte di Cassazione Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri. Più di recente, la Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi anche a fronte di condotte violente o vessatorie realizzate tra le parti in maniera reciproca (Cass. III, n. 12026/2020). Prendendo espressamente in considerazione l'orientamento di segno contrario, secondo cui non ricorre il delitto in esame qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti (Cass. VI, n. 4935/2019), i giudici di legittimità hanno tuttavia ritenuto di non aderirvi. È stato infatti rilevato che, sia ragioni sistematiche che ragioni interpretative inducono a ritenere, senza pertanto dover qui esaminare il tema della intensità e gravita dei rispettivi comportamenti, che la condotta di chi, sistematicamente infligga, con atteggiamenti violenti ed umilianti, vessazioni in danno di altro individuo componente della famiglia del soggetto agente ovvero nei confronti di persona con lui convivente o comunque sottoposta alla di lui autorità o affidata alla sua cura, così da rendergli mortificante ed in generale insostenibile il regime di vita, sia tale da costituire reato anche nel caso in cui le condotte poste in essere non siano unilaterali ma siano reciproche (Cass. III, n. 12026/2020). In tal senso la Corte evidenzia, sul piano sistematico, che laddove il legislatore penale ha ritenuto di applicare un regime di “compensazione” fra condotte in linea astratta penalmente rilevanti ove rivolte reciprocamente, lo ha previsto espressamente, in deroga dunque alla regola generale, secondo la quale il diritto penale non consente in linea di principio il ricorso a forme di sostanziale autotutela tramite compensazione. È quanto previsto, a titolo esemplificativo, dall'art. 599, comma 1, c.p., in forza del quale, prima della depenalizzazione del reato di ingiuria, in caso di reciproche offese all'onore o al decoro di altra persona presente, il fatto non era punibile. Trattasi, come ritenuto dai giudici di legittimità, di una disposizione di natura eccezionale, che non consente di desumerne un principio generale da estendere al delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, in assenza di una espressa disposizione normativa in tal senso. La Corte ha altresì evidenziato che la condizione di soggezione della persona offesa, cui le condotte del soggetto agente abbiano imposto un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile sarebbe configurabile anche a fronte di comportamenti vessatori reciproci. Diversamente opinando, infatti, si finirebbe sia con l'escludere la tutela penale del generale interesse pubblico alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti agiti all'interno di essa, e ciò, paradossalmente, proprio laddove siffatto interesse fosse maggiormente leso non da uno solo ma da più soggetti fra quelli partecipanti al consorzio familiare. Ne deriverebbe altresì la conseguenza ritenuta dalla Cote paradossale, di far discendere la rilevanza penale di una condotta vessatoria e violenta endo-familiare dal solo fatto che la stessa sia rivolta o meno in danno di soggetto che si opponga ad essa usando analoghi mezzi di quelli indirizzati a suo danno, come se la possibilità di tenere un atteggiamento reattivo escluda in radice la natura persecutoria e umiliante del regime di vita mortificante e intollerabile imposto dal reo (Cass. III, n. 12026/2020). Nello stesso, senso, più di recente, è stato altresì affermato, in ordine al comportamento della persona offesa vittima di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, che il delitto di maltrattamenti non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell'agente (Cass. VI, n. 809/2023).
