Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 122 - Risoluzione.

Marco Briccarello
Codice legge fallimentare

Art. 108


Risoluzione.

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 121, le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto di appalto senza limiti di tempo, se si verificano una o più delle seguenti condizioni:

a) modifica sostanziale del contratto, che richiede una nuova procedura di appalto ai sensi dell'articolo 120;

b) con riferimento alle modificazioni di cui all'articolo 120, comma 1, lettere b) e c), superamento delle soglie di cui al comma 2 del predetto articolo 120 e, con riferimento alle modificazioni di cui all'articolo 120, comma 3, superamento delle soglie di cui al medesimo articolo 120, comma 3, lettere a) e b);

c) l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto, in una delle situazioni di cui all'articolo 94, comma 1, e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di gara;

d) l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

2. Le stazioni appaltanti risolvono un contratto di appalto qualora nei confronti dell'appaltatore:

a) sia intervenuta la decadenza dell'attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;

b) sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui al Capo II del Titolo IV della Parte V del presente Libro.

3. Il contratto di appalto può inoltre essere risolto per grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da compromettere la buona riuscita delle prestazioni. Il direttore dei lavori o il direttore dell'esecuzione, se nominato, quando accerta un grave inadempimento ai sensi del primo periodo avvia in contraddittorio con l'appaltatore il procedimento disciplinato dall'articolo 10 dell'allegato II.14. All'esito del procedimento, la stazione appaltante, su proposta del RUP, dichiara risolto il contratto con atto scritto comunicato all'appaltatore.

4. Qualora, al di fuori di quanto previsto dal comma 3, l'esecuzione delle prestazioni sia ritardata per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore dei lavori o il direttore dell'esecuzione, se nominato, gli assegna un termine che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, entro i quali deve eseguire le prestazioni. Scaduto il termine, e redatto il processo verbale in contraddittorio, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il contratto, con atto scritto comunicato all'appaltatore, fermo restando il pagamento delle penali.

5. In tutti i casi di risoluzione del contratto l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti.

6. Nei casi di risoluzione del contratto di cui ai commi 1, lettere c) e d), 2, 3 e 4, le somme di cui al comma 5 sono decurtate degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto, e in sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto, l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per il nuovo affidamento, se la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall'articolo 124, comma 2, primo periodo.

7. L'allegato II.14 disciplina le attività demandate al direttore dei lavori e all'organo di collaudo o di verifica di conformità in conseguenza della risoluzione del contratto.

8. Nei casi di risoluzione del contratto, l'appaltatore provvede al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine assegnato dalla stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del termine, la stazione appaltante provvede d'ufficio addebitando all'appaltatore i relativi oneri e spese. In alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, la stazione appaltante può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'articolo 106, pari all'1 per cento del valore del contratto. Resta fermo il diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni.

Inquadramento

L'art. 122 del d.lgs. n. 36/2023 corrisponde all'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016 e disciplina la risoluzione del contratto al verificarsi di una (o più) delle condizioni indicate dalla norma stessa.

Si tratta di casi in cui il rapporto viene risolto “per fatto dell'esecutore o, più precisamente, per iniziativa della stazione appaltante”. L'articolo contempla infatti diverse ipotesi di risoluzione, non tutte riconducibili all'inadempimento da parte dell'appaltatore rispetto alle prestazioni oggetto del contratto (Caringella, Giustiniani, Mantini).

La previsione in commento ha mantenuto l'impostazione di fondo del vecchio codice, apportandovi peraltro alcune modifiche volte a “precisare” e “snellire” il dettato normativo.

i) Le innovazioni apportate rispetto alla precedente formulazione si rinvengono, in primo luogo, nell'introduzione al comma 1 di un inciso chiarificatore, in virtù del quale le stazioni appaltanti possono risolvere il contratto di appalto “senza limiti di tempo”, in correlazione con la abrogazione del comma 1-bis dell'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016, che esclude l'applicabilità dei termini di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.

Tale scelta legislativa si spiega alla luce del fatto che il richiamo all'istituto dell'annullamento d'ufficio non si era palesato risolutivo. Ciò soprattutto perché – come si legge nella relazione illustrativa – il medesimo art. 108 recava al suo interno plurime fattispecie:

– strutturalmente e ontologicamente disomogenee, in parte corrispondenti alla risoluzione civilistica per inadempimento (commi 3 e 4), che non hanno nulla a che vedere con l'annullamento d'ufficio;

– riconducibili all'autotutela [comma 1, lettere c) e d); comma 2, lett. a) e lett. b)], per cui l'istituto sarebbe applicabile;

- eterodosse [comma 1, lettere a) e b)] di sopravvenuta modifica del quadro esigenziale pubblico che implica una rinegoziazione incompatibile con l'esecuzione dell'appalto affidato e che pretende una nuova procedura di affidamento (in pratica: un recesso motivato e giustificato da presupposti oggettivi, in cui l'appaltatore non ha diritto al ristoro del mancato guadagno).

ii) In secondo luogo, sempre al comma 1, sono state parzialmente riscritte le lettere a) e b), in linea con il riferimento alla necessità di introdurre le modifiche sostanziali o oltre soglia. In particolare è ora previsto:

– alla lett. a), che “le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto di appalto quando il contratto dovrebbe subire una modifica sostanziale che richiede una nuova procedura di appalto ai sensi dell'articolo”;

– e alla lett. b), che le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto di appalto quando le prestazioni supplementari o le varianti in corso d'opera cagionano “il superamento delle soglie” di cui al comma 2 dell'art. 120 del d.lgs. n. 36/2023.

