Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 212 - Transazione.

Adolfo Candia

Transazione.

1. Le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture possono essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale.

2. Ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 euro, ovvero a 200.000 euro in caso di lavori pubblici, è acquisito, qualora si tratti di amministrazioni centrali, il parere dell'Avvocatura dello Stato oppure, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali, di un legale interno alla struttura o, in mancanza di legale interno, del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso.

3. La proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il RUP.

4. La transazione ha forma scritta a pena di nullità.

Inquadramento

La transazione, come l'accordo bonario e il collegio consultivo tecnico, rappresenta uno strumento di deflazione del contenzioso, in quanto volta a risolvere in via stragiudiziale le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici.

Il d.lgs. n. 36/2023 disciplina la transazione all'art. 212, ricalcando le previsioni già dettate in materia dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016.

La norma dispone infatti, in continuità con tale ultima disposizione, che «1. Le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale. 2. Ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, è acquisito, qualora si tratti di amministrazioni centrali, il parere dell'Avvocatura dello Stato oppure, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali, di un legale interno alla struttura, o in mancanza di legale interno, del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso. 3. La proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il RUP. 4. La transazione ha forma scritta a pena di nullità».

La transazione è uno strumento consensuale di risoluzione delle controversie tra le parti, come può evincersi dalla definizione generale dell'istituto contenuta nell'art. 1965 del codice civile. Tale disposizione stabilisce, infatti, al comma 1 che «la transazione è il contratto con il quale le parti facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro». Il comma 2 della stessa disposizione aggiunge che «Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti».

Dalla disposizione richiamata emerge dunque che la transazione è un contratto a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso; le reciproche concessioni tra le parti costituiscono il tratto essenziale del contratto, unitamente alla sussistenza di una lite attuale o potenziale dall'esito incerto e alla necessità che la stessa abbia ad oggetto diritti disponibili delle parti. Le concessioni possono mantenere l'assetto originario del rapporto contrattuale (c.d. transazione conservativa) o modificarlo, dando vita ad un nuovo rapporto che sostituisce il precedente (c.d. transazione novativa).

Con la previsione di tale istituto nell'ambito della disciplina dei contratti pubblici dettata dal nuovo Codice, il legislatore ha voluto confermare uno strumento agile di risoluzione delle controversie sorte in fase di esecuzione del contratto, in coerenza con il criterio di delega di cui all'art. 1, comma 1, lett. ll) della l. n. 78/2022 (recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”), concernente l'«estensione e rafforzamento dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto» e in continuità con quanto già previsto all'art. 1, comma 1, lett. aaa), della precedente legge delega n. 11/2016 (“Deleghe al Governo per l'attuazione delle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”).

La possibilità di ricorrere alla transazione nell'ambito dei contratti pubblici già prevista dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, era contemplata altresì dal d.lgs. n. 163/2006, all'art. 239, contenente una disciplina analoga a quella in vigore.

Tuttavia, come ampiamente sottolineato dalla dottrina, mentre ai sensi di tale ultima disposizione, la transazione era liberamente esperibile (il comma 1 dell'art. 239 ammetteva, infatti, il ricorso all'istituto de quo, anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario), nell'attuale disciplina, dettata dal citato art. 212 del d.lgs. n. 36/2023 in continuità con quanto previsto dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, la transazione rappresenta un rimedio attivabile in via residuale, come deriva dalle disposizioni del comma 1 a tenore delle quali è possibile ricorrervi «solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale».

Indicativa al riguardo appare anche la collocazione della disposizione in esame nel nuovo Codice, dopo la disciplina dell'accordo bonario per i lavori (art. 210) e dell'accordo bonario per servizi e forniture (art. 211), che sembra confermare la scelta del legislatore di prevedere tale rimedio come residuale rispetto a tali istituti.

Anche la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 36/2023 chiarisce che la transazione può essere conclusa solo nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale.

Più in dettaglio, come sottolineato nel citato documento «Il comma 1 enuncia un criterio di residualità e sussidiarietà della transazione nell'ambito dell'esecuzione dei contratti pubblici, che, invero, può essere utilizzata soltanto qualora non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale; seppur residuale, la transazione ha una sfera di applicazione che copre espressamente la fase esecutiva di tutti i contratti pubblici (sia di lavori, sia di servizi, sia di forniture); è rimarcata la necessità del rispetto della disciplina recata dal codice civile».

