Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 5 - Principi di buona fede e di tutela dell'affidamento.Principi di buona fede e di tutela dell'affidamento. 1. Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell'affidamento. 2. Nell'ambito del procedimento di gara, anche prima dell'aggiudicazione, sussiste un affidamento dell'operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede. 3. In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l'aggiudicazione, il danno da lesione dell'affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall'interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell'operatore economico. 4. Ai fini dell'azione di rivalsa della stazione appaltante o dell'ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell'operatore economico che ha conseguito l'aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito. InquadramentoPrima della espressa codificazione contenuta nella norma in esame, i principi della buona fede e del legittimo affidamento si erano affermati nel diritto vivente. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza del 4 maggio 2018, n. 5 , in particolar modo, ha sancito che anche la Pubblica Amministrazione è destinataria del precetto privatistico di buona fede di cui all'art. 1337 c.c. e, come tale, nello svolgimento della propria attività negoziale, può incorrere, al pari dei privati, in responsabilità precontrattuale. In proposito, peraltro, onde evitare fraintendimenti, occorre operare una rilevante precisazione terminologica. La responsabilità precontrattuale della P.A. alla quale si fa qui riferimento non è la responsabilità derivante dall'adozione di provvedimenti illegittimi nel corso del procedimento a evidenza pubblica, che postula l'esercizio non corretto del potere pubblicistico di stampo autoritativo, con conseguente lesione di posizioni di interesse legittimo. Siffatta responsabilità da provvedimento illegittimo è talora definita responsabilità precontrattuale “spuria”, onde rimarcare che la stessa ha carattere precontrattuale non già in senso ontologico, ma solo in senso cronologico, nel senso cioè che essa sorge in ragione di un'attività amministrativa che precede la stipulazione del contratto (Caringella, 878). La responsabilità precontrattuale “ pura ” della P.A., invece, è quella che consegue alla trasgressione dei canoni comportamentali di marca privatistica degli artt. 1337 e 1338 c.c. nell'ambito della procedura a evidenza pubblica che viene qui in rilievo non già quale procedimento amministrativo, ma come fase di una trattativa negoziale, strumentale alla formazione progressiva della volontà contrattuale. La responsabilità precontrattuale della P.A. è, dunque, una responsabilità da comportamento illecito, non da provvedimento illegittimo, e che, anzi, per molti versi, presuppone la legittimità formale dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale: la P.A. si presenta, in definitiva, non come una cattiva autorità che abusa del suo potere pubblicistico, bensì come un cattivo contraente che lede i canoni privatistici posti dalla normativa di diritto comune. Le coordinate ora illustrate, espresse dall'Adunanza Plenaria, hanno sostanzialmente guidato il legislatore nella previsione della disposizione di cui all'art. 1, comma 2-bis l. n. 241/1990 e nella stesura della norma in esame. Quanto al legittimo affidamento, prima della sua codificazione nella norma in esame, era pacificamente riconosciuto a livello giurisprudenziale come principio generale che deriva dalla fusione delle tradizioni e delle costituzioni degli Stati membri, tanto che una storica sentenza della Corte di giustizia del 1978 ha affermato che la tutela dell'affidamento fa parte dell'ordinamento giuridico europeo e anche la Corte costituzionale ha chiarito che si tratta di un principio fondante dello Stato di diritto riconducendolo in parte alla ragionevolezza. Tale principio si esplica soprattutto quando la P.A. esercita il potere di ritiro e consiste nel tenere conto dell'interesse privato alla conservazione del vantaggio che gli sia stato precedentemente riconosciuto da un altro provvedimento. Si tratta cioè di un principio di tutela dell'aspettativa di stabilità alla legittimità per il privato del provvedimento favorevole. Quando l'amministrazione torna sui suoi passi deve considerare in altri termini l'interesse del privato a conservare il bene della vita che la stessa P.A. gli abbia concesso con un precedente