Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 7 - Principio di auto-organizzazione amministrativa.Codice legge fallimentare Art. 192 Principio di auto-organizzazione amministrativa. 1. Le pubbliche amministrazioni organizzano autonomamente l'esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso l'auto-produzione, l'esternalizzazione e la cooperazione nel rispetto della disciplina del codice e del diritto dell'Unione europea. 2. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano per ciascun affidamento un provvedimento motivato in cui danno conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche. In caso di prestazioni strumentali, il provvedimento si intende sufficientemente motivato qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici. I vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza, con i parametri ufficiali elaborati da altri enti regionali nazionali o esteri oppure, in mancanza, con gli standard di mercato. 3. L'affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale è disciplinato dal decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201. 4. La cooperazione tra stazioni appaltanti o enti concedenti volta al perseguimento di obiettivi di interesse comune non rientra nell'ambito di applicazione del codice quando concorrono tutte le seguenti condizioni: a) interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse; b) garantisce la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all'attività di interesse comune, in un'ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni; c) determina una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l'accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti; d) le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione. InquadramentoL'art. 7 recepisce il principio di auto-organizzazione amministrativa, che, come si legge nella Relazione illustrativa, è sancito nell'art. 2 Direttiva 2014/23/UE e in base al quale le pubbliche amministrazioni scelgono autonomamente di organizzare l'esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso il ricorso a tre modelli fra loro alternativi: a) auto-produzione, b) esternalizzazione; c) cooperazione con altre pubbliche amministrazioni. L'introduzione del potere di auto-organizzazione tra i principi del codice è visto altresì come allineamento ad altri codici europei ed in particolare al Code della commande publique il cui art. 1 esordisce con l'affermazione che “Les acheteurs et les autorités concédantes choisissent librement, pour répondre à leurs besoins, d'utiliser leurs propres moyens ou d'avoir recours à un contrat de la commande publique”. Per il vero, nel diritto interno, la dottrina aveva già individuato il fondamento di tale potestà organizzativa nelle disposizioni della Carta costituzionale e in particolare nell'art. 97 comma 1 che, nel prevedere i principi cui deve ispirarsi l'azione amministrativa, le riconosce un potere formale e giuridico che concretizza il cd. “potere di auto-organizzazione dell'amministrazione”, cioè̀ un potere discrezionale che consiste nell'attribuzione in capo ai pubblici uffici di uno spazio di libertà di apprezzamento in ordine agli strumenti utilizzabili per l'adempimento dei propri obblighi di interesse generale (Nigro, 84). Tale principio ha trovato ulteriore conferma nel concetto di efficienza, attraverso cui si attua il proporzionamento dei mezzi al fine e che ha permesso di superare l'idea che vi possano essere “contenuti prefissati” per la soddisfazione dei fini pubblici e come conseguenza affermare che esiste “una libertà di apprezzamento, un'elasticità nell'uso dei mezzi (giuridici o no)” modulabili rispetto alle finalità della collettività concretizzate nella norma legislativa (Berti, 75). L'efficienza disciplinata nell'art. 97, comma 1 Cost diventa quindi il riflesso giuridico del “principio di elasticità dell'azione amministrativa” e cioè della sua possibilità di modulazione in relazione ai fini etero-imposti. E tale modulazione può avere due diversi parametri di riferimento: si può parlare infatti di elasticità con riferimento al contenuto dell'attività ovvero con riferimento al suo svolgersi. Nel primo caso, si parlerà di discrezionalità, nel secondo caso di potere di auto-organizzazione. Discrezionalità e autoorganizzazione sono quindi le due forme in cui le due forme in cui si manifesta l'elasticità dell'azione amministrativa (M. Nigro, Amministrazione pubblica (organizzazione giuridica dell'), 1). Anche il Consiglio di Stato ha chiarito che «l'organizzazione autonoma delle pubbliche amministrazioni rappresenta un modello distinto ed alternativo rispetto all'accesso al mercato [...] La tutela comunitaria del mercato non interferisce sino a disconoscere ai singoli apparati istituzionali ogni margine di autonomia organizzativa nell'approntare la produzione e l'offerta dei servizi e delle prestazioni di rispettiva competenza. [...]. Il ricorso alla produzione privata, disciplinato da regole di salvaguardia della concorrenza e l'esercizio del potere di organizzazione, sottratto ai vincoli concorsuali o concorrenziali validi per il ricorso al mercato, costituiscono due schemi distinti che vanno preservati da ogni equivoca commistione” (Cons. St. V, n. 477/1998). Peraltro, la vigenza del principio di autorganizzazione nel settore dei contratti pubblici è stata in qualche modo complicata dai dubbi in merito al rapporto con il concorrente principio dell'accesso al mercato. Pertanto, la codificazione del principio in esame ha il preciso significato di riportare il rapporto tra il principio dell'autorganizzazione e quello di accesso al mercato su un piano di parità e segnare un cambio della tendenza restrittiva del ricorso ai diversi istituti, a partire dall'in house, che ha finito per far prevalere la logica del “far fare agli altri” sull'“amministrazione del fare”. In questo preciso significato, il principio di autoproduzione è collegato ai principi del risultato e di fiducia che intanto possono esplicarsi solo sia uno spazio di scelta organizzativa dei mezzi attraverso cui adempiere ai propri compiti istituzionali, ossia se soddisfare le proprie esigenze di pubblico interesse mediante il ricorso al mercato libero – e quindi attraverso l'affidamento ad operatori