Rapporti tra estorsione e riduzione in schiavitù

Sergio Beltrani

1. Bussole di inquadramento

I rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Inizia a porsi, nelle aule dei Tribunali, il problema di distinguere, in relazione ad articolate fattispecie concrete, i reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) e di estorsione (art. 629 c.p.).

Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

L'art. 600, comma 1, c.p., nel testo attualmente vigente dopo le modifiche intervenute negli anni 2003 e 2014, incrimina un delitto a fattispecie plurima, integrato alternativamente:

– dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario;

– dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento.

Il secondo comma dell'art. 600 c.p. richiede, inoltre, ai fini dell'integrazione di una delle fattispecie tipiche, che la condotta venga alternativamente realizzata:

– mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità od approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità;

– mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

La norma incriminatrice richiede, infine, un evento duplice:

– la condotta di violenza, minaccia et c. tenuta dall'agente deve produrre uno stato di soggezione continuativa in capo alla persona offesa: detto requisito deve essere inteso o in senso cronologico di durata prolungata nel tempo o, comunque, nel senso di una certa permanenza, dovendosi escludere dal paradigma normativo di cui all'art. 600 c.p., la condotta violentemente costrittiva che esaurendosi in breve tempo non acquisisca neppure l'idoneità a determinare lo stato di dipendenza psicologica della vittima e non riesca, comunque, ad intaccarne i processi volitivi in modo tale da comportare la rinuncia, anche temporanea, alle proprie fondamentali prerogative in materia di libertà (Cass. V, n. 8370/2014);

– questo stato di soggezione continuativa deve originare una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una totale privazione della libertà personale (Cass. V, n. 49594/2014).

Il predetto stato di soggezione deve estrinsecarsi nella costrizione della stessa vittima a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento od infine a sottoporsi al prelievo di organi.

Allo stato di soggezione deve sempre accompagnarsi un conseguenziale sfruttamento; si è, in proposito, osservato che, per tale ragione, “l'assoggettamento della vittima non rileva in quanto tale, ma come presupposto della condotta di costrizione e sfruttamento; pertanto, l'entità di esso dovrà essere tale da consentire l'esercizio della coazione nel senso predetto, senza che il succube possa in alcun modo sottrarvisi. Lo sfruttamento costituisce, al pari dell'assoggettamento, un evento del reato nel quale si concreta l'elemento materiale della fattispecie tipica di cui all'art. 600 c.p., a differenza di quanto accade nel reato di tratta di persone previsto dal successivo art. 601 c.p., in cui lo sfruttamento connota, invece, il fine perseguito dall'agente” (Cass. V, n. 37136/2022).

Il delitto estorsione

Il delitto di estorsione, posto principalmente a tutela del patrimonio, ma che ha natura di reato plurioffensivo, in quanto lede anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima (Cass. II n. 32224/2020: di qui la necessità, ai fini del riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62, comma 1, n. 4, c.p., di considerare sia il danno patrimoniale patito dalla vittima, sia gli effetti dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia) si configura, sotto il profilo della materialità, in tutti i casi nei quali il soggetto agente, con violenza o minaccia, costringa taluno a fare o ad omettere qualche cosa, ricavando per sé o per altri un ingiusto profitto, nonché, sotto il profilo soggettivo, per il fatto che l'agente ha voluto la violenza o la minaccia proprio come mezzo per realizzare l'ingiusto profitto, sicché, se tale secondo aspetto manca, il delitto di estorsione non risulta configurabile.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come si distinguono i reati di estorsione e di riduzione in schiavitù?

