La riduzione in schiavitù con costrizione a rapporti sessuali può concorrerecon la violenza sessuale e/o lo stalking?1. Bussole di inquadramentoIl delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù L'art. 600, comma primo, c.p., nel testo attualmente vigente dopo le modifiche intervenute negli anni 2003 e 2014, incrimina un delitto a fattispecie plurima, integrato alternativamente: – dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario; – dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Il secondo comma dell'art. 600 c.p. richiede, inoltre, ai fini dell'integrazione di una delle fattispecie tipiche, che la condotta venga alternativamente realizzata: – mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità od approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità; – mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La norma incriminatrice richiede, infine, un evento duplice: – la condotta di violenza, minaccia etc. tenuta dall'agente deve produrre uno stato di soggezione continuativa in capo alla persona offesa: detto requisito deve essere inteso o in senso cronologico di durata prolungata nel tempo o, comunque, nel senso di una certa permanenza, dovendosi escludere dal paradigma normativo di cui all'art. 600 c.p., la condotta violentemente costrittiva che, esaurendosi in breve tempo, non acquisisca neppure l'idoneità a determinare lo stato di dipendenza psicologica della vittima e non riesca, comunque, ad intaccarne i processi volitivi in modo tale da comportare la rinuncia, anche temporanea, alle proprie fondamentali prerogative in materia di libertà (Cass. V, n. 8370/2014); – questo stato di soggezione continuativa deve originare una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una totale privazione della libertà personale, che deve estrinsecarsi nella costrizione della vittima a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento od infine a sottoporsi al prelievo di organi. (Cass. V, n. 49594/2014). Allo stato di soggezione deve sempre accompagnarsi un conseguenziale sfruttamento; si è, in proposito, osservato che, per tale ragione, “l'assoggettamento della vittima non rileva in quanto tale, ma come presupposto della condotta di costrizione e sfruttamento; pertanto, l'entità di esso dovrà essere tale da consentire l'esercizio della coazione nel senso predetto, senza che il succube possa in alcun modo sottrarvisi. Lo sfruttamento costituisce, al pari dell'assoggettamento, un evento del reato nel quale si concreta l'elemento materiale della fattispecie tipica di cui all'art. 600 c.p., a differenza di quanto accade nel reato di tratta di persone, previsto e punito dal successivo art. 601 c.p., in cui lo sfruttamento connota, invece, il fine perseguito dall'agente” (Cass. V, n. 37136/2022). Il delitto di violenza sessuale L'art. 609-bis c.p. punisce chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Il delitto di atti persecutori (o stalking) L'art. 612-bis c.p., salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva oppure da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Detto reato costituisce specificazione delle condotte di minaccia e di molestia già contemplate dal codice penale, che il legislatore ha ulteriormente connotato, richiedendo che le stesse siano realizzate in modo continuativo o comunque idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati nel testo normativo (stato di ansia o di paura, timore per l'incolumità o mutamento delle abitudini di vita). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
In base a quale criterio vanno esaminati i casi di possibile concorso apparente di norme?
Orientamento consolidato della Corte di Cassazione La giurisprudenza (Cass. S.U., n. 47164/2005; Cass. S.U., n. 16568/2007; Cass. S.U., n. 1235/2011; Cass. S.U., n. 1963/2011; Cass. S.U., n. 20664/2017; Cass. S.U., n. 41588/2017) è ormai ferma nel ritenere che il solo criterio idoneo a risolvere i casi di concorso apparente di norme sia quello della specialità ex art. 15 c.p.: invero, sia i criteri di assorbimento che di consunzione sono privi di fondamento normativo, perché si riferiscono solo a casi determinati, non generalizzabili, in quanto i giudizi di valore che essi richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, facendo dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l'applicazione di una norma penale. L'unico criterio operante, perché è il solo normativamente accolto, è quindi quello della specialità: proprio la disciplina dettata dall'art. 15 c.p. nel caso in cui diverse disposizioni regolino una “stessa materia”, consente alla norma incriminatrice speciale di derogare a quella generale. “Norma speciale” va, all'uopo definita quella “che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale” (Cass. S.U., n. 1235/2011). Si è anche chiarito che il criterio di specialità va inteso ed applicato in senso logico-formale, poiché “il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato”, precisando altresì che “l'operatività del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e, pertanto, anche ove il principio di specialità operasse, resterebbe pur sempre impregiudicata l'ipotesi del concorso tra reati nel caso in cui l'agente abbia posto in essere una pluralità di condotte nell'ambito di una progressione criminosa” (Cass. S.U. , n.41588/2017). Nel caso in cui il concorso apparente vada escluso, è possibile non configurare il concorso di reati unicamente in presenza di clausole di riserva, le quali, inserite in una singola disposizione, impongono testualmente l'applicazione della sola norma penale incriminatrice prevalente, che si individua generalmente in base ad una logica diversa da quella della specialità, ovvero in base alla maggiore o minore gravità delle singole fattispecie incriminate. La giurisprudenza (Cass. II, n. 36365/2013; Cass. III, n. 50561/2015) ha anche chiarito che la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” presuppone, perché operi in concreto il meccanismo dell'assorbimento, che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo bene-interesse tutelato dal reato meno grave che deve essere assorbito. Si è anche precisato che, in presenza della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti va valutata avendo riguardo alla pena in concreto irrogabile, tenuto anche conto delle circostanze ritenute e dell'eventuale bilanciamento tra esse (Cass. II, n. 36365/2013: fattispecie in cui è stato escluso l'assorbimento del reato di trattamento illecito di dati personali nel – meno grave in concreto – reato di diffamazione; conforme, Cass. II, n. 25363/2015).