esterni dei beni e dei servizi all'uopo necessari (cd. esternalizzazione) selezionati in modo obiettivo mediante procedure concorsuali ad evidenza pubblica – ovvero mediante l'affidamento a proprie articolazioni organizzative (cd. auto-produzione). Il superamento dell'elenco ANACNella Relazione illustrativa si evidenzia che il superamento dell'”Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di propri organismi in house ” previsto dall'art. 192 del precedente codice, si inserisce “nell'ottica del superamento dell'atteggiamento fortemente restrittivo nei confronti dell'in house ”. L'iscrizione nel predetto Elenco è stata disciplinata dalle Linee guida n. 7, di attuazione del d.lgs. n. 50/2016 recanti «Linee Guida per l'iscrizione nell'Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall'art. 192 del d.lgs. 50/2016» approvate dal Consiglio di ANAC con delibera n. 235 del 15 febbraio 2017. Le Linee Guida ANAC, di carattere vincolante, avevano previsto come obbligatoria l'iscrizione per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori che, al ricorrere dei presupposti previsti dall'art. 5 del precedente Codice dei contratti pubblici ovvero dagli artt. 4 e 16 del d.lgs. n. 175/2016, avessero inteso operare affidamenti diretti in favore di organismi in house in forza di un controllo analogo diretto, invertito, a cascata o orizzontale sugli stessi, nonché per gli enti di governo degli ambiti ottimali con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Nello specifico si evidenzia che sebbene l'iscrizione nel registro ANAC avesse formalmente una funzione dichiarativa, come evidenziato dal Consiglio di Stato con il parere n. 282 del 2017, il procedimento nel suo complesso rivestiva comunque una natura “ibrida”, presentando diversi ed evidenti profili di autoritatività. Ciò in quanto, il diniego di iscrizione eventualmente adottato dall'ANAC aveva effetti costitutivi (nel citato parere viene espressamente qualificandolo come provvedimento amministrativo impugnabile innanzi al giudice amministrativo), il che, alla fine, equiparava il meccanismo in esame ad una procedura di segnalazione, nel quale la domanda di iscrizione svolgeva funzioni analoga alla presentazione di una s.c.i.a. Gli effetti comunque costitutivi dell'iscrizione esprimeva quindi l'idea che l'in house avesse comunque bisogno di un titolo abilitativo, la cui formazione è “controllata” dall'ANAC, e questo è apparso sproporzionato rispetto alle funzioni di vigilanza e alle esigenze di trasparenza degli affidamenti (queste ultime già assicurate dagli obblighi di pubblicazione). La scelta del nuovo Codice è stata oggetto di critiche sotto il profilo del rispetto della legge delega, rilevando che tale modifica di impostazione della disciplina sull'in house providing non troverebbe alcun riferimento nella l. n. 78/2022 (Delega al Governo in materia di contratti pubblici), che prevede soltanto il criterio generale del “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee” (art. 2, comma 1, lett. a) e anzi sembrerebbe in contrasto con l'art. 2, comma 1, lett. b ), della legge delega che richiede la revisione delle competenze dell'Autorità “al fine di rafforzarne le funzioni di vigilanza sul settore e di supporto alle stazioni appaltanti”. Si è ulteriormente evidenziato che gli obblighi di pubblicazione non assicurerebbero comunque una verifica a priori e generalizzata circa la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa eurounitaria per l'affidamento diretto, che nei due terzi dei casi, ha comportato rilievi da parte di ANAC ai quali peraltro le amministrazioni si sono sempre adeguate, mentre rappresentano solo il 2% i casi nei quali ANAC ha negato, all'esito del procedimento in contraddittorio con l'amministrazione affidante, l'iscrizione nell'elenco. Più di recente si è rilevato che sussiste comunque “l'obbligo informativo contenuto nell'art. 23 del nuovo CCP, posto che il comma 5 della norma prevede che l'ANAC individua le informazioni che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti sono tenuti a trasmettere alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici .......e che tale obbligo sussiste anche in ipotesi di affidamenti diretti a società in house di cui all'articolo 7, comma 2” (Corte conti Veneto n. 145/2023 PAR). L'ampliamento dell'in house ai lavori e fornitureIl comma 1 perimetra il campo di applicazione del principio di auto-organizzazione richiamando espressamente non solo i servizi, ma anche i lavori e le forniture, in modo da coprire l'intero panorama dei contratti pubblici e superare alcuni dubbi interpretativi suscitati dalla limitazione ai soli servizi nella formulazione del codice del 2016. Infatti, mentre l'art. 5 del previgente codice consentiva l'affidamento in house per qualsiasi concessione o appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, dall'art. 192, comma 2, sembrava possibile ricorrere a tale istituto solo per i contratti aventi “ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza”. Il cammino tormentato dell'in houseMai l'istituto dell' in house, da sempre dibattuto, è stato oggetto di interventi da parte del legislatore e dei giudici come negli ultimi tre anni. La materia è stata oggetto di numerose pronunce del giudice nazionale (si vedano, da ultimo, Cass. I, n. 1374/2021, e Cass. n. 1389/2019, nonché Cass. III, n. 1385/2020), che ha sempre ribadito come la società in house sia equiparabile a un “ufficio interno” dell'ente pubblico che l'ha costituita, sicché non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale, ed è questa caratteristica l'unica a giustificare l'affidamento diretto, senza previa gara, di un appalto o di una concessione. Sulla questione sono recentemente intervenute, come visto, anche la Corte di giustizia dell'Unione europea e la Corte costituzionale. La Corte di giustizia (Sezione IX, ord. 6 febbraio 2020, C-89/19, C-90/19, C-91/19 – Rieco s.p.a.) ha ritenuto conforme al diritto dell'Unione l'art. 192 del codice dei contratti pubblici, che subordina la conclusione di un “contratto in house” all'impossibilità di procedere all'aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'affidamento interno, demandando in sostanza allo Stato membro la definizione del punto di equilibrio