L'errore sul consenso all'atto sessuale

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di violenza sessuale: evoluzione legislativa

Il delitto di violenza sessuale è disciplinato dall'art. 609-bis c.p., che prevede due distinte condotte di violenza sessuale.

Il comma 1 della disposizione punisce “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”.

Ai sensi del comma 2, è soggetto alla stessa pena “chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.

La disposizione in esame è stata introdotta con legge 15 febbraio 1996, n. 66, abrogando nel contempo l'intero Capo I del Titolo IX, Libro II del Codice penale, relativo ai delitti contro la libertà sessuale e costituito dagli articoli da 519 a 527 c.p.

La riforma ha così determinato l'unificazione dei reati di violenza carnale, ex art. 529 c.p., e di atti di libidine violenti, ex art. 521 c.p., nella fattispecie ex art. 609-bis c.p., che ricomprende altresì il delitto di congiunzione carnale abusiva, originariamente previsto dall'art. 520 c.p.

Come rilevato dai primi commentatori, attraverso la nuova fattispecie criminosa unitaria, il legislatore ha così inteso evitare che la vittima, nel corso del processo, fosse sottoposta ad indagini particolarmente insidiose, dirette ad individuare la esatta fattispecie incriminatrice applicabile, sottraendola all'imbarazzo e all'umiliazione che ne derivava, causa del diffuso atteggiamento riluttante della vittima a denunciare il delitto subito.

È infatti oggi punita, ai sensi dell'art. 609-bis, qualsiasi forma di violenza sessuale, a prescindere dalle modalità della condotta e dal tipo di relazione fisica intervenuta con la persona offesa.

La materia dei reati sessuali è stata nuovamente interessata da un intervento legislativo con l. n. 172/2012, di ratifica e attuazione della Convenzione di Lanzarote del 2007, e più di recente con l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, con innalzamento delle pene e introduzione di modifiche in tema di circostanze, procedibilità e sospensione condizionale della pena.

Da ultimo, la disciplina dei reati sessuali e, per quanto in questa sede rileva, le circostanze aggravanti del delitto di violenza sessuale, di cui all'art. 609-ter c.p., sono state interessate dalle modifiche introdotte con l. n. 238/2021, c.d. legge europea 2019-2020, al fine di adeguare il diritto interno alla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.

La struttura del reato

Il bene giuridico tutelato dal delitto di violenza sessuale è libertà della persona di determinarsi liberamente nelle scelte afferenti la sfera sessuale, c.d. libertà sessuale.

Si tratta di un delitto comune, che non richiede alcuna particolare qualifica in capo al soggetto agente.

La condotta tipica è duplice e consiste nel costringere la vittima a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità (c.d. violenza sessuale per costrizione), ovvero nell'indurre a compiere atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno quest'ultima per essersi il colpevole sostituito ad altra persona (c.d. violenza sessuale per induzione).

La violenza sessuale per costrizione, di cui al comma 1 dell'art. 609-bis c.p. è commessa con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità e richiede che l'azione avvenga contro la volontà della persona offesa.

È sufficiente che le condotte violente risultino in concreto idonee a vincere la resistenza della persona offesa, dovendosi ritenere integrato il delitto anche quando quest'ultima smetta di difendersi o vi rinunci per paura o per l'impossibilità di contrastare il proprio aggressore.

Non occorre infatti il carattere assoluto della violenza, essendo sufficiente un effetto di coartazione, così come nel caso di minaccia, tenendo conto di ogni circostanza soggettiva e oggettiva del caso concreto (Cass. III, n. 17414/2016).

La condotta di violenza sessuale per costrizione, comunque attuata, presuppone la mancanza di un libero consenso da parte della persona offesa ovvero l'espresso dissenso della stessa, che costituisce elemento del fatto tipico, in negativo.

Il consenso può venire meno in itinere, assegnando in tal caso rilevanza penale all'eventuale comportamento che persista, ignorando la volontà espressa dalla vittima, anche in relazione alle sole modalità degli atti sessuali in corso (Cass. III, n. 25727/2004).

