Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 177 - Contratto di concessione e traslazione del rischio operativo.

Domenico Galli
Adriano Cavina
Codice legge fallimentare

Artt. 165, 3, lett. uu), vv), zz), aaa), bbb), ccc), fff), 176, comma 4, lett. a) e b)


Contratto di concessione e traslazione del rischio operativo.

1. L'aggiudicazione di una concessione comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda o dal lato dell'offerta o da entrambi. Per rischio dal lato della domanda si intende il rischio associato alla domanda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto. Per rischio dal lato dell'offerta si intende il rischio associato all'offerta dei lavori o servizi che sono oggetto del contratto, in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto.

2. Si considera che il concessionario abbia assunto il rischio operativo quando, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una effettiva esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile. Ai fini della valutazione del rischio operativo deve essere preso in considerazione il valore attuale netto dell'insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario.

3. Il rischio operativo, rilevante ai fini della qualificazione dell'operazione economica come concessione, è quello che deriva da fattori esterni, non soggetti al controllo delle parti. Non rilevano i rischi connessi a cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali dell'operatore economico o a causa di forza maggiore1.

4. I contratti remunerati dall'ente concedente senza alcun corrispettivo in denaro a titolo di prezzo si configurano come concessioni se il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore dipende esclusivamente dalla domanda del servizio o del bene, oppure dalla loro fornitura. Nelle operazioni economiche comprendenti un rischio soltanto sul lato dell'offerta il contratto prevede che il corrispettivo venga erogato solo a fronte della disponibilità dell'opera, nonché un sistema di penali che riduca proporzionalmente o annulli il corrispettivo dovuto all'operatore economico nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, di ridotta o mancata prestazione dei servizi, oppure in caso di mancato raggiungimento dei livelli qualitativi e quantitativi della prestazione assunta dal concessionario. Le variazioni del corrispettivo devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell'insieme dell'investimento, dei costi e dei ricavi.

5. L'assetto di interessi dedotto nel contratto di concessione deve garantire la conservazione dell'equilibrio economico-finanziario, intendendosi per tale la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. L'equilibrio economico-finanziario sussiste quando i ricavi attesi del progetto sono in grado di coprire i costi operativi e i costi di investimento, di remunerare e rimborsare il capitale di debito e di remunerare il capitale di rischio.

6. Se l'operazione economica non può da sola conseguire l'equilibrio economico-finanziario, è ammesso un intervento pubblico di sostegno. L'intervento pubblico può consistere in un contributo finanziario, nella prestazione di garanzie o nella cessione in proprietà di beni immobili o di altri diritti. Non si applicano le disposizioni sulla concessione, ma quelle sugli appalti, se l'ente concedente attraverso clausole contrattuali o altri atti di regolazione settoriale sollevi l'operatore economico da qualsiasi perdita potenziale, garantendogli un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che l'operatore economico deve sostenere in relazione all'esecuzione del contratto. La previsione di un indennizzo in caso di cessazione anticipata della concessione per motivi imputabili all'ente concedente, oppure per cause di forza maggiore, non esclude che il contratto si configuri come concessione.

7. Ai soli fini di contabilità pubblica si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat. In ogni caso, l'eventuale riconoscimento di un contributo pubblico, in misura superiore alla percentuale indicata nelle decisioni Eurostat e calcolato secondo le modalità ivi previste, non ne consente la contabilizzazione fuori bilancio.

Inquadramento

La disposizione fornisce una ricognizione degli elementi costitutivi delle concessioni di lavori e servizi, mutuandoli in gran parte dall'art. 5, par. 1, della Direttiva 2014/23/UE e focalizzandosi in particolare sulle nozioni di rischio operativo (art. 177, commi 1, 2 e 3) ed equilibrio economico finanziario (art. 177, comma 5).

La disposizione conferma dunque la configurabilità del contratto di concessione come punto di incontro tra le esigenze di convenienza e di value for money, lato stazione appaltante, e quelle di remunerazione, lato investitori e finanziatori.

Nella sostanza, viene riproposta la disciplina di cui all'art. 165 del previgente codice del 2016. Mentre tuttavia in quest'ultima disposizione veniva anche fornita la regolamentazione per il riequilibrio del piano economico finanziario (art. 165, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016), nell'attuale quadro normativo questo importante e delicato profilo afferente più propriamente alla fase esecutiva ha trovato una propria e autonoma regolazione nell'art. 192 del Codice, dedicato appunto alla “revisione del contratto di concessione” e inserito nel Titolo III relativo all'“esecuzione delle concessioni” (e, in termini più generali, nell'art. 9, recante “Principio della conservazione dell'equilibrio contrattuale”).

Due altri elementi caratterizzano l'art. 177 qui in commento rispetto alla normativa previgente.

Il primo riguarda la chiara ed esplicita estensione della disciplina delle concessioni anche alle c.d. opere fredde (art. 177, comma 4); mentre in passato la formulazione dell'art. 165, comma 1, nella misura in cui stabiliva che “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita di servizi resi al mercato”, aveva alimentato qualche dubbio sulla possibilità di ricorrere allo schema concessorio anche per le opere fredde. Dubbi che tuttavia si dovevano ritenere in ogni caso già superati alla luce della Direttiva 2014/23/UE, che contemplava espressamente anche le c.d. concessioni fredde (cfr. commento all'art. 176).

Il secondo attiene invece al nuovo approccio seguito con riguardo alla tematica del c.d. contributo pubblico (art. 177, commi 6 e 7). Il nuovo Codice del 2023 ha, infatti, voluto chiaramente rimarcare la distinzione tra profili di natura giuridico-contrattuale (afferenti cioè alla configurabilità di una determinata operazione quale contratto di concessione in presenza di contributo pubblico) e aspetti più squisitamente contabili (relativi cioè alla possibilità o meno di registrare l'operazione fuori bilancio, c.d. off balance).

Il previgente codice del 2016 poneva un “tetto” al contributo pubblico che sembrava rilevante ai fini della stessa configurazione giuridica del tipo contrattuale nella misura in cui stabiliva che, ai fini del conseguimento dell'equilibrio economico finanziario, la quota di contributo pubblico non potesse essere superiore al 49% del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari (art. 165, comma 2, d.lgs. n. 50/2016).

In questa prospettiva, lo sforamento della quota di contributo pubblico finiva per assumere un duplice rilievo: a) sul piano contabile dell'indebitamento pubblico, posto che precludeva la configurabilità fuori bilancio dell'operazione; b) nonché sul piano giuridico in quanto sembrava escludere l'effettiva traslazione del rischio al privato e, di conseguenza, lo schema concessorio e l'applicabilità della relativa disciplina ai fini dell'affidamento e dell'esecuzione del contratto (v. anche infra, par. 4.2).

Su quest'ultimo piano (sub b), il nuovo Codice del 2023 ha invece optato per una diversa soluzione, più proporzionata e coerente con il diritto europeo, che concepisce il requisito della traslazione del rischio operativo in termini qualitativi e non rigidamente quantitativi (intesi questi ultimi come limiti prefissati all'intervento pubblico di sostegno).

Ai fini della configurazione del contratto di concessione, a differenza del passato, non viene quindi dettato alcun limite quantitativo (ma solo qualitativo) al valore monetario del rischio che la concessione deve trasferire all'operatore privato (art. 177, comma 6); mentre il “tetto” alla quota di contributo pubblico, da individuare secondo i presupposti e termini indicati nelle decisioni Eurostat, rileva ai soli fini dei predetti benefici contabili inerenti la possibilità di registrare l'operazione fuori bilancio (art. 177, comma 7).

Il decreto correttivo (D. Lgs. 209/2024)

È stato riformulato il comma 3 in modo tale da adeguarlo alla direttiva 2014/23/ UE in materia di concessioni, e in particolare al considerando n. 20, che non ricomprende A alcun riferimento a fattori eccezionali, limitandosi a far riferimento ai fattori al di fuori del controllo delle parti.

Il rischio e la redditività esterna quale elemento eventuale e non necessario

Come si è visto (cfr. art. 176), l'elemento caratterizzante le concessioni di lavori e di servizi consiste nel trasferimento in capo al concessionario privato del rischio operativo, legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprensivo del rischio di domanda o del rischio di offerta (di disponibilità) o entrambi (art. 177, comma 1).

La norma chiarisce che i contratti di concessione debbono quindi comportare il trasferimento al privato del rischio operativo, riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative a costi e ricavi oggetto della concessione incidano sull'equilibrio del piano economico-finanziario, in termini significativi sul valore attuale netto degli insiemi degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario (art. 177, comma 2).

Come anticipato, la corrispondente disposizione del previgente codice del 2016 (art. 165) sembrava presupporre una domanda di mercato per i servizi resi dal concessionario (v. comma 1) e, quindi, l'utilizzabilità del contratto di concessione per le sole opere calde o, tutt'al più, tiepide (sulla distinzione, vedasi precedente art. 176, par. 5.1). Aderendo a questa impostazione si finiva tuttavia con il fornire una nozione di concessione più ristretta di quella desumibile dalla Direttiva 2014/23/UE, che prefigura invece la traslazione del rischio operativo anche soltanto dal lato dell'offerta prescindendo dalla struttura trilaterale del rapporto.

Sennonché, come pure si è anticipato, si trattava di un contrasto solo apparente, atteso che già nel previgente codice del 2016 la definizione di rischio operativo, proprio delle concessioni, contemplava indistintamente il rischio sul lato della domanda o sul lato dell'offerta, dovendosi quindi ritenere in astratto configurabile il contratto di concessione anche in relazione alle opere fredde (Perfetti, 1372).

Ciò che del resto era stato rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva, che nel rendere il proprio parere sul codice del 2016, pur non nascondendo perplessità sul piano concettuale, aveva comunque rilevato l'insussistenza di “elementi per affermare che, in base alla direttiva, il modello della concessione non si applichi anche alle opere fredde (parere Cons. St. 1° aprile 2016, n. 855).

Come rilevato nella Relazione Illustrativa il nuovo Codice del 2023 ha operato sul punto “una correzione di rotta” estendendo in maniera chiara la disciplina delle concessioni anche alle c.d. opere fredde (art. 177, comma 4).

La ripartizione dei rischi tipica del PPP vale infatti anche in presenza di una infrastruttura incapace di produrre reddito dall'esterno (scuole, uffici pubblici, ospedali). Affinché tale condizione si realizzi, è necessario che al privato venga trasferito il c.d. “rischio di disponibilità” (i.e. “rischio di offerta”): l'esborso effettuato dall'ente concedente deve essere cioè subordinato all'esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali da parte del privato concessionario, il che richiede una costante ed efficace attività di controllo non soltanto sulla corretta attuazione del contratto, ma anche e soprattutto sulla gestione del servizio.

Per questo motivo, il comma 4 dell'art. 177 in rassegna precisa che, nelle operazioni economiche comprendenti un rischio soltanto sul lato dell'offerta, il contratto prevede che il corrispettivo venga erogato solo a fronte della disponibilità dell'opera, nonché un sistema di penali che riduca proporzionalmente o annulli il corrispettivo dovuto all'operatore economico nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, di ridotta o mancata prestazione dei servizi, oppure in caso di mancato raggiungimento dei livelli qualitativi e quantitativi della prestazione assunta dal concessionario. Le variazioni del corrispettivo devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell'insieme dell'investimento, dei costi e dei ricavi.

Dunque, in linea con il diritto europeo, il nuovo Codice del 2023 non presuppone affatto che l'oggetto della concessione debba consentire una redditività esterna, propria delle opere calde o tiepide, contemplando e disciplinando invece oggi espressamente anche l'ipotesi di concessione su opere fredde.

Le tipologie di rischio

Premessa

Prima di esaminare, anche dal punto di vista sistematico, i presupposti per la corretta allocazione dei rischi in capo al concessionario, è necessario definire concettualmente le diverse tipologie di rischio.

Ciò anche in considerazione della necessità di qualificare i rapporti tra il concetto di rischio operativo e le tre tipologie di rischio proprie della decisione Eurostat 2004 e consistenti nel rischio di costruzione, di domanda e di disponibilità.

Il rapporto tra la prima e le altre tre tipologie di rischio può essere risolto in termini di genus a species, nel senso che nell'ambito del rischio operativo possono declinarsi le tre tipologie di rischio di costruzione, di domanda e di disponibilità, oltre ad altri rischi specifici.

Il rischio operativo

La nozione di rischio operativo ricomprende, oltre al rischio di costruzione (proprio delle concessioni di lavori), anche il rischio di domanda e/o il rischio di disponibilità. Il rischio operativo (o rischio di gestione) comporta, come anticipato, che, “in condizioni operative normali”, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione possano incidere significativamente sull'equilibrio del piano economico finanziario e quindi sul valore attuale netto dell'insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario (art. 177, comma 2).

Il riferimento alle condizioni operative normali” induce a ritenere che i rischi allocabili al concessionario siano in una qualche misura gestibili da quest'ultimo o comunque siano chiaramente identificati e trasferiti sul privato dalla convenzione di concessione o sulla base delle assunzioni del piano economico finanziario (PEF), restando invece in capo alla parte pubblica i rischi imputabili a forza maggiore, soverchiante e non prevedibile (Perfetti, 1374).

Si pensi, ad esempio, all'impatto della crisi pandemica da Covid-19 su tutta una serie di concessioni (tra le tante, quelle relative ai servizi museali), rispetto alle quali s'impone necessariamente un riequilibrio economico finanziario, trattandosi di fattore del tutto eccezionale e imprevedibile, che si pone al di fuori dell'alea del mercato di riferimento.

Il rischio operativo, rilevante ai fini della qualificazione dell'operazione economica come concessione, è quindi quello che pur derivando da fattori eccezionali non prevedibili e non imputabili alle parti” (art. 177, comma 3) possa, al contempo, essere in una qualche misura gestito dal concessionario e condurre comunque l'operazione “in perdita”, nel senso di non consentire “il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione” (art. 177, comma 2).

In ogni caso, “non rilevano rischi connessi a cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali dell'operatore economico o a cause di forza maggiore” (art. 177, comma 3).

Il rischio di costruzione

Nel rischio di costruzione, proprio delle concessioni di lavori, possono rientrare, tra le altre, le seguenti alee specifiche:

a) rischio di progettazione, connesso alla sopravvenienza di necessari interventi di modifica del progetto, derivanti da errori o omissioni di progettazione, tali da incidere significativamente su tempi e costi di realizzazione dell'opera;

b) rischio di esecuzione dell'opera difforme dal progetto, collegato al mancato rispetto degli standard di progetto;

c) rischio di aumento del costo dei fattori produttivi o di inadeguatezza o indisponibilità di quelli previsti nel progetto;

d) rischio di errata valutazione dei costi e tempi di costruzione;

e) rischio di inadempimenti contrattuali di fornitori e subappaltatori;

f) rischio di inaffidabilità e inadeguatezza della tecnologia utilizzata.

Il rischio di domanda

Costituisce di regola un elemento del consueto “rischio economico” sopportato da ogni operatore in un'economia di mercato, che può quindi non dipendere dalla qualità delle prestazioni erogate dal concessionario.

In tale categoria generale si distinguono:

a) il generale rischio di contrazione della domanda di mercato, ossia di riduzione della domanda complessiva del mercato relativa al servizio, che si riflette anche su quella dell'operatore economico;

b) rischio di contrazione della domanda specifica, collegato alla presenza nel mercato di riferimento di un'offerta competitiva di altri operatori che eroda parte della domanda.

Il rischio di disponibilità

Consiste nel rischio “sul lato dell'offerta” da parte del concessionario in cui possono individuarsi, ad esempio, le seguenti variabili:

a) rischio di performance, ossia il rischio che la struttura messa a disposizione o i servizi erogati non siano conformi agli indicatori chiave di prestazione (Key Performance Indicator - KPI) elaborati preventivamente in relazione all'oggetto e alle caratteristiche del contratto o agli standard tecnici e funzionali prestabiliti, con conseguente riduzione dei ricavi;

b) rischio di manutenzione straordinaria, non preventivata, derivante da una progettazione o costruzione non adeguata, con conseguente aumento dei costi;

c) rischio di indisponibilità totale o parziale della struttura da mettere a disposizione e/o dei servizi da erogare.

Come visto (supra par. 2), anche il trasferimento del solo rischio di disponibilità è idoneo a configurare una c.d. concessione fredda (art. 177, comma 4).

L'allocazione dei rischi in capo al concessionario

L'equilibrio economico finanziario

L'equilibrio economico finanziario rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi in capo al concessionario (art. 177, comma 5).

Tale equilibrio si configura allorché sussista la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria dell'operazione. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell'arco dell'efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento.

In sostanza, siffatto equilibrio si realizza quando i flussi di cassa derivanti dai ricavi dei contratti coprono i flussi di cassa derivanti dai costi ammessi per l'esecuzione del contratto, inclusi quelli relativi all'ammortamento del capitale netto investito e alla remunerazione dello stesso ad un tasso che può essere definito congruo e quelli richiesti per versare le imposte (art. 177, comma 5).

Sul piano operativo, il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario viene valutato sulla base di specifici indicatori, tra i quali possono essere segnalati i seguenti (anche alla luce delle linee guida ANAC n. 9 dedicate in generale al contratto di PPP nel cui ambito è riconducibile, come visto, quello di concessione, le quali seppur riferite alla previgente normativa del 2016 mantengono sul punto rilevanza e attualità).

Gli indicatori della capacità del progetto/investimento di generare ricchezza, quali: a) il Tasso Interno di Rendimento (Internal Rate of Return - TIR) di Progetto, che indica, in termini percentuali, il tasso di rendimento dei flussi di cassa associati al progetto; b) e il Valore Attuale Netto (Net Present Value - VAN o NPV) di progetto, che indica, in termini monetari, il valore creato o disperso dal progetto nell'arco del periodo del contratto di PPP. A tal riguardo è stato specificato che in generale e fermi i criteri e le buone pratiche definite dalle Autorità di regolazione competenti, l'equilibrio economico-finanziario è verificato quando, dato un tasso di congrua remunerazione del capitale investito, il valore attuale netto dei flussi di cassa del progetto (VAN del progetto) è pari a zero.

Gli indicatori della sostenibilità finanziaria del progetto, quali: a) il DSCR (Debt Service Cover Ratio) che rappresenta il rapporto tra l'importo del flusso di cassa disponibile in un determinato periodo e il servizio del debito – per capitale e interessi – per il medesimo periodo; b) il LLCR (Long Life Cover Ratio) che indica, con riferimento a ciascuna data di calcolo, il rapporto tra il valore attuale netto del flusso di cassa disponibile per il periodo intercorrente tra la data di calcolo e la data finale di rimborso del finanziamento, applicando un tasso di sconto pari al tasso di interesse di tale finanziamento, e la somma degli importi erogati e non rimborsati del finanziamento alla stessa data di calcolo.

Il raggiungimento della posizione di equilibrio, tenendo in considerazione i suddetti indicatori, è “fotografata” dal Piano Economico Finanziario (PEF), la cui funzione è infatti quella di confermare l'intrinseca affidabilità dell'offerta dimostrando la concreta possibilità di eseguire correttamente la prestazione per l'intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico-finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l'intero periodo (Cons. St. V, n. 2214/2018).

In questo quadro, assume un valore di tutto rilievo anche la matrice dei rischi che, non a caso, costituisce non solo documento essenziale nella fase di programmazione e progettazione della concessione, ma anche parte integrante del relativo contratto (v. infra, par. 4.3).

Alla luce della distinzione concettuale tra opere c.d. a freddo e opere c.d. a caldo (v. art. 176, par. 5.1), il presupposto dell'equilibrio economico finanziario si atteggia differentemente a seconda che la gestione dell'opera avvenga direttamente a favore dell'ente concedente o meno. Nel primo caso, infatti, il concedente dovrà considerare che la redditività dell'opera si determina in via diretta dal prezzo stabilito per il servizio mentre, nel secondo caso, questa sarà il risultato delle scelte imprenditoriali sul mercato del gestore (Villata, 116).

A questo ultimo riguardo, deve essere osservato che l'allocazione sul concessionario del rischio di mercato tout court rende difficilmente reperibile il capitale di debito per la realizzazione dell'operazione.

Nella prassi applicativa si deve dunque ricorrere ad una configurazione del riparto del rischio che, pur esponendo significativamente l'operazione alle fluttuazioni del mercato, deve consentire comunque di finanziare il progetto e, quindi, la bancabilità dell'operazione (Perfetti, 1374).

D'altro canto, la circostanza “che il rischio sia limitato sin dall'inizio non dovrebbe escludere che il contratto si configuri come concessione. Può essere questo il caso, per esempio, di settori con tariffe regolamentate o dove il rischio operativo sia limitato mediante accordi di natura contrattuale che prevedono una compensazione parziale” (considerando n. 19 Direttiva 2014/23/UE).

Del resto, la Corte di Giustizia ha escluso che il finanziamento degli oneri posti in capo al gestore di un SIEG debba considerarsi aiuto di stato, ove non ecceda i costi aggiuntivi sostenuti dal beneficiario per l'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico (Corte giust. CE, 24 luglio 2003, C-280/00, Altmark GmbH).

In quest'ottica, una soluzione prospettabile deve poter prevedere l'allocazione del rischio sul concessionario sino all'erosione del ritorno atteso per gli “azionisti”, preservando invece i flussi necessari per rispettare gli indici finanziari e la capacità di rimborso del debito. La percorribilità di tale soluzione è peraltro coerente con quanto previsto in merito alla durata massima delle concessioni vincolata alla necessità di rientro degli investimenti (v. infra, art. 178).

Non appare infatti corretto affermare che le condizioni di concessione indicate in gara non debbono garantire di per sé l'utile al concessionario, essendo piuttosto vero il contrario, alla stregua del principio di equilibrio economico finanziario delle concessioni (Cons. St. V, n. 284/2021).

D'altronde, dal punto di vista quantitativo, e quindi dell'entità del rischio operativo trasferito, la Direttiva 2014/23/UE lascia margini ai legislatori nazionali e pone dei limiti, essenzialmente in termini negativi, ammettendo, come visto, che una parte del rischio possa rimanere a carico dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore e risultando esclusi espressamente solo i casi in cui il rischio sia eliminato del tutto (considerando nn. 18 e 19).

In questa prospettiva, poiché la distinzione tra appalto e concessione di servizi è stata spiegata in relazione all'assetto negoziale di ripartizione dei rischi, non si applicano le disposizioni sulla concessione, ma quelle sugli appalti, se l'ente concedente attraverso clausole contrattuali o altri atti di regolazione settoriale, sollevi l'operatore economico da qualsiasi perdita potenziale, garantendogli un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che l'operatore economico deve sostenere in relazione all'esecuzione del contratto: ad esempio, basando la remunerazione su un calcolo tariffario che copre integralmente i costi e gli investimenti del concessionario, ovvero prevedendo una garanzia pubblica per il recupero degli investimenti e dei costi a piè di lista durante tutto l'arco della concessione (art. 177, comma 6).

La previsione di un indennizzo in caso di cessazione anticipata della concessione per motivi imputabili all'ente concedente, oppure per cause di forza maggiore, non esclude tuttavia che il contratto si configuri come concessione (art. 177, comma 6).

In sede di definizione degli oneri da compensare, l'ente concedente dovrà verificare: il livello di ricavi stimati dall'operatore per le operazioni a tariffazione sull'utenza, affinché non siano sottostimati; i costi di gestione e di investimento, affinché non siano sovrastimati; il rendimento atteso sul capitale investito e il costo del finanziamento, affinché non siano sovrastimati rispetto ai valori di mercato per operazioni caratterizzate da un profilo analogo di rischiosità (così la Relazione Illustrativa al Codice del Consiglio di Stato).

In definitiva, la “componente rischio” deve essere effettivamente sussistente, ancorché proporzionalmente ridotta, come confermato dalla possibilità espressamente prevista dal nostro ordinamento di stabilire un contributo pubblico per assicurare l'equilibrio economico finanziario dell'operazione (art. 177, commi 6 e 7).

Il contributo pubblico

Per il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario, l'ente concedente può dunque prevedere l'erogazione di un contributo pubblico, che può assumere quattro distinte configurazioni (art. 177, comma 6):

1) quella (classica) del prezzo;

2) la prestazione di garanzie;

3) il riconoscimento di un diritto di godimento di un immobile, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione;

4) la cessione di beni immobili, quale datio in solutum, secondo uno schema assimilabile alla c.d. permuta (art. 202), senza che in tal caso sia necessario che l'uso del bene sia strumentale o connesso all'opera affidata in concessione.

Pertanto, mentre per la cessione di immobili è sufficiente che la stessa sia finalizzata al raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario, la seconda forma di contribuzione consistente nel trasferimento del solo diritto di godimento richiede che l'utilizzazione dell'immobile sia comunque strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in gestione (De Nictolis, 2011).

Le tre tipologie di contribuzione pubblica alternative a quella classica del prezzo, mirano a ridurre la quota diretta di finanziamento pubblico necessaria a garantire l'equilibrio economico finanziario.

In relazione alla quarta tipologia di contributo (cessione in proprietà), la disposizione in commento non contiene indicazioni sulle modalità di stima dell'immobile e sul momento in cui debba avvenire il trasferimento del diritto rispetto allo stato di avanzamento delle opere oggetto di concessione, che dovrebbero quindi seguire, quantomeno negli aspetti generali che traducono principi di corretta amministrazione della cosa pubblica, la disciplina di cui all'art. 202 del Codice dedicata in termini generali alla “cessione di immobili in cambio di opere”. Così ad esempio, è ragionevole ritenere che i beni oggetto di trasferimento in proprietà non dovrebbero più assolvere a funzioni di pubblico interesse e che il valore degli immobili da trasferire debba essere stabilito sulla base del valore di mercato e che sia il bando di gara a definire anche il momento in cui debba avvenire il trasferimento del bene.

Quanto invece alla terza forma di contribuzione (riconoscimento in godimento di beni strumentali alla concessione), non è chiaro se il nuovo Codice abbia inteso o meno consentire, come in passato (art. 143, comma 4, d.lgs. n. 163/2006), la gestione funzionale ed economica anche anticipata dei beni già esistenti e oggetto di trasferimento in godimento in favore del concessionario. Nel silenzio della norma, la risposta dovrebbe ritenersi positiva alla luce del principio generale di autonomia negoziale nello stabilire le condizioni del contratto di concessione.

Come noto, nel previgente codice del 2016, l'eventuale riconoscimento del prezzo a carico della concedente, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento pubblico, non poteva essere superiore al 49% del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari (art. 165, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, che nella versione originaria prevedeva addirittura una più ridotta soglia del 30%).

Come visto, in questo quadro, lo sforamento della quota di contributo pubblico finiva, in passato, per assumere rilievo non solo sul piano contabile dell'indebitamento pubblico, posto che precludeva la configurabilità fuori bilancio dell'operazione; ma anche sul piano giuridico, in quanto sembrava di per sé escludere l'effettiva traslazione del rischio al privato e, di conseguenza, lo schema concessorio e l'applicabilità della relativa disciplina ai fini dell'affidamento e dell'esecuzione del contratto.

Sennonché, la Direttiva 2014/23/UE concepisce il requisito della traslazione del rischio operativo in termini qualitativi e non rigidamente quantitativi. In particolare, rispetto alla configurazione del tipo contrattuale, la direttiva europea non contempla un limite fisso all'ammontare della contribuzione pubblica necessaria a porre l'operazione economica finanziaria in equilibrio, purché nel complesso l'operazione economica rispetti le sopra citate condizioni di traslazione del rischio operativo in capo al privato.

L'assenza, a livello concettuale e giuridico, di una rigida soglia alla quota di contributo pubblico è del resto confermata dalla considerazione che, in caso di SIEG, la concessione deve spesso prevedere onerose compensazioni per l'assolvimento di un obbligo di servizio pubblico.

Scegliendo un'impostazione più fedele al diritto europeo, il nuovo Codice del 2023 non prevede più un rigido tetto al sostegno pubblico idoneo a poter incidere sulla qualificazione giuridica dell'operazione quale concessione o meno (art. 177, comma 6), ma si limita a ribadire che l'eventuale riconoscimento di un contributo pubblico superiore alla percentuale del 50% indicata nelle decisioni Eurostat del 2004 non ne consente la contabilizzazione fuori bilancio (art. 177, comma 7).

In altre parole, l'eventuale riconoscimento di un contributo pubblico, in misura superiore alla percentuale indicata nelle decisioni Eurostat: non consente la registrazione off balance dell'operazione (il che evita l'utilizzo della concessione per aggirare le misure restrittive di finanza pubblica); ma di per sé non esclude però che, ricorrendo gli elementi della fattispecie contrattuale, l'operazione economica possa essere qualificata concessoria ai fini dell'applicazione della relativa normativa sulle procedure di aggiudicazione e sull'esecuzione.

Resta ovviamente fermo che l'erogazione di contributi pubblici a parziale copertura degli investimenti effettuati dai privati non deve comunque essere di entità tale da eliminare l'alea della gestione (T.A.R. Lombardia (Milano), n. 3200/2011).

La matrice dei rischi

La matrice dei rischi individua e analizza l'allocazione dei rischi connessi all'operazione da realizzare.

Si tratta di un documento fondamentale, del resto previsto espressamente anche dalle linee guida ANAC n. 9 (che pur se riferite alla previgente disciplina, mantengono anche su questa tematica rilevanza e attualità).

Essa infatti: i) è utilizzata in fase di programmazione per redigere il documento di fattibilità economica e finanziaria, per verificare la convenienza del ricorso alla concessione rispetto ad un appalto tradizionale, nonché per indire correttamente la fase procedimentale; ii) è poi posta a base di gara ed è utilizzata come elemento di valutazione dell'offerta; iii) costituisce infine, in fase di esecuzione, il parametro per riscontrare agevolmente il mantenimento in capo al privato dei rischi allo stesso trasferiti.

Nella fase propedeutica all'indizione della gara la matrice dei rischi viene elaborata dal responsabile del procedimento o da altro soggetto individuato in conformità al regolamento organizzativo della stazione appaltante.

I relativi contenuti necessitano di essere definiti caso per caso sulla base delle caratteristiche specifiche della prestazione oggetto del contratto, con l'obiettivo di disciplinare ex ante modalità e limiti di revisione delle condizioni economico-finanziarie poste a base del PEF e offerte in sede di gara.

Le linee guida ANAC n. 9 forniscono ad ogni modo importanti indicazioni sulle modalità di strutturazione (schematica) della matrice dei rischi, prevedendo che in essa devono considerarsi almeno i seguenti aspetti:

a) l'identificazione delle varie tipologie di rischio connesse allo specifico contratto di concessione;

b) il risk assessment, che consiste nella valutazione della probabilità che quel determinato rischio si realizzi e dei costi che possono derivarne; a tal riguardo è di estrema importanza anche indicare il momento i cui l'evento negativo potrebbe concretizzarsi, valutandosi gli effetti che da esso possono scaturire;

c) il risk management, afferente all'individuazione dei meccanismi che permettono di minimizzare gli effetti derivanti da un evento;

d) l'indicazione dell'allocazione del rischio in capo al soggetto pubblico e/o privato e le relative ragioni;

e) l'indicazione dell'articolo del contratto che prevede e disciplina ogni specifica tipologia di rischio connessa all'operazione.

Data la sua fondamentale importanza, la matrice dei rischi deve essere allegata al contratto per costituirne parte integrante, anche perché ogniqualvolta le parti dovessero porre una variazione contrattuale o una revisione del PEF, la stazione appaltante è chiamata ad accertare che, a fronte di tali modifiche, l'allocazione dei rischi resti inalterata rispetto a quella definita e riportata nella matrice.

Questioni applicative.

1) Lo schema tipo di “Contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche”

Con l'obiettivo di incentivare e sostenere gli investimenti in infrastrutture, tutelando al contempo la finanza pubblica, l'Autorità Nazionale Anticorruzione e la Ragioneria Generale dello Stato hanno adottato lo schema di “contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche” (determina ANAC n. 1116 del 22 dicembre 2020 e Determina del Ragioniere Generale dello Stato n. 1 del 5 gennaio 2021).

La predisposizione di uno schema di contratto “standard” dovrebbe contribuire a migliorare la capacità negoziale delle stazioni appaltanti, soprattutto territoriali, e a evitare che il ricorso alla concessione (e al PPP in generale) sia motivato essenzialmente dalla necessità di “aggirare” i vincoli di carattere finanziario considerata la natura off balance dell'operazione.

Lo schema di contratto è, in particolare, strutturato con riferimento a una operazione nella quale a fronte delle prestazioni rese dal concessionario (realizzazione investimento e gestione di servizi volti a consentire la disponibilità e il pieno funzionamento dello stesso), la concedente paga un canone per la disponibilità dell'opera nonché, ove previsto dal bando, un contributo pubblico.

Lo schema di contratto è dunque pensato con riferimento alla realizzazione e gestione di opere a tariffazione sulla concedente, vale a dire a quelle opere per le quali i ricavi di gestione del concessionario provengono in maniera sostanziale da un canone di disponibilità riconosciuto dall'ente concedente, che può comprendere anche una componente legata alla domanda, e non da tariffe corrisposte dagli utenti finali (es. scuole, strutture socio-sanitarie, ospedali, tecnologie sanitarie, penitenziari, biblioteche, strutture sportive a valenza particolarmente sociale).

È stata dunque presa in considerazione la tipologia di concessione fredda (v. art. 176, par. 5.1), anche perché si tratta dell'ipotesi in cui una corretta allocazione del rischio in capo al concessionario assume profili di maggiore complicazione e delicatezza proprio in ragione del c.d. canone di disponibilità gravante sulla parte pubblica. Difatti, la componente di pagamento effettuato dalla concedente legato alla domanda è da valutare attentamente, in quanto per queste tipologie di intervento la domanda è pressoché rigida e difficilmente influenzabile dalla gestione dell'operatore economico.

Come evidenziato nella relazione illustrativa allo schema di contratto standard, la scelta deriva dalla necessità di allocare correttamente, attraverso clausole chiare e inequivocabili, i rischi propri in capo al privato, nel rispetto dei principi della direttiva 2014/23/UE, delle previsioni del Codice e delle indicazioni fornite da Eurostat per la contabilizzazione fuori bilancio delle medesime operazioni (v. decisione dell'11 febbraio 2004, SEC2010, Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico, Regolamento UE n. 549/2013, e in particolare la Guida EPEC/Eurostat 2016 che affronta in dettaglio il tema del trattamento statistico dei PPP).

Lo schema di contratto è applicabile, con i dovuti adattamenti, a tutte le tipologie di concessioni – anche a tariffa sugli utenti, cioè quelle c.d. calde o tiepide –, essendo denominatore comune delle stesse la corretta allocazione dei rischi tra le parti.

Si tratta di uno schema, in quanto tale non vincolante, che può essere integrato, specificato e modificato anche in ragione degli elementi caratterizzanti il rapporto concessorio, relativi ad esempio alla tipologia di opera, al settore di intervento cui l'operazione afferisce nonché all'importo della concessione, senza in ogni caso disattendere il principio della corretta allocazione dei rischi.

Problemi attuali.

Se non incidono sulla finanza pubblica nazionale e non risultano in qualche modalità o forma a carico della pubblica amministrazione, i finanziamenti a fondo perduto di provenienza euro-unitaria, anche nell'ambito del PNRR, possono ritenersi esclusi dal calcolo del “contributo pubblico” in quanto destinati a “nettare” (rendere netta) la quota di investimento (Delibera ANAC n. 432 del 20 settembre 2022).

Dunque, in caso di distinzione tra risorse europee a fondo perduto (grants) e prestiti onerosi soggetti a obbligo di restituzione da parte dello Stato italiano (loans), la predetta indicazione si applica esclusivamente alle risorse europee a fondo perduto (grants).

La questione assume particolare importanza soprattutto in questa fase storica caratterizzata da ingenti risorse economiche di provenienza comunitaria, in primo luogo il PNRR.

Nella delibera l'ANAC richiama il “Manual on Government deficit and debt” di Eurostat, ossia il manuale attuativo del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell'Ue (Sec 2010), che specifica che la valutazione della contribuzione pubblica rispetto all'apporto di soggetti privati nel finanziamento dei costi di investimento deve escludere le sovvenzioni a fondo perduto di matrice euro-unitaria.

Sul piano pratico, sui 191,5 miliardi di fondi complessivi di Next Generation EU solo la quota di 68,9 miliardi riferibili alla quota grant (35,98% del totale) beneficia della “franchigia” prevista dal manuale Eurostat. Sicché, in presenza di un finanziamento pubblico proveniente dal PNRR e utilizzato per finanziare un'operazione di PPP, l'ente concedente, ai fini del calcolo del vincolo del 50% di contributo pubblico, dovrà verificare la fonte di provenienza dei fondi (Next Generation e/o Fondo Complementare) e rispetto alle quote di finanziamento di queste due fonti scorporare, per la sola quota proveniente da Next Generation EU, la parte del finanziamento riferibile alla quota grant ovvero il 35,98%. Solo questa beneficerà, difatti, della suddetta “franchigia” mentre la parte residua dovrà essere computata ai fini del calcolo del suddetto vincolo.

Si deve, inoltre, considerare che secondo le norme Eurostat (punto 56 del paragrafo 6.4.3.3. del Manual on Government deficit and debt), la percentuale di massima contribuzione pubblica con risorse “nazionali” o che, comunque, impattano sui conti nazionali (50% per Eurostat) non si applica sul totale dell'investimento ma sul netto residuo una volta defalcata la quota di contribuzione connessa ai fondi perduti (grants) erogati da entità internazionali. Ciò significa che se il grant vale 35,98, l'investimento netto su cui applicare il limite del 50% non è, quindi, 100 ma 64,02 (100 – 35,98= 64,02).

Bibliografia

De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Torino, 2017; Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, Vicenza, 2017; Realfonzo, Le concessioni nel nuovo codice dei contratti, in giustamm.it, n. 4/2016; Villata, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 2008.

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