Domanda
È configurabile l'attenuante della provocazione, ex art. 62, comma 1, n. 2), c.p., in relazione al delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione L'attenuante della provocazione è incompatibile con il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi. La Corte di Cassazione, con un orientamento costante, ha escluso che l'attenuante della provocazione, di cui all'art. 62, comma 1, n. 2, c.p., sia compatibile con il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, evidenziando che la fattispecie criminosa è caratterizzata e da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura, che si ripetono e si replicano nel tempo, sicché quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto si presenta, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l'ordinamento non può dare riconoscimento alcuno (Cass. VI, n. 12307/2000). La Corte ha altresì escluso che l'attenuante possa essere invocata per un singolo episodio, che si inserisca in una condotta abituale, caratterizzata dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici (Cass. VI, n. 13652/2020). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). ProcedibilitàIl delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, ex art. 572 c.p., è sempre procedibile d'ufficio. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, nelle forme non aggravate di cui al comma 1, è pari a quattordici anni, in forza del comma 6 dell'art. 157 c.p. (in vigore dal 23 ottobre 2012), che prevede il raddoppio del termine ordinario di prescrizione (pari a sette anni, in ragione della pena edittale detentiva massima). In presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, tale termine può essere aumentato nella misura di un quarto, fino ad un massimo di diciassette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Qualora ricorrano le circostanze aggravanti ad effetto speciale, di cui al comma 2 dell'art. 572 c.p., il termine base di prescrizione è di ventuno anni, per effetto del raddoppio ex art. 157, comma 6, c.p., del termine ordinario pari alla pena detentiva massima di dieci anni e sei mesi di reclusione, ai sensi dell'art. 572, comma 2, c.p.; anche in questo caso il termine-base è suscettibile di aumento, nella misura di un quarto, in presenza di eventi interruttivi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), fino al termine massimo di ventisei anni e tre mesi, oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Nei casi di cui al comma 4 dell'art. 572 c.p., infine, che prevede le circostanze aggravanti indipendenti ad effetto speciale in caso di lesioni personali gravi o gravissime ovvero di morte della persona offesa, derivate dal fatto, il termine ordinario di prescrizione, raddoppiato ai sensi dell'art. 157, comma 6, c.p., è rispettivamente pari a diciotto (lesioni personali gravi), trenta (lesioni personali gravissime) e quarantotto anni (morte della persona offesa). I medesimi termini sono suscettibili di aumento, nella misura di un quarto, in presenza di eventi interruttivi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), fino al termine massimo rispettivamente di ventidue anni e sei mesi, trentasette anni e sei mesi e sessant'anni, oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al delitto di maltrattamenti in famiglia: – è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380, comma 1, lett. l-ter, c.p.p.); – è sempre consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Nei casi di maltrattamenti contro familiari o conviventi, aggravati o meno, essendo il delitto, anche nella sua forma base, punito con pena edittale massima superiore ai tre anni di reclusione, sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; è sempre applicabile altresì la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 572 c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica nei casi di cui al comma 1, non aggravati, e di cui al comma 4, primo periodo (se dal fatto deriva una lesione personale grave), mentre decide in composizione collegiale nei casi aggravati di cui al comma 2, nonché nel caso di cui al comma 4, secondo periodo (se ne deriva una lesione gravissima) (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). È invece competente per materia la corte d'assise (cfr. art. 5 c.p.p.) nei casi di cui all'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 572 c.p., se dal fatto deriva la morte della persona offesa, essendo il delitto in questo caso punito con la pena della reclusione non inferiore ai ventiquattro anni (da dodici a ventiquattro anni). La competenza per territorio va invece individuata, stante la natura di reato abituale, nel luogo di realizzazione dell'ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato (Cass. VI, n. 24206/2019). Citazione a giudizio Per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi è sempre prevista l'udienza preliminare. Composizione del tribunale Della configurabilità o meno delle circostanze aggravanti di cui all'art. 572, comma 2 e comma 4, secondo periodo, c.p., si deve tenere conto agli effetti previsti dall'art. 33-bis, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica): il processo per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi di cui al comma 1 e i casi aggravanti ai sensi del comma 4, primo periodo (se dal fatto deriva una lesione personale grave), si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica mentre aggravati ai sensi del comma 2, nonché nel caso di cui al comma 4, secondo periodo (se ne deriva una lesione gravissima), dinanzi al tribunale in composizione collegiale, in ragione dell'aumento di pena oltre i dieci anni di reclusione. 4. ConclusioniPur potendosi rivolgere contro una pluralità di persone, così integrando altrettanti autonomi reati, le condotte di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p. si inseriscono di regola in un rapporto bilaterale tra il soggetto agente e la persona offesa, che si trovino in uno dei rapporti tipizzati dalla fattispecie incriminatrice. La giurisprudenza di legittimità è stata quindi chiamata a valutare se e in che termini il comportamento della persona offesa incida sulla configurabilità del delitto. È stato escluso che la capacità di resistenza della persona offesa rispetto alle condotte di maltrattamenti possa far venir meno la sussistenza del delitto, rispetto alla quale si è invece registrato un contrasto giurisprudenziale, tutt'ora irrisolto, relativo alla configurabilità del delitto a fronte di condotte di maltrattamenti reciproche. Ad un primo indirizzo, che esclude in tal caso la sussistenza del delitto, ritenendo che non possa considerarsi imposto alla persona offesa un regime di vita intollerabile e mortificante quando la stessa sia autrice di condotte di pari gravità ai danni del soggetto agente, si è contrapposto un più recente orientamento che ritiene invece irrilevante la condizione di reciprocità delle condotte di maltrattamenti. La Corte è invece concorde nell'escludere la compatibilità del delitto con l'aggravante della provocazione, stante la natura abituale del reato. |