tra i due valori da bilanciare (quello della libera autorganizzazione delle pubbliche amministrazioni con quello della concorrenza e del mercato), senza fornire indicazioni più concrete e specifiche. La Corte costituzionale, con la sentenza 27 maggio 2020, n. 100, ha respinto le censure di eccesso di delega e di “ goldplating” mosse dal Giudice remittente (T.A.R. Liguria, ord. 15 novembre 2018) all'art. 192, comma 2. Ancor più di recente è poi intervenuto in subiecta materia il legislatore che, nel dettare la nuova disciplina della “governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza mediante prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, con l'art. 10 (rubricato “Misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici”) con il d.l. n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha, in primo luogo, ampliato l'area applicativa del ricorso all' in house providing , autorizzando le amministrazioni interessate, al fine di “sostenere la definizione e l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e dell'Unione europea 2014-2020 e 2021-2027”, ad avvalersi, mediante apposite convenzioni, “del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 50/2016”. In secondo luogo, ha introdotto, nel comma 3, una disciplina ad hoc della motivazione del ricorso alla formula dell' in house in deroga al mercato, di cui all'art. 192, comma 2, del previgente Codice (“Ai fini dell'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, la valutazione della congruità economica dell'offerta ha riguardo all'oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali”, testo così modificato dalla legge di conversione n. 108/2021). Infine, l'istituto dell'in house è stato nuovamente disciplinato dal d.lgs. n. 201/2022 nel settore dei servizi pubblici in una prospettiva di particolare rigore e perciò poco coerente con il citato d.l. n. 77/2021. Infatti, si riprende l'obbligo di motivazione rinforzata, con specifico riferimento al “mancato ricorso al mercato”, prevedendo che “Nel caso di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, gli enti locali e gli altri enti competenti adottano la deliberazione di affidamento del servizio sulla base di una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un'efficiente gestione del servizio, illustrando, anche sulla base degli atti e degli indicatori di cui agli artt. 7, 8 e 9, i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all'impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell'ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche di cui all'art. 30” (art. 17, comma 2). Si prevede altresì che tale motivazione sia periodicamente “confermata” dall'amministrazione affidante, disponendo che nei provvedimenti di razionalizzazione di cui all'art. 20 del d.lgs. n. 175/2016, gli enti locali diano conto “delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell'affidamento del servizio a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione” (art. 17, comma 5). Tale ultima disposizione va letta in modo coordinato con il comma 4 della medesima norma che oltre all'obbligo motivazionale, prescrive anche di allegare alla deliberazione di affidamento un piano economico-finanziario che, fatte salve le discipline di settore, contenga anche la proiezione, su base triennale e per l'intero periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento, da aggiornare ogni triennio. La disposizione dimostra l'interesse del legislatore nel far sì che ogni ente affidante tenga in adeguata considerazione la sostenibilità della società affidataria del servizio non solo al momento dell'affidamento, ma anche in proiezione, al fine di evitare affidamenti in house a “scatole vuote”. Gli obiettivi sono l'efficienza della gestione e la continuità della stessa (Vercillo, 116). La semplificazione dell'onere motivazionaleCome si legge nella Relazione illustrativa la tendenziale parità tra autoproduzione e ricorso al mercato ha indotto il legislatore a semplificare l'onere motivazionale richiesto alle P.A. per la scelta dell'affidamento in house. E infatti, si prevede che nel “provvedimento motivato” le amministrazioni diano “conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche”. Come si vede non vi è più alcuna menzione alla necessità di motivare l'affidamento con riferimento alle “ragioni del mancato ricorso al mercato” prevista dal previgente art. 192. Tale disposizione – “espressione di una linea restrittiva del ricorso all'affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all'abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali” (v. Corte cost. n. 100/2020) –, stando al suo tenore testuale e all'interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza, pone una duplice condizione per la legittimità del ricorso al modello di gestione in house per servizi reperibili sul mercato in regime di concorrenza, richiedendo, in primo luogo, “una valutazione di convenienza della scelta di internalizzazione che tenga conto di tutti i parametri ivi individuati, di modo che ciascuno di essi deve sussistere per supportare l'affidamento in house, compreso quello di economicità della gestione; è infatti imposto all'amministrazione di dare conto, attraverso una valutazione complessa ed articolata, quali elementi fondanti la decisione di ricorrere all'in house providing, di una serie di parametri afferenti alla qualità del servizio (quali i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta in termini di ‘universalità e socialità del servizio, nonché di ‘efficienza' e di ‘qualità' del servizio, oltreché di ‘ottimale impiego delle risorse pubbliche'), esulanti dall'economicità del medesimo in senso stretto, ma che, una volta esternati, concorrono a sostenere, sotto il profilo motivazionale, il provvedimento di affidamento, nel loro complesso e non in via autonoma e separata l'uno dall'altro”. E, per altro concomitante verso, “il giudizio di convenienza economica, riferito all'offerta, così come in concreto formulata dalla società partecipata, con specifico riferimento all'affidamento di che trattasi” (v., ex multis, Cons. St. V, n. 3562/2022). La giurisprudenza ha poi rimarcato la necessaria sussistenza di entrambi i profili, non essendo consentito ritenere, alla stregua della formulazione