iii) In terzo luogo, nei commi 3 e 7 è stato inserito un rimando espresso all'allegato II.14 per tutte le disposizioni di dettaglio del procedimento di risoluzione del contratto (disciplinato in precedenza dai commi 5, 6, 7 e 8 dell'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016). Ciò, come si è anticipato, al fine di snellire quanto più possibile la norma in esame.

iv) Infine, nel comma 8 è stato ripreso fedelmente il testo del comma 9 dell'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016, in virtù del quale è riconosciuta in capo alla stazione appaltante la facoltà, alternativa all'esecuzione di provvedimenti giurisdizionali che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro, di provvedere d'ufficio, depositando a garanzia cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'art. 120 del d.lgs. n. 36/2023 (sostitutivo dell'art. 106 del precedente codice). La ratio di questa scelta va rinvenuta – come precisa sempre la relazione illustrativa del nuovo codice – nella circostanza che, trattandosi di un diritto soggettivo riconosciuto in favore della stazione appaltante, la relativa previsione non può essere demandata alla normativa secondaria.

Al riguardo i primi commenti hanno espresso alcune perplessità su tale previsione, laddove essa fosse interpretata come limitativa all'uso della forza pubblica per la protezione dei beni pubblici, prevista invece dall'art. 21-ter della già citata l. n. 241/1990 (Valaguzza).

Le ipotesi “pubblicistiche” e “civilistiche” di risoluzione

Sulle evenienze che portano alla risoluzione del contratto, nell'art. 122 del nuovo codice si rinvengono talune ipotesi aventi natura “pubblicistica”, legate cioè alle peculiarità della materia dei contratti pubblici, e talaltre con natura “civilistica” che ripropongono – pressoché integralmente – quanto previsto per l'appunto nel codice civile.

Preliminarmente si evidenzia che la norma fa salvo il contenuto dell'art. 121 del “nuovo” codice, il quale – riprendendo quanto già previsto dall'art. 107 del d.lgs. n. 50/2016 – disciplina i casi in cui la stazione appaltante può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto di appalto.

L'espresso richiamo all'art. 121 del d.lgs. n. 36/2023 implica che l'eventuale periodo di sospensione dell'esecuzione disposto dalla stazione appaltante non può essere computato al fine di valutare l'esatto adempimento delle prestazioni contrattuali per procedere all'eventuale risoluzione del contratto. Anzi in questi casi, l'eventuale eccessiva durata della sospensione (o delle sospensioni) disposte dall'Amministrazione fa sorgere in capo all'esecutore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto, con il limite e le conseguenze previste dalla legge (art. 121, comma 5). Il privato potrà chiedere lo scioglimento dal contratto senza tuttavia percepire alcuna indennità, salvo ovviamente il pagamento delle prestazioni eseguite a regola d'arte e verificate, anche in contraddittorio, dalla stazione appaltante.

Peraltro, l'effettivo scioglimento del rapporto contrattuale resta subordinato all'espressa accettazione da parte dell'Amministrazione. Infatti qualora la stazione appaltante si opponga alla richiesta di risoluzione avanzata dall'operatore economico il vincolo contrattuale non potrà essere sciolto. In questo caso l'esecutore avrà però diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento dei tempi di esecuzione della commessa a causa della sospensione disposta dalla stazione appaltante.

Sul punto, per ulteriori approfondimenti, si rinvia allo specifico commento dell'art. 121.

Fatta questa premessa, esaminiamo le ipotesi di risoluzione del contratto previste dall'art. 122 del d.lgs. n. 36/2023, seguendo la suddivisione sopra esposta tra fattispecie “pubblicistiche” e “privatistiche”.

I) Le ipotesipubblicistiche” di risoluzione.

Il comma 1 dell'art. 122 stabilisce che le stazioni appaltanti “possono risolvere” il contratto se si verificano alcune condizioni. Si tratta di specifiche circostanze legate, come detto in precedenza, alle peculiarità della contrattualistica pubblica, che si affiancano alle “tradizionali” vicende risolutive disciplinate dal codice civile e consentono alla stazione appaltante di sciogliere il vincolo contrattuale (Sandulli, De Nictolis, Barone, Goggiamani).

I.1) La prima ipotesi è prevista dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 122, secondo cui le Amministrazioni possono valutare se risolvere un contratto quando lo stesso debba subire – per circostanze sopravvenute alla stipula – una “modifica sostanziale”, che imporrebbe una nuova procedura ad evidenza pubblica. Il concetto di “modifica sostanziale” rilevante ai fini della risoluzione è precisato nell'art. 120 comma 6, secondo cui una modifica è considerata sostanziale quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti ovvero soddisfa una o più delle condizioni indicate nel medesimo art. 120 comma 6. Per una disamina più approfondita delle situazioni che integrano una modifica sostanziale del contratto di appalto si rimanda al commento dell'art. 120.

I.2) La seconda ipotesi si trova nella lettera b) del medesimo comma 1, che ricomprende due distinti casi di potenziale risoluzione del contratto. In particolare tale comma fa riferimento:

– da un lato, alle modificazioni di cui all'art. 120 comma 1, lett. b) e c), e cioè alla sopravvenuta necessità di lavori, servizi o forniture supplementari, non previsti nell'appalto iniziale e l'esigenza di effettuare varianti in corso d'opera;

– e, dall'altro lato, alle modificazioni di cui all'art. 120 comma 3, e cioè a quelle varianti che se superano determinate soglie risultano idonee ad alterare la natura del contratto originario.

