Consumazione del delitto di atti persecutori: profili successori alla luce della nuova cornice edittale

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di atti persecutori, introdotto all'art. 612-bis c.p. con d.l. n. 11/2009, conv. in l. n. 38/2009 e più di recente modificato con l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo.

Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto.

La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia.

Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p.

Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto.

Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori.

La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011).

La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017).

L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato.

È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità.

La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato.

La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto.

L'art. 612-bis c.p. disciplina, al comma 2, una serie di circostanze speciali, che operano quando il fatto sia stato commesso “dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

Perché possa ravvisarsi la circostanza aggravante della relazione affettiva tra soggetto agente e persona offesa non è necessario che questi fossero legati stabilmente, come nel caso di convivenza more uxorio, potendo invece assumere rilevanza anche un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (Cass. III, n. 11920/2018).

Per strumenti informatici e telematici devono invece ritenersi tutte le tecnologie che consentono di aggredire da remoto il bene giuridico tutelato, e che si sostanziano nelle condotte di c.d. cyber-stalking.

Il comma 3 dell'art. 612-bis c.p. prevede inoltre, quali circostanze ad effetto speciale, la commissione del fatto in danno di “un minore”, di “una donna in stato di gravidanza” o di “una persona con disabilità”, in ragione della maggiore vulnerabilità della vittima, nonché l'aver agito “con armi” o “da persona travisata”.

Circostanze aggravanti ulteriori sono previste direttamente dal d.l. n. 11/2009, conv., con modif., in l. n. 38/2009, il quale all'art. 8 prevede che, in caso di previo ammonimento da parte del Questore, la pena per il delitto in esame è aumentata.

Si tratta dei casi in cui la persona offesa, prima di aver sporto querela, si avvalga della facoltà di esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Ricevuta senza ritardo la richiesta, il Questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Inoltre viene valutata in tale occasione l'adozione di provvedimenti relativi al possesso di armi o munizioni da parte dell'ammonito.

Le condotte commesse a seguito dell'ammonimento sono procedibili d'ufficio, oltre che aggravate ai sensi del sopra citato art. 8.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Qual è il momento in cui si consuma il delitto di atti persecutori?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

La consumazione del delitto di atti persecutori, reato abituale d'evento coincide con il verificarsi dell'evento di danno, consistente alternativamente nella alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura, ovvero con “l'evento di pericolo” consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto. Eventuali condotte successive al verificarsi dell'evento aggravano le conseguenze del reato, spostando in avanti il momento della consumazione.

Il verificarsi di uno degli eventi tipici del delitto di atti persecutori determina il perfezionamento della fattispecie criminosa, qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come reato abituale di danno (Cass. V, n. 17082/2015).

Può verificarsi che alla causazione dell'evento tipico seguano nuove e ulteriori condotte di molestie o minacce, che determinano un aggravamento delle conseguenze del reato.

Il delitto di atti persecutori può dunque essere annoverato tra i reati cc.dd. a consumazione prolungata, poiché ciascuna condotta successiva all'evento e che ne aggravi l'entità determinerà uno spostamento nel tempo del momento di consumazione del reato, che coinciderà con la massima portata dell'offesa arrecata alla libertà morale della persona offesa.

La Corte di Cassazione ha infatti individuato la consumazione del delitto ex art. 612-bis c.p. nella realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma incriminatrice, precisando che essa consegue al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato (Cass. V, n. 15651/2020).

Ne consegue che, nella frequente ipotesi di “contestazione aperta”, in cui i fatti sono ascritti all'imputato “fino all'attualità” o “con permanenza”, l'oggetto del processo può estendersi, senza necessità di modifica dell'originaria imputazione, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela e accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull'oggetto dell'imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa (Cass. V, n. 15651/2020).

In tal caso, infatti, la consumazione del delitto – anche ai fini del calcolo della prescrizione del reato – coinciderà con l'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa dell'abitualità, ove tale momento emerga dalle risultanze processuali, (Cass. V, n. 12498/2023), ovvero con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale e dal quale decorre il termine di prescrizione del reato in mancanza di una specifica contestazione che delimiti temporalmente le condotte frutto della reiterazione criminosa (Cass. V, n. 12055/2021).

Di conseguenza, non sarà configurabile una violazione del principio del ne bis in idem in caso di nuovo procedimento penale per fatti successivi alla data della sentenza di condanna per i fatti pregressi (Cass. V, n. 22210/2017).

Domanda
Le condotte successive all'entrata in vigore della fattispecie di atti persecutori o delle successive modifiche in malam partem consentono di applicare retroattivamente la disciplina di sfavore anche in relazione ai comportamenti antecedenti?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Il delitto di atti persecutori è configurabile anche nella ipotesi in cui, pur essendo la condotta persecutoria iniziata in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti la commissione reiterata, anche in epoca successiva, di atti di molestia o minaccia che concorrano a determinare o rendere persistenti gli eventi tipici del reato. Negli stessi casi può trovare applicazione una norma sopravvenuta sfavorevole, che aggravi il trattamento sanzionatorio o normativo del reato.

Il delitto di atti persecutori, in quanto reato abituale, si iscrive nella categoria dei reati di durata, caratterizzati dalla prosecuzione nel tempo della condotta criminosa che non si esaurisce in un singolo momento storico, come invece nel caso di reati cc.dd. istantanei.

