Procedibilità a querela di parte e circostanze aggravanti ex art. 339 c.p.

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di minaccia

Il delitto di minaccia è punito ai sensi dell'art. 612 c.p., ai sensi del cui primo comma “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa”.

Si tratta di un reato di pericolo, a tutela della libertà morale della persona offesa, che opera in via sussidiaria rispetto ad altre fattispecie penali di cui la minaccia costituisce elemento costitutivo, secondo lo schema del reato complesso, come nei casi di violenza sessuale, estorsione o violenza privata.

Il delitto di minaccia è un reato comune, che non richiede alcuna qualifica personale in capo al soggetto agente.

Il soggetto passivo del reato deve essere determinato o quantomeno determinabile (Cass. V, n. 24269/2016), e deve essere in condizione di percepire il male ingiusto oggetto della minaccia subita. Qualora la minaccia sia stata posta in essere nei confronti di più persone contestualmente, si verterà in un'ipotesi di concorso formale di reati, essendo il bene giuridico tutelato personale (in tal senso, in relazione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, Cass. S.U., 40981/2018).

La condotta criminosa è a forma libera e consiste nel prospettare alla persona offesa, direttamente o indirettamente, un male ingiusto, tale da intimidirla.

Come in più occasioni precisato dalla Corte di Cassazione, deve trattarsi di un evento futuro, la cui verificazione dipenda dalla volontà del soggetto agente (Cass. V, n. 4633/2004), quand'anche da lui non direttamente proveniente (Cass. V, n. 7511/2000).

Trattandosi di un reato di pericolo, non è necessario un effetto intimidatorio sulla persona offesa, purché la condotta risulti idonea in tal senso e presenti quindi un sufficiente grado di offensività in concreto (Cass. V, n. 6756/2019; Cass. V, n. 644/2014). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che, per ravvisare gli estremi dell'inidoneità ex art. 49 c.p. della minaccia ad offendere la libertà morale del destinatario, è necessaria “l'oggettiva irriconoscibilità del male ingiusto, mentre non è sufficiente l'improbabilità che il male si verifichi in futuro desunta da un giudizio dell'offeso sul passato, giacché essa non garantisce alcuna certezza e, quindi, non esclude l'offensività attuale della minaccia” (Cass. V, n. 35914/2010).

Nell'accertare l'idoneità della condotta a sortire l'effetto intimidatorio occorre dunque avere riguardo ad un “criterio medio” di valutazione, tenendo conto delle circostanze del fatto concreto (Cass. V, n. 644/2013).

Queste ultime consentono di assegnare rilevanza penale a condotte che, pur non presentando di per sé una connotazione univocamente minacciosa, possano considerarsi come prospettazione di un male ingiusto se valutate “nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento” (Cass. V, n. 9392/2019).

Possono assumere dunque rilievo anche comportamenti meramente materiali (Cass. V, n. 11708/2019; Cass. V, n. 37845/2019) ovvero allusivi (Cass. V, n. 9392/2019; Cass. V, n. 463/2015), che risultino tali da prospettare un male ingiusto alla persona offesa, che può consistere in un facere da parte del soggetto agente o di terzi, o anche nell'omissione di un comportamento dovuto.

Non è necessario che la minaccia sia rivolta direttamente alla persona offesa, essendo sufficiente che il fatto sia posto in essere alla presenza di persone che, in ragione del rapporto con il destinatario della stessa e del contesto in cui la condotta minacciosa è posta in essere, possano riferire alla persona minacciata, come nel caso di legami di parentela (Cass. VI, n. 8898/2010) o di relazioni che si iscrivono in un contesto lavorativo o di frequentazione amicale (Cass. VI, n. 36353/2003).

Il delitto è punito a titolo di dolo generico e non è escluso dall'animus iocandi, che la giurisprudenza di legittimità ritiene irrilevante e afferente ai motivi della condotta e non già alla colpevolezza del soggetto agente (Cass. V, n. 8387/2014).

Il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui la persona offesa ha percezione della minaccia a lei rivolta.

In merito alla punibilità del tentativo, all'orientamento maggioritario che lo esclude in ragione della natura di pericolo del delitto ex art. 612 c.p., si contrappone una tesi estensiva che ritiene ammissibile il tentativo di minaccia ogni qualvolta il messaggio intimidatorio sia stato indirizzato alla persona offesa ma da questa non ricevuto per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, come nel caso di missive, e-mail o altri strumenti di comunicazione a distanza.

Le circostanze aggravanti

Il comma 2 dell'art. 612 c.p. prevede la pena della reclusione fino a un anno, in luogo della multa fino a 1.032,00 euro, prevista nei casi di cui al comma 1, quando la minaccia risulti “grave” ovvero realizzata nei modi di cui all'art. 339 c.p.