I.3) La terza ipotesi è dettata dalla lettera c) del comma 1 e riguarda il caso in cui l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto, in una delle situazioni che comportano l'esclusione automatica dalla procedura di gara previste dall'art. 94 comma 1 del nuovo codice. Si tratta, segnatamente, delle cause di esclusione (già previste dall'art. 80 comma 1 del d.lgs. 50/2016) legate alla sopravvenienza di una condanna – con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p. – per uno dei reati previsti dal medesimo art. 94 comma 1.

I.4) La quarta ipotesi, disciplinata dalla lettera d) del comma 1, si verifica quando l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in ragione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea in un procedimento ai sensi dell'art. 258 TFUE (secondo cui, com'è noto: “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni”. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea”).

I.5) Il comma 2 della disposizione in commento – sempre nell'ambito delle ipotesi c.d. “pubblicistiche” di risoluzione – prevede, invece, due fattispecie al cui verificarsi la stazione appaltante è obbligata a risolvere il contratto. Nel dettaglio:

– la lett. a) concerne l'evenienza in cui sia intervenuta nei confronti dell'appaltatore la decadenza dell'attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;

– e la lett. b) prende in considerazione l'evenienza in cui sia intervenuto, ovviamente sempre nei confronti dell'appaltatore, un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia, oppure una sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui all'art. 94 del nuovo codice (che, come si è già detto, corrispondono ai reati indicati dal vecchio art. 80 comma 1 del d.lgs. n. 50/2016).

Per il caso delle misure di prevenzione e antimafia la disciplina va integrata con quella stabilita dall'art. 94 del d.lgs. n. 159/2011, che al comma 3 prevede un'eccezione all'obbligo della risoluzione contrattuale quando l'opera sia in corso di ultimazione oppure per fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi. Si tratta ovviamente di ipotesi eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione (Cons. St. III, n. 392/2019). Venendo in gioco i requisiti morali e/o professionali del concorrente si verte in un intervento di carattere preventivo della stazione appaltante circa l'affidabilità dell'operatore economico contraente. Sicché al ricorrere di tali presupposti, come detto, la risoluzione del contratto costituisce non una mera facoltà, bensì un obbligo per la stazione appaltante.

II) Le ipotesicivilistiche” di risoluzione.

I commi 3 e 4 della norma in commento (riproponendo quanto già previsto dai commi 3 e 4 dell'art. 108 del d.lgs. 50/2016) contemplano due ipotesi “civilistiche” di risoluzione del contratto di appalto.

II.1) Precisamente, il comma 3 stabilisce che la stazione appaltante può risolvere il contratto (rimandando quindi la scelta alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione) laddove accerti un grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell'operatore economico. Ciò rispecchia la disciplina dettata dagli artt. 1453 c.c. per la risoluzione (appunto) per inadempimento.

Nello stesso terzo comma il legislatore ha altresì definito lo specifico iter procedimentale che l'Amministrazione – “per mezzo” del direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione – deve seguire, in contraddittorio con l'appaltatore, per accertare la sussistenza di un grave inadempimento. Le varie fasi procedimentali e gli aspetti più operativi della risoluzione sono dettagliatamente disciplinati dall'allegato II.14, ciò nell'ottica di un'ampia delegificazione con valenza “legislativ[a] in prima applicazione, regolamentar[e] a regime” (v. la premessa della relazione illustrativa).

Sul punto si veda il commento dello stesso all. II.14.

Per contro, la novella (e prima ancora il codice del 2016) non ha specificato quali circostanze siano idonee a integrare un grave inadempimento, sicché la dottrina ha tratto dalla giurisprudenza le indicazioni in proposito. Ad esempio, non costituiscono grave inadempimento legittimante la risoluzione i ritardi dovuti ad una serie di cause, quali:

– la malattia dell'imprenditore;

– il tempo occorso per ricevere l'intervento dovuto di un organo amministrativo coinvolto nella procedura;

– la sospensione dei lavori causata da mancanza temporanea del materiale;

– la richiesta da parte dell'ente appaltante di varianti per un importo superiore al quinto dovuto;

– e l'indisponibilità di parte delle aree interessate ai lavori (Sandulli, De Nictolis, Barone, Goggiamani, con numerose citazioni di giurisprudenza).

La sussistenza di un grave inadempimento a carico dell'appaltatore dev'essere valutata volta per volta. Si tratta di una ponderazione particolarmente delicata quando le parti adducano inadempimenti reciproci o una di esse contrasti la domanda di risoluzione avversaria giustificando la propria inadempienza con quella dell'altro contraente. In tale evenienza il giudice è chiamato a svolgere una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi comportamenti inadempienti, che, al di là del pur necessario riferimento all'elemento cronologico degli stessi, esamini il loro rapporto “di dipendenza” (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro della funzione economico-sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale dei due contraenti debba ricadere l'inadempimento colpevole, idoneo a giustificare quello dell'altro (App. Milano IV, 10 dicembre 2022, con ampi rimandi a Cass. II, n. 14648/2013 e Cass. I, n. 33 6/2013).

Come evidenziato dalla dottrina, nella pratica può accadere che i contrapposti addebiti in ordine alla responsabilità dell'inadempimento conducano, da un lato, alla coesistenza di una domanda di risoluzione avanzata dall'appaltatore in sede giudiziale e, d'altro lato, all'adozione di un provvedimento di risoluzione da parte dell'amministrazione. In questa situazione si dibatte delle conseguenze di ordine processuale che ne derivano. Invero in giurisprudenza si registrano orientamenti diversificati a seconda che la domanda di risoluzione, introdotta dall'appaltatore, abbia preceduto o, viceversa, seguito l'atto di risoluzione in via di autotutela emesso dall'amministrazione. Segnatamente:

– se la domanda di risoluzione proposta dall'appaltatore è antecedente alla risoluzione autoritativa l'eventuale risoluzione disposta successivamente dall'amministrazione non è di ostacolo all'esame (e all'eventuale accoglimento) della domanda preventivamente introdotta dall'appaltatore;

– invece, se domanda di risoluzione avanzata dall'appaltatore è successiva alla risoluzione autoritativa, secondo una parte della giurisprudenza la valutazione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe, mentre secondo un diverso orientamento l'azione di risoluzione del contratto ad iniziativa dell'appaltatore sarebbe inammissibile, in quanto priva di oggetto (Salina, con ampie citazioni di giurisprudenza).

