I requisiti della minaccia: criteri oggettivi e soggettivi di valutazione

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di minaccia

Il delitto di minaccia è punito ai sensi dell'art. 612 c.p., ai sensi del cui primo comma “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa”.

Si tratta di un reato di pericolo, a tutela della libertà morale della persona offesa, che opera in via sussidiaria rispetto ad altre fattispecie penali di cui la minaccia costituisce elemento costitutivo, secondo lo schema del reato complesso, come nei casi di violenza sessuale, estorsione o violenza privata.

Il delitto di minaccia è un reato comune, che non richiede alcuna qualifica personale in capo al soggetto agente.

Il soggetto passivo del reato deve essere determinato o quantomeno determinabile (Cass. V, n. 24269/2016), e deve essere in condizione di percepire il male ingiusto oggetto della minaccia subita. Qualora la minaccia sia stata posta in essere nei confronti di più persone contestualmente, si verterà in un'ipotesi di concorso formale di reati, essendo il bene giuridico tutelato personale (in tal senso, in relazione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, Cass. S.U., 40981/2018).

La condotta criminosa è a forma libera e consiste nel prospettare alla persona offesa, direttamente o indirettamente, un male ingiusto, tale da intimidirla.

Trattandosi di un reato di pericolo, non è necessario un effetto intimidatorio sulla persona offesa, purché la condotta risulti idonea in tal senso e presenti quindi un sufficiente grado di offensività in concreto (Cass. V, n. 6756/2019; Cass. V, n. 644/2014). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che, per ravvisare gli estremi dell'inidoneità ex art. 49 c.p. della minaccia ad offendere la libertà morale del destinatario, è necessaria “l'oggettiva irriconoscibilità del male ingiusto, mentre non è sufficiente l'improbabilità che il male si verifichi in futuro desunta da un giudizio dell'offeso sul passato, giacché essa non garantisce alcuna certezza e, quindi, non esclude l'offensività attuale della minaccia” (Cass. V, n. 35914/2010).

Possono assumere rilievo anche comportamenti meramente materiali (Cass. V, n. 11708/2019; Cass. V, n. 37845/2019) ovvero allusivi (Cass. V, n. 9392/2019; Cass. V, n. 463/2015), che risultino tali da prospettare un male ingiusto alla persona offesa, che può consistere in un facere da parte del soggetto agente o di terzi, o anche nell'omissione di un comportamento dovuto.

Non è necessario che la minaccia sia rivolta direttamente alla persona offesa, essendo sufficiente che il fatto sia posto in essere alla presenza di persone che, in ragione del rapporto con il destinatario della stessa e del contesto in cui la condotta minacciosa è posta in essere, possano riferire alla persona minacciata, come nel caso di legami di parentela (Cass. VI, n. 8898/2010) o di relazioni che si iscrivono in un contesto lavorativo o di frequentazione amicale (Cass. VI, n. 36353/2003).

Il delitto è punito a titolo di dolo generico e non è escluso dall'animus iocandi, che la giurisprudenza di legittimità ritiene irrilevante e afferente ai motivi della condotta e non già alla colpevolezza del soggetto agente (Cass. V, n. 8387/2014).

Il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui la persona offesa ha percezione della minaccia a lei rivolta.

In merito alla punibilità del tentativo, all'orientamento maggioritario che lo esclude in ragione della natura di pericolo del delitto ex art. 612 c.p., si contrappone una tesi estensiva che ritiene ammissibile il tentativo di minaccia ogni qualvolta il messaggio intimidatorio sia stato indirizzato alla persona offesa ma da questa non ricevuto per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, come nel caso di missive, e-mail o altri strumenti di comunicazione a distanza.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quando si è in presenza della prospettazione di un male ingiusto?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Perché possa configurarsi il delitto di minaccia è necessario che il male ingiusto sia prospettato in maniera seria ed effettiva dal soggetto agente e consista in un evento futuro il cui verificarsi dipenda dalla sua volontà, quand'anche da lui non direttamente proveniente. Anche l'esercizio di una facoltà legittima può integrare un male ingiusto, quando avvenga per finalità abusive.

La fattispecie in esame richiede che il soggetto agente abbia prospettato, con qualunque modalità idonea, alla persona offesa un male ingiusto. Come in più occasioni precisato dalla Corte di Cassazione, deve trattarsi di un evento futuro, la cui verificazione dipenda dalla volontà del soggetto agente (Cass. V, n. 4633/2004), quand'anche da lui non direttamente proveniente (Cass. V, n. 7511/2000).

Deve trattarsi altresì di una minaccia “seria” ed “effettiva”, in termini di credibilità da parte della persona offesa della minaccia ricevuta (Cass. V, n. 8387/2014), non potendo assumere rilevanza penale le esternazioni prive di tali requisiti e legate alle contingenze del caso concreto, tali da non poter sortire alcun effetto intimidatorio. Devono altresì escludersi dall'ambito operativo della fattispecie in esame le espressioni di malaugurio, che facciano riferimento ad eventi o sventure che in alcun modo possono essere controllate o dipendere dal soggetto agente.

La giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che il male ingiusto prospettato alla persona offesa può anche consistere in una facoltà legittima che tuttavia il soggetto agente utilizzi abusivamente, per uno scopo diverso da quello per cui gli sia riconosciuta (Cass. V, n. 4633/2004).