provvedimento. È evidente che tale principio fissa un limite al potere discrezionale autoritativo di ritiro. La reciprocità dei principi di buona fede e tutela dell'affidamento incolpevoleIl comma 1, in linea, come anticipato, con l'orientamento sia dell'Adunanza Plenaria che delle Sezioni Unite e con il modello generale stabilito dalla legge n. 241 del 1990 (art. 1, comma 2-bis), codifica, similmente a quanto richiesto nei rapporti tra privati dall'art. 1175 c.c., l'obbligo reciproco di correttezza (per p.a. e operatore economico) che, a maggior ragione, si giustifica, come visto, nei contratti pubblici in ragione dell'ormai pacifica valenza precontrattuale del procedimento di evidenza pubblica. La reciprocità del principio affermato innerva tutto il procedimento di gara, sia con riferimento alla stazione appaltante attraverso gli istituti volti ad assicurarne la correttezza sostanziale (ad es. il soccorso istruttorio), ma anche e soprattutto con riferimento agli operatori economici tenuto conto del principio di autoresponsabilità e della codificazione della responsabilità solidale sancita dal comma 4 della norma in esame. Legittimo affidamento e i limiti al potere amministrativo Il legittimo affidamento costituisce limite e regola del provvedimento discrezionale e come tale può precludere o rendere invalido il provvedimento lesivo del legittimo affidamento. In particolare, l'art. 21-quinquies l. n. 241/1990, prevede che la revoca è possibile in tre casi: per rivalutazione degli interessi originari (ius poenitendi), per sopravvenienza fattuale e per sopravvenienza sul piano degli interessi). Se ad esempio ad essere revocato è il provvedimento favorevole che attribuisca il bene della vita al privato (nel nostro caso l'aggiudicazione), la revoca sarà legittima e non incontra il limite dell'affidamento solo nel caso di revoca per sopravvenienze e non per rivalutazione degli interessi originari. In caso di mero ripensamento, infatti, dovrà essere tutelato l'affidamento. D'altra parte, l'art. 21-quinquies ai commi 1 e 1-bis prevede che quando la revoca è determinata da sopravvenienze va comunque corrisposto un indennizzo al privato, tutelando in ogni caso l'affidamento. Nell'ipotesi, in cui, invece, l'aggiudicazione è illegittima, trova applicazione il 2 comma dell'art. 5, di cui si dirà infra. Invece, in caso di annullamento, la tutela è duplice: l'art. 21-nonies, come si è detto, prevede un termine fisso di 18 mesi che rende invalido il provvedimento tardivo e un termine elastico, quello ragionevole, che condiziona il potere rendendo comunque invalido il provvedimento se adottato nonostante il decorso del termine ragionevole e in mancanza di un'adeguata valutazione e comparazione degli interessi in gioco. Entrambi gli articoli prevedono comunque dei vincoli procedurali: si può annullare o revocare solo dopo un procedimento con vincoli di carattere motivazionale e comparativo, evidenziando gli interessi pubblici che giustificano la compressione dell'interesse privato. Quindi un primo limite alla tutela riconosciuta è quella specifica: se l'affidamento è interesse alla conservazione del bene queste due norme fissano regole e limiti al potere discrezionale di ritirare il provvedimento attributivo del bene e quindi soddisfano in forma specifica l'interesse del privato alla sua conservazione, limitando il potere della P.A. Il riparto di giurisdizione in caso di violazione dei principi di buona fede e tutela dell'affidamento In ordine alle conseguenze della violazione dei principi di buona fede e tutela dell'affidamento, non è affrontata ex professo la questione relativa alla giurisdizione cui appartiene la cognizione sulla domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo In particolare, con le sentenze gemelle nn. 19 e 20/2021, l'Adunanza Plenaria ha espresso un avviso diverso da quello accolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Secondo il giudice del riparto, sulla domanda del privato volta a far valere il legittimo affidamento su un provvedimento favorevole sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, in tutte le materie, anche ove vi sia giurisdizione amministrativa esclusiva, venendo in rilievo il diritto soggettivo alla libertà di autodeterminazione negoziale (da ultimo, Cass. S.U., n. 4044/2023). E, secondo la Corte di Cassazione, tale diritto sarebbe leso da un comportamento meramente materiale della P.A., svincolato dall'esercizio del potere: non sarebbe il provvedimento ad avere causato il danno, avendo infatti un contenuto favorevole, ma il comportamento scorretto della pubblica amministrazione, che contrariamente ai doveri di correttezza e buona fede di cui all'art. 1337 c.c., avrebbe suscitato un affidamento nel privato, su un provvedimento favorevole, poi annullato (in autotutela o in sede giurisdizionale). Secondo invece il ragionamento dell'Adunanza Plenaria, il comportamento tenuto dalla P.A. non assumerebbe mai connotati meramente materiali, essendo comunque strettamente collegato all'esercizio del potere. La Plenaria delinea due livelli, fra loro distinti e autonomi, su cui si estende l'attività autoritativa della P.A.: quello della validità provvedimentale e quello della correttezza e buona fede. Dunque, se la pubblica amministrazione viola le regole di correttezza e buona fede nell'esercizio dei poteri autoritativi, pone in essere un comportamento amministrativo, indirettamente collegato all'esercizio del potere, di talché la controversia appartiene comunque al giudice amministrativo. La Relazione illustrativa si affretta a precisare che la disposizione non interviene sulle questioni di giurisdizione, pena l'eccesso di delega, auspicando conclusivamente che le incertezze in punto di giurisdizione siano presto risolte dal legislatore, nel senso comunque di precisare che, almeno in materia di procedure di evidenza pubblica e in tutti gli altri casi di giurisdizione esclusiva, quest'ultima include anche il danno da lesione dell'affidamento, laddove esso maturi in un contesto procedimentale e il comportamento “scorretto” imputato all'amministrazione presenti collegamenti, anche indiretti o mediati con l'esercizio del potere. Peraltro, in attesa dell'auspicato intervento chiarificatore in punto di giurisdizione da parte del legislatore, non pare irrilevante l'endiadi utilizzata dalla norma in commento per definire l'oggetto dell'affidamento: ossia il “legittimo esercizio del potere” e la “conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede”. Si tratta di due profili che possono essere tenuti distinti ai fini della determinazione della giurisdizione, che, come noto, deve essere determinata con riferimento alla domanda, intesa come petitum sostanziale, individuata con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (tra le altre, Cass., S.U., n. 20350/2018). Ne consegue che, la giurisdizione dovrebbe comunque spettare al giudice amministrativo ogni qual volta la domanda è volta al risarcimento dell'affidamento fondato esclusivamente sulla legittimità dell'azione amministrativa, intesa come rispetto delle norme procedurali e sostanziali che presiedo l'esercizio del potere amministrativo, senza allegare fatti “ulteriori” che attengono invece al “comportamento” della pubblica amministrazione. Un conto è se l'amministrazione ha errato nell'interpretare una norma, in cui rileva solamente l'affidamento alla legittimità del provvedimento amministrativo, altro conto è se l'amministrazione ha fornito rassicurazioni in merito all'interpretazione della norma ovvero se non ha eventualmente tenuto conto dei dubbi avanzati dai soggetti pubblici e privati nel corso del procedimento. Si deve aggiungere che, a favore della giurisdizione amministrativa, si pongono la considerazione della buona fede come regola reciproca della funzione amministrativa (artt. 2 e 5 del codice, in linea di continuità con l'art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241/1990), in una con l'attrazione al giudice amministrativo della giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta (segnatamente, in sede di rivalsa) dalla stazione appaltante nei confronti dell'aggiudicatario illegittimo che abbia dato causa all'illegittimità della procedura (vedi comma 4 e art. 124 c.p.a., come modificato dall'art. 209 del nuovo codice dei contratti pubblici; vedi infra). L'affidamento incolpevoleIl comma 2 recepisce i principi sulla tutela dell'affidamento incolpevole già affermati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le già citate sentenze n. 5/2018 e nn. 19 e 20/2021 Pienamente aderente ai principi affermati dall'Adunanza Plenaria è la precisazione che “il senso” della norma è quello di “evidenziare che l'affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l'esercizio del potere”. L'Adunanza Plenaria ha infatti chiarito che l'affidamento del privato, come tale, non è considerabile né un diritto soggettivo, né un