II.2) Il comma 4 prevede infine un'ulteriore ipotesi di risoluzione collegata al mancato rispetto dei tempi di esecuzione della commessa, nel caso in cui tale circostanza sia correlata alla negligenza nell'esecuzione della prestazione da parte dell'appaltatore. Per quanto qui interessa, questo quarto comma dispone che, al di fuori di quanto previsto al comma 3, se l'esecuzione delle prestazioni ritarda per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore dei lavori o il responsabile unico dell'esecuzione del contratto, gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, entro i quali l'appaltatore deve eseguire le prestazioni. Scaduto il termine assegnato, e redatto processo verbale in contraddittorio con l'appaltatore, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il contratto, fermo restando il pagamento delle penali.

La risoluzione del contratto tra facoltà e obbligo per la stazione appaltante

Dall'analisi appena condotta emerge – almeno da un punto di vista formale – una netta “frattura” tra i due ordini di situazioni sopra descritte (del tutto sovrapponibili al quadro normativo delineato dall'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016 e quindi, si ritiene, ancora attuali anche dopo la novella del 2023), che sono distinte in ragione della sussistenza o meno di margini di valutazione da parte della stazione appaltante (Caringella, Giustiniani, Mantini). Al riguardo, una parte della dottrina ha osservato che, al di là delle espressioni utilizzate dal legislatore, anche le ipotesi di risoluzione indicate nel primo comma della norma in commento (e, a suo tempo, nel primo comma dell'art. 106 del d.lgs. n. 50/2016) in realtà comportano un dovere per la stazione appaltante di procedere con la risoluzione, non potendosi ammettere che il rapporto contrattuale prosegua allorché emergano le circostanze di cui si tratta, poiché esse risultano preclusive della possibilità di contrarre con la pubblica amministrazione (Perfetti).

Tale posizione interpretativa può condividersi laddove con essa si evidenzia come la sopravvenuta conoscenza di situazioni che non avrebbero consentito la sottoscrizione del contratto, ovvero l'aggiudicazione, rende doverosa la risoluzione del rapporto contrattuale. Tuttavia una simile interpretazione non esclude, a priori, che la stazione appaltante sia comunque chiamata ad effettuare una valutazione in ordine ai limiti e alla portata della causa di risoluzione che, seppur sussistente, potrebbe riguardare solo gli ulteriori affidamenti (che avrebbero richiesto un'autonoma procedura di gara) e non già il rapporto contrattuale originario (Caringella, Giustiniani, Mantini).

Il fatto che il legislatore si esprima – quanto alle risoluzioni previste dall'art. 122, comma 1 – in termini di “possibilità” e non di “doverosità”, muove dal presupposto che in tali circostanze non è possibile “vincolare” la condotta dell'amministrazione. Ciò perché vengono in rilievo fattispecie in cui sussistono rilevanti margini di valutazione che, in relazione alle peculiarità della vicenda concreta, potrebbero portare l'Amministrazione a decidere di non risolvere il contratto. In questi casi la stazione appaltante è chiamata a valutare – anche in relazione allo stato di avanzamento delle prestazioni oggetto del contratto di appalto – se sia prevalente l'interesse alla conclusione di lavori/servizi/forniture oppure l'interesse alla stipula di un nuovo contratto di appalto con un diverso operatore economico.

Tale impostazione non è prospettabile nelle situazioni prese in esame dall'art. 122, comma 2, del “nuovo” codice (che replicano quanto già previsto dall'art. 108, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016). Infatti, nel caso di decadenza dell'attestazione di qualificazione per falsità della relativa documentazione o autocertificazione, di intervento di provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice antimafia ovvero di sentenza di condanna passata in giudicato per i reati indicati all'art. 94 del nuovo codice, nessuna valutazione è rimessa alla stazione appaltante che è quindi obbligata – come previsto espressamente dall'art. 122 – a risolvere il contratto.

Ferme le suddette distinte ipotesi ricostruttive, la dottrina reputa che il tratto comune alla risoluzione del contratto come prevista nelle situazioni considerate dall'art. 108, commi 1 e 2 (oggi art. 122 commi 1 e 2), è dato dal fatto che le disposizioni evocate delineano uno strumento attraverso il quale la stazione appaltante, nella fase dell'esecuzione, esercita un potere-dovere di intervento volto ad assicurare direttamente i diversi interessi sottesi alle previsioni richiamate dalla norma e, indirettamente, quello al corretto adempimento del contratto secondo le regole dell'arte e le pattuizioni intervenute (Caringella, Giustiniani, Mantini).

Le considerazioni sopra richiamate hanno animato la discussione anche sulla qualificazione giuridica della risoluzione in argomento. In particolare ci si è domandati se la risoluzione sia espressione di un potere contrattuale oppure autoritativo, con conseguente diverso riparto di giurisdizione sulle relative controversie rispettivamente tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Allo stato pare comunque ormai assodato che – poiché l'appalto è un contratto di diritto privato dal quale, una volta esaurita la procedura di affidamento dei lavori, sorgono diritti ed obblighi a carico di entrambi i contraenti – gli atti con i quali l'Amministrazione esercita la facoltà di risolverlo unilateralmente non abbiano natura provvedimentale, trattandosi di vicenda privatistica, come per il recesso previsto dall'attuale art. 123 (Cass. S.U. , n. 25046/2021 e n. 489/2019; nonché T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 4692/2023; Cons. St. III, n. 1084/2020 e Cons. St. V, n. 2543/2019).