Una particolare forma di costrizione, prevista dal comma 1, riguarda le condotte commesse con abuso di autorità, ravvisabile a fronte di una posizione di superiorità o preminenza del soggetto agente, a prescindere dall'esistenza o meno di poteri coercitivi in capo all'agente; in siffatte ipotesi la violenza sessuale si configura a fronte della strumentalizzazione di tale posizione per costringere la persona offesa a compiere o subire atti sessuali.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiarendo che l'abuso di autorità cui si riferisce l'art. 609-bis, comma 1, c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali (Cass. S.U., n. 27326/2020).

Riguardo invece alle condotte di violenza sessuale c.d. per costrizione e, in particolare, alla condotta di induzione, il comma 2 dell'art. 609-bis c.p., al n. 1, prende in considerazione il caso in cui il soggetto agente abbia abusato delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.

Sotto la vigenza dell'ormai abrogato art. 519, comma 2, n. 3, c.p. (che puniva il soggetto che si fosse congiunto carnalmente con una persona che al momento del fatto fosse “malata di mente, ovvero non [...] in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole”), era prevista una presunzione assoluta di invalidità del consenso prestato da persone in condizioni di inferiorità fisica o psichica. A seguito della riforma del 1996, tali soggetti sono stati invece ritenuti in grado in grado di estrinsecare la propria individualità sessuale, in un clima di assoluta libertà, salvo prova contraria dell'abuso commesso da parte del soggetto agente ai danni delle medesime.

La fattispecie è costruita intorno ai concetti di abuso, consistente nell'approfittamento delle particolari condizioni in cui si trova il soggetto passivo, e induzione, quale opera di persuasione sottile o subdola, attraverso cui l'agente spinge o convince la vittima a sottostare o compiere atti che diversamente non avrebbe tollerato o compiuto (Cass. III, n. 32971/2005).

Riguardo alla inferiorità fisica, il legislatore prende in considerazione la condizione individuale di salute della persona offesa, tale da impedirle di resistere alle iniziative sessuali del soggetto agente; per inferiorità psichica deve invece intendersi la condizione intellettiva o spirituale di minore resistenza alla altrui opera di coazione psicologica o di suggestione (Cass. III, n. 3376/2007), che può anche prescindere da fenomeni patologici e ricollegarsi a situazioni transeunti di alterazione psico-fisica.

Meno frequenti i casi di cui al n. 2 del comma 2 dell'art. 609-bis c.p., che prende in considerazione i casi di scambio di persona, richiedendo una condotta fraudolente, tale da indurre la vittima in errore, non già sulle qualità personali o sullo status giuridico del partner ma sulla sua identità.

Il delitto di violenza sessuale è punito a titolo di dolo generico, rispetto al quale non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale del reo, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell'atto posto in essere, in termini di idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo concretamente perseguito (Cass. III, n. 3648/2018).

Ai sensi dell'art. 609-sexies c.p., nel caso in cui il delitto in esame sia stato commesso “in danno di persona minore degli anni diciotto, [...] il colpevole non può invocare a propria scusa, l'ignoranza dell'età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile”. L'attuale formulazione della disposizione citata è frutto dell'intervento della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 322/2007) che, nel dichiarare inammissibile la questione sollevata in relazione alla violazione dell'art. 27 cost., ha indicato una interpretazione “costituzionalmente orientata” della disposizione ex art. 609-sexies c.p., nel suo testo previgente, ribadendo che occorre un “coefficiente di partecipazione psichica” del soggetto al fatto, rappresentato quanto meno dalla colpa «in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica», tra cui rientra senza dubbio l'età della persona offesa nei reati contro la libertà sessuale.

La disposizione è stata successivamente integrata, in forza della l. n. 172/2012, recependo nel testo vigente le indicazioni della Corte Costituzionale, attraverso il riferimento esplicito al carattere inevitabile dell'errore.

Il delitto di violenza sessuale si perfeziona nel momento in cui la vittima compie o subisce un atto sessuale per effetto della condotta tipica e raggiunge la sua consumazione allorché esso cessi.

Il delitto è punibile a titolo di tentativo quando, in assenza di alcun contatto fisico tra soggetto attivo e soggetto passivo, la condotta denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo della idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Cass. III, n. 2029/2008).