Nel nuovo Codice, pertanto, la portata residuale dell'istituto, già affermata dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, risulta meglio definita rispetto al previgente art. 239 del d.lgs. n. 163/2006.

Come sottolineato dall'ANAC, ancorché in relazione alle disposizioni del citato art. 208 del d.lgs. 50/2016, ma con osservazioni utili anche in relazione all'art. 212 del d.lgs. n. 36/2023, la previsione disciplinante l'istituto della transazione, rappresenta una norma di chiusura, che consente di transigere le liti senza formalità, salva la necessità del parere legale dell'organo competente, secondo l'importo previsto nella norma (ANAC, Deliberazione n. 143 del 25 novembre 2015). Si tratta quindi di uno strumento alternativo all'accordo bonario e al ricorso al collegio consultivo tecnico, in tutte le ipotesi in cui tali strumenti non possano avere luogo.

La stessa ANAC ha anche chiarito la differenza intercorrente tra la transazione e l'accordo bonario, affermando (ancorché in relazione alle previsioni del d.lgs. n. 163/2006) che la transazione è un istituto mutuato dal codice civile (art. 1965, comma 1) ed è espressione dell'autonomia negoziale della Pubblica Amministrazione, esercitata nel rispetto dello statuto dell'attività contrattuale della stessa, dato non soltanto dal diritto comune ma anche dal diritto speciale che costituisce il risultato del processo normativo di adattamento della disciplina generale del codice civile alle tipiche esigenze afferenti all'azione amministrativa permeata dall'interesse pubblico (ANAC delibera n. 593 del 15 luglio 2020, citando anche il parere dell'Avvocatura dello Stato 7 ottobre 2014-410698, al 19442/14, in rassegna n. 3/2014).

L'accordo bonario, viceversa, costituisce il risultato di un procedimento normativamente tipizzato ad iniziativa dell'appaltatore che, in quanto titolare di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento, vincola la committenza pubblica ad attivarsi per promuovere le procedure tutte per addivenire all'eventuale accordo bonario, senza possibilità quindi di sottrarsi alla compulsazione dell'appaltatore medesimo. Ne consegue che quando le riserve iscritte dall'appaltatore raggiungono il valore indicato dal Codice, la committenza è vincolata ad attivarsi per promuovere le procedure per addivenire all'eventuale accordo bonario, senza possibilità quindi di sottrarsi alla compulsazione dell'appaltatore medesimo (delibera n. 593/2020 cit.).

Dunque, mentre la transazione è strumento facoltativo di risoluzione delle controversie insorte in relazione all'esecuzione dei contratti pubblici, l'accordo bonario è necessariamente instaurato al verificarsi dei presupposti indicati dalle disposizioni di riferimento.

Procedimento.

Con riferimento al procedimento di conclusione della transazione nel settore dei contratti pubblici, la disciplina dettata dall'art. 212 del d.lgs. n. 36/2023, come quella dettata dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, non apporta significative modifiche rispetto a quanto previsto dall'art. 239 del d.lgs. n. 163/2006. Il comma 2 dell'art. 212 citato prevede, infatti, che ai fini della percorribilità della transazione in relazione alla singola controversia, ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, è necessaria la previa acquisizione del parere dell'Avvocatura dello Stato per le amministrazioni centrali, oppure, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali, di un legale interno alla struttura, o in mancanza di legale interno, del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso.

Come sottolineato nella Relazione Illustrativa del nuovo Codice «Il comma 2 prevede una necessaria fase consultiva per le ipotesi transattive inerenti ai contratti pubblici superiori a determinate soglie (100.000 euro in generale ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici), affidata, per le amministrazioni centrali, al qualificato parere dell'Avvocatura dello Stato e, per le amministrazioni sub centrali, a un legale interno alla struttura ovvero, in mancanza, al funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso».