Questa impostazione è stata confermata ancora di recente, laddove si è stabilito che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l'Amministrazione aziona, ai sensi dell'art. 1456 c.c., una clausola risolutiva espressa. In tal caso, invero, l'atto risolutivo non implica la spendita di alcun potere pubblico, né involge valutazioni di carattere discrezionale di stampo pubblicistico, ma costituisce esercizio di un diritto potestativo afferente alla capacità dell'ente di agire iure privatorum nella fase di esecuzione di un contratto pubblico (T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 492/2023).

Sempre in merito al riparto di giurisdizione, si è stabilito che quando l'operatore economico contesta in giudizio la legittimità sia della risoluzione contrattuale disposta dall'Amministrazione, sia dei successivi provvedimenti con cui la stazione appaltante ha indetto una nuova procedura di gara per aggiudicare il completamento della commessa oggetto del contratto risolto, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. In particolare si è evidenziato che, ai fini del riparto di giurisdizione, occorre tenere ben distinte due possibilità.

a) Ove l'operatore economico agisca in giudizio chiedendo di accertare l'illegittimità dei provvedimenti con cui la stazione appaltante ha annullato in autotutela la procedura di gara e, per l'effetto, ha sciolto unilateralmente il contratto stipulato con l'operatore economico, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo;

b) mentre quando l'oggetto della lite è dato dalla contestazione della risoluzione del contratto di appalto, dalla quale dipende poi la domanda di annullamento dei successivi provvedimenti con cui l'Amministrazione, a seguito e in ragione della risoluzione, ha indetto una nuova procedura di gara, la giurisdizione spetta al giudice ordinario (T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 1700/2023).

Infine si è chiarito che al ricorrere di determinate circostanze la giurisdizione del giudice ordinario sussiste anche prima della sottoscrizione del contratto. Più precisamente, quando il provvedimento di decadenza dell'aggiudicazione non è riconducibile all'esercizio di un potere autoritativo allora questo “appare espressione di un sostanziale recesso dalle trattative dirette alla stipula del contratto dopo l'aggiudicazione e, dunque, di un potere di natura privatistica, come tale da apprezzare alla stregua dell'art. 1337 c.c.”, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U., n. 111/2023 e Cass.S.U., n. 24411/2018).

A fini di riparto di giurisdizione in materia di risoluzione contrattuale la dottrina, pur prendendo atto della posizione assunta dalle Sezioni Unite della Cassazione (secondo cui il riparto di giurisdizione in materia di affidamento dei contratti pubblici è segnato dal momento della stipula del relativo contratto), ha sottolineato che “non può omettersi di considerare però che detto riparto si basa sul principio del petitum sostanziale della controversia (il quale porta all'affermazione dell'uno o altra giurisdizione a seconda che sia incentrato sulla fase dell'esecuzione dell'appalto ovvero, al contrario, sui poteri di natura discrezionale-valutativa della P.A. nell'individuazione dell'aggiudicatario) e che tale distinzione, alla luce delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 108, non appare affatto agevole o, per meglio dire, porta ad affermare (in tesi) la natura della risoluzione quale diritto potestativo o potere autoritativo (e quindi l'una o l'altra giurisdizione) a secondo delle ragioni in concreto poste dalla stazione appaltante alla base della risoluzione del contratto, piuttosto che dello strumento in sé utilizzato, anche tenuto conto che le disposizioni richiamate ammettono la risoluzione del contratto per situazioni eterogenee che incidono sulla fase dell'esecuzione sia direttamente (così le modifiche del contratto) che indirettamente (così il sopravvenuto accertamento della carenza di requisiti dell'aggiudicatario) e ciò anche attraverso la spendita di poteri che (almeno formalmente) appaiono “poteri d'imperio” preordinati alla tutela di interessi di oggettivo rilievo pubblico” (Caringella, Giustiniani, Mantini).

Proprio la valutazione, caso per caso, circa natura del potere esercitato dall'Amministrazione ha condotto la giurisprudenza a ritenere sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo laddove la risoluzione del contratto sia la diretta conseguenza dell'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione disposto dalla stazione appaltante a causa del venir meno dei requisiti di qualificazione in capo all'operatore economico aggiudicatario. Ciò a prescindere dal nomen iuris del provvedimento adottato nella vicenda concretamente trattata dall'Amministrazione. Dette controversie si caratterizzano infatti perché riguardano l'esercizio dei poteri di autotutela di cui dispone la stazione appaltante anche dopo la stipula del contratto. Cosicché se l'Amministrazione riscontra l'esistenza di una causa di illegittimità dell'aggiudicazione per carenza dei requisiti di qualificazione dell'appaltatore, il provvedimento adottato – a prescindere dalla terminologia adoperata dalla stazione appaltante – consiste nell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione e nel conseguente, necessitato, scioglimento del vincolo contrattuale in forza dell'assenza dei requisiti di partecipazione alla gara e di aggiudicazione in capo all'affidatario. In questi casi quindi la stazione appaltante esercita un potere pubblicistico, cui corrisponde una posizione di interesse legittimo dell'impresa appaltatrice. Il dato formale della stipulazione del contratto non muta la natura del potere esercitato, diretto a soddisfare l'esigenza, di matrice pubblicistica, che l'aggiudicazione venga disposta e mantenuta nei confronti di operatori economici provvisti dei requisiti di qualificazione. Ne deriva che – in tali fattispecie – lo scioglimento del vincolo contrattuale non consegue a vizi propri del contratto (e, men che meno, al mancato adempimento di prestazioni che sono oggetto delle obbligazioni convenute in contratto a carico delle parti contraenti), ma alla sopravvenuta carenza dei requisiti richiesti per partecipare alla procedura di gara.

In definitiva, così come il dato formale della mancata sottoscrizione del contratto è indifferente ai fini del riparto di giurisdizione ogniqualvolta la controversia abbia ad oggetto fatti di inadempimento delle prestazioni convenute, verificatisi a seguito dell'instaurazione del rapporto in via d'urgenza, dei quali deve conoscere il giudice ordinario (T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 1700/2023), parimenti irrilevante è lo stesso dato formale della (avvenuta) stipulazione del contratto quando l'amministrazione si determini alla verifica della correttezza dell'aggiudicazione, della quale deve conoscere il giudice amministrativo.

La giurisprudenza ha d'altronde riconosciuto da tempo che la norma sull'annullamento d'ufficio consente l'intervento autoritativo dell'amministrazione anche dopo la stipulazione del contratto, onde rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi, con conseguente devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative all'esercizio di tale potere (da ultimo Cons. St. V, n. 590/2022, che, dopo aver escluso che l'Amministrazione possa procedere alla revoca del contratto, di cui all'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, dopo la stipula del contratto stesso, ha espressamente ricordato che la possibilità dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione definitiva anche dopo detta stipula è “concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l'aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso”).

In termini similari (cioè con statuizione della giurisdizione amministrativa) la giurisprudenza si è espressa ancora poco tempo fa nell'esaminare il ricorso proposto dall'operatore economico avverso il provvedimento con cui la stazione appaltante, a seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale dell'aggiudicazione, ha dichiarato l'inefficacia del contratto stipulato proprio a seguito dell'aggiudicazione annullata. Nel caso di specie – per il vero abbastanza peculiare – in sede di annullamento del provvedimento di aggiudicazione il giudice non si era pronunciato sulle sorti del contratto stipulato tra la stazione appaltante e l'operatore economico risultato (illegittimamente) aggiudicatario.

Alla luce di ciò si è affermato che, ove sia stata giudizialmente annullata l'aggiudicazione e il giudice non si sia pronunciato sulla efficacia del contratto, l'amministrazione non può rimanere inerte, al contrario essa è tenuta a valutare se, alla luce delle ragioni che hanno determinato l'annullamento dell'aggiudicazione, permangano o meno le condizioni per la continuazione del rapporto contrattuale in essere con l'operatore economico (illegittimo) aggiudicatario, oppure se non risponda maggiormente all'interesse pubblico, risolvere il contratto e indire una nuova procedura di gara, in applicazione del potere riconosciuto dall'art. 108, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 (Cons. St. V, n. 6014/2022; Cons. St. V, n. 2731/2020 e Cons. St. V, n. 7976/2019).

Il richiamo all'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016 da parte della citata giurisprudenza appare particolarmente rilevante, in quanto detto articolo, al comma 1, faceva riferimento – come l'attuale art. 122 – ad ipotesi di risoluzione del contratto dovute a vizi della fase dell'evidenza pubblica o alla necessità di una rinnovazione della gara (per superamento delle soglie o modifica sostanziale del contratto). Sicchése non si verifica la caducazione automatica del contratto, l'amministrazione può esercitare i poteri attribuitile proprio da tale articolo del codice dei contratti in materia ed incidere così sulla perdurante efficacia del contratto, determinandone eventualmente la “risoluzione”, con effetto ex nunc.

In conclusione i giudici hanno osservato che in quella vicenda il provvedimento impugnato ha dichiarato l'inefficacia del contratto in ragione dell'intervenuto annullamento giurisdizionale della aggiudicazione e pertanto facendo riferimento alla illegittimità della fase prodromica alla stipulazione radica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (T.A.R. Campania (Napoli) II, n. 2254/2023).

La fase successiva alla risoluzione

Quanto alle fasi procedimentali successive alla formalizzazione della risoluzione, i commi 3 e 7 dell'art. 122 del d.lgs. n. 36/2023 rimandano alle disposizioni contenute nell'allegato II.14, al cui commento si rinvia.

In questa sede pare opportuno evidenziare – seppur brevemente – che la disciplina contenuta nel citato allegato II.14 ripropone pressoché integralmente quanto previsto dai commi 3, 4, 6 e 7 dell'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016.

Segnatamente, se il direttore dei lavori o il responsabile dell'esecuzione accertano che l'inadempimento è tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni, trasmettono al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all'appaltatore.

Nella stessa relazione, i medesimi soggetti formulano, altresì, la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni.

Nel caso in cui le controdeduzioni trasmesse dall'appaltatore siano valutate negativamente ovvero sia scaduto il suddetto termine di quindici giorni senza che l'appaltatore abbia fornito un riscontro, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, dichiara risolto il contratto.

Secondo la dottrina questo significa che – in questi casi – l'atto che dispone la risoluzione del contratto ha natura meramente dichiarativa e che lo stesso dev'essere adottato dall'Organo o dall'Ufficio competente a manifestare all'esterno la volontà dell'Ente che funge da stazione appaltante, secondo l'assetto organizzativo e l'articolazione burocratica degli Enti interessati (Corrado).

A completamento dei precedenti adempimenti procedimentali, il RUP:

– dispone, con preavviso di venti giorni, che il direttore dei lavori curi la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti, l'inventario di materiali, macchine e mezzi d'opera e la relativa presa in consegna;

– e – in ragione di quanto emerso dai documenti a lui trasmessi dal direttore dei lavori o dal responsabile dell'esecuzione – valuta l'irrogazione delle penali da ritardo previste nel contratto.

Infine la determinazione di risoluzione del contratto va comunicata all'organo di collaudo, qualora sia già stato nominato, il quale procede a redigere, acquisito anche in contraddittorio lo stato di consistenza, un verbale di accertamento tecnico e contabile con le modalità di cui al alla presente legge. Il verbale accerta la corrispondenza tra quanto eseguito fino alla risoluzione del contratto e ammesso in contabilità e quanto previsto nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante; è altresì accertata la presenza di eventuali opere, riportate nello stato di consistenza, ma non previste nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante.

In merito ai diritti partecipativi dell'operatore economico nell'ambito del procedimento con cui l'Amministrazione dapprima contesta l'inadempimento e – una volta accertato tale inadempimento – giunge alla dichiarazione di risoluzione del contratto, si è evidenziato che l'operatore economico contraente:

– ha uno scarso potere di intervenire e partecipare nell'ambito dell'iter di formazione della determinazione di risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante;

– e potrà tutt'alpiù esperire gli ordinari rimedi in sede giurisdizionale (Corrado).

Circa le somme da corrispondere all'operatore economico, invece, l'art. 122 ribadisce che a fronte della risoluzione del contratto l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento dei lavori, servizi o forniture regolarmente eseguite fino al momento della risoluzione.

Tuttavia il comma 6, prevede che nei casi di risoluzione di cui ai commi 1 lettere c) e d), 2, 3 e 4 le somme previste dal comma 5 debbono essere decurtate degli oneri aggiuntivi derivanti alla stazione appaltante dallo scioglimento del contratto. Inoltre, il medesimo comma 6 prevede che, in sede di liquidazione finale dei lavori/servizi/ forniture oggetto del contratto di appalto risolto, sia determinato l'onere da porre a carico dell'appaltatore inadempiente in relazione alla maggiore spesa sostenuta dall'Amministrazione per affidare ad altra impresa la commessa, ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà, prevista dall'art. 124, comma 2, del nuovo codice, di interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento delle prestazioni, alle medesime condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta. Tale previsione consente all'Amministrazione di “mitigare” i pregiudizi economici dovuti alla risoluzione del contratto e ai conseguenti rallentamenti nell'esecuzione della commessa appaltata.

Infine, il comma 8 dell'art. 122 stabilisce che nei casi di risoluzione l'appaltatore debba provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, nel termine a tal fine assegnato dalla stessa stazione appaltante. In caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante provvede d'ufficio, addebitando all'appaltatore i relativi oneri e le spese.

La seconda parte della norma, al fine di velocizzare ulteriormente la ripresa dell'esecuzione della commessa, prevede che la stazione appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati, che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, possa procedere autonomamente previo deposito di una cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa pari all'uno per cento del valore del contratto, fatto salvo ovviamente il diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni.

Tale ultimo periodo del citato comma 8, contiene una norma che ha anche valore processuale e di parametro di riferimento per il giudice competente, in un'ottica acceleratoria e tutto sommato anticipatoria degli effetti anche materiali dello scivolamento del rapporto anche per quei profili che vanno ad incidere sul necessario rapporto fiduciario (Corrado).

Infatti, è previsto che, la stazione appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'art. 93, pari all'1% del valore del contratto.

Fatto questo adempimento e prestata la garanzia, l'appaltatore dovrà ripiegare o sgomberare ovvero dovrà subire l'esecuzione d'ufficio.

In questi casi non è chiaro, peraltro, se tale facoltà debba essere necessariamente statuita dal giudice ovvero se il deposito cauzionale faccia venir meno ipso iure gli effetti di inibitorie o provvedimenti cautelari, riconoscendo anche in questo caso un potere unilaterale, peraltro con garanzie non assolute o paritetiche, di una forma di autotutela esecutiva in applicazione del principio generale che scaturisce dall'art. 823, comma 2, del c.c., applicabile (secondo la giurisprudenza) ai contratti pubblici, formalizzata in una determinazione corredata di apposito verbale di constatazione, ai sensi degli art. 21-ter e art. 21-quater della l. n. 241/1990, nonché dell'art. 823 c.c., avvalendosi eventualmente di mezzi propri, delle forze dell'ordine e, per i Comuni, della Polizia Municipale (Cons. St. V, n. 3531/2015).

La risoluzione del contratto prevista dal d.l. n. 76/2020, c.d. “decreto Semplificazioni”

Va, infine, richiamata la disciplina della risoluzione del contratto introdotta dall'art. 5, comma 4 del d.l. n. 76/2020 in base alla quale “Nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, ivi incluse la crisi o l'insolvenza dell'esecutore anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'impresa, non possa procedere con il soggetto designato, né, in caso di esecutore plurisoggettivo, con altra impresa del raggruppamento designato, ove in possesso dei requisiti adeguati ai lavori ancora da realizzare, la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico, salvo che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere, possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto, dichiara senza indugio, in deroga alla procedura di cui all'articolo 108, commi 3 e 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, la risoluzione del contratto, che opera di diritto, e provvede secondo una delle seguenti alternative modalità:

a) procede all'esecuzione in via diretta dei lavori, anche avvalendosi, nei casi consentiti dalla legge, previa convenzione, di altri enti o società pubbliche nell'ambito del quadro economico dell'opera;

b) interpella progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara come risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori, se tecnicamente ed economicamente possibile e alle condizioni proposte dall'operatore economico interpellato;

c) indìce una nuova procedura per l'affidamento del completamento dell'opera;

d) propone alle autorità governative la nomina di un commissario straordinario per lo svolgimento delle attività necessarie al completamento dell'opera ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55. Al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e contrattuali originariamente previsti, l'impresa subentrante, ove possibile e compatibilmente con la sua organizzazione, prosegue i lavori anche con i lavoratori dipendenti del precedente esecutore se privi di occupazione”.