Domanda
I delitti di riduzione in servitù con costrizione a rapporti sessuali e di violenza sessuale possono concorrere?
Lo stato di soggezione della vittima Si è già visto che il reato di riduzione in schiavitù richiede, tra l'altro, che lo stato di soggezione della vittima – indotto attraverso violenza, minaccia od abuso di autorità – sia collegato all'ulteriore evento, costituito dallo sfruttamento della vittima, che può realizzarsi in vari modi, compreso quello – espressamente tipizzato dal legislatore – della costrizione al compimento di prestazioni sessuali. Si pone, pertanto, il problema di stabilire se l'ipotesi di reato di cui all'art. 600, comma primo, c.p., consistente nella condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni sessuali, possa concorrere con il delitto di violenza sessuale. L'orientamento consolidato della giurisprudenza Secondo la giurisprudenza (Cass. V, n. 37136/2022), il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. opera anche nei rapporti tra i reati di cui agli artt. 600 e 609-bis c.p. Nel caso esaminato, si era accertato che l'imputato aveva ridotto la persona offesa (originariamente libera, di oltre trenta anni più giovane ed affetta da anoressia, cui l'imputato si era presentato come sociologo esperto in ipnosi, finendo per soggiogarla con minacce di morte e di intervento di poteri occulti, nonché con abuso di autorità ed approfittamento della particolare condizione di vulnerabilità) in uno stato di soggezione protrattosi dal 1998 al 2016, anche con imposizione di prestazioni sessuali in favore dell'autore del reato. Ciò premesso, è stata ravvisata una situazione di unità naturalistica del fatto, poiché, in base alla predetta ricostruzione, le condotte che avrebbero in astratto integrato il reato di violenza sessuale coincidevano con quelle di sfruttamento sessuale integranti uno degli eventi del delitto di riduzione in servitù, in quanto la condizione di sottomissione della vittima conduceva anche allo sfruttamento delle prestazioni sessuali di essa, conseguentemente non libere: “la comparazione degli elementi costitutivi dei delitti dimostra la sussistenza di un rapporto di continenza, posto che il delitto di riduzione in servitù, come ricostruito nella fattispecie in esame (condotta attuata anche mediante violenza e minaccia, con costrizione della persona offesa a prestazioni sessuali) contiene tutti gli elementi costitutivi del delitto di violenza sessuale, rispetto al quale presenta, in funzione specializzante, l'ulteriore stato caratteristico della riduzione in stato di soggezione continuativa. D'altronde, se si eliminassero lo sfruttamento sessuale, difetterebbero i presupposti dell'art. 600 c.p., poiché, in base alla ricostruzione operata dai giudici di merito, quello e solo quello viene individuato come ulteriore evento che, nel caso concreto, si accompagna all'assoggettamento continuativo, non essendo state contestate né ipotizzate ulteriori forme di sfruttamento idonee a ricadere nell'alveo precettivo della norma incriminatrice citata”. Si è, pertanto, concluso che il delitto di riduzione in servitù, attuato mediante violenza e minaccia costringendo la vittima a prestazioni sessuali, non può concorrere, per il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., con quello di violenza sessuale configurato in relazione alle medesime condotte, in quanto contiene tutti gli elementi costitutivi di quest'ultimo, nonché, in funzione specializzante, l'ulteriore requisito della riduzione in stato di soggezione continuativa: in tali casi, il delitto di cui all'art. 609-bis c.p. deve ritenersi assorbito in quello di cui all'art. 600 c.p.