della norma, che la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house possa confluire, perdendo la sua autonoma rilevanza, nel quadro della più complessiva valutazione inerente all'opportunità della scelta del ricorso all'in house, ancorata agli ulteriori parametri in proposito indicati. Da ciò consegue che “l'eventuale accertamento della erroneità (sotto tutti i profili astrattamente rilevanti, nell'ottica del sindacato sull'eccesso di potere) del giudizio di congruità economica dell'offerta della società in house avrebbe effetto ‘disgregante' nei confronti della valutazione complessiva, la quale, proprio perché unitaria ed inscindibile, una volta utilmente ‘aggredita' in uno dei suoi ‘organi vitali', non potrebbe che essere restituita al ‘laboratorio' istruttorio e motivazionale dell'Amministrazione, affinché verifichi la permanente validità della soluzione organizzativa in discorso” (così Cons. St. III, n. 6062/2021). Con riferimento, poi, all'onere motivazionale “aggravato” richiesto dalla norma in esame, la giurisprudenza amministrativa, ribadito il carattere subalterno dell'affidamento in house, ha in generale escluso di dover circoscrivere l'affidamento diretto ai soli casi in cui, a causa di circostanze eccezionali, sia di fatto precluso un “efficace e utile ricorso al mercato” (cfr., sul punto, Cons. St. V, n. 138/2019), precisando al contempo che, nell'attuale quadro normativo, è imposto all'amministrazione aggiudicatrice che intenda ricorre all'affidamento diretto un onere motivazionale rafforzato, che consenta un “penetrante controllo della scelta effettuata ... anzitutto sul piano dell'efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche” (Cons. St., comm. spec., parere 1° aprile 2016, n. 464), in particolare consistente: “a) nell'esporre le ragioni di preferenza per l'affidamento in house rispetto al ricorso all'evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio, così dando ‘dimostrazione della ragionevolezza economica della scelta compiuta'” (Cons. St., sez. consultiva atti normativi, parere n. 774 del 29 marzo 2017) ed esplicitando le ragioni dell'esclusione del ricorso al mercato; b) nell'esplicitare i benefici per la collettività derivanti da tale forma di affidamento, in tal modo esplicitando la finalizzazione dell'istituto al perseguimento di obiettivi di carattere latamente sociale, percepibili al di fuori della dimensione meramente organizzativa dell'Amministrazione (cfr. Cons. St. III, n. 2102/2021) (così Cons. St. IV, n. 5351/2021). Con specifico riferimento alla prospettiva economica, è richiesto all'amministrazione di valutare la convenienza dell'affidamento del servizio secondo lo schema dell'in house rispetto all'alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza (cfr. Cons. St. V, n. 6456/2018, secondo cui “è onere dell'autorità amministrativa affidante quello di rendere comunque comparabili i dati su cui il confronto viene svolto”, con necessaria allegazione di “dati di dettaglio”). In conclusione, la scelta di sottrarre l'affidamento di un servizio al fisiologico confronto di mercato, optando per la soluzione auto-produttiva, deve trovare fondamento in dati oggettivi e attentamente valutati, che giustifichino il sacrificio che la scelta arreca alla libertà di concorrenza. Ciò perché, come affermato dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 100 del 27 maggio 2020 – che, insieme alla Corte giustizia UE, sent. 6 febbraio 2020, cause riunite nn. C-89/19 e C-91/19, ha fugato ogni dubbio sulla legittimità della norma in questione –, gli oneri motivazionali prescritti dall'art. 192, comma 2, cit., che muovono da un'evidente ottica di sfavore verso gli affidamenti diretti in regime di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese (Cons. St. III, n. 1564/2020), “si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica. Ciò comporta, evidentemente, un'applicazione più estesa di detta regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano. Tale scelta, proprio perché reca una disciplina proconcorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non è da questo imposta – e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato –, ma neppure si pone in contrasto (...) con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l'esistenza di un ‘margine di apprezzamento' del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza ‘nel' mercato e ‘per' il mercato”. Immediato corollario del valore pro-concorrenziale riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale all'art. 192 è, quindi – come reiteratamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa –, “l'impossibilità di fare leva su dati evanescenti, di carattere eventuale o meramente organizzativo, insuscettibili di manifestare un corrispondente significativo beneficio per la collettività, derivante dal ricorso al modello dell'in house providing, e di integrare una parallela valida ragione derogatrice del ricorso primario al mercato” (Cons. St. III, n. 2102/2021). Secondo il nuovo art. 7 rimane l'onere motivazionale con riferimento alla “congruità economica della prestazione” che peraltro è presupposto diverso dalla giustificazione del mancato ricorso al mercato. La seconda richiede infatti di valutare la convenienza dell'affidamento non solo nella prospettiva dell'Amministrazione, ma attraverso una comparazione diretta con il mercato, mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza, dovendo essere esplicitare, attraverso un'analisi economica approfondita basata su dati oggettivi e non elusiva del disposto normativo, le ragioni di preferenza per l'affidamento in house rispetto al ricorso all'evidenza pubblica in punto di convenienza economica. La valutazione della congruità economica dell'affidamento è certo meno impegnativa dal punto di vista motivazionale, dovendo essere effettuata con riferimento all'oggetto e al valore della prestazione, prendendo in considerazione, oltre al costo del lavoro, servizio o fornitura, anche le modalità di svolgimento e le risultanze di esperienze pregresse in termini di efficienza ed efficacia. Essa presuppone l'acquisizione di informazioni sul contesto concreto e attuale al momento dell'affidamento, prendendo anche in considerazione adeguati benchmark e confrontando