Le conseguenze del reato

Ulteriori disposizioni speciali, applicabili al delitto di violenza sessuale, oltre che ai già esaminati delitti di cui alla Sezione I del Capo III, sono contenute nell'art. 609-decies c.p., modificato con legge n. 172 del 2012, ai sensi del quale, nel caso di delitto commesso ai danni di un minore, “il Procuratore della Repubblica dia notizia del procedimento al Tribunale per i minorenni, al fine di attivare un supporto di assistenza affettiva e psicologica per il minore”.

L'art. 609-novies c.p. prevede infine, in caso di condanna o patteggiamento, le pene accessorie della perdita della responsabilità genitoriale, quando la stessa è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato; della interdizione perpetua da qualunque ufficio inerente la tutela, curatela o l'amministrazione di sostegno; della perdita degli alimenti e l'esclusione dalla successione della persona offesa; dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici e della sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte.

In forza del comma secondo dell'art. 609-novies c.p., deve disporsi altresì l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture, pubbliche o private, frequentate abitualmente da minori, quando la vittima non abbia compiuto i diciotto anni.

Infine, l'ultimo comma dell'art. 609-novies c.p. prevede, nei casi più gravi ivi elencati, l'applicazione al colpevole, dopo l'esecuzione della pena e per la durata minima di un anno, delle seguenti misure di sicurezza: a) eventuale imposizione di restrizioni dei movimenti e della libera circolazione, nonché il divieto di avvicinarsi a luoghi abitualmente frequentati da minori; b) divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituale con minori; c) l'obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'errore sul consenso della persona offesa a compiere o subire atti sessuali esclude la responsabilità del soggetto agente per il delitto di violenza sessuale?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

L'errore in merito al consenso della persona offesa a compiere o subire atti sessuali non può mai assumere rilevanza in funzione di scriminante putativa, potendo al più escludere il dolo, ai sensi dell'art. 47 c.p., quando emerga che il soggetto agente ha posto in essere la condotta sull'erroneo presupposto della sussistenza del consenso, derivato da un errore oggettivo e scusabile.

La Corte di Cassazione è intervenuta in più occasioni in merito alla rilevanza che l'errore del soggetto agente in ordine alla sussistenza del consenso della persona offesa può assumere e agli effetti sulla punibilità del delitto di violenza sessuale.

I giudici di legittimità hanno costantemente escluso che, in relazione al delitto in esame, possa operare la scriminante del consenso dell'avente diritto, ex art. 50 c.p., con particolare riferimento alla forma putativa della stessa, ex art. 59 c.p.

Si è infatti evidenziato che l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Cass. III, n. 2400/2018; Cass. III, n. 17210/2011).

Nello stesso senso, più di recente, i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità di invocare la scriminante predetta in forma putativa, in relazione ad un caso in cui la persona offesa aveva tenuto una condotta apparentemente consenziente prima del compimento di atti sessuali con la stessa, senza tuttavia poter esprimere un valido consenso nel momento in cui tali atti si erano verificati, in quanto in stato di incoscienza per via dell'assunzione di alcolici.

In motivazione, la Corte ha evidenziato che il consenso deve essere accertato avendo riguardo al momento del compimento degli atti sessuali, senza che la condotta antecedente possa assumere alcun rilievo, precisando che non occorre il dissenso della persona offesa, essendo invece sufficiente il mancato consenso a compiere o subire specifici atti sessuali.

In tal senso, quindi, secondo i giudici di legittimità l'errore in cui siano incorsi gli imputati in merito alla necessità del dissenso della persona offesa, ricadendo su un requisito esplicito della fattispecie penale, non assume rilevanza ai sensi dell'art. 5 c.p., riguardando l'interpretazione – errata – della norma incriminatrice (Cass. III, n. 7873/2022).

All'esclusione del consenso in funzione scriminante, nella sua forma putativa, si affianca, nel contempo, il riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità della possibilità di escludere il dolo quando l'imputato provi di aver agito nell'erroneo presupposto dell'esistenza del consenso della persona offesa, provando tale circostanza o quantomeno allegando elementi utili a verificare che egli sia incorso in un errore rilevante ai sensi dell'art. 47 c.p. (Cass. III, n. 52835/2018).

È stato infatti ribadito che, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico, sicché deve ritenersi irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato. Tuttavia, la Corte ammette la possibilità emerga un ragionevole dubbio in merito alla ricorrenza di un valido elemento soggettivo ma solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa (Cass. III, n. 49597/2016).