interesse legittimo, ma, semmai, un principio regolatore dei rapporti giuridici, ben diverso da un'autonoma situazione giuridica soggettiva. Meno convincente sotto il profilo dogmatico è la ricostruzione delle “trasformazioni” che attingerebbero l'affidamento e che sembra riecheggiare gli approcci degli esordi della giurisdizione amministrativa (affievolimento, riespansione, etc.): se l'affidamento del privato verte sulla stabilità di un provvedimento a lui favorevole, e quindi alla conseguente conservazione del bene della vita ottenuto tramite quel provvedimento, l'affidamento risulterebbe, secondo la Plenaria, collegato a un interesse legittimo; questo interesse legittimo da pretensivo, nel momento in cui il privato chiede e attende il provvedimento a lui favorevole, diverrebbe oppositivo, nel momento in cui ottiene il provvedimento, rispetto a comportamenti o provvedimenti che lo aggrediscono. In questa prospettiva, il danno da lesione all'affidamento incolpevole del privato deriverebbe dalla lesione di un interesse legittimo oppositivo, ma la misura del risarcimento non può stimarsi in relazione al valore del bene della vita ottenuto col provvedimento poi annullato, poiché proprio l'annullamento denota l'illegittimità del provvedimento e quindi la non spettanza del bene della vita. La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell'annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse. Il comma 3, precisa infine che, in caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, “l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”. Ferma l'ipotesi in cui il concorrente abbia concorso determinare l'illegittimità con il proprio comportamento, di cui si occupa il comma 4 dell'articolo in commento, si esclude la tutela dell'affidamento nel caso in cui l'illegittimità sia riconoscibile secondo la diligenza professionale richiesta ai concorrenti, ossia la diligenza da valutarsi con riferimento alla natura dell'attività esercitata ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. e quindi tenuto conto degli obblighi imposti dalla specifica disciplina delle gara pubbliche. Spetterà quindi all'interprete individuare concretamente il grado di diligenza richiesta ai concorrenti ed individuare così l'ideale concorrente “medio” (il c.d. homo eiusdem generis et conditionis) che non potrà certo essere un concorrente “mediocre”, ma è un concorrente “bravo”, ovvero serio, preparato, zelante, efficiente (parafrasando Cass. n. 19883/2015). Una conclusione che fin d'ora può essere anticipata è certamente quella che esclude l'incolpevolezza dell'affidamento nel caso in cui il concorrente abbia avuto notizia dei vizi della gara nel caso di notifica di un ricorso e/o comunicazione di istanze di autotutela da parte di terzi. Con l'esercizio dell'azione di annullamento, il concorrente è, infatti, posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell'art. 120 c.p.a., l'azione deve essere proposta, e di difenderlo. Allora, la situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l'annullamento dell'atto per effetto dell'accoglimento del ricorso diviene un'evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all'altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare una limitazione dei danni verificatisi solo prima della notifica dell'atto introduttivo del giudizio. La responsabilità precontrattuale dell'amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa. Nel caso in cui venga affermata la sussistenza di una responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno va parametrato non già all'utile che il contraente avrebbe potuto ritrarre dall'esecuzione del rapporto, ma all'interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (ossia le spese inutilmente sostenute per dare corso alle trattative), sia il lucro cessante (da intendersi come mancato guadagno rispetto a eventuali altre occasioni di contratto che la parte alleghi di avere perduto). Cons. Stato V, n. 9298/2023. Si deve soggiungere che la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione può sussistere anche nel caso in cui sia stata revocata legittimamente una gara, alla luce dell'entrata in vigore di una norma in materia di contenimento della spesa pubblica. Infatti un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza può concretizzarsi nel momento in cui il soggetto pubblico, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione, non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti. In