la performance dell'organismo in house con quella dell'impresa media del settore gestita in modo efficiente, ma non si spinge fino ad imporre una comparazione diretta e performativa con il mercato, mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente. Come si sottolinea nella Relazione illustrativa, si richiede “una motivazione ancorata più a ragioni economiche e sociali (le ricadute positive sul piano sociale rientrano tra le esternalità da valutare ai fini della scelta del modello gestionale) che a ragioni giuridico-formali ”. Per i servizi rivolti all'utenza, rimangono quindi gli altri parametri di riferimento valutativo della scelta dell'in house, ovvero “i vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche”. La stazione appaltante deve quindi dare atto, nella motivazione dell'affidamento, dei benefici per la collettività conseguibili mediante l'affidamento diretto all'organismo in house rispetto ai seguenti obiettivi: - universalità e socialità; - efficienza; - economicità e qualità del lavoro, servizio o fornitura; - ottimale impiego delle risorse pubbliche. Sono corollari degli obiettivi di universalità e socialità, l'eguaglianza di comportamento nei confronti di tutti gli utenti ubicati in un determinato territorio, indipendentemente dalle circostanze particolari e dal grado di redditività economica di ciascuna singola operazione; l'imparzialità in termini di accessibilità fisica ed economica; la continuità nell'erogazione delle prestazioni; la garanzia di stabilità occupazionale. Tra i benefici per la collettività possono essere valutati gli eventuali effetti di rete che determinano vantaggi crescenti in ragione dell'aumento del numero di utenti del servizio o dell'utilizzo di sistemi omogenei e interconnessi. L'efficienza della forma di gestione prescelta è valutata sulla base del confronto tra le risorse disponibili e i risultati attesi. L'economicità della gestione è perseguita anche attraverso la previsione di forme di gestione che consentano il raggiungimento di economie di scala, anche mediante la previsione di una gestione unitaria su vasta area che consenta l'utilizzo condiviso di risorse, giungendo ad un ottimale impiego delle risorse pubbliche. La qualità della prestazione offerta è valutata con riferimento alla tipologia, alla modalità e ai tempi di svolgimento definiti nello schema di contratto. La valutazione è effettuata, anche in itinere e a posteriori, mediante attività di monitoraggio e controllo quali, ad esempio, la previsione di questionari di gradimento destinati agli utenti finali. Inoltre, è favorita la partecipazione del cittadino attraverso l'accesso alle informazioni, la presentazione di reclami, la formulazione di osservazioni. La qualità della prestazione è garantita anche attraverso la verifica della capacità esecutiva dell'organismo in house e, in particolare, del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale necessari per lo svolgimento della prestazione che devono essere parametrati. Nel caso di servizi strumentali alla pubblica amministrazione gli oneri motivazionali sono ulteriormente semplificati, poiché è sufficiente una motivazione più snella con riferimento alla riduzione di tempi e costi sulla base di parametri predeterminati e oggettivi di raffronto, sul modello dell'art. 10 d.l. n. 77/2021 relativo alle convenzioni aventi ad oggetto il supporto tecnico operativo delle società in house. Ai fini della legittimità dell'affidamento in house occorrerà, quindi, una motivazione incentrata prevalentemente su ragioni di convenienza economica, anche con riferimento a parametri oggettivi e predeterminati di rapporto qualità/prezzo. Più nello specifico, in linea con quanto previsto dal d.l. n. 77/2021, si è fatto riferimento agli standard della società Consip S.p.A. Si ricorda, a tal proposito, che Consip è una società per azioni, partecipata al 100% dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che opera – secondo gli indirizzi strategici definiti dall'azionista – al servizio esclusivo della pubblica amministrazione, intervenendo con strumenti e metodologie per la digitalizzazione degli acquisti pubblici. Essa trova il suo fondamento normativo, anche nella funzione di benchmark svolta dalle convenzioni quadro dalla stessa stipulate, nell'art. 29 della l. n. 488/1999. Accanto agli standard Consip sono indicati altri parametri a cui è possibile fare riferimento tenuto conto della tipologia di prestazione e, in mancanza, agli standard di mercato: si tratta di parametri accomunati dalla predeterminazione e dell'oggettività. Sull'intensità dell'onere motivazionale vedi, da ultimo, Cons. Stato, V, 243/2024; e Cons. Stato, V, n. 576/2024. Si segnala, peraltro, che, in materia di in house, la cassazione ha di recente rammentato che non né necessario che il controllo analogo sia esplicato nelle forme assolute e gerarchiche previste per gli uffici dell'ente, visto che si tratta di controllo su soggetto esterno e distinto (Cass., S.U., 8 gennaio 2024, n. 576, a proposito del controllo dell'Asl di Foggia su una società in house). L'eccezione dell'in house nei ss.pp.ll.: il rischio di un onere motivazionale a geometria variabilePer l'affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale, il comma 3 della disposizione in commento rinvia, al decreto legislativo attuativo della delega di cui all'art. 8 della l. n. 118/2022, ovvero al d.lgs. n. 201/2022. Il d.lgs. n. 201/2022 contiene una serie di disposizioni integrative e complementari alla disciplina generale dell'in house, come nel caso della separazione tra funzioni di regolazione e gestione nell'ambito dei ss.pp.ll. Il problema sorge invece con riferimento alla disposizione di cui all'art. 17, comma 2, che, come già anticipato, conferma la necessità che la motivazione dell'affidamento “dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ” confermando, per i ss.pp.ll., il carattere subalterno dell'affidamento in house rispetto a quello del ricorso al mercato. Il problema non si pone solo e soltanto con riferimento al rapporto tra legge generale (il nuovo codice) e legge speciale (d.lgs. n. 201/2022), che potrebbe anche giustificare una disciplina di maggior rigore nel ss.pp.ll., quanto e soprattutto di compatibilità di una norma