È pertanto necessaria un'indagine circa la sussistenza di un errore scusabile in ordine alla sussistenza del consenso da parte della persona offesa (Cass. III, n. 44480/2012).

Domanda
L'errore del medico in ordine alla necessità di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sua sfera di autodeterminazione della libertà esclude il dolo di violenza sessuale?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

L'errore del medico in ordine all'esistenza di un obbligo giuridico di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sua sfera di autodeterminazione della libertà sessuale, a differenza di quello sulla sussistenza di un valido consenso, costituisce errore su legge penale, a norma dell'art. 5 c.p., che non esclude il dolo, salvo che in caso di ignoranza inevitabile.

La questione della rilevanza dell'errore circa il consenso della persona offesa a compiere o subire atti sessuali presenta maggiore complessità allorché la condotta sia realizzata nell'esercizio della professione medica.

Il consenso, in tali circostanze, assume un duplice ruolo, operando quale presupposto necessario della condotta del sanitario e, nel contempo, quale elemento negativo del delitto di violenza sessuale.

La Corte di Cassazione, intervenuta in un caso di trattamenti sanitari che implicavano il compimento di atti sessuali sul corpo della persona offesa, ha operato una importante distinzione tra l'errore del sanitario in ordine alla necessità di acquisire il consenso del paziente e l'errore in merito alla sussistenza del consenso di quest'ultimo.

La Corte ha in primo luogo evidenziato che ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito (Cass. III, n. 3648/2018).

Nel contempo è stata affermata la necessità del consenso per la liceità del compimento di atti invasivi della libertà sessuale di una persona nello svolgimento di attività medica.

Quindi i giudici di legittimità hanno precisato che è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza dell'assenza di una chiara manifestazione del consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico, essendo invece irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa (Cass. III, n. 49597/2016; Cass. III, n. 22127/2017).

Nel contempo, la Corte esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questi è in grado di prestare il suo consenso e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità (Cass. IV, n. 16375/2008), vigendo un principio di necessità del consenso del paziente nell'attività medico-chirurgica (Cass. S.U., n. 2437/2009).

Sulla scorta di tali premesse, i giudici di legittimità hanno concluso che il medico può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito ed informato dallo stesso, salvo che sussistano i presupposti dello stato di necessità, e deve inoltre immediatamente fermarsi in caso dissenso del paziente.

Con particolare riferimento all'errore in cui il sanitario sia incorso in ordine all'acquisizione del consenso del paziente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la regola concernente la necessità di acquisire il consenso del paziente integra uno di questi presupposti, e, precisamente, è elemento che concorre a formare la fattispecie normativa che rende giuridicamente “consentito” il suo comportamento.

Ne deriva che il medico non può addurre, come causa di esclusione del dolo in relazione alla propria condotta conforme alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 609-bis c.p., l'ignoranza o il dubbio sulla necessità o meno di acquisire il consenso esplicito ed informato del paziente, ove sia possibile richiederlo, e non sussistano i presupposti dello stato di necessità.

In siffatte ipotesi, infatti, l'ignoranza o il dubbio, in quanto incidenti su un elemento costitutivo della fattispecie, si traducono in un errore su legge penale, a norma dell'art. 5 c.p., e non invece in un errore sul fatto (Cass. III, n. 18864/2019).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàIl delitto di violenza sessuale, anche nelle forme aggravate ai sensi dell'art. 609-ter c.p., è procedibile a querela della persona offesa, che può proporla nel termine di un anno, come raddoppiato dalla l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso.Nel caso in cui si verifichi il decesso della persona offesa in costanza del termine per sporgere querela, quest'ultima potrà essere sporta dai prossimi congiunti, dall'adottante o dall'adottato, ai sensi dell'art. 597, comma 3, c.p., richiamato dall'art. 609-septies c.p., che disciplina la procedibilità del delitto di violenza sessuale.La querela sporta è irrevocabile, come sancito dal comma 3 dell'art. 609-septies c.p., sì da prevenire indebite pressioni sulla vittima finalizzate alla remissione della querela.Sono previste infine dall'ultimo comma dell'articolo una serie di casi in cui il delitto è invece procedibile d'ufficio, come quando sia stato commesso “nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni diciotto”; “dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, o che abbia con esso una relazione di convivenza”; “da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni”, o risulti connesso “con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio”.Deve rilevarsi, al riguardo, che l'art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, come modificato con d.l. n. 162/2022, conv. con modifiche in l. n. 199/2022, prevede che per i delitti di violenza sessuale, commessi prima della data di entrata in vigore del decreto, si continui a procedere d'ufficio quando il fatto risulti connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della Riforma.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Il termine-base di prescrizione del delitto di violenza sessuale, nei casi di cui al comma 1 e al comma 2, è pari a ventiquattro anni, in forza del comma 6 dell'art. 157 c.p., che prevede il raddoppio del termine ordinario di prescrizione, pari alla pena detentiva edittale massima di dodici anni.