tal modo lo stesso ha prolungato inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l'appalto. Al tempo stesso le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi. Cons. Stato, V, n. 8273/2023. Il danno risarcibile e altri rimediIl comma 3 precisa che “Nei casi in cui non spetta l'aggiudicazione, il danno da lesione dell'affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall'interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell'operatore economico”. In linea con i principi desumibili dalle citate pronunce dell'Adunanza Plenaria, il risarcimento del danno è circoscritto all'interesse negativo ravvisabile, per le procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara e tutte le altre spese inutilmente sostenute prima e dopo l'aggiudicazione, in ragione dell'affidamento nella conclusione del contratto. Per quanto riguarda le spese per la partecipazione alla gara, sono certamente risarcibili quelle connesse alle cauzioni e assicurazioni stipulate ai fini della partecipazione alla gara, contributi ANAC e marche da bollo, nonché, se adeguatamente documentati gli esborsi sostenuti per la redazione e spedizione dell'offerta, nonché per le spese di trasferta del personale (per eventuali sopralluoghi, presenza alle sedute pubbliche di gara, etc.). Per le ipotesi di responsabilità precontrattuale, è ammesso anche il ristoro della perdita di chance ma tale possibilità è limitata alle sole occasioni di guadagno alternative cui l'operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell'Amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all'esecuzione del contratto non stipulato (Cons. St., sez. V, n. 697/2019). È evidente al riguardo che, laddove si ammettesse tale forma di ristoro della chance di guadagno, ne risulterebbe travolto il generale principio secondo cui, nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, non è ammesso il ristoro delle occasioni di guadagno connesse all'esecuzione del contratto mai stipulato (i.e.: il c.d. ‘interesse positivo'). L'onere di provare la perdita dei benefici, connessi alle ulteriori e diverse occasioni di guadagno che avrebbe potuto conseguire se non fosse stata impegnato nelle inutili trattative con la stazione appaltante, grava sul ricorrente in base al consolidato orientamento secondo cui il pregiudizio per perdita di chance di aggiudicazione di un appalto pubblico consiste in un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità. La perdita di chance si configura quindi come danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni. Ne consegue, altresì, che alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. diretta a fronteggiare l'impossibilità di provare non l'esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare. In altri termini, la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene (in tal senso: Cons. St. III, n. 4892/2011). L'azione di rivalsa nei confronti dell'illegittimo aggiudicatarioIl comma 4 prevede l'azione di rivalsa della stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con il proprio comportamento illecito, abbia conseguito l'aggiudicazione illegittima (vedi nuovo art. 124 c.p.a.). Secondo la Relazione illustrativa, tale previsione riprende alcuni spunti già delineati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2/2017 (in materia di ottemperanza per equivalente in caso di impossibilità di ottenere in forma specifica l'aggiudicazione di un appalto), dà un fondamento normativo all'azione di rivalsa da parte dell'amministrazione (condannata al risarcimento del danno a favore del terzo illegittimamente pretermesso nella procedura di gara) nei confronti dell'operatore economico che sia risultato aggiudicatario sulla base di una (sua) condotta illecita. In realtà, la responsabilità concorrente dell'operatore economico risultato illegittimamente affidatario è stata espressamente affermata nelle pionieristiche pronunce della V Sezione del Consiglio di Stato del 2012, in cui si afferma che “in sede di risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima aggiudicazione di una gara di appalto, il g.a. può ritenere sussistente la solidarietà passiva dell'obbligazione risarcitoria tra stazione appaltante ed imprese aggiudicatarie, nel caso in cui l'errore (pur inescusabile) della stazione appaltante sia stato indotto dal comportamento delle imprese aggiudicatarie stesse (che nella specie avevano comunicato la sostanziale mutazione della veste soggettiva