che configura l'in house in modo subalterno al mercato con l'antitetico “principio di auto-organizzazione amministrativa” sancito dall'art. 7 che sancisce la parità tra ricorso al mercato e auto-produzione. La questione si è posta con riferimento specifico al trasporto pubblico locale in ragione della speciale disciplina introdotta dal Regolamento (CE) 1370/2007 e risolta dalla giurisprudenza amministrativa ritenendo prevalente, anche in ragione della disciplina eurounitaria, la parità tra autoproduzione e ricorso al mercato ed escludendo quindi la necessità della motivazione in ordine al “mancato ricorso al mercato” (allora prevista dall'art. 192 del previgente codice). Secondo il Consiglio di Stato «l'in house providing è una modalità ordinaria di affidamento dei relativi servizi, perfettamente alternativa al ricorso al mercato. Ciò si desume innanzitutto dall'art. 5, comma 2, del Regolamento CE n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007 [relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70], secondo cui, salvo che “non sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti a livello locale, si tratti o meno di un'autorità singola o di un gruppo di autorità che forniscono servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri, hanno facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all'aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture”. In secondo luogo, si ricava dal fatto che l'art. 18, lett. a), del codice dei contratti pubblici esclude dalla propria applicazione le “concessioni di servizi di trasporto pubblico di passeggeri ai sensi del regolamento (CE) n. 1370/2007”». Tale disciplina “impedisce di applicare la regola prevista dall'art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici e incentrata sulla comparazione tra gli opposti modelli di gestione dell'in house providing e del ricorso al mercato. L'art. 192, comma 2, cit. “postula infatti come forma principale di affidamento di servizi pubblici quella del ricorso al mercato, rispetto alla quale l'amministrazione interessata deve indicare le ragioni per la sua deroga, fondata su ragioni tecniche e di convenienza economica (cfr. in questo senso, di recente: Cons. St. V, n. 681/2020). Un rapporto di regola ed eccezione non è invece previsto per il servizio di trasporto pubblico locale, in forza della disposizione sovranazionale sopra menzionata e dell'esclusione sul piano interno dal codice dei contratti pubblici di cui all'art. 18, lett. a)” (Cons. St. V, n. 4310/2020 e più recentemente Cons. St. VI, n. 1620/2022). Nello stesso senso ha deciso poi il T.A.R. Liguria nella sentenza n. 683/2020: “è sufficiente richiamare le considerazioni contenute nella recente sentenza 6 luglio 2020, n. 4310, con cui la sezione V del Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza di questa sezione n. 753/2019 relativa all'affidamento in house, da parte della Città Metropolitana di Genova, del servizio di trasporto pubblico locale per il lotto n. 1 concernente l'ambito urbano, ha chiarito: – che, come si desume dall'art. 5 comma 2 del regolamento CE n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007 e dall'art. 18, lett. a) del codice dei contratti pubblici (che esclude dal proprio campo di applicazione le concessioni di servizi di trasporto pubblico di passeggeri ai sensi del regolamento CE n. 1370/2007), nel settore del trasporto pubblico locale l'in house providing è una modalità affatto ordinaria di affidamento dei relativi servizi, “perfettamente alternativa al ricorso al mercato” (§ 12); – che la disciplina ora richiamata impedisce di applicare la regola prevista dall'art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici, incentrata sulla comparazione tra gli opposti modelli di gestione dell'in house providing e del ricorso al mercato, posto che, per il servizio di trasporto pubblico locale, non è invece previsto un rapporto di regola ed eccezione, cosicché difettano le basi logico-giuridiche della pretesa comparazione (§ 13); – che in questo senso si pone anche la giurisprudenza della Corte di giustizia (vedi la sentenza della Corte di giustizia UE X, 24 ottobre 2019, in causa C-515/18), secondo cui il Regolamento n. 1370 del 2007 deve essere interpretato nel senso che le autorità nazionali competenti che intendano procedere all'aggiudicazione diretta di un contratto di servizio di trasporto pubblico locale non sono tenute a pubblicare o comunicare agli operatori economici potenzialmente interessati tutte le informazioni necessarie affinché essi siano in grado di predisporre un'offerta sufficientemente dettagliata e idonea a costituire oggetto di una valutazione comparativa e, dall'altro, a svolgere una valutazione comparativa tra tali offerte (§ 14); – che la regola è confermata a livello nazionale dall'art. 61 della l. n. 99/2009 (recante disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), secondo cui “anche in deroga alla disciplina di settore” le amministrazioni competenti all'aggiudicazione di contratti di servizio di trasporto pubblico locale “possono avvalersi delle previsioni” di cui al citato art. 5, comma 2, del Regolamento n. 1370/2007”. Tale orientamento si è formato con riferimento a una disposizione di ordine generale (ovvero l'art. 192 del previgente codice) rispetto alla quale è certamente più agevole ritenere, in via interpretativa, prevalenti le disposizioni del Regolamento (CE) 1370/2007, mentre a fronte della speciale disciplina di cui al d.lgs. n. 201/2022 si porrà come necessario un rinvio alla Corte di Giustizia al fine di stabilire la compatibilità di tale nuova disciplina con il diritto eurounitario. Insomma, a meno che non si ritenga prevalente il principio di autoproduzione sancito dall'art. 7 del nuovo codice rispetto alla disciplina speciale dei ss.pp.ll. è evidente il rischio che l'onere motivazione si configuri a geometria variabile in ragione del settore cui si riferisce l'affidamento in house: in particolare, la motivazione del mancato ricorso al mercato non sarà necessaria per i servizi diversi dai ss.pp.ll., per i quali invece tale onere discende dalla previsione speciale di cui all'art. 17, comma 2, d.lgs. 201/2022 ad eccezione del trasporto pubblico locale con riferimento al quale si