Nei casi di lieve entità, di cui al comma 3 dell'art. 609-bis c.p., il termine-base di prescrizione è pari a otto anni e non si procede al raddoppio dello stesso, espressamente escluso dal citato comma 6 dell'art. 157 c.p.

I predetti termini-base di prescrizione sono suscettibili di aumento, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, nella misura di un quarto fino rispettivamente ad un massimo di quindici (commi 1 e 2) e di dieci anni (comma 3) (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

Il dies a quo della prescrizione, ai sensi dell'art. 158, comma 3, c.p., quando il delitto di violenza sessuale sia stato commesso ai danni di un minore, decorre per i fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della norma (3 agosto 2017). dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente. In quest'ultimo caso il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di violenza sessuale costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di violenza sessuale:

– è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato nei casi di cui ai commi 1 e 2 (art. 380 c.p.p.);

– è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato nei casi di cui al comma 3 (art. 381, comma 2, c.p.p.);

– è sempre consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Nei confronti dell'indagato per il delitto di violenza sessuale sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; è altresì applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Ai sensi dell'art. 275, comma 3, c.p.p., in presenza di gravi indizi di colpevolezza per il delitto in esame, nei confronti dell'indagato è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

In tutti i casi di violenza sessuale è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

Per il delitto di violenza sessuale si procede sempre con udienza preliminare.

Composizione del tribunale

Il processo per il delitto di violenza sessuale si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione collegiale.

4. Conclusioni

Il consenso della persona offesa può operare nella fattispecie penale quale causa di giustificazione, ai sensi dell'art. 50 c.p., ovvero quale elemento costitutivo, in positivo (come nel caso dell'omicidio del consenziente) o in negativo, allorché la sussistenza di un valido consenso esclude la tipicità del fatto.

È quanto avviene nel delitto di violenza sessuale, che presuppone l'assenza di un valido consenso da parte della persona offesa a compiere o subire atti sessuali.

La natura di elemento costitutivo, in negativo, del consenso della persona offesa incide pertanto sulla rilevanza dell'errore in cui sia incorso il soggetto agente in merito alla sua sussistenza.

La giurisprudenza ha infatti categoricamente escluso che in relazione alla fattispecie ex art. 609-bis c.p. opere la disciplina delle scriminanti putative, di cui all'art. 59, comma 4, c.p., dal momento che, come anticipato, il consenso in questo caso non svolge funzione scriminante.

Al pari del consenso putativo deve escludersi il consenso presunto, essendo chiara la giurisprudenza in ordine all'estraneità rispetto all'ordinamento penale di qualsivoglia regola di presunzione del consenso della persona offesa, che deve essere rigorosamente accertato, nello specifico, dal giudice.

È stato altresì precisato che costituisce un errore sulla legge penale e non già un errore di fatto quello che ricada sulla necessità del dissenso della persona offesa al compimento o a subire atti sessuali, essendo invece sufficiente l'assenza di un consenso valido e attuale.

Qualora invece il soggetto agente dimostri (o quantomeno alleghi elementi utili in tal senso, con onere per la pubblica accusa di superarli) di essere incorso in errore in merito alla sussistenza del consenso della persona offesa, qualora questo risulti scusabile e fondato su elementi obiettivi e ragionevoli, potrà trovare applicazione l'art. 47 c.p., configurandosi un errore sul fatto, che esclude il dolo.

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