La necessità del previo parere legale per il ricorso alla transazione è prevista anche nell'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016 e già nel previgente d.lgs. n. 163/2006, ancorché in tale ultimo assetto normativo lo stesso era richiesto se «l'importo di ciò che detti soggetti concedono o rinunciano in sede di transazione eccede la somma di 100.000 euro» (art. 239); non si prevedeva pertanto un diverso valore per i lavori pubblici.

L'art. 212 specifica inoltre, al comma 3, che la proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il RUP e conferma, al comma 4, quanto già previsto nell'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016 e nell'art. 239 del d.lgs. n. 163/2006, in relazione alla necessaria forma scritta della transazione a pena di nullità.

La Relazione Illustrativa del nuovo Codice sottolinea al riguardo che «Il comma 3 precisa che, in applicazione del principio di tendenziale parità delle posizioni negoziali delle parti nella fase esecutiva, l'iter transattivo può essere avviato, tramite una proposta, tanto dal dirigente della stazione appaltante (sentito il responsabile unico del progetto), quanto dal soggetto aggiudicatario. Il comma 4 codifica il principio di necessaria forma scritta ad substantiam della transazione, il cui mancato rispetto è espressamente sanzionato con la sua nullità».

La forma scritta e l'acquisizione preventiva del parere legale sulla transazione, rispondono all'esigenza di garantire lo svolgimento dell'azione amministrativa in tale ambito, secondo i canoni di imparzialità e buon andamento, in coerenza con i principi sanciti dall'art. 97 Cost.

La dottrina formatasi sul previgente Codice, ha sottolineato al riguardo la natura obbligatoria ma non vincolante del parere. Pertanto, per discostarsi dalle valutazioni contenute nello stesso, è necessaria, da parte dell'amministrazione, una adeguata motivazione.

Il parere legale rappresenta quindi uno degli elementi essenziali dell'istruttoria che conduce alla sottoscrizione dell'accordo transattivo, dovendo indicare i rischi connessi al contenzioso in essere o potenziale, la natura delle questioni giuridiche controverse, la sussistenza dei presupposti per la sottoscrizione della transazione.

Discende da quanto sopra che la proposta di transazione da parte della stazione appaltante, o l'adesione alla proposta transattiva formulata dal soggetto aggiudicatario, in relazione ad un contratto pubblico, implica il dovere dell'amministrazione di esplicitare le ragioni di interesse pubblico che conducono alla conclusione dell'accordo transattivo.

Tra i principali elementi che contraddistinguono la transazione in ambito pubblicistico da quella in ambito civilistico, infatti, va certamente annoverato l'obbligo di fondare la scelta transattiva su una congrua e adeguata motivazione, dalla quale emergano con chiarezza e trasparenza le ragioni di convenienza dell'accordo.

Più in dettaglio, la percorribilità di tale accordo, deve essere attentamente valutata sia in relazione all'equilibrio tra le reciproche concessioni tra le parti, sia in relazione all'opportunità di una definizione stragiudiziale della controversia rispetto all'alternativa di una definizione in sede giurisdizionale o arbitrale (delibera ANAC n. 308 del 13 settembre 2001).

La giurisprudenza (ancorché relativa alle previsioni del d.lgs. n. 50/2016) ha sottolineato al riguardo che la scelta di un ente pubblico di addivenire ad una transazione deve essere riconducibile ai canoni di razionalità, convenienza, logica e correttezza gestionale, avendo sempre riguardo ad una imprescindibile valutazione della cura concreta di interessi pubblici. Pertanto, i negozi giuridici conclusi con i privati richiedono che l'esercizio del potere dell'Amministrazione pubblica sia coerente con la cura dell'interesse concreto della comunità amministrata, nonché con la tutela delle posizioni soggettive di terzi, secondo il principio di imparzialità dell'azione amministrativa (C. conti, sez. regionale di controllo per la Lombardia n. 108/2018PAR e n. 65/2020/PAR).

La scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell'oggetto della stessa, spetta all'Amministrazione nell'ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali non è soggetta a sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l'azione amministrativa.

La stessa giurisprudenza ha chiarito al riguardo che se a transigere è un soggetto pubblico i parametri valutativi sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente. Un ente pubblico non gode dunque di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma deve sempre avere come parametro l'equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione della transazione. Ciò in considerazione nel necessario rispetto di regole che si pongono a presidio di garanzie costituzionali di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche che esprimono tutela finale dei diritti dei contribuenti e dei cittadini tutti (art. 97 Cost.) (C. conti, sez. giurisd. Lombardia, n. 196/2019 e n. 65/2020/PAR).

L'amministrazione competente è dunque chiamata ad una attenta valutazione dell'accordo transattivo, dovendo altresì adeguatamente motivare in ordine alle ragioni di convenienza e opportunità della transazione, rispetto agli interessi pubblici perseguiti mediante la sua stipula della transazione.

Oggetto e limiti della transazione.

L'oggetto della transazione, come può evincersi dall'art. 212 del d.lgs. n. 36/2023, in continuità con le previsioni dell'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, è rappresentato dalle controversie relative ai diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il ricorso a tale istituto è quindi escluso con riguardo alla fase dell'evidenza pubblica, nella quale non vengono in rilievo posizioni di diritto soggettivo ma di interesse legittimo. L'ambito oggettivo di applicazione della norma è comunque molto ampio e ricomprende tutte le vicende relative alla posizione giuridica soggettiva dell'esecutore e alla dinamica del rapporto contrattuale.

Invero, nella materia dei contratti pubblici, già in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006, il ricorso alla transazione è stato un argomento ampiamente dibattuto, con particolare riferimento all'oggetto e ai limiti della stessa.

Sull'argomento è intervenuta l'ANAC con diverse pronunce, ancorché in relazione al previgente assetto normativo di settore, volte a chiarire le condizioni di applicabilità dell'istituto in tale ambito (Parere AG40 del 26 settembre 2013, deliberazioni n. 103 del 5 dicembre 2012; n. 56 del 3 dicembre 2008; n. 10 del 19 marzo 2008; n. 308 del 13 novembre 2001).

In particolare, l'Autorità ha chiarito che nel settore dei contratti pubblici la transazione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili (art. 1965, comma 2 c.c.) e cioè quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale (ANAC Parere AG40/2013 cit.). È nulla, quindi, la transazione nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite sono sottratti alla disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione di legge (art. 1966, comma 2 c.c.); pertanto, la transazione non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal Codice dei contratti pubblici (Cons. St. V, n. 445/2010).

Ciò in quanto la soluzione concordata si inserisce «nell'esercizio di un potere pubblicistico che non può sottrarsi al quadro delle regole proprie della spendita di detto potere e perciò oggetto di negoziazione e di formalizzazione nel successivo provvedimento non può essere una illimitata gamma di scelte discrezionali da parte dell'amministrazione, ma solo l'individuazione di una fra più soluzioni comunque idonee ad azionare il soddisfacimento dell'interesse pubblico» (deliberazione C. dei conti, sez. reg. di controllo per la Lombardia 26/2008/PAR).

Quanto all'oggetto della transazione nell'ambito dei contratti pubblici, è stato chiarito che l'amministrazione può addivenire ad una transazione con l'appaltatore per dirimere controversie insorte in sede di esecuzione del contratto, fermo restando che la particolare natura giuridica del rapporto instaurato tra le parti, sorto a seguito di procedura di scelta del contraente soggetta al regime pubblicistico, impone precisi limiti alla possibilità di modificare il contenuto delle rispettive prestazioni. La stazione appaltante, pertanto, può concludere una transazione con l'appaltatore per dirimere controversie insorte in sede di esecuzione di un contratto pubblico, ma in tale materia deve ritenersi praticabile esclusivamente la transazione c.d. “semplice”, ossia semplicemente modificativa della situazione giuridica dedotta in lite, mentre deve escludersi l'ammissibilità di una transazione “novativa”, intesa come accordo mediante il quale si instaura con l'appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, per soddisfare un interesse diverso da quello dedotto nel contratto originario concluso a seguito di una procedura ad evidenza pubblica (ANAC Delibere n. 145/2015; n. 56/2008; n. 10/2008; n. 103/2012; n. 308/2001 e parere AG40 del 26 settembre 2013).

La transazione novativa, infatti quale accordo finalizzato a sostituire una precedente pattuizione tra le parti, non è ammissibile nel settore dei contratti pubblici, nel quale vige il generale divieto di rinegoziazione dei termini stabiliti nella lex specialis di gara, tanto che mediante tale istituto si perverrebbe ad una nuova aggiudicazione (Cons. St. V, n. 6281/2002 e Cons. St. V, n. 126/2006; Corte giust. UE causa C-337/98). Pertanto, dalla stipula di una transazione non può mai derivare un nuovo affidamento senza gara di un servizio, lavoro o fornitura, essendo indiscutibile che la transazione deve svolgersi in relazione a diritti disponibili delle parti e non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal codice dei contratti (Cons. St. V, n. 445/2012; Cons. St. VI, n. 1778/2015).

Consegue da quanto sopra che nell'ambito dei contratti pubblici, è possibile ricorrere alla transazione esclusivamente se la stessa non modifica, negli elementi essenziali, il rapporto contrattuale, che deve quindi mantenere la sua struttura originale.

Non è dunque applicabile alla materia dei contratti pubblici una transazione che porti alla realizzazione di un'opera o servizio totalmente diversi da quelli oggetto di aggiudicazione, cosicché la disciplina di detto rapporto non è più rinvenibile nell'originario contratto di appalto, bensì nel successivo negozio giuridico (delibera ANAC n. 308/2001).

Analogamente, come chiarito dall'Anac, non appare conforme alla disciplina in esame, la conclusione di una transazione mediante la quale si proceda ad assegnare l'esecuzione di nuove opere all'appaltatore originario, o a riassegnare le stesse opere all'appaltatore con il quale sia intervenuta una risoluzione contrattuale, trattandosi di modalità di affidamento di appalti pubblici in violazione delle disposizioni del Codice, contemplante sistemi di aggiudicazione dei contratti pubblici, tassativi e improntati al rispetto dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché pubblicità con le modalità indicate dal Codice (parere funzione consultiva ANAC n. 23/2023).

Il carattere imperativo ed indisponibile dei sistemi di affidamento degli appalti pubblici preclude quindi la conclusione di accordi transattivi che, alterando l'assetto negoziale definito con l'aggiudicazione, si pongano come fonte nuova del rapporto e come un diverso titolo dell'affidamento dell'appalto, in violazione delle disposizioni inderogabili che regolano la scelta del contraente e la definizione del contenuto del contratto.

Ciò è stato chiarito anche dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale «il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l'appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi» (Corte giust. CE sentenza del 19 giugno 2008 causa, C454/06).

Sulla base di tali considerazioni il giudice comunitario ha quindi osservato che «dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, a tale appalto non può essere apportata una modifica sostanziale senza l'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, anche qualora tale modifica costituisca, obiettivamente, una modalità di composizione transattiva, comportante rinunce reciproche per entrambe le parti, allo scopo di porre fine a una controversia, dall'esito incerto, sorta a causa delle difficoltà incontrate nell'esecuzione di tale appalto. La situazione sarebbe diversa soltanto nel caso in cui i documenti relativi a detto appalto prevedessero la facoltà di adeguare talune sue condizioni, anche importanti, dopo la sua aggiudicazione e fissassero le modalità di applicazione di tale facoltà» (Corte giust. CE, 7 settembre 2016, causa C-549/14).

Conclusivamente, in ambito pubblicistico, i limiti del ricorso all'istituto in esame consistono nel divieto di stipulare la transazione c.d. novativa, intesa come accordo mediante il quale si instaura con l'appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, rispetto a quello definito in sede di aggiudicazione (ANAC, parere AG40 del 26 settembre 2013).

Pertanto è possibile ricorrervi solo nella misura in cui il rapporto contrattuale, pur modificato o integrato a seguito delle reciproche concessioni, mantenga la sua struttura originale, e cioè sia tale da non prevedere prestazioni nuove e diverse rispetto a quelle originariamente pattuite.

La possibilità di ricorrere alla transazione nell'ambito degli appalti pubblici, incontra dunque dei limiti quanto ad oggetto e finalità, anche in coerenza con le disposizioni del Codice dei contratti pubblici, che non ammettono forme di rinegoziazione dei termini stabiliti nella lex specialis di gara.

Bibliografia

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