porrà il problema della compatibilità con la disciplina di cui al Regolamento (CE) 1370/2007. In house e sopravvenienze Quindi il ricorso al mercato è un’alternativa all’auto-produzione: la precedente legislazione nazionale considera l’auto-produzione un’eccezione (vedi artt. 5 e 192 codice contratti pubblici: Corte Cost. 100/2020; mentre l’alternativa tra to make and to buy è comunitariamente indifferente: Corte Giust, IX, 6 febbraio 2020, cause riunite da c 89/19 a 91/2019; vedi anche Corte Giust., IV, 12 maggio 2022, n. 719/20); per il potenziamento dell’ in house come alternativa generale vedi art. 7 nuovo codice che richiede solo una motivazione senza meccanismi di autorizzazione e pubblicità (vedi però artt. 16 TU società pubbliche e 17 TU servizi pubblici locali In base all’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, devono essere esplicitate in modo chiaro le ragioni dell’affidamento in house, con specifico riferimento alla prospettiva economica, sicché l’amministrazione deve valutare in modo specifico la convenienza dell’affidamento del servizio secondo lo schema dell’in house rispetto all’alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo mercato, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il servizio economicamente più conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza; e l’importanza della comparazione con le offerte reperibili sul mercato, in termini di convenienza economica, emerge da ultimo anche dall’art. 7, comma 2, del d. lgs. n. 36 del 2023 Cons. Stato, VII, 2 novembre 2023, n. 9452). Il fatto che, successivamente a un’operazione di aggregazione, l’ente comunale che abbia venduto le proprie azioni della società originaria in house non abbia successivamente acquisito le azioni della nuova società aggregatrice, non è elemento idoneo a far venir meno i presupposti per la prosecuzione del servizio (senza soluzione di continuità) da parte dell’operatore economico individuato con gara a doppio oggetto a seguito dell’operazione medesima, atteso che al momento della individuazione della nuova società come soggetto aggregatore l’ente comunale faceva ancora parte della compagine societaria della precedente società in house (e quindi partecipava delle relative decisioni gestionali e organizzative), mentre al momento della dismissione del pacchetto azionario da parte dell’ente comunale, quest’ultimo aveva già perduto la competenza in ordine alla gestione del servizio, che è stata attribuita alla provincia (Cons. St., IV, 20 novembre 2023, n. 9933) La cooperazione tra pubbliche amministrazioniIl comma 4 disciplina gli accordi tra pubbliche amministrazioni per lo svolgimento in comune di compiti di interesse pubblico operando, come si legge nella Relazione illustrativa “una riformulazione semplificata della previsione attualmente contenuta dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, rispetto al quale tiene conto dell'elaborazione giurisprudenziale nazionale e sovranazionale”. Il previgente art. 5, comma 6, riportando testualmente la disposizione di cui all'art. 12, § 4 della Direttiva n. 2014/24/UE, subordinava la possibilità di accordi tra pubbliche amministrazioni in deroga all'obbligo della gara pubblica a tre condizioni, “a) l'accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione”. La nuova disposizione articola diversamente le condizioni per derogare alla gara pubblica, stabilendo che l'accordo deve a) interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse; b) garantire la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all'attività di interesse comune, in un'ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni; c) determinare una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l'accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti; fermo restando che d) le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione. Ad eccezione della testuale riproposizione dell'obbligo di esternalizzare il 20% delle attività oggetto di cooperazione, la nuova riformulazione delle condizioni ha l'evidente fine di precisare che la reciproca collaborazione tra amministrazioni, che possono avere competenze e perseguire finalità pubbliche diverse, deve avere come unico fine la realizzazione di un interesse comune e non rispondere a mera logica di scambio, che in questi accordi deve mancare a favore dello svolgimento in comune di attività dirette a soddisfare interessi pubblici, anche non coincidenti ma rientranti nella missione istituzionale di ciascuna amministrazione partecipante all'accordo. Come noto, l'accordo di cooperazione fra pubbliche amministrazioni (definito anche come “accordo di partenariato orizzontale”: G. Taccogna), ha ricevuto espresso riconoscimento normativo ad opera dell'art. 12, § 4 della Direttiva n. 2014/24/UE, che ha escluso dell'obbligo della gara il “contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attività interessate dalla cooperazione”. Dal 33° considerando della direttiva si evince che i servizi forniti dalle diverse amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici, ma possono essere anche complementari, mentre la cooperazione non comporta che tutte le amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all'esecuzione del servizio pubblico. In ragione di tale assunto, il nuovo art. 7 prevede espressamente che l'accordo di cooperazione possa essere stipulato tra amministrazioni che hanno competenze diverse e che nell'ambito dell'accordo operino in ruoli differenti. Il concetto di “cooperazione” si lega, poi, al raggiungimento di “obbiettivi comuni” tra gli enti stipulanti, inteso come “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur potendosi ammettere la diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione di talché “non rappresenta un ostacolo alla configurazione “dell'interesse comune” la circostanza che l'apporto collaborativo o i servizi forniti dalle amministrazioni non siano identici, bensì complementari” (Cons. St. V, n. 2381 /2021). Peraltro, nella giurisprudenza eurounitaria, il requisito della cooperazione è stato prevalentemente interpretato alla luce del “principio di effettività della collaborazione stabilita e realizzata” tra i due enti pubblici, che deve contraddistinguere sia il momento che precede la