Domanda
I delitti di riduzione in servitù con costrizione a rapporti sessuali e di atti persecutori (o stalking) possono concorrere?
Orientamento consolidato della giurisprudenza Secondo la giurisprudenza (Cass. V, n. 37136/2022), il delitto di atti persecutori può concorrere con quello di riduzione in schiavitù nel caso in cui le condotte siano state poste in essere in diversi segmenti temporali, in quanto l'operatività della clausola di sussidiarietà di cui all'art. 612-bis c.p. postula l'unità naturalistica del fatto. Pur se l'art. 612-bis c.p. contiene la clausola di riserva “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, l'assorbimento degli atti persecutori nel reato di cui all'art. 600 c.p. è stato escluso “in ossequio alla regola per cui l'operatività del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e, pertanto, resta impregiudicata la possibilità del concorso tra i reati qualora l'agente ponga in essere una pluralità di condotte. Nella specie, alla riduzione in schiavitù (conclusasi nel 2016) sono seguite le condotte materiali che hanno dato luogo agli atti persecutori, che si collocano in un successivo segmento temporale (dal 06/10/2016 al 13/03/2019). In difetto del requisito dell'unità naturalistica del fatto, i reati di riduzione in servitù e di atti persecutori concorrono”. 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 310); Ricorso per cassazione contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 311); Memorie difensive (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Richiesta dell'indagato di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447, comma 1). Procedibilità, misure precautelari e cautelari, competenza e forme di citazione a giudizio Per l'art. 600 c.p., si rinvia alla casistica: “Riduzione in schiavitù e fattori culturali”; Per l'art. 609-bis c.p., si rinvia alla casistica: “Assunzione da parte della persona offesa di sostanze alcoliche e stupefacenti in quantità rilevante, conseguente incapacità di esprimere il proprio consenso e violenza sessuale per induzione”; Per l'art. 612-bis c.p., si rinvia alla casistica: “Procedibilità del delitto di atti persecutori connesso con le lesioni aggravate ex art. 576, n. 5.1.”. 4. ConclusioniLe conclusioni cui è giunta la citata decisione sono riferibili specificamente al caso concreto esaminato; s'impongono, in proposito, due precisazioni: – quanto ai rapporti tra i reati di cui agli artt. 600 e 609-bis c.p., gli stessi ben potrebbero concorrere, se del caso in continuazione ex art. 81, comma secondo, c.p., nel caso in cui il secondo sia stato commesso quanto la condizione di continuativo assoggettamento della vittima era cessata; – quanto ai rapporti tra i reati di cui agli artt. 600 e 612-bis c.p., ben potrebbe giungersi a conclusioni diverse, ed escludersi il concorso del delitto di atti persecutori con quello di riduzione in servitù, nel caso in cui le condotte siano state poste in essere nel medesimo segmento temporale, integrando una condizione di unità naturalistica del fatto: in tal caso, in virtù della clausola di riserva “Salvo che il fatto costituisca più grave reato” esistente nell'art. 612-bis c.p., ben si potrebbe verificare l'assorbimento degli atti persecutori nel reato di cui all'art. 600 c.p. Infine, merita di essere ricordato che, a parere di una non recente decisione (Cass. II, n. 37489/2004), il reato di sequestro di persona di cui all'art. 605 c.p. concorre con quello di riduzione in schiavitù di cui all'art. 600 c.p. nel caso in cui alla privazione della libertà di locomozione, oggetto di tutela della fattispecie di cui all'art. 605 c.p., si aggiunga una condizione di fatto ulteriore, in cui un individuo ha il potere pieno e incontrollato su un altro, assimilabile alla condizione di res posseduta da altri; tale situazione si verifica quando la vittima, subendo violenza e pressioni psicologiche, sia posta in condizioni afflittive e di costringimento tali da configurare una serie di trattamenti inumani e degradanti, tali da comprimerne in modo significativo la capacità di autodeterminarsi. Nel caso esaminato, si era accertato che gli imputati avevano rinchiuso a chiave alcune donne extracomunitarie in un casolare da dove venivano prelevate esclusivamente per essere portate sul posto di lavoro nei campi agricoli, in regime di stretto controllo e sorveglianza, di sistematica violenza e di continue minacce, di sfruttamento, venendo private di gran parte degli emolumenti giornalieri. |