La minaccia è da considerarsi grave quando il suo oggetto e le modalità attraverso cui è posta in essere la condotta, appaiano tali da determinare un effetto di particolare intensità sulla libertà morale del soggetto minacciato, come nel caso di minacce di morte. Sul punto i giudici di legittimità hanno infatti affermato che assume in tal senso rilievo “l'entità del turbamento psichico determinato dall'atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali profferite ma anche al contesto nel quale esse si collocano” (Cass. V, n. 8193/2019).

Come inoltre precisato dalla Corte di Cassazione, perché la contestazione della minaccia aggravata sia legittima, occorre che la natura grave della minaccia sia esposta direttamente o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero quantomeno attraverso l'indicazione della relativa norma, non essendo invece sufficiente “il mero richiamo in imputazione alla “gravità” della minaccia, attesa la natura meramente valutativa di siffatta qualificazione” (Cass. V, n. 13799/2020).

La minaccia è altresì aggravata, in forza del richiamo all'art. 339 c.p., quando sia stata commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi o da persona travisata o da più persone riunite o con scritto anonimo o in modo simbolico o ancora valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Si tratta delle circostanze aggravanti previste per i delitti contro i pubblici ufficiali di cui agli artt. 336 e 337 c.p., che trovano pertanto applicazione anche in relazione al delitto di minaccia.

La procedibilità del delitto di minaccia

Il regime di procedibilità del delitto in esame ha registrato negli ultimi anni diversi interventi legislativi, dapprima attraverso il d.lgs. n. 36/2018, che ha esteso la procedibilità a querela di parte anche alle forme di minaccia grave, e quindi con il d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, che ha introdotto ulteriori ipotesi di procedibilità d'ufficio per il delitto di minaccia.

Nella sua originaria formulazione, il delitto di minaccia era procedibile a querela di parte nei casi di cui al comma 1, di competenza del giudice di pace (salve le eccezioni di cui all'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 274/200). Qualora invece la minaccia fosse grave o commessa nei modi di cui all'art. 339 c.p., il reato era procedibile d'ufficio.

Per effetto del su richiamato d.lgs. n. 36/2018, il regime di procedibilità d'ufficio è stato limitato ai soli casi di minaccia commessa in uno dei modi di cui all'art. 339 c.p. (art. 612, comma 3, c.p. previgente), laddove la minaccia grave è divenuta procedibile a querela di parte.

La novella del 2018 ha tuttavia introdotto l'art. 623-ter c.p., che nella sua originaria formulazione prevedeva che il delitto di minaccia grave, di cui all'art. 612, comma 2, c.p., qualora commesso in presenza di “circostanze aggravanti ad effetto speciale”, fosse procedibile d'ufficio.

In merito a tale ultima disposizione è stato necessario un intervento della Corte di Cassazione per precisare che il delitto di minaccia grave è procedibile d'ufficio e non a querela di parte, ove sia ritenuta sussistente la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, quale aggravante ad effetto speciale. (Cass. V, n. 2481/2021). Tale qualificazione era stata confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, stante l'aumento di pena superiore ad un terzo che la recidiva aggravata determina (Cass. S.U., n. 20798/2011).

Tale impianto è stato solo in parte confermato dalla Riforma Cartabia.

Difatti, dal testo dell'art. 623 ter c.p. è stato espunto il riferimento al delitto di minaccia grave, con integrazione, nel contempo, delle ipotesi di procedibilità d'ufficio di cui al comma 3 dell'art. 612 c.p.

La disposizione prevede oggi che il reato sia procedibile di ufficio quando la minaccia risulti grave e ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, diverse dalla recidiva, oltre che nei casi in cui la persona offesa sia un soggetto incapace per età o per infermità.

Per espressa previsione legislativa la contestata recidiva, anche se aggravata o reiterata, non inciderà sulla procedibilità del reato.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quando si configura l'aggravante dell'uso di armi?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Tra i modi di cui all'art. 339 c.p., in cui la minaccia può essere realizzata, che aggravano il reato ai sensi del comma 2 e ne determinano la procedibilità d'ufficio ai sensi del comma 3 dell'art. 612 c.p., l'utilizzo di armi ha richiesto in più occasioni l'intervento della giurisprudenza di legittimità per chiarirne la portata applicativa.

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la minaccia aggravata dall'uso di un'arma ricorra non soltanto quando il soggetto agente abbia fatto uso di un'arma c.d. propria (tra cui rientrano “quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona”, ai sensi dell'art. 585, comma 2, n. 1, c.p.) ma altresì in caso di utilizzo di armi improprie (Cass. V, n. 3865/2015).

In tale nozione rientra ogni strumento atto ad offendere, di cui sia vietato dalla legge il porto, in via assoluta o senza giustificato motivo, così come previsto dall'art. 585, comma 2, n. 2, c.p.

La Corte di Cassazione ha altresì precisato, più di recente, che “anche oggetti comuni possono essere qualificati come armi improprie ai sensi dell'art. 585, comma secondo, cod. pen. quando, in un contesto aggressivo, possano essere utilizzati come mezzi di offesa alla persona” (Cass. V, n. 26059/2019). È stata pertanto ravvisata la forma grave di minaccia, ex art. 612, comma 2, c.p., nel caso in cui la minaccia è consistita nel cospargere di liquido infiammabile il luogo ove si trovava la persona offesa, impugnando un accendino e minacciandola di darle fuoco.