formazione dell'accordo, che quello della sua esecuzione: infatti, l'accordo deve, non solo essere il risultato di un “iter di cooperazione” tra i partecipanti, avente come obiettivo quello di regolare i rispettivi compiti e responsabilità, ma deve anche garantire la “partecipazione congiunta” di tutte le parti per l'erogazione del servizio pubblico, con esclusione della mera logica dello scambio (Corte giust. UE, 9 giugno 2009, Commissione/Germania, C-480/06, 13 giugno 2013, Piepenbrock, C-386/11). Corte di Giustizia ha infatti precisato in quali casi i contratti conclusi nell'ambito del settore pubblico non sono soggetti all'applicazione delle norme in materia di appalti pubblici (Corte giustizia UE sez. IV, 28 maggio 2020). Afferma la Corte che “le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero poter decidere di fornire congiuntamente i rispettivi servizi pubblici mediante cooperazione senza essere obbligate ad avvalersi di alcuna forma giuridica in particolare. Tale cooperazione potrebbe riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affidati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti, quali i compiti obbligatori o facoltativi di enti pubblici territoriali o i servizi affidati a organismi specifici dal diritto pubblico. I servizi forniti dalle diverse amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici; potrebbero anche essere complementari. Tale chiarimento dovrebbe essere guidato dai principi di cui alla pertinente giurisprudenza della Corte. Il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l'applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia, l'applicazione delle norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche. Si dovrebbe garantire che una qualsiasi cooperazione pubblico-pubblico esentata non dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati nella misura in cui pone un fornitore privato di servizi in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. I contratti per la fornitura congiunta di servizi pubblici non dovrebbero essere soggetti all'applicazione delle norme stabilite nella presente direttiva, a condizione che siano conclusi esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici, che l'attuazione di tale cooperazione sia dettata solo da considerazioni legate al pubblico interesse e che nessun fornitore privato di servizi goda di una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Al fine di rispettare tali condizioni, la cooperazione dovrebbe fondarsi su un concetto cooperativistico. Tale cooperazione non comporta che tutte le amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all'esecuzione del servizio pubblico in questione. Inoltre, l'attuazione della cooperazione, inclusi gli eventuali trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, dovrebbe essere retta solo da considerazioni legate al pubblico interesse”. La Corte precisa ancora che, in assenza di una nozione comunitaria di “cooperazione”, va valorizzata dall'interprete la circostanza che “l'intenzione del legislatore dell'Unione fosse quella d'instaurare un meccanismo basato su una cooperazione non autentica o d'ignorare l'effetto utile della cooperazione orizzontale tra amministrazioni aggiudicatrici, occorre rilevare che il requisito di «un'autentica cooperazione» emerge dalla precisazione, enunciata al considerando 33, terzo comma, della Direttiva n. 2014/24, secondo cui la cooperazione deve «fondarsi su un concetto cooperativistico». Una siffatta formulazione, all'apparenza tautologica, deve essere interpretata nel senso di rinviare al requisito di effettività della cooperazione così stabilita o attuata. Ne consegue che la partecipazione congiunta di tutte le parti dell'accordo di cooperazione è indispensabile per garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati e che tale condizione non può essere considerata soddisfatta qualora l'unico contributo di talune controparti contrattuali si limiti a un mero rimborso spese”. Infine, precisa ancora la Corte che “la conclusione di un accordo di cooperazione tra enti nell'ambito del settore pubblico deve costituire la conclusione di un'iniziativa di cooperazione tra le parti di quest'ultimo (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2009, Commissione/Germania, C-480/06, EU:C:2009:357, punto 38). L'elaborazione di una cooperazione tra enti nell'ambito del settore pubblico presenta, infatti, una dimensione intrinsecamente collaborativa, che è assente in una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico rientrante nelle norme previste dalla Direttiva 2014/24”. In ossequio a tale orientamento, la giurisprudenza nazionale ha precisato che “qualora un'amministrazione si ponga rispetto all'accordo come operatore economico, ai sensi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C 305/08, prestatore di servizi ex all. IIA e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico, ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi” (cfr. Cons. di St. n. 6034/2021). Anche l'ANAC, nel parere del 7 ottobre 2015 (AG 70/2015/AP) ha affermato che “l'elemento qualificante dell'istituto, che emerge dalle più recenti pronunce del G.A., è l'estraneità alla logica dello scambio tra prestazione e controprestazione suggellata dalla previsione di un corrispettivo, propria del contratto”. Al di fuori di queste ipotesi, ogni accordo avente contenuto patrimoniale soggiace alle regole dell'evidenza pubblica, posto che anche le amministrazioni pubbliche devono includersi tra gli operatori economici sottoposti alle regole della concorrenza (sul punto si v. T.A.R. Campania (Napoli) I, n. 548/2019 e Cons. St. n. 5968/2018). BibliografiaBerti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968; Cillis, La via italiana all'affidamento in house: dai requisiti Teckal al nuovo codice dei contratti pubblici, in italiappalti.it, 2017; Guzzo, Società miste e affidamenti in house. Nella più recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale, Milano, 2009; Ianone, Le società in–house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione e auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2012; Nigro, Amministrazione pubblica (organizzazione giuridica dell'), in Enc. 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