di partecipazione alla gara); con la conseguenza che, in base al principio desumibile dall'art. 2055 c.c., va affermata, ai soli fini della statuizione di accertamento, la natura solidale della responsabilità civile di che trattasi, e ciò anche ai fini dell'eventuale azione di regresso che la stazione appaltante potrà intraprendere per rivalersi, nel concorso di tutte le ulteriori condizioni legittimanti, nei confronti della società beneficiaria degli atti illegittimi e che ha indotto alla loro emanazione” (Cons. St. V, n. 115 /2012) e “quando l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione è dipesa da un comportamento senz'altro consapevole di natura omissiva e riferibile all'aggiudicatario, la responsabilità civile da illegittima aggiudicazione e stipula del contratto ha natura solidale: invero, in applicazione di un principio generale dell'ordinamento giuridico (cui si ispira anche l'art. 2055 c.c.), vi è la solidarietà anche quando il danno sia stato concausato da due autori del fatto, le cui condotte siano rispettivamente una colposa e una dolosa” (Cons. St. V, n. 5279/2012). Il Consiglio di Stato ha ancorato tale responsabilità solidale al principio desumibile dall'art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a., che ha disposto che la domanda risarcitoria vada notificata non solo all'amministrazione che ha emanato l'atto lesivo, ma anche al beneficiario dell'atto illegittimo (poiché l'accoglimento della medesima domanda incide in pieno e direttamente sulle sue posizioni giuridiche intercorrenti con l'amministrazione) e dal principio generale dell'ordinamento giuridico (cui si ispira anche l'art. 2055 del c.c.), per il quale vi è la solidarietà anche quando il danno sia stato concausato da due autori del fatto, rilevando che nella specie l'illegittimità dei provvedimenti impugnati è dipesa da un comportamento senz'altro consapevole di natura omissiva e riferibile all'a.t.i. aggiudicataria. Occorre peraltro evidenziare che tale orientamento, per le ragioni che si diranno, non ha trovato grande applicazione nella giurisprudenza successiva, se si esclude una isolata pronuncia del T.A.R. Piemonte con riferimento alla responsabilità di un Comune nei confronti di un operatore del settore (X) per il danno derivante da un affidamento diretto disposto sulla falsa rappresentazione da parte dell'affidatario (Y) del possesso di un sistema di efficientamento energetico esclusivo: secondo il TAR “La circostanza di aver prospettato l'esistenza di un sistema innovativo ed esclusivo e quella di aver taciuto l'esistenza delle contestazioni e pretese che X, al momento delle proposte contrattuali del 2010, aveva già avanzato nei confronti di Y in riferimento ad analoghe procedure di affidamento diretto eseguite da altre Pubbliche Amministrazioni, fa ritenere sussistente una responsabilità concorrente di Y influente per una percentuale che si ritiene equo indicare nel 30%” (T.A.R. Piemonte 15 maggio 2017, n. 601). Peraltro, tale orientamento aveva posto due questioni: la prima attinente alla giurisdizione del giudice amministrativo sull'azione di rivalsa della stazione appaltante nei confronti dell'illegittimo aggiudicatario, la seconda relativa alla necessità che la stazione appaltante proponga domanda riconvenzionale nel giudizio volto a ottenere il risarcimento del danno da parte del terzo illegittimamente pretermesso. Ad entrambe le domande pare aver risposto lo stesso legislatore delegato aggiungendo al primo comma dell'art. 124 c.p.a., la disposizione secondo ciò “il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”. Risolto il problema della giurisdizione, impregiudicato l'eventuale vaglio di legittimità costituzionale, e della proponibilità dell'azione di rivalsa dinanzi al giudice amministrativo, rimane solamente aperta la questione se, nel caso in cui il ricorrente insista per l'accertamento dell'illegittimità dell'aggiudicazione ai fini risarcitori, la stazione appaltante possa chiedere, senza proporre azione di rivalsa o comunque domanda riconvenzionale (non essendo ancora avviato il giudizio risarcitorio), che tale accertamento tenga conto dell'eventuale concorso del soggetto aggiudicatario nell'illegittimità. BibliografiaCaringella, Manuale ragionato di diritto civile, Roma, 2022; Tulumello, Il diritto dei contratti pubblici fra regole di validità e regole di responsabilità: affidamento, buona fede, risultato, in giustizia-amministrativa.it, 2023. |