Deve infine ritenersi applicabile anche al delitto di minaccia l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, consolidatosi in relazione al delitto di rapina, secondo cui, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante dell'uso delle armi “è sufficiente il ricorso ad un'arma giocattolo qualora questa non sia immediatamente riconoscibile come tale a causa della mancanza dei segni dell'arma da gioco (tappo rosso e similari) o dell'assenza di visibilità o riconoscibilità di tali segni da parte della vittima” (Cass. II, n. 39253/2021). Tale soluzione è stata per vero affermata anche riguardo al delitto di minaccia in una più risalente pronuncia, in occasione della quale i giudici di legittimità hanno ritenuto sussistente il delitto nella sua forma grave, così come il dolo di minaccia, anche in caso di minaccia di morte posta in essere mediante una pistola giocattolo, apparsa come arma alla vittima, precisando che è “irrilevante che la volontà dell'agente contenga o meno il proposito di tradurre in atto la minaccia medesima, poiché oggetto della incriminazione e unicamente l'azione intimidatrice” (Cass. I, n. 160/1970).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1); Opposizione a decreto penale di condanna con richiesta di giudizio immediato (art. 461); Richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa (art. 129-bis c.p.p.).

Condizioni di procedibilità

Procedibilità

Il delitto di minaccia è procedibile a querela di parte, fatta eccezione per i casi in cui la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, così come previsto dal comma 3 dell'art. 612 c.p. a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per tutti i casi di minaccia il termine-base di prescrizione è pari a sei anni (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di sette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di minaccia costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo.

Con riguardo al delitto di minaccia, comunque circostanziato:

– non è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

– non è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, c.p.p.);

– non è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Nei casi di minaccia di cui al comma 1 dell'art. 612 c.p., punita con pena esclusivamente pecuniaria, non sono applicabili misure cautelari personali.

Solo quando il fatto risulti aggravato ai sensi del comma 2 dell'art. 612 c.p., in deroga ai limiti di cui all'art. 280 c.p., è applicabile la misura dell'allontanamento dalla casa familiare (anche d'urgenza, ai sensi dell'art. 384-bis c.p.p.), in forza della previsione di cui all'art. 282-bis, comma 6, c.p.p.

In tal caso sarà altresì possibile fare applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare anche con le modalità di controllo elettronico (c.d. braccialetto) previste all'articolo 275-bis c.p.p.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Per il delitto di minaccia, nei casi di cui al comma 1 dell'art. 612 c.p., è competente per materia il giudice di pace, a meno che non ricorrano le aggravanti indicate dal comma 3 dell'art. 4 d.lgs. n. 274/2000, che prende in considerazione i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (art. 270bis1 c.p.), i reati aggravati dal metodo mafioso o commessi per agevolare un'associazione di stampo mafioso (art. 416bis1 c.p.) e i reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità (art. 604 ter c.p.). In siffatte ipotesi la competenza è infatti attribuita per materia al tribunale, che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Sono di competenza del tribunale, in composizione monocratica, (cfr. art. 6 c.p.p.) altresì le fattispecie di minaccia grave di cui all'art. 612, comma 2, c.p., che non rientrano nelle ipotesi assegnate al giudice di pace.

Citazione a giudizio

Per il delitto di minaccia, comunque circostanziato, si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di minaccia aggravata, che esula dalle competenze del giudice di pace, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

La procedibilità del delitto di minaccia è mutata per effetto di due recenti interventi legislativi che, in tempi diversi, hanno perseguito la medesima finalità deflattiva, estendendo le condotte di minaccia procedibili a querela di parte.

In tal senso dapprima il d.lgs. n. 36/2018 e successivamente il d.lgs. n. 150/2022. Il primo intervento normativo ha limitato alle minacce nella forma grave, commesse in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale (art. 623-ter c.p.), la procedibilità d'ufficio.

Il secondo ha, da un lato, escluso la recidiva dal novero delle circostanze aggravanti ad effetto speciale idonee ad incidere sulla procedibilità del reato, affiancando a tali casi quelli in cui la persona offesa sia un soggetto incapace, per età o infermità.

Tale ultima previsione non tradisce tuttavia la ratio deflattiva della novella, perseguendo un ulteriore obiettivo, legato alla tutela delle vittime del reato che, per le proprie condizioni psico-fisiche, non possano tutelare autonomamente i propri interessi, con conseguente intervento d'ufficio dell'autorità giudiziaria. La medesima ratio ha ispirato la disciplina del dies a quo della prescrizione ex art. 158 c.p., come modificato con l. n. 103/2017, nel caso in cui un delitto rientrante tra quelli di cui all'art. 392, comma 1-bis, c.p.p., sia stato commesso nei confronti di minore, con decorso della prescrizione solo dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario