Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 190 - Risoluzione e recesso.

Domenico Galli
Adriano Cavina
Codice legge fallimentare

Artt. 108, 109


Risoluzione e recesso.

1. L'ente concedente può dichiarare risolta la concessione in corso di rapporto della stessa se una o più delle seguenti condizioni si verificano:

a) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione della concessione;

b) il concessionario si trovava, al momento dell'aggiudicazione della concessione, in una delle situazioni che comportano l'esclusione dalla procedura di aggiudicazione della concessione;

c) la Corte di giustizia dell'Unione europea constata, in un procedimento ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che uno Stato membro ha violato uno degli obblighi su lui incombenti in virtù dei trattati europei per il fatto che un ente concedente appartenente allo Stato membro in questione ha aggiudicato la concessione in oggetto senza adempiere gli obblighi previsti dai trattati europei e dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014.

2. La risoluzione della concessione per inadempimento dell'ente concedente o del concessionario è disciplinata dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile. Il contratto prevede per il caso di inadempimento una clausola penale di predeterminazione del danno e i criteri per il calcolo dell'indennizzo.

3. Nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario, l'ente concedente comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto. Gli enti finanziatori, ivi inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario, entro centoventi giorni dal ricevimento della comunicazione, possono indicare un operatore economico che subentri nella concessione avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro. L'operatore economico subentrante assicura la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dall'ente concedente. Il subentro dell'operatore economico ha effetto da quando l'ente concedente presta il consenso.

4. Se l'ente concedente recede dal contratto di concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, oppure, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b) i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse;

c) un indennizzo a titolo di mancato guadagno compreso tra il minimo del 2 per cento ed il massimo del 5 per cento degli utili previsti dal piano economico-finanziario, in base ad una valutazione che tenga conto delle circostanze, della tipologia di investimenti programmati e delle esigenze di protezione dei crediti dei soggetti finanziatori. In ogni caso i criteri per l'individuazione dell'indennizzo devono essere esplicitati in maniera inequivocabile nell'ambito del bando di gara ed indicati nel contratto, tenuto conto della tipologia e dell'oggetto del rapporto concessorio, con particolare riferimento alla percentuale, al piano economico-finanziario e agli anni da prendere in considerazione nel calcolo.

5. Le somme dovute ai sensi del comma 4 sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi.

6. Senza pregiudizio per il pagamento delle somme dovute, in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario questi ha il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell'opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all'effettivo pagamento delle suddette somme, fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento e di ristoro dei correlati costi.

7. L'efficacia del recesso dalla concessione è sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell'ente concedente delle somme previste dal comma 4.

Inquadramento

La norma in commento trae origine dall'art. 44 della Direttiva 2014/23/UE, che tiene conto dell'esigenza per gli enti concedenti di disporre di strumenti adeguati per poter disporre, alle condizioni stabilite dalla disciplina nazionale, lo scioglimento di una concessione durante il periodo di validità della stessa (considerando 80). La disciplina delle vicende estintive del contratto di concessione si inserisce coerentemente con il mutato approccio della disciplina europea che – nella disciplina in tema di appalti così come in quella in tema di concessioni – ha dettato specifiche disposizioni relative alla fase esecutiva del contratto.

In base alla disposizione della direttiva, gli Stati membri debbono assicurare ad amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori la possibilità, alle condizioni stabilite dal diritto nazionale applicabile, di porre termine alla concessione in ipotesi espressamente indicate dallo stesso art. 44 e riproposte dalla disciplina nazionale.

L'articolo in commento se, da un lato, riproduce le ipotesi di estinzione anticipata prese in esame dalla direttiva europea, dall'altro, prende in considerazione ipotesi comunemente disciplinate dal diritto civile. La disciplina che ne scaturisce è mista, in parte di matrice europea in parte nazionale.

In questa prospettiva, viene quindi dettata la regolamentazione dei casi in cui è ammessa la risoluzione e il recesso del rapporto concessorio.

Sul piano sistematico, si sono chiaramente distinti i due profili (che nel codice del 2016 risultavano invece commisti): i primi 3 commi disciplinano ora i casi di risoluzione; i restanti commi (da 4 a 7) le ipotesi di recesso.

Rispetto al previgente codice del 2016, il termine recesso ha preso il posto del termine ‘revoca' per indicare l'atto con cui una parte (nella specie, l'ente concedente) può sciogliersi unilateralmente dal vincolo di un contratto di concessione. Anche nella l. n. 241/1990, la revoca è termine che attiene all'atto amministrativo (art. 21-nonies) e non al contratto, per il quale si parla di ‘recesso' (art. 21-sexies).

In linea con la disciplina europea, l'art. 190 in rassegna ha espressamente configurato in termini facoltativi e non automatici la cessazione della concessione in presenza di vizi genetici o sopravvenuti ma comunque incidenti sulla corretta formazione della volontà del soggetto concedente (prevedendo infatti che l'ente concedente “può” e non “deve” dichiarare risolta la concessione). Tale impostazione, che potrebbe far residuare margini di discrezionalità per l'ente concedente, configura in capo ad esso una sorta di potere-dovere, il cui mancato esercizio dovrà essere oggetto di analitica e puntuale motivazione, in relazione alla preminenza dell'interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto.

Nel complesso, la norma individua in tre “macrocategorie” le ipotesi in presenza delle quali è possibile che il rapporto concessorio si estingua anticipatamente.

In una prima categoria vengono ricomprese situazioni che sotto diversi profili configurano o potrebbero configurare violazioni, non di obblighi contrattuali, ma della disciplina pubblicistica in fase di scelta del contraente, configurandosi, in tal caso, la risoluzione del rapporto come una sorta di rimedio volto ad incidere in via principale sul provvedimento di aggiudicazione e, di conseguenza, sul successivo rapporto contrattuale (comma 1).

Una seconda macrocategoria ricomprende i casi in cui lo scioglimento anticipato della concessione sia riconducibile a vero e proprio inadempimento dell'ente concedente ovvero del concessionario, con conseguente applicabilità della disciplina civilistica di cui all'art. 1453 c.c. (comma 2).

Viene infine dettata la disciplina del recesso da parte dell'ente concedente (commi da 4 a 7).

Quanto all'ambito di applicazione, la disciplina sulle vicende estintive qui in esame trova applicazione tanto alle concessioni sopra soglia quanto a quelle di rilievo solo nazionale (art. 187. Comma 2).

La cessazione della concessione per vizi nella formazione della volontà

Il primo comma della disposizione in commento riproduce la disciplina della “risoluzione” prevista dall'art. 44 della Direttiva 2014/23/UE.

I presupposti che attribuiscono all'ente concedente la facoltà di disporre la risoluzione riguardano le ipotesi – anche tra loro alternative – in cui:

i) nel corso dell'esecuzione, il contenuto della concessione abbia subito una modifica sostanziale che dovrebbe imporre una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'art. 189. A stretto rigore, nel caso in esame, la risoluzione costituisce conseguenza della disciplina in tema di varianti (cfr. art. 189);

ii) il concessionario si trovava, al momento dell'aggiudicazione, in una situazione che avrebbe dovuto comportare l'esclusione dalla gara (ad esempio, carenza dei requisiti di ordine generale);

iii) la Corte di giustizia dell'Unione europea abbia constatato, in un procedimento ai sensi dell'art. 258 TFUE, che uno Stato membro ha mancato a uno degli obblighi su lui incombenti in virtù dei trattati europei per il fatto che un ente concedente appartenente allo Stato membro in questione ha aggiudicato la concessione in oggetto in violazione dei trattati europei e della Direttiva n. 2014/23/UE.

Con riguardo al previgente art. 176 del d.lgs. n. 50/2016 che recava una disciplina tendenzialmente analoga, è stato rilevato che queste tre ipotesi di scioglimento anticipato della concessione sono state ricondotte a “gravi vizi genetici” (De Nictolis, 2052). A ben vedere, se tale inquadramento può, senz'altro, essere considerato corretto per il caso in cui il concessionario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara e per quello in cui l'affidamento abbia avuto luogo in violazione della disciplina europea in materia, non altrettanto sembrerebbe per l'ipotesi in cui sia intervenuta una modifica che ai sensi dell'art. 189 avrebbe giustificato una nuova procedura (Carullo, Iudica, 1298). In quest'ultimo caso, sembrerebbe maggiormente corretto parlare di una circostanza sopravvenuta (pur potendosi ipotizzare un vizio genetico riferito non alla concessione originaria ma con riguardo all'atto modificativo per la contrattualizzazione della variante). A differenza del previgente codice del 2016, le tre suddette ipotesi non sono più configurate come idonee a determinare una autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell'annullamento d'ufficio, ma vengono poste alla base dell'adozione di un provvedimento di risoluzione.

È questa infatti la qualificazione giuridica che, per espressa previsione normativa, viene oggi attribuita alla fattispecie in esame (cfr. art. 190, comma 1).

Tale impostazione si pone in linea con la più autorevole giurisprudenza che sotto la vigenza del precedente codice del 2006 era giunta ad affermare che alcuni poteri (segnatamente quello di revoca) non possano più essere esercitati dalla amministrazione nei contratti pubblici di lavori, laddove la legge riconosca alla stessa altre forme di tutela di matrice privatistica (come, ad esempio, il diritto di recesso). È stato affermato che ogni qualvolta è previsto l'esercizio di un potere privatistico si esclude la titolarità di un potere pubblicistico, in considerazione dell'identità dei presupposti a cui tali poteri sono subordinati (Cons. St., Ad. Plen., n. 14/2014 ).

Con il codice del 2016, soprattutto dopo le modifiche introdotte dal primo decreto correttivo (d.lgs. n. 56/2017), il dibattito si era tuttavia riacceso sia con riferimento agli appalti che con riferimento alle concessioni di lavori e servizi.

Con riguardo ai primi, si era giunti a riconoscere il divieto di annullamento o revoca in luogo dell'esercizio del diritto di recesso disciplinato all'art. 109, in continuità con quanto già statuito in vigenza della precedente disciplina. In compenso era stata individuata la natura pubblicistica, a dispetto del nomen iuris, nelle ipotesi di risoluzione contrattuale di cui all'art. 108, comma 1 lett. c) e d) del d.lgs. n. 50/2016 (nonché, all'art. 176, comma 1, lett. a) e b)), che disciplinavano [come l'attuale art. 190, comma 1, lett. b) e c)] la possibilità di cessazione del contratto ogni qualvolta si riscontri un difetto genetico dell'aggiudicazione: nella prima ipotesi, individuato nella ricorrenza al momento dell'aggiudicazione di una situazione che avrebbe dovito determinare l'esclusione del concessionario dalla gara; e, nella seconda ipotesi, in presenza di grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati per cui il contratto non sarebbe dovuto essere aggiudicato (T.A.R. Campania (Napoli) I, n. 1261/2020).

La natura pubblicistica di tali fattispecie ed il fatto che si sia in presenza di poteri di autotutela furono confermati dalla previsione del comma 2 dell'art. 176, che prevedeva che nelle ipotesi di cui al comma 1 non si applicano i termini previsti dall'articolo 21-noniesdella legge 7 agosto 1990 n. 241 ”, che vincolano il potere di auto – annullamento al termine massimo di diciotto mesi dall'adozione del provvedimento favorevole di aggiudicazione.

Tale deroga trovava ragione nella considerazione per cui, nelle concessioni, la risoluzione per vizi genetici potesse avvenire anche a distanza di molto tempo da tale momento: è il caso, ad esempio, di una violazione del diritto europeo da parte dell'ente concedente, accertata dalla Corte di giustizia UE, il che implica un giudizio nazionale ed un rinvio pregiudiziale (Grossi; 2571).

Si era parlato quindi di nuove ipotesi di “risoluzione” pubblicistica di derivazione comunitaria per vizi originari dell'aggiudicazione, espressione dell'autotutela esercitata dalle stazioni appaltanti, da ricondurre al generale paradigma dell'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.

A conferma del fatto che residuassero poteri di intervento autoritativo in capo all'ente concedente anche in corso di esecuzione del rapporto concessorio, era intervenuta anche recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, sebbene chiamata a decidere in punto di giurisdizione, ha affermato che “[...] resta ferma, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo nei casi in cui l'amministrazione, sia pure successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, oltre che nei casi tassativamente previsti – come quello di cui all'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a.” (Cass. S.U., n. 32728/2018, indirizzo confermato in Cass. n. 31027/2019).

Da quanto precede si era ritenuto che anche nel corso di esecuzione di una concessione di servizio l'ente concedente potesse intervenire mediante atti autoritativi laddove, per ragioni di interesse pubblico, occorra incidere sul procedimento di affidamento per eliminare vizi di legittimità, anche successivamente riscontrati (T.A.R. Piemonte II, n. 263/2020).

Questa impostazione sembrerebbe invece superata, quanto meno sul piano formale, con il nuovo Codice che qualifica giuridicamente la cessazione del rapporto contrattuale in termini di risoluzione (art. 190, comma 1).

Quanto agli effetti, ex nunc o ex tunc, di tale particolare forma di risoluzione, la disposizione in commento non fornisce una risposta chiara e diretta.

Considerando la qualificazione giuridica in termini di risoluzione, potrebbe ritenersi operante la disciplina di cui all'art. 1458 c.c.

Resta tuttavia il dubbio se, per l'ipotesi di vizio genetico imputabile al concessionario [vale a dire quello previsto dall'art. 190, comma 1, lett. b), per sussistenza in capo allo stesso di un motivo di esclusione al momento dell'aggiudicazione], gli effetti decorrano sempre ex nunc ovvero ex tunc. A prescindere da ciò, dovrebbe comunque ritenersi che in virtù del generale principio relativo al divieto di indebito arricchimento, spettino al concessionario quanto meno le spese per le prestazioni regolarmente eseguite sino al momento della risoluzione.

Risoluzione per inadempimento dell'ente concedente o del concessionario

La disposizione in rassegna (comma 2) stabilisce, in via generale, che la risoluzione della concessione per inadempimento dell'amministrazione aggiudicatrice o del concessionario è disciplinata dagli artt. 1453 e seguenti del codice civile. È espressamente imposto poi che il contratto preveda, per il caso di inadempimento, una clausola penale di predeterminazione del danno, al fine di rendere ex ante evidenti quali siano i ‘costi' dell'inadempimento e di prevenire complessi contenziosi sul punto.

Il rinvio alla disciplina civilistica deve quindi intendersi: i) sia con riguardo al procedimento per addivenire alla risoluzione, fatto salvo quanto previsto in tema di possibile subentro di altro concessionario indicato dagli enti finanziatori (infra, par. 5); ii) sia in relazione alla quantificazione del danno i cui criteri di quantificazione devono comunque essere cristallizzati ex ante nel contratto.

La valutazione della gravità dell'inadempimento deve esser svolta in modo complessivo, con ciò dovendosi esaminare non solo l'incidenza sull'equilibrio economico dei singoli inadempimenti, ma anche il peso che tali inadempimenti hanno avuto sullo svolgimento del servizio oggetto della concessione (Cons. St. V, n. 2391/2019).

Vengono inoltre dettate regole procedurali nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario (comma 3).

In tale ipotesi, l'ente concedente comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto, al fine dell'eventuale indicazione da parte di essi di un operatore economico che subentri nella concessione avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro (v. infra).

Recesso per motivi di pubblico interesse

Come anticipato, rispetto al previgente codice del 2016, il termine recesso ha preso il posto del termine ‘revoca' per indicare l'atto con cui una parte (nella specie, l'ente concedente) può sciogliersi unilateralmente dal vincolo di un contratto di concessione.

Sul piano della quantificazione dei ristori e indennizzi spettanti al concessionario laddove la cessazione anticipata dipenda dal recesso esercitato dall'ente concedente per motivi di pubblico interesse, vengono forniti precisi parametri di definizione (comma 4).

Spettano infatti al concessionario le somme che di seguito si elencano:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b) i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse;

c) un indennizzo a titolo di mancato guadagno compreso tra il minimo del 2 per cento ed il massimo del 5 per cento degli utili previsti dal piano economico-finanziario, in base ad una valutazione che tenga conto delle circostanze, della tipologia di investimenti programmati e delle esigenze di protezione dei crediti dei soggetti finanziatori.

Quest'ultima voce (sub c) rappresenta una novità del nuovo Codice posto che in quello precedente era invece previsto l'indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno fosse pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero, nel caso in cui l'opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico-finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione (art. 176, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 50/2016).

Tali somme devono prioritariamente essere destinate a soddisfare i crediti dei finanziatori dell'operazione e dei titolari di titoli emessi (comma 5).

Nell'ottica di tutelare gli enti finanziatori, è precisato che l'efficacia del recesso della concessione sia subordinata alla condizione del pagamento da parte del concedente delle suddette somme (comma 7).

A queste disposizione si aggiunge poi la particolare previsione secondo cui, in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario”, quest'ultimo ha il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell'opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all'effettivo pagamento delle somme ad esso spettanti a titolo di ristoro e indennizzo (comma 6). Oltre alla gestione ordinaria e nell'ottica del miglior perseguimento degli interessi pubblici sottesi all'erogazione del servizio, sono comunque fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi.

Si tratta di una disposizione che, da un lato, mira a tutelare l'economia dell'ente concedente evitando un aggravio dei costi discendenti dalla cessazione anticipata del rapporto concessorio, ma dall'altro finisce nella sostanza per depotenziarne gli effetti temporali.

Questioni applicative

1) Il subentro in caso di cessazione della concessione per cause imputabili al concessionario.

Nell'ottica di garantire gli interessi economici degli enti finanziatori dell'operazione al fine di evitare che un eccessivo livello di rischio costituisca un limite all'operatività e all'utilizzo dello strumento concessorio, è prevista la possibilità di subentro di un nuovo contraente nelle ipotesi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario ” (comma 3).

In tal caso, l'ente concedente comunica per iscritto al concessionario ed agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto.

Gli enti finanziatori, inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi, entro centoventi giorni dal ricevimento della comunicazione, possono indicare un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziare corrispondenti e analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione e stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro.

L'operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dell'ente concedente. Il subentro dell'operatore economico ha effetto dal momento in cui quest'ultimo vi presta consenso (comma 3).

Tale privilegio (c.d. ‘step in right'), già contemplato nel codice del 2016, è quindi evidentemente inteso a favorire il finanziamento nelle operazioni di PPP in cui rientrano i contratti di concessione.

Si tratta infatti di una sorta di diritto al subentro riservato, nella sostanza, agli enti finanziatori.

Quanto all'ambito di applicazione dell'istituto, si dovrebbe ritenere che esso operi sia in caso di risoluzione civilistica per inadempimento del concessionario di cui al comma 2, che nelle ipotesi di risoluzione pubblicistica per vizi genetici di cui al comma 1, lett. b) (vale a dire per l'ipotesi in cui, al momento dell'aggiudicazione, fosse ipotizzabile in capo al concessionario una situazione che ne avrebbe dovuto comportare l'esclusione dalla gara).

Depone in questo senso il tenore letterale della disposizione, che non si riferisce alla sola fattispecie di risoluzione per “inadempimento” del concessionario ma, più in generale, a qualsiasi risoluzione per cause ad esso imputabili (De Nictolis, 2056).

Problemi attuali

1) È configurabile nelle concessioni la risoluzione per eccessiva onerosità?

Nel silenzio normativo, è un tema dibattuto: si confrontano la tesi privatistica, che conclude in senso positivo prendendo le mosse dalla natura contrattuale della concessione; e la soluzione opposta, che valorizza la specialità della disciplina esaustiva scolpita dall'art. 190.

Appare preferibile la prima posizione, anche alla luce della natura durevole e continuativa dei rapporti concessori e della riespansione della disciplina civilistica che caratterizza la fase di esecuzione del contratto. In presenza di prestazioni che si rivelino nel tempo eccessivamente onerose in ragione di eventi straordinari e non prevedibili, dovrebbe ritenersi applicabile la disciplina civilistica, anche alla luce del rinvio ad essa operato dall'art. 12 del Codice. In tale ipotesi, che risulta distinta dall'alea che caratterizza il rapporto concessorio, dovrebbe darsi la possibilità all'ente concedente di ricondurre ad equità il contratto per evitare la risoluzione ex art. 1476, comma 2, c.c..

Si tratta di un'ipotesi peculiare, in cui si verifica un intervento esterno che incide gravemente sul profilo economico delle prestazioni, sicché la stessa non rientra nel regime delle modifiche di cui all'art. 189 precedentemente esaminato (Perfetti, 1434).

Bibliografia

Carullo, Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici, Milano, 2018; De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Torino, 2017; Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, Vicenza, 2017.

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