Tale caratteristica determina la possibilità che il quadro normativo di riferimento muti in costanza di reato, con conseguente necessità di stabilire quale sia la norma penale applicabile nei confronti del soggetto agente.

Il problema si è posto, originariamente, all'indomani dell'entrata in vigore del delitto di atti persecutori, per effetto del d.l. n. 11/2009, conv. in l. n. 38/2009, rispetto alla condotta abituale che avesse avuto inizio in epoca anteriore.

Nulla quaestio allorché più condotte di molestia o minaccia fossero state realizzate prima dell'entrata in vigore del delitto, senza che il soggetto agente avesse posto in essere nuovi e analoghi comportamenti in epoca successiva, operando in tal caso il disposto dell'art. 2, comma 1, c.p., che impedisce la retroattività delle nuove incriminazioni, in ossequio al principio costituzionale di cui all'art. 25, comma 2, Cost.

Qualora invece, pur essendo la condotta persecutoria iniziata in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice, il soggetto agente abbia realizzato nuove condotte di molestia o minaccia anche a seguito dell'introduzione del delitto di atti persecutori, la Corte di Cassazione, in più occasioni, ha ritenuto che il reato sia configurabile (Cass. V, n. 48268/2016), purché si tratti di atti idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale, in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura (Cass. V, n. 18999/2014).

Tale soluzione si fonda sul presupposto che il soggetto agente, nel momento in cui si determina a realizzare nuove condotte moleste o minacciose, che risultino idonee a determinare gli eventi tipici della nuova fattispecie criminosa, dopo l'introduzione della stessa, è in condizione di conoscere, prevedere e valutare le conseguenze sul piano penale del proprio comportamento, sicché non risulta violata la ratio del principio di irretroattività sfavorevole, sancito dalla carta fondamentale.

Quand'anche dovesse essere realizzata un'unica condotta di molestia o minaccia dopo l'entrata in vigore dell'art. 612-bis c.p., preceduta tuttavia da almeno un'altra condotta o da più condotte antecedenti, risulterebbe comunque integrato in costanza della nuova fattispecie penale il requisito della reiterazione dei comportamenti, da cui dipende il verificarsi del delitto.

I principi di diritto affermati in tal senso dalla giurisprudenza di legittimità in relazione ai fatti commessi parzialmente prima dell'introduzione del delitto di atti persecutori consentono di risolvere i più attuali problemi di successione penale determinati dalle modifiche legislative apportate al reato con l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso.

Tra le principali modifiche, come si è avuto modo di evidenziare, rientra l'elevazione della cornice edittale, da cui conseguono peraltro importanti conseguenze processuali (tra cui il raddoppio dei termini di fase cautelari).

Rispetto dunque alle condotte di atti persecutori realizzate in epoca antecedente alla riforma del 2019 e tuttavia proseguite dopo il 9 agosto 2019, potrà trovare applicazione la nuova e più severa disciplina sostanziale e, a fortiori, processuale, introdotta con il c.d. Codice Rosso.

Il soggetto agente che prosegua nella reiterazione delle condotte di molestia o minaccia a seguito della novella, avrà agito in costanza della nuova normativa, ben potendo pertanto prevedere e valutare le conseguenze del proprio operato, nel pieno rispetto dunque del principio di auto-determinazione che costituisce la ratio della irretroattività sfavorevole.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta dell'indagato di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447, comma 1).

Procedibilità

Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013).

Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85, comma 2 ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa.

Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente.

La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte).

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612-bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni.

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato:

– è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019).

– non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020).

Citazione a giudizio

Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Le questioni di diritto penale intertemporale sorte al momento dell'entrata in vigore dell'art. 612-bis c.p., rispetto alle condotte realizzate in epoca anteriore ma proseguite successivamente, si sono riproposte, un decennio dopo, a seguito della riforma dei reati di violenza di genere attuata con il c.d. Codice Rosso.

I problemi principali riguardano i casi limite, in cui il soggetto agente abbia realizzato solo una condotta di molestia o minacce in epoca successiva all'entrata in vigore della norma incriminatrice o che abbia aggravato il regime normativo e sanzionatorio del reato.

In siffatte ipotesi, infatti, è stato sostenuto da una parte della dottrina che la fattispecie tipica non sarebbe stata realizzata in costanza della nuova disciplina di sfavore, con la conseguenza di dover escludere l'applicazione della stessa.

La Corte di Cassazione ha tuttavia affermato che debbano essere prese in considerazione anche le condotte pregresse quando le stesse non siano cessate con l'introduzione del delitto o della disciplina di sfavore ma siano proseguite nonostante l'intervento legislativo in malam partem.

È stato infatti correttamente osservato che in tali circostanze non si porrebbe un autentico problema di successione penale bensì di individuazione del tempus commissi delicti.

Il perfezionamento del reato e quindi la sua consumazione si collocano difatti in un momento successivo all'entrata in vigore della norma incriminatrice o che aggrava le conseguenze del reato, sicché questa può trovare applicazione senza alcuna violazione del divieto di retrazione sfavorevole sancito dalla Costituzione oltre che dalle norme sovranazionali.

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