Atti persecutori: condotta tipica, molestie e minacce1. Bussole di inquadramentoGenesi ed evoluzione normativa Il delitto di atti persecutori è punito ai sensi dell'art. 612-bis c.p., che al comma 1 prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. La fattispecie in esame è stata introdotta con d.l. n. 11/2009, conv. con modif., in l. 38/2009, per contrastare le condotte definite comunemente di stalking, espressione inglese che indica la condotta di chi, a caccia di una preda, si apposta e/o la segue ossessivamente. Sulla disciplina originaria è intervenuta la l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, elevando la cornice edittale del delitto, con importanti conseguenze sui termini di fase delle misure cautelari, raddoppiati per effetto della novella. Il Codice Rosso ha altresì introdotto una serie di disposizioni processuali volte a garantire una tutela immediata ed effettiva alla persona offesa, introducendo altresì l'obbligo di partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati di violenza di genere, quale condizione per la sospensione condizionale della pena, ex art. 165, comma 5, c.p. La struttura del reato Il delitto di atti persecutori tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo. Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto. La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”. Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia. Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p. Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto. Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori. La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011). La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017). L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato. È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità. La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato. La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto. Le circostanze speciali L'art. 612-bis c.p. disciplina, al comma 2, una serie di circostanze speciali, che operano quando il fatto sia stato commesso “dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”. Perché possa ravvisarsi la circostanza aggravante della relazione affettiva tra soggetto agente e persona offesa non è necessario che questi fossero legati stabilmente, come nel caso di convivenza more uxorio, potendo invece assumere rilevanza anche un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (Cass. III, n. 11920/2018). Per strumenti informatici e telematici devono invece ritenersi tutte le tecnologie che consentono di aggredire da remoto il bene giuridico tutelato, e che si sostanziano nelle condotte di c.d. cyber-stalking. Il comma 3 dell'art. 612-bis c.p. prevede inoltre, quali circostanze ad effetto speciale, la commissione del fatto in danno di “un minore”, di “una donna in stato di gravidanza” o di “una persona con disabilità”, in ragione della maggiore vulnerabilità della vittima, nonché l'aver agito “con armi” o “da persona travisata”. Circostanze aggravanti ulteriori sono previste dal provvedimento normativo introduttivo del delitto in esame, d.l. n. 11/2009, conv., con modif., in l. n. 38/2009, che all'art. 8 prevede che, in caso di previo ammonimento da parte del Questore, la pena per il delitto in esame sia aumentata. Si tratta dei casi in cui la persona offesa, prima di aver sporto querela, si avvalga della facoltà di esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Ricevuta senza ritardo la richiesta, il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Inoltre viene valutata in tale occasione l'adozione di provvedimenti relativi al possesso di armi o munizioni da parte dell'ammonito. Le condotte commesse a seguito dell'ammonimento sono procedibili d'ufficio, oltre che aggravate ai sensi del sopra citato art. 8. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali comportamenti integrano la condotta di molestie rilevante ai sensi dell'art. 612-bis c.p.?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione Integra la condotta di molestie, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., qualunque comportamento che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, senza che sia necessario che la condotta sia realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico, né con il mezzo del telefono, come invece richiesto per la contravvenzione ex art. 660 c.p. Il delitto di atti persecutori presenta, quali condotte tipiche, quelle di molestie o minacce, ciascuna delle quali è idonea ad integrare il reato, trattandosi di una fattispecie a condotte alternative (Cass. V, n. 34015/2010). Con particolare riferimento alla nozione di molestie, la Corte di Cassazione ha affermato che vi rientra qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Cass. V., n. 1753/2022). I giudici di legittimità hanno precisato che, per integrare il delitto ex art. 612 bis c.p., le molestie non devono essere commesse necessariamente in luogo pubblico o aperto al pubblico, né con il mezzo del telefono, a differenza di quanto richiesto per la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. (Cass. V, n. 12528/2016). Non vi è infatti un rinvio a tale ultimo reato che estenda alla condotta di atti persecutori i predetti requisiti necessari per integrare l'omonima contravvenzione. D'altronde la condotta di molestie assume rilevanza ai sensi della fattispecie delittuosa ex art. 612-bis c.p. solo se ne consegua uno degli eventi tipici previsti dalla norma incriminatrice. È stato altresì escluso che le condotte di molestie debbano essere rivolte alla persona offesa, purché comportino subdole interferenze nella sua vita privata (Cass. V, n. 26248/2022), come nel caso in cui i singoli comportamenti interessino solo indirettamente la persona offesa, risultando rivolti ai di lei prossimi congiunti o colleghi di lavoro o comunque a persone alla stessa vicine, comunque determinando, sul piano eziologico, uno degli eventi tipici del delitto di atti persecutori. Secondo i giudici di legittimità, infatti, ciò che assume rilievo è che i destinatari delle condotte moleste (o minacciose) siano “legati da un rapporto qualificato di vicinanza” con la persona offesa, tale da poter ritenere che il soggetto agente abbia agito nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 8919/2021). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). Procedibilità Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013). Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85, comma 2 ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa. Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente. La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte). Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612-bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni. Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato: – è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019). – non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020). Citazione a giudizio Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio. Composizione del tribunale Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniIl disvalore del delitto di atti persecutori è incentrato sulla causazione di almeno uno degli eventi tipici descritti dalla norma incriminatrice, che devono risultare conseguenza delle condotte, alternative, di molestia o minaccia. I comportamenti astrattamente integranti i corrispondenti reati di cui all'art. 660 c.p. e 612 c.p. confluiscono dunque nella fattispecie complessa di cui all'art. 612-bis c.p., allorché siano causativi dei predetti eventi tipici. Non vi è tuttavia un rinvio da parte del legislatore alle relative fattispecie criminose, sicché, con particolare riferimento alla contravvenzione di molestie, non è necessario che ricorrano i presupposti di cui all'art. 660 c.p. La disposizione citata richiede infatti che la condotta molesta sia realizzata “in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo”. A differenza, tuttavia, che per il delitto di minaccia, che si pone in un rapporto di specialità rispetto alla fattispecie di atti persecutori, la nozione di molestie rilevante ai sensi dell'art. 612-bis c.p. assume un autonomo significato, che solo su un piano materiale può corrispondere alla condotta tipica ex art. 660 c.p. Non vi è infatti un rapporto di specialità tra le due fattispecie penali e tantomeno occorre che la condotta di molestie, che può qualificarsi in questo senso come condotta libera, presenti i sopra indicati requisiti, operanti esclusivamente in relazione alla omonima contravvenzione. |