L'orientamento più recente della Cassazione: i rapporti tra riduzione in schiavitù ed estorsione

La giurisprudenza (Cass. V, n. 5733/2022) si è recentemente occupata della questione riguardante i rapporti tra i reati di riduzione in schiavitù ed estorsione in relazione ad un caso nel quale si era accertato che alcuni soggetti, tutti di etnia rom, avevano istigato e fornito ausilio ad un prossimo congiunto affinché assumesse il controllo di una donna della stessa etnia, anche mediante minacce; in particolare, dapprima era stato perfezionato il matrimonio (“che aveva comportato il passaggio della vittima dalla famiglia di origine a quella del marito, come si trattasse di una res”), poi la vittima era stata totalmente privata della propria capacità di autodeterminazione, venendo costretta a prestazioni continuative di accattonaggio, ed in particolare a chiedere elemosina ogni giorno e per molte ore consecutivamente, stazionando nei pressi di un semaforo o di una chiesa, nonché a consegnare tutto il denaro raccolto ai suoi aguzzini, che se ne impossessavano.

Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto che fosse integrata la seconda ipotesi di riduzione in schiavitù prevista dall'art. 600 c.p., che si realizza mediante la riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, con l'ulteriore elemento costituito dalla imposizione di prestazioni (nel caso di specie, lavorative) integranti lo sfruttamento della vittima.

Domanda
Commette il reato di estorsione o quello di riduzione in schiavitù chi, con violenze e minacce, costringa la vittima, allontanata dai figli minori e sottoposta ad uno stringente controllo, a consegnare il denaro ricavato dall'accattonaggio, cui è obbligata?

L'orientamento più recente della Cassazione

Il mantenimento in stato di soggezione continuativa (che contribuisce ad integrare la materialità del reato di riduzione in schiavitù e costituisce condotta a forma vincolata, dovendo essere attuato, per espressa previsione di legge, “mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità od approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona”), nel caso esaminato dalla giurisprudenza era stato propiziato dalle violenze perpetrate materialmente in danno della vittima dal marito nonché dalle minacce poste in essere dai consanguinei di quest'ultimo per impedire qualsiasi contatto con i figli alla vittima, ed infine dall'approfittamento dello stato di necessità in cui quest'ultima versava (essendo stata condotta in Italia senza conoscere la lingua, allontanata dai figli nonostante quello piccolo fosse gravemente malato, costretta a tagliare ogni rapporto con la famiglia di origine ed a mendicare con l'obbligo di raggiungere un certo fatturato giornaliero, a pena di punizioni fisiche e morali).

Né, al fine di ritenere che il controllo cui la vittima era sottoposta non fosse costante, poteva rilevare il fatto che, in più occasioni, ella fosse riuscita ad allontanarsi brevemente dal semaforo o dalla chiesa dove abitualmente esercitava l'accattonaggio, per cercare momentaneo ristoro in una vicina paninoteca, poiché “ai fini della configurabilità dello stato di soggezione della p.o. rilevante per l'integrazione del reato, non è necessaria la totale privazione della libertà personale della medesima, ma soltanto una significativa compromissione della sua capacità di autodeterminazione” (Cass. V, n. 15662/2020).

Sulla base di queste premesse, è stata ritenuta corretta la qualificazione giuridica dei fatti accertati ex art. 600 c.p., in luogo che ex art. 629 c.p., “venendo nella fattispecie in considerazione uno stato di vera soggezione continuativa della p.o. non limitato alla sola destinazione del reato guadagnato tramite l'accattonaggio” (Cass. V, n. 5733/2022).

Domanda
Le fattispecie di cui agli artt. 600 e 629 c.p. potrebbero concorrere?

Concorso apparente di norme e di reati: il consolidato orientamento della Cassazione

La giurisprudenza (Cass. S.U., n. 47164/2005; Cass. S.U., n. 16568/2007; Cass. S.U., n. 1235/2011; Cass. S.U., n. 1963/2011; Cass. S.U., n. 20664/2017; Cass. S.U., n. 41588/2017) è ormai ferma nel ritenere che il solo criterio idoneo a risolvere i casi di concorso apparente di norme è quello della specialità ex art. 15 c.p.: invero, i criteri di assorbimento e di consunzione sono privi di fondamento normativo, perché si riferiscono solo a casi determinati, non generalizzabili, in quanto i giudizi di valore che essi richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, facendo dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l'applicazione di una norma penale.

