La reiterazione delle condotte nel delitto di atti persecutori1. Bussole di inquadramentoLa struttura del reato Il delitto di atti persecutori è punito ai sensi dell'art. 612-bis c.p., che al comma 1 prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Il delitto di atti persecutori tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo. Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto. La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”. Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia. Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p. Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto. Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori. La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011). La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017). L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato. È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità. La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato. La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quando la condotta di molestie e minacce assume il carattere di abitualità necessario per integrare il delitto ex art. 612-bis c.p.?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione La necessaria reiterazione delle molestie o minacce richiede il compimento di almeno due condotte tipiche, anche se in un ristretto arco di tempo, purché si tratti di atti autonomi e distinti, che costituiscano la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice. Come pacificamente affermato dalla Corte di Cassazione, il delitto di atti persecutori è un reato abituale (Cass. I, n. 9117/2011), a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di “danno” consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Cass. III, n. 23485/2014). La necessaria abitualità della condotta criminosa determina che la fattispecie criminosa di atti persecutori non è configurabile in presenza di un'unica condotta di molestie e minaccia, per quanto grave essa risulti (Cass. V, n. 48391/2014). È infatti necessaria la reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e il loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio (Cass. V, n. 7899/2019). Come precisato dai giudici di legittimità, ciò che rileva non è dunque la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (Cass. V, n. 7899/2019). È infatti la reiterazione delle condotte tipiche a costituire l'elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Cass. V. n. 54920/2016). La Corte di Cassazione, al riguardo, ha tuttavia affermato che il delitto in esame può essere integrato anche mediante due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, purché idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Cass. V, n. 33842/2018). Ciò che rileva, infatti, è che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 38306/2016). Non potrà invece ritenersi sussistente il delitto quando si tratti di comportamenti intervallati da un prolungato lasso temporale, in termini di molti mesi (Cass. V, n. 30525/2021), venendo meno il requisito della reiterazione criminosa, fermo restando che il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompe l'abitualità del reato, né inficia la continuità delle condotte, quando persista l'oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 17240/2020). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1) Procedibilità Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013). Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85 comma 2-ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa. Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente. La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte). Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612-bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni. Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato: – è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019). – non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché il secondo comma dell'art. 280 c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2 bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020). Citazione a giudizio Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio. Composizione del tribunale Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniIl delitto di atti persecutori, pur assegnando rilevanza a comportamenti che potenzialmente integrerebbero autonome e distinte fattispecie penali (molestie, minacce, o anche lesioni, diffamazione, violenza privata, ecc.), si caratterizza per la reiterazione delle stesse, tale da determinare uno degli eventi tipici della fattispecie penale. La giurisprudenza di legittimità ha infatti definito la reiterazione delle condotte tipiche quale elemento essenziale del delitto, evidenziando che in essa risiede la specificità della fattispecie criminosa, che sfocia negli eventi tipici di cui all'art. 612-bis c.p. È stato pertanto escluso, da un lato, che una sola condotta, per quanto grave e tale da determinare uno di tali eventi, possa integrare il delitto, ammettendo, dall'altro, che due soli episodi siano sufficienti a perfezionare il reato. Sul piano temporale è del pari sufficiente a ritenere integrata la fattispecie di atti persecutori un ristretto arco di tempo, laddove una eccessiva dilatazione dei singoli episodi – come nel caso in cui siano occorsi a distanza di mesi l'uno dall'altro – consente di escludere la reiterazione e quindi il delitto ex art. 612-bis c.p. Non si tratta tuttavia di una valutazione quantitativa, da cui deriva automaticamente l'esclusione dell'elemento essenziale della reiterazione. Occorrerà infatti avere riguardo alla gravità e all'incidenza sulla sfera privata della persona offesa del singolo episodio, verificando l'efficacia causale che la realizzazione delle condotte successiva presenti, complessivamente, rispetto al verificarsi degli eventi tipici. Ne consegue che un fatto di particolare rilevanza e gravità consentirà più agevolmente di affermare la sussistenza del delitto anche quando gli episodi successivi si collochino ad una maggiore distanza temporale. Viceversa, comportamenti di minore gravità, tra i quali intercorra un lungo lasso di tempo (la Corte ha fatto riferimento in tal senso a “molti mesi”), potrebbero non consentire di apprezzare l'abitualità della condotta, ferma l'autonoma rilevanza delle singole condotte, ove integranti distinte fattispecie di reato. |