La previsione ha una portata generale, nel senso che non riguarda solo l'evenienza in cui l'esecutore non possa proseguire l'esecuzione della commessa per cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia di cui al d.lgs. n. 159/2011, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea (art. 5 comma 1, lett. a), del decreto) o perché non si trova l'accordo sulle modalità di risoluzione delle gravi ragioni tecniche che hanno determinato l'esclusione (art. 5, comma 1, lett. c), ma qualunque altra ipotesi in cui la mancata sostituzione dell'operatore ponga a rischio la realizzazione delle prestazioni appaltate. Tra queste rientra anche – per espressa previsione di legge – il caso in cui l'operatore sia in ritardo nell'avvio o nell'esecuzione dei lavori da calcolarsi in rapporto ad un decimo del tempo previsto o stabilito per la realizzazione dell'opera e comunque non inferiore a trenta giorni per ogni anno previsto o stabilito dal contratto (Caringella, Giustiniani, Mantini).

Si tratta di una disposizione destinata a suscitare non pochi interrogativi in merito sia alla sua portata temporale (visto che non pare sottoposta al termine di durata previsto dal comma 1 dell'art. 5 del medesimo decreto “Semplificazioni”, che riguarda i casi di sospensione del prestazioni appaltate disciplinate dall'art. 121 del nuovo codice) sia alla natura del potere da essa conferito all'Amministrazione (e cioè se si tratta di un potere autoritativo, come farebbe propendere l'assenza di vincoli in ordine al suo esercizio, oppure se si tratta di un potere contrattuale).

Parrebbe invero trattarsi, di un potere d'imperio particolarmente ampio e rafforzato ancor più dalle disposizioni contenute nel comma 6 dell'art. 5, che sul piano processuale vincolano il sindacato del giudice eventualmente chiamato a dirimere le controversie che attengono al suo esercizio. Infatti il legislatore ha disciplinato sia il procedimento, che presuppone l'acquisizione del parere da parte del collegio consultivo tecnico di cui all'art. 6 del decreto Semplificazioni, sia gli effetti della risoluzione che non comportano alcun onere per la stazione appaltante di interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla procedura, al fine di acquisire la loro disponibilità ad eseguire (e completare) le prestazioni appaltate alle stesse condizioni dell'originario contraente. In questi casi la stazione appaltante può decidere:

– di far completare la commessa ad un operatore economico presente in graduatoria ma alle condizioni contenute nell'offerta da esso presentata in sede di partecipazione;

– di affidare l'appalto ad un altro operatore economico scelto previo espletamento di una nuova procedura di gara;

– oppure di nominare, a norma dell'art. 4 del d.l. n. 32/2019, un commissario straordinario per l'esecuzione delle prestazioni appaltate (Caringella, Giustiniani, Mantini).

Considerazioni conclusive sulla proteiforme natura della risoluzione

Dal sistema esposto si ricava che il mancato richiamo dell'art. 21-nonies – presente nel vecchio art. 108, comma 1-bis – rende meno “liquida” la tesi della natura pubblicistica dell'istituto, in ogni caso ricavabile, per le ipotesi di cui al comma 1, dal dato sistematico e teleologico: si tratta della rimozione discrezionale della fattispecie per vizi genetici e qualificati della procedura di affidamento

Per la risoluzione ex art. 122, comma 1, resta quindi attuale la contrapposizione, già affiorata a proposito dell'art. 108 pregresso tra:

a) la tesi di chi reputa che si tratti di risoluzione privatistica in quanto l'annullamento pubblicistico non è compatibile con l'avvenuta stipulazione;

b) la tesi di chi reputa che le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 122 siano casi eccezionali di annullamento pubblicistico (si tratta di una regolazione speciale e restrittiva, che preclude casi di annullamento d'ufficio diversi, e tanto a tutela dell'affidamento del contraente);

c) e la tesi di chi reputa, invece, coesistere l'annullamento senza i limiti temporali dell'art. 122 e quello limitatoex art. 21- noniesdella l. n. 241/1990.

Si aggiunga che, nonostante il nomen, secondo la posizione prevalente, sono veri annullamenti anche i recessi in materia di normativa antimafia di cui agli artt. 92 e 94 del codice antimafia richiamati oggi dall'art. 123, comma 1 (Cons. St., Ad. plen., n. 23/2020).

Bibliografia

Caringella, Manuale dei contratti pubblici, Roma 2021; Caringella, Protto, Il Codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017; Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Corrado, Sub art. 10 8d.lgs. n. 50/2016 in Codice dei contratti pubblici commentato, a cura di Caringella, Milano, 2022; Esposito, Nicodemo, in Codice dei Contratti Pubblici, (a cura di Esposito) Milano, 2017; R. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, Milano, 2017; Provenzano, Codice dei Contratti Pubblici (a cura di Giuffrè, Provenzano, Tranquilli), Napoli, 2019; Salina, La risoluzione del contratto, in lamministravisita.it, 2022; Sandulli, De Nictolis, Barone, Goggiamani (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019; Valaguzza, Nuovo Codice dei Contratti: commento agli artt. 113-126, in ingenio-web.it, 31 dicembre 2022.

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