L'unico criterio operante, perché normativamente accolto, è quindi quello della specialità: proprio la disciplina dettata dall'art. 15 c.p. nel caso in cui diverse disposizioni regolino una “stessa materia”, consente alla norma incriminatrice speciale di derogare a quella generale. “Norma speciale” va, all'uopo, definita quella “che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale” (Cass. S.U., n. 1235/2011).

Si è anche chiarito che il criterio di specialità va inteso ed applicato in senso logico-formale, poiché “il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato”, precisando altresì che “l'operatività del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e, pertanto, anche ove il principio di specialità operasse, resterebbe pur sempre impregiudicata l'ipotesi del concorso tra reati nel caso in cui l'agente abbia posto in essere una pluralità di condotte nell'ambito di una progressione criminosa” (Cass. S.U. , n.41588/2017).

Nel caso in cui il concorso apparente vada escluso, è possibile non configurare il concorso di reati unicamente in presenza di clausole di riserva, le quali, inserite in una singola disposizione, impongono testualmente l'applicazione della sola norma penale incriminatrice prevalente, che si individua generalmente in base ad una logica diversa da quella della specialità, ovvero in base alla maggiore o minore gravità delle singole fattispecie incriminate. La giurisprudenza (Cass. II, n. 36365/2013; Cass. III, n. 50561/2015) ha anche chiarito che la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” presuppone, perché operi in concreto il meccanismo dell'assorbimento, che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo bene-interesse tutelato dal reato meno grave che deve essere assorbito.

Si è anche precisato che, in presenza della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti va valutata avendo riguardo alla pena in concreto irrogabile, tenuto anche conto delle circostanze ritenute e dell'eventuale bilanciamento tra esse. (Cass. II, n. 36365/2013: fattispecie in cui è stato escluso l'assorbimento del reato di trattamento illecito di dati personali nel – meno grave in concreto – reato di diffamazione).

La decisione della Cassazione sulla specifica questione

Con riguardo al caso fin qui esaminato , la Corte di cassazione (Cass. V, n. 5733/2022) ha, sia pure incidentalmente, osservato che “al di là della ontologica differenza dei reati in questione – strutturalmente diversi e tutelanti beni giuridici diversi – una volta ritenuti nella fattispecie tutti gli elementi del reato di riduzione in schiavitù, avente natura permanente per la soggezione continuativa della vittima all'agente (cfr. Cass. V, n. 35479/2010), al più potrebbe farsi questione dell'assorbimento in tale reato [più grave in quanto punito, in fattispecie base, con la pena detentiva della reclusione da otto a venti anni] del reato istantaneo di estorsione [meno grave, in quanto punito, in fattispecie base, con la pena detentiva della reclusione da cinque a dieci anni, oltre pena pecuniaria, ed in fattispecie aggravata con la pena detentiva della reclusione da sette a venti anni, oltre pena pecuniaria], ove quest'ultimo reato fosse stato contestato” (il che, nel caso esaminato, non era accaduto).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 310); Ricorso per cassazione contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 311);Memorie difensive (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Richiesta dell'indagato di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447, comma 1).

Procedibilità, misure precautelari e cautelari, competenza e forme di citazione a giudizio

Per il reato di cui all'artt. 600 c.p., si rinvia alla casistica dal titolo: “Riduzione in schiavitù e fattori culturali”.

Per il reato di cui all'artt. 629 c.p., si rinvia alla casistica dal titolo: “Commette estorsione o esercizio arbitrario delle proprie ragioni chi, con violenza o minaccia, chieda la restituzione di quanto pagato per l'acquisto di un minore?”.

4. Conclusioni

In conclusione, integra il delitto di riduzione in schiavitù, e non quello di estorsione, la condotta dell'agente che, con continue minacce e percosse, costringa la vittima, allontanata dai figli minori, privata di qualsiasi contatto con la famiglia di origine e sottoposta ad uno stringente e articolato controllo, a consegnare il denaro ricavato dall'accattonaggio, cui è obbligata con modalità e tempi non liberamente negoziabili, in quanto ciò che rileva ai fini della corretta qualificazione giuridica della condotta accertata non è la sola destinazione del denaro elemosinato, ma la condizione di soggezione continuativa all'agente.

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