Qualora invece il male minacciato risulti legittimo, al pari dei mezzi utilizzati per l'intimidazione, non potrà ritenersi configurata la fattispecie penale di minaccia (Cass. V, n. 19252/2011), come nel caso, a titolo esemplificativo, della prospettazione da parte del soggetto agente di denunciare la persona offesa per un reato dalla stessa effettivamente commesso (Cass. VI, n. 57231/2017, in relazione alla minaccia quale condotte della fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni).

Allo stesso modo, non potrà integrare il delitto in esame la c.d. minaccia condizionata rivolta alla persona offesa al fine di farla desistere da un comportamento illecito della stessa, in quanto non può considerarsi un comportamento volto a restringere la libertà modale del soggetto minacciato bensì a “prevenire un'azione illecita dello stesso” (Cass. V, n. 14054/2014).

Domanda
Come deve essere valutata la idoneità della condotta a intimidire la persona offesa?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

La minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento, secondo un criterio medio in ordine all'efficacia intimidatrice della stessa.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha a più riprese chiarito che, trattandosi di un reato di pericolo, per integrare il delitto di minaccia è sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima mentre non è necessario che la persona offesa sia stata effettivamente intimidita (Cass. II, n. 21684/2019).

Nell'accertare l'idoneità della condotta a sortire l'effetto intimidatorio occorre dunque avere riguardo ad un “criterio medio” di valutazione, tenendo conto delle circostanze del fatto concreto (Cass. V, n. 644/2013).

Queste ultime consentono di assegnare rilevanza penale a condotte che, pur non presentando di per sé una connotazione univocamente minacciosa, possano considerarsi come prospettazione di un male ingiusto se valutate “nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento” (Cass. V, n. 9392/2019).

Qualora invece il male minacciato si presenti “ex se non concretamente realizzabile”, sì da poter escludere un'aggressione penalmente rilevante alla sfera psichica della persona offesa, dovrà escludersi la sussistenza del delitto di minaccia (Cass. VI, n. 8008/1993).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Opposizione a decreto penale di condanna con richiesta di giudizio immediato (art. 461); Richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa (art. 129-bis c.p.p.).

ProcedibilitàIl delitto di minaccia è procedibile a querela di parte, fatta eccezione per i casi in cui la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, così come previsto dal comma 3 dell'art. 612 c.p. a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per tutti i casi di minaccia il termine-base di prescrizione è pari a sei anni (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di sette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161 bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di minaccia costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo.

Con riguardo al delitto di minaccia, comunque circostanziato:

– non è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

– non è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, c.p.p.);

– non è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Nei casi di minaccia di cui al comma 1 dell'art. 612 c.p., punita con pena esclusivamente pecuniaria, non sono applicabili misure cautelari personali.

Solo quando il fatto risulti aggravato ai sensi del comma 2 dell'art. 612 c.p., in deroga ai limiti di cui all'art. 280 c.p., è applicabile la misura dell'allontanamento dalla casa familiare (anche d'urgenza, ai sensi dell'art. 384 bis c.p.p.), in forza della previsione di cui all'art. 282 bis, comma 6, c.p.p.

In tal caso sarà altresì possibile fare applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare anche con le modalità di controllo elettronico (c.d. braccialetto) previste all'articolo 275-bis c.p.p.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Per il delitto di minaccia, nei casi di cui al comma 1 dell'art. 612 c.p., è competente per materia il giudice di pace, a meno che non ricorrano le aggravanti indicate dal comma 3 dell'art. 4 d.lgs. n. 274/2000, che prende in considerazione i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (art. 270-bis1 c.p.), i reati aggravati dal metodo mafioso o commessi per agevolare un'associazione di stampo mafioso (art. 416-bis1 c.p.) e i reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità (art. 604-ter c.p.). In siffatte ipotesi la competenza è infatti attribuita per materia al tribunale, che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Sono di competenza del tribunale, in composizione monocratica, (cfr. art. 6 c.p.p.) altresì le fattispecie di minaccia grave di cui all'art. 612, comma 2, c.p., che non rientrano nelle ipotesi assegnate al giudice di pace.

Citazione a giudizio

Per il delitto di minaccia, comunque circostanziato, si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di minaccia aggravata, che esula dalle competenze del giudice di pace, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Il delitto di minaccia, quale fattispecie di pericolo a forma libera, ha impegnato la giurisprudenza di legittimità nel perimetrarne l'ambito applicativo, attraverso una selezione dei comportamenti penalmente rilevanti.

Da un lato, infatti, è stata esclusa l'integrazione del reato a fronte di minacce prive della sufficiente serietà e dell'idoneità a intimidire la persona offesa.

Dall'altro è stata riconosciuta efficacia intimidatrice anche a meri comportamenti o ad espressioni implicite o allusive, quando dal contesto concreto in cui si inseriscono appaiano tali da prospettare un male ingiusto nei confronti della persona offesa.

Sarà sempre necessario procedere ad una valutazione ex ante e secondo un parametro medio di sensibilità e impressionabilità della persona offesa, non occorrendo la prova che la condotta abbia sortito un effetto intimidatorio sulla stessa, proprio in ragione della natura di reato di pericolo che il